RITIRO ON LINE - settembre 2023 |
Venero
la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia
persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla
presenza del Signore che vuole parlarmi.
(Eremo di Quorle)
Che sia la Tua luce a dissipare le tenebre dei nostri “giorni no”.
Che sia la Tua luce a cancellare le ombre dai nostri volti.
Che sia la Tua luce a darci una nuova vita.
Che sia la Tua luce.
(Patrizio Righero)
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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CERCATE GESU’
Nelle prossime LECTIO che proporremo ci faremo aiutare dal cardinale Carlo Maria
Martini che nel 2002 tenne, in Cattedrale a Milano, i suoi ultimi “quaresimali”
prima di lasciare la direzione della diocesi. Sono commenti al capitolo 18 del
Vangelo di Matteo. Lasciamoci aiutare dalle parole precise e puntuali di questo
“pastore” che tanto ha saputo donare alla Chiesa.
LECTIO
Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
12Che
cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà
le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?
13In
verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le
novantanove che non si erano smarrite.
14Così
è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si
perda.
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della
Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga
del nostro Ritiro On Line: il grande
silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"
Insieme a questi versetti del capitolo 18 del Vangelo di Matteo, teniamo
presente per la riflessione anche il versetto 10, perché fa, come si dice,
inclusione con questo testo. Recita infatti:
«Guardate
di non disprezzare uno solo di questi piccoli»,
e gli fa da richiamo il versetto 14 concludendo: «Così
è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si
perda».
Dunque “uno
solo di questi piccoli”
è l’espressione che fa inclusione, che racchiude questa piccola parabola.
La ragione del titolo di questa riflessione, “La gioia della Chiesa”, è
rintracciabile al versetto 13, là dove si dice che chi trova la pecora smarrita
si rallegrerà. Dunque questa pagina ci vuole rivelare qual è la gioia più
profonda nella Chiesa, che cosa fa gioire di più la Chiesa: il ritorno anche di
un solo smarrito.
Quindi abbiamo di fronte una Chiesa che si distingue per il perdono, per
l’accoglienza, per la riaccoglienza; tutte caratteristiche di questa comunità.
La struttura di questo testo è molto breve e molto semplice. Ci troviamo di
fronte a una semplice parabola inquadrata da due esortazioni: quella iniziale è
espressa al versetto 10, mentre quella di chiusura al versetto 14, già
riportati. L’attenzione è dunque sui piccoli, l’esortazione è a non disprezzarli
e a non lasciare che si perdano.
La parte esortativa fa da cornice alla parabola espressa ai versetti 12 e 13. La
quale comincia con una domanda retorica: «Che
ve ne pare?»,
che sta a dire “non
è forse così?”,
cioè Gesù comunica che sta per affermare una cosa apparentemente ovvia, la qual
cosa viene espressa con un’ipotesi che anch’essa sembra voler dire un’ovvietà.
Si tratta di un’interrogazione, ma la risposta è:
ovviamente è così.
Tale la domanda: «Se
un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove
sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?».
A seguito di questa proposizione interrogativa ve ne è una assertiva molto
forte:
«Se
riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non
si erano smarrite».
Si rimane un po’ perplessi di fronte a tale affermazione, c’è effettivamente
qualcosa di misterioso in questa parola. C’è qualcosa del mistero della
misericordia di Dio, del suo bisogno che i peccatori ritornino. Intuiamo subito
che vi si trovano i medesimi elementi della parabola del figliol prodigo, che
narra del padre che aspetta con ansia il figlio smarrito.
Parole chiave e paralleli
-
Il buon pastore
E’ possibile rintracciare diversi paralleli relativi a questa parabola. Il più
noto, che esprime sostanzialmente lo stesso concetto ma con più ampia
digressione, è quello che si incontra al capitolo 15 del Vangelo di Luca.
Riportiamo interamente il passo:
«
Ed egli disse loro questa parabola:
4«Chi
di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto
e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?
5Quando
l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle,
6va
a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché
ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”.
7Io
vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più
che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione
» .
