Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Guarda, rispondimi, Signore, mio Dio,
conserva la luce ai miei occhi,
perché non mi sorprenda il sonno della morte, perché il mio nemico non dica:
«L’ho vinto!» e non esultino i miei avversari
se io vacillo.
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Ma io nella tua fedeltà ho confidato;
esulterà il mio cuore nella tua
salvezza,
canterò al Signore, che mi
ha beneficato.
(dal Salmo 13) |
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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Le ore del giorno scorrono rapide. Impossibile fermarle.
Il credente però le può «redimere».
Continuano le lectio liberamente tratte da alcune riflessioni di don Davide
Caldirola, sacerdote della Chiesa di Milano.
Buona meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.
(Matteo
26,36-46)
36Allora
Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli:
«Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare».
37E,
presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e
angoscia.
38E
disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con
me».
39Andò
un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è
possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi
tu!».
40Poi
venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete
stati capaci di vegliare con me una sola ora?
41Vegliate
e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è
debole».
42Si
allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non
può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà».
43Poi
venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti
pesanti.
44Li
lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse
parole.
45Poi
si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è
vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori.
46Alzatevi,
andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
“Un’ora sola con me:
l'ora della stanchezza”
Dalla parte dei discepoli
Tutte le giornate, prima o poi arrivano a sera. Spesso è un momento difficile,
in cui si mescolano la stanchezza del giorno, con le sue delusioni e le sue
gioie, e un'incipiente paura della notte e del buio, delle cose che finiscono e
che vanno a morire. Non sempre le sere della nostra vita conservano il fascino
di meravigliosi tramonti, in cui ci si perde nella bellezza delle sfumature e
dei colori. Ci sono - è vero - serate così, di una bellezza impossibile da
sostenere e da contenere, cariche di riconoscenza e di meraviglia. «Giorni da
incorniciare», si usava dire. Ma altre volte non c'è neppure il tempo di
guardare il cielo, a volte il cielo stesso non si lascia vedere, nascosto dalla
pioggia, dalle nubi, dalla nostra stessa tristezza. E allora la sera regala
rimpianti, e il chiudersi di una giornata deposita nel cuore un soffio d'ansia
sottile, qualche domanda irrisolta, un rigagnolo di paura.
Ciò che sta prima
Per rileggere con maggiore profondità il brano evangelico che abbiamo letto, c'è
bisogno di ricostruirne il contesto immediato, «ciò che sta prima» della lotta
di Gesù e del sonno dei discepoli. La scena è quella della cena pasquale. Per
gli apostoli è un momento emotivamente forte, segnato dalle parole sul
tradimento, dall'intimità creata da Gesù, dal dono inaspettato e sicuramente
incompreso del pane e del vino.
26Ora,
mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e,
mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo».
27Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo:
«Bevetene tutti, 28perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è
versato per molti per il perdono dei peccati. 29Io vi dico che d’ora
in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò
nuovo con voi, nel regno del Padre mio».
30Dopo
aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. 31Allora
Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta
scritto infatti:
Percuoterò il pastore
e saranno disperse le pecore del gregge.
32Ma,
dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». 33Pietro gli disse:
«Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai». 34Gli
disse Gesù: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi
rinnegherai tre volte». 35Pietro gli rispose: «Anche se dovessi
morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti i discepoli.
(Mt
26,20-35).
Analizziamo
Nel v. 22 Matteo descrive due atteggiamenti, due reazioni dei discepoli
all'annuncio del tradimento. Anzitutto il loro smarrimento. «Sono
forse io?», si domandano. Ci riconosciamo in questa insicurezza,
in questa paura di essere noi, proprio noi, quelli che volteranno la spalle e
scapperanno. «Sono
forse io?». Com'è più vera, com'è più reale una domanda così
rispetto alla baldante sicurezza di chi dice poco dopo, magari galvanizzato da
un bicchiere di vino o da un'orgogliosa imprudenza: «Anche
se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò».
Questa domanda rimane per sempre tra i grandi interrogativi che la Scrittura ci
consegna. Non domande oziose, cavillose, per accademici pedanti. Domande di
carne e di sangue, questioni di vita o di morte. «Sono
forse io?». Che vuol dire anche «chi sono io?», chi sono davvero,
al di là del mio dire e del mio fare. La rivelazione del tradimento lascia il
segno sui discepoli, smaschera la loro apparente sicurezza, pone la questione
della loro identità. È con tutto questo groviglio nel cuore che raggiungono
l'orto del Getsemani, di lì a poco.
Il quadro emotivo dei discepoli è quindi profondamente scosso nel momento in cui
entrano nell'orto del Getsemani. Tristezza, confusione, angoscia, paura. Anche
loro vivono tutto questo, insieme a una grande stanchezza, a una spossatezza
infinita.
Probabilmente erano voci senza grazia. Forse c'è chi ha cantato di gusto, chi
s'è commosso, chi a metà di una strofa ha piantato lì perché aveva il magone, un
groppo in gola, perché capiva che era l'ultima volta. E chi ha tirato fuori
tutto il fiato senza risparmio, perché aveva paura. Forse si guardavano negli
occhi; forse insieme guardavano il Maestro. Lo guardavano senza vederlo, senza
capirlo, con un presentimento strano e
un'ombra di
morte nel cuore.