Questo parallelo
di Luca si trova nel capitolo delle tre parabole della misericordia (la pecora
smarrita, la dracma d’argento perduta e il figliol prodigo) e si dilunga
maggiormente sul tema della gioia, perché non è soltanto quella del pastore che
ha ritrovato la sua pecora, come nel brano di Matteo, ma anche quella degli
amici e dei vicini di casa e, addirittura, nella spiegazione esplicita:
la gioia in cielo per un peccatore convertito.
La differenza tra le due parabole che è opportuno notare sta nel fatto che nel
capitolo 15 di Luca si narra soprattutto di Gesù che sta accogliendo i
peccatori, il quale dunque con questa parabola difende il suo agire nei
confronti dei peccatori. Invece la parabola così come viene riportata da Matteo
è applicata alla comunità, significa che questo atteggiamento di Gesù deve
essere fatto proprio dalla comunità: anche nella comunità cristiana ci vuole
gioia per ogni smarrito che ritorna.
Un secondo parallelo,
meno conosciuto ma molto espressivo, è tratto dal Vangelo copto di Tommaso, che
contiene una sorta di riscrittura di questa parabola, che riporto per facilitare
il confronto:
«Gesù
disse: “Il regno è simile a un pastore che ha cento pecore. Una, la più grande,
si smarrì. Egli lasciò le novantanove e cercò quell’una fino a quando la trovò.
Dopo che si era affaticato disse alla pecora: ‘Ti amo più delle novantanove”’».
Un testo forse ancora più esplicito, questo, per far capire come ci sia un amore
del tutto speciale per chi ritorna.
Un altro confronto,
stavolta con un testo tratto dall’Antico Testamento, è quello con il lungo
capitolo 34 di Ezechiele, il quale parla dei falsi pastori, cioè i re e forse
anche i sacerdoti di Israele che sono venuti meno al loro compito, per cui le
pecore si sono smarrite e Dio stesso le ricerca tutte.
Tale brano è ripreso più volte all’interno della Bibbia, specialmente nel decimo
capitolo del Vangelo di Giovanni, quando Gesù si paragona al buon pastore.
Queste immagini percorrono quindi le Scritture e nel capitolo 18 di Matteo
troviamo una delle varie espressioni della tematica della pecorella smarrita e
ritrovata.
Smarrimento e gioia per il ritorno
Soffermiamoci sulle tre parole chiave per questo
testo. La prima è legata alla radice del verbo “smarrirsi”,
ripetuta tre volte: «Se
un uomo ha cento pecore e una di loro si
smarrisce,
non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è
smarrita?»,
«Si
rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano
smarrite».
Tale concetto di smarrimento è affine a quello del
“perdersi”,
che appare al versetto 14: «Così
è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli
si
perda».
È chiaro cosa voglia dire smarrirsi per una pecora che esce dal gregge, che va
fuori strada: ciò per l’animale è mortifero. Una pecora fuori dal gregge non
trova più la strada, è come impazzita: va qua e là, rischia di cadere nei
burroni.
Cosa intendeva invece Gesù con questa metafora dello smarrimento della pecora?
Mi pare che Gesù volesse indicare ogni fuga o ogni tentativo di fuga dalla
comunità e quindi anche le relative cause. Vale a dire ogni disamoramento della
comunità, disgusto verso la comunità, sfiducia nella comunità, amarezza come
inizio di una fuga.
Forse Gesù stava pensando a Giuda, che stava covando amarezze dentro di sé per
poi abbandonare la comunità dei discepoli. Per un cristiano la parola smarrirsi
può voler dire abbandonare la pratica cristiana, abbandonare persino la fede, e
per ogni essere umano vuol dire ancor di più abbandonare la speranza nella vita,
quindi ritrovarsi affaticato, stanco, deluso.
In questa parola di Gesù si può scorgere tanta compassione per le fatiche della
gente che ha perso il gusto del vivere. Lo smarrirsi è, come dicevamo, collegato
col perdersi; l’abbandonare la comunità, la pratica cristiana, le amicizie a un
certo punto può significare perdersi, cioè smarrirsi nella vita totalmente,
perdere la fede, perdere la speranza che la vita abbia un senso buono.
Una parola chiave contraria a quest’ultima analizzata sta al centro del brano e
compare una volta sola al verso 13: “si
rallegrerà”.
Come già visto nel parallelo di Luca questo “rallegrarsi”
è un riflesso della gioia del cielo; e abbiamo ricordato anche la parabola del
figliol prodigo, in cui questo rallegrarsi è riflesso della gioia del Padre che
è nei cieli, espressa nell’atteggiamento di quel padre che, vedendo il figlio da
lontano, commosso gli corse incontro, gli si buttò al collo e lo baciò. Ed è
anche un riflesso di quella gioia di Gesù di cui parla Luca al capitolo decimo
quando scrive: «Gesù
esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: “Ti rendo lode, o Padre, Signore
del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti
e le hai rivelate ai piccoli”».
Dunque la gioia di Dio ancora una volta per i piccoli. La gioia di una comunità
in cui i piccoli, i semplici e ciascuno, ogni smarrito, è importante; la gioia
di una comunità che accoglie volentieri, come vedremo più avanti.
Una terza parola chiave di questo brano è nuovamente
“
piccoli ”, ripetuta nell’esortazione
iniziale al versetto 10 e in quella finale, che non indica più solamente i
bambini come all’inizio di questo capitolo 18, cioè coloro che sono in tenera
età o quelli che non contano, ma in generale tutti i comuni fedeli, cioè
ciascuno di noi che fa fatica, che è un po’ debole nella fede, che va aiutato.
Ciascuno di noi è uno di questi piccoli.
Cercatori e smarriti: ciascuno di noi
Tra i messaggi che rinveniamo in questo brano anzitutto ve ne sono che
riguardano gli smarriti, cioè al giorno d’oggi tutti coloro che fanno fatica a
trovare Dio, tutti coloro che fanno fatica a trovare un senso nella loro vita,
tutti coloro che fanno fatica a trovare gioia nel cammino della Chiesa, infine
tutti coloro che non vedono chiaro nell’esistenza e che rischiano quindi di
perdere la gioia di vivere.
Sono molti costoro, anzi potremmo dire che ciascuno di noi è a rischio di
smarrimento, siamo anche noi questi potenziali smarriti perché ciascuno di noi
nel fondo del cuore può vivere dei momenti di smarrimento. Il messaggio dunque
è:
aiutiamoci gli uni gli altri.
Non dobbiamo pensare di creare una categoria di inossidabili, alla ricerca degli
smarriti, ma aiutarci gli uni gli altri senza distinguere troppo tra i
“ricercatori” e gli “smarriti”. Noi siamo degli smarriti che cercano e dei
ricercatori a rischio di smarrimento: dobbiamo perciò aiutarci, capirci,
comprendere le nostre debolezze.
Cercare
Questo brano parla dunque del cercare gli smarriti, ma è bene interrogarsi su
cosa voglia dire in concreto nelle nostre comunità di oggi “cercare”.
Innanzitutto di certo in positivo significa
prendersi cura di tutti,
non trascurare nessuno,
non disprezzare nessuno;
vuol dire
preoccuparsi dei bisogni, delle domande, dei desideri profondi dell’altro;
vuol dire quindi
prestare attenzione a cosa si muove nel cuore dell’altro,
alle inquietudini, magari doloranti, che gridano nel silenzio.
Quindi ciò comporta il non dare mai per scontato, specialmente da parte nostra
che ci sentiamo più vicini alla Chiesa, che tutti ci capiscano allo stesso modo,
che tutti ci seguano, ma cercare di capire quanta fatica faccia la gente. Penso
dunque che questa parabola si rivolga innanzitutto a noi preti, ai vescovi, ai
consacrati, ma anche a tutti gli operatori pastorali, ai membri dei consigli
pastorali. Ciascuno di noi fa fatica e deve cercare di capire la fatica degli
altri, deve quindi
farsi ricercatore,
cioè
ascoltatore attento delle sofferenze per lenirle.
Trovare
Questo cercare mira ovviamente al
trovare,
dice il Vangelo: «Se
riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non
si erano smarrite».