Anche a noi capita, a volte, di cantare così. Siamo gente che nella vita (e
“con” la vita) prova a intonare qualcosa, a seguire il filo di una canzone, a
riprendere la melodia tra stecche e dissonanze, a fare i conti con la voce che
non è più quella di una volta. Gente che canta in mezzo alla fatica, con la
forza, soltanto, del pane appena mangiato, il pane dell'amicizia, il pane del
perdono.
Dopo una manciata di secoli, quell'inno pasquale al Cenacolo è l'unico canto che
resta di tutta la Passione di Cristo. Poi sarà il tempo delle accuse e dei
rumori di spade, degli interrogatori, dei silenzi e delle grida. Sarà il tempo
di tradimenti e spergiuri, dei crucifige e delle urla di dolore, dei colpi dei
chiodi nella carne e nel legno. Nessuna melodia, nessun ritornello fino al
silenzio del sabato e all'Alleluia pasquale. Ci voleva un inno di gioia nella
memoria e nel cuore per attraversare il buio della notte, per vincere l'angoscia
e la paura. Forse era proprio per questo che avevano cantato. Non solo perché si
usava, perché lo voleva il rito. Avevano bisogno di cantare insieme per farsi
coraggio, come fanno i bambini. Come facciamo tutti quando siamo al buio, e ci
facciamo compagnia con un grappolo di note, per non sentirci soli.
Uno cammina al buio, tra rimorsi e cadute, e si attacca alle parole della fede.
Parole che magari non ha capito tanto, ma che ha imparato a cantare, che vengono
su dal cuore, che non comunicano informazioni, non dicono niente di speciale, ma
scaldano, riempiono, danno fiato, e creano in mezzo all'affanno lo spazio di un
respiro quieto. Tutto molto bello. Eppure i discepoli - anche in ragione di
questo canto - sono ancora più scossi, ancora più turbati.
E il loro cuore è pieno di domande, che aumentano la confusione. Cosa sta
succedendo? Perché ci porta fuori? Perché la nostra serata non finisce così?
Dove è andato Giuda? Cosa significavano le parole che ci ha detto? I discepoli
vivono un ulteriore momento di smarrimento emotivo, di disorientamento, di
stanchezza fisica. Una sera decisamente eccessiva, troppo difficile per poterla
portare, per provare a comprenderla.
Prese con sé
Da questo gruppetto di apostoli smarriti, Gesù sceglie e prende con sé tre
testimoni privilegiati: “E,
presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo…”
Non è la prima volta che il Signore designa Pietro, Giacomo e Giovanni per
renderli partecipi più da vicino di un segreto, di una rivelazione. Tutte le
volte che li porta con sé in disparte capita qualcosa di straordinario: basti
pensare, ad esempio, all'episodio della Trasfigurazione (Mt 17,1-8) o, nella
versione di Marco, alla risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,37-43). Qui,
come nelle altre occasioni, i tre non sono preparati. Non reggono il peso di un
passo ulteriore. Forse avrebbero desiderato restare con gli altri, in disparte,
distanti.. Forse hanno pensato: stavolta ci sta chiedendo troppo.
Oltre tutto devono ascoltare una parola difficile se non impossibile da reggere:
«La mia anima
è triste fino alla morte». Questa è la prima parola che Gesù dice
loro, prima ancora della raccomandazione a vegliare e restare. È un momento di
consegna e insieme di grande confidenza, di assoluta fiducia da parte di Gesù
nei loro confronti. Non si dicono cose così al primo che capita, non in questo
modo. I tre sono stati scelti come depositari del segreto del cuore di Gesù,
entrano in una intimità inedita, imprevedibile, ricchissima. E la loro reazione
è del tutto insignificante. Durante la cena, all'annunzio del tradimento avevano
reclamato, si erano addolorati. Qui non sono già più in grado di reagire.
Restano muti e fermi.
Matteo annota (v. 40), in accordo anche con la testimonianza di Marco (14,37),
che quando Gesù ritorna dai discepoli la prima volta si rivolge non a tutti e
tre ma soltanto a Pietro: “Poi
venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete
stati capaci di vegliare con me una sola ora?
“ Pietro era quello che durante la cena si era esposto di più, facendosi carico
generosamente anche degli altri, anzi vantandosi un po' rispetto a loro e
trascinandoseli dietro nell'insensata professione di coraggio: «Anche
se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò» (v. 35). Adesso
la sua sicurezza comincia a venir meno. È davvero così semplice sostenere il
peso della stanchezza, del turbamento, dell'emozione, dell'incomprensione? Di
fronte alle parole di Gesù, da parte di Pietro non c'è nessuna risposta, nemmeno
il tentativo di scusarsi. Anche lui - la roccia, l'uomo generoso e sicuro - è
preso da una stanchezza mortale.