Questo ritrovare lo possiamo intendere come
riconciliare con la comunità cristiana chi se ne era allontanato,
riconciliare con la vita chi aveva perso il giusto senso dell’esistenza,
riconciliare con la società chi se ne era tratto fuori
(penso ai carcerati, a coloro che vivono esistenze devianti e asociali: cercarli
vuol dire riconciliarli con la vita di tutti).
Significa inoltre riconciliare coloro che sono in conflitto: penso in
particolare al Medio Oriente, dove
trovare significa aiutare a fare pace.
Una parola dunque che può essere molto attuale.
Accogliere nella gioia
Oltre a tutto ciò, questo brano di Vangelo parla specialmente della gioia, che
deve caratterizzare la comunità che cerca e trova. La gioia nella Chiesa è
dunque un riflesso della gioia del Padre che è nei cieli, della gioia di Gesù.
Purtroppo è possibile mancare in molti modi a questo precetto della gioia. Per
esempio quando ci si lascia prendere dall’invidia, quasi rammaricandosi del
fatto che qualcuno che ritorna sia più considerato di chi è rimasto. Questo
purtroppo è un sentimento abbastanza comune, ben esemplificato dalla figura del
figlio maggiore della parabola del figliol prodigo, come anche dagli operai
della prima ora che provano invidia per quelli dell’ultima ora.
Un altro modo
di non gioire nelle nostre comunità è rifiutare tacitamente chi si accosta di
nuovo o per la prima volta alla Chiesa: costui spesso è guardato con diffidenza,
così come veniva guardato Paolo dopo la sua conversione; spesso il rifiuto è
silenzioso, il nuovo fratello viene lasciato da parte anziché essere accolto con
gioia.
Un terzo modo
è quello di ritrovarsi in gruppi anche molto buoni e autentici nella fede ma un
po’ ristretti e chiusi, specie se costituiti da lungo tempo, che non accolgono
prontamente al loro interno i nuovi venuti, i giovani.
La gioia vuol dire disponibilità all’accoglienza non solo del perduto che
ritorna, ma anche di chi si accosta per dare una mano a un’iniziativa
comunitaria, per esempio, per cui lo si accetta con benevolenza e gratitudine
nella fraternità.
Si può dunque cogliere che tipo di comunità emerga da questa descrizione fin qui
fatta del capitolo di Matteo: una comunità paziente, amorevole, comprensiva; non
una comunità di perfetti, ma una comunità che ama il ritorno più di quanto
biasimi la devianza, pur non essendo permissiva oltremodo, così come leggeremo
nel seguito del capitolo. L’ideale è dunque quello di una comunità comprensiva
ma non permissiva.
Gli angeli custodi
Un’ultima bella riflessione può scaturire dal verso decimo, che afferma: «Guardate
di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro
angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».
L’espressione è certamente un po’ particolare, perché questi angeli che vedono
la faccia ricordano quelli che nella Scrittura sono chiamati “gli angeli della
faccia”: si immagina che alcuni siano più vicini al volto del Padre.
Dalle stesse parole si ricava però anche l’esistenza di un rapporto particolare
degli angeli con gli uomini, arrivando di qui alla dottrina degli angeli custodi
così come è espressa nel Catechismo della Chiesa Cattolica che al numero 336
cita san Basilio, il quale dice: “Ogni
fedele ha al proprio fianco un angelo che lo conduce nella strada della vita”.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Grido a Te tutto il giorno,
ti racconto le cose che non vanno
e il caos che ha occupato abusivamente
le stanze della mia anima.
Grido a Te tutto il giorno,
pronuncio il nome degli amici
e anche quello dei nemici
che mi rendono difficile la vita.
Grido a Te tutto il giorno,
per buttare fuori il dolore e la paura.
|
Grido a Te tutto il giorno,
in un maldestro tentativo di lode.
Grido a Te tutto il giorno,
per non interrompere il contatto,
per sentirti vicino,
perché Tu sappia che ti penso.
Grido a Te tutto il giorno, Signore.
(Eric Pearlman – Un minuto
con Dio) |
–
Un minuto con Dio)
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci
precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo
mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti
i secoli dei secoli. Amen
ACTIO
Mi
impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita.
Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al
momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(tratto
da catechesi tenute nel 2002 dal Card. Carlo Maria Martini)
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