Occhi pesanti e tristezza
I sinottici ci regalano due annotazioni differenti riguardo alle ragioni del
sonno dei tre discepoli. Marco e Matteo dicono che i discepoli dormono perché i
loro occhi si sono appesantiti, sono affaticati : “
Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti
pesanti.
“(cfMc 14,40 e Mt 26,43). Marco aggiunge anche «e
non sapevano cosa rispondergli», evidenziando il loro imbarazzo:
sono stati sorpresi, smascherati nella loro fragilità, non possono accampare
scuse. Ma c'è di più: nel momento in cui stanno perdendo la Parola, Gesù Parola
del Padre, perdono anche le parole da dire, non sanno più come esprimersi. Se
Gesù tace anche loro diventano muti.
Ancora: tutto è troppo per loro in questo momento. Sono istanti esagerati,
eccessivi, potremmo dire, con un'immagine un po' ardita, di «tenebra
abbagliante». Questo buio in cui sta sprofondando il Figlio dell'uomo li ferisce
come se fosse una luce troppo vivida, troppo intensa, davanti alla quale ci si
scherma lo sguardo con le mani, o più semplicemente si chiudono gli occhi perché
non ne restino bruciati. Lo sguardo si appesantisce non solo per la stanchezza e
l'emozione di una giornata che lascia senza forze, ma per una sorta di difesa
naturale di fronte a una tenebra che inghiotte e fa paura.
L'evangelista Luca ha un'annotazione differente da Matteo e Marco quando ci dice
che i discepoli dormivano «per
la tristezza» (Lc 22,45). Non vogliono più vedere, vogliono
dimenticare. Si «rifugiano» nel sonno, non «cadono» nel sonno . Scappano
dormendo, vivono un momento di profonda depressione.
C'è di più. Spesso ci si addormenta perché non si hanno più forze. Non è solo
una questione di stanchezza. È che forse non ci si è nutriti abbastanza... Forse
il sonno in cui i discepoli sprofondano è molto simile al sonno di chi è stato
costretto ad abbandonare la corsa per non essersi nutrito abbastanza, o si è
nutrito male. Chi vuole imparare a vigilare, deve domandarsi
sempre di che cosa si sta cibando per non essere travolto dal sonno di
chi non ha più energie. Forse anche i discepoli vogliono morire, come è capitato
al profeta Elia (cf 1Re 19). Neppure loro sono migliori dei loro padri; anche
loro hanno bisogno di cibo, di sostegno. Ed è terribile, a pensarci: avevano
appena ricevuto il pane e il vino, nell'Ultima Cena.
Che sia tristezza o occhio pesante, rimane il fatto che i discepoli «non sono
stati capaci di vegliare un'ora sola con lui». Non dovevano fare altro, solo
tenere gli occhi aperti, stare svegli. Hanno mancato l'ora decisiva,
l'appuntamento in cui avrebbero potuto ricevere segreti, regali, rivelazioni da
Gesù. Ancora un fallimento, ancora un disastro nel loro cammino accanto al
Signore
Il finale
Il finale del testo di Matteo: “Dormite
pure e riposatevi! Ecco, l’ora è
vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori.
Alzatevi,
andiamo! Ecco, colui che mi tradisce
è vicino
“ (vv. 45-46). “Dormite…riposatevi… alzatevi… Andiamo”: sembra consegnarci due
comandi contraddittori. O si dorme o si parte, verrebbe da dire. In realtà anche
questo alzarsi e andare non coincide con un risveglio dei discepoli. Non dal
punto di vista della capacità di riaprire gli occhi ed entrare nel mistero della
tristezza angosciosa di Gesù. Ne restano al di fuori, e il loro risveglio
coincide con una nuova fuga (v. 56), con l'abbandono definitivo. In realtà, gli
apostoli sono incapaci di fare sia l'una che
l'altra cosa. Il loro sonno non è stato un riposo ma una fuga, un vero e proprio
crollo fisico e spirituale. Il loro andare sarà un disperdersi senza direzione e
senza meta, non una strada che si apre, non un sentiero che conduce a una meta.
L'ora della stanchezza si è consumata. C'è spazio soltanto per il tradimento e
la tenebra.
Accanto a un dolore
Un primo approfondimento a questo testo ciascuno può farlo attraverso i ricordi
personali che forse ha: il restare impotente accanto a una persona che muore, il
rimanere in mezzo alle situazioni di dolore anche quando non c'è più niente da
fare, condividendo soltanto con la presenza e il silenzio... Quando l’ammalato
cerca il volto e la mano di qualcuno... Essere lì, con la mano pronta ad
afferrare la sua, perché non si senta solo, perché aprendo gli occhi veda
qualcuno che veglia con lui…
Della “consolazione” dovremmo imparare a parlarne di più, di questo «stare con
chi è solo» anche senza potere far nulla, totalmente disarmati, e forse per
questo almeno un pochino credibili.
Emozioni
Nel giardino del Getsemani i discepoli devono fare i conti non soltanto con la
propria stanchezza, ma anche con le proprie fragilità e con le proprie emozioni.
Quello delle emozioni è sempre - anche nella vita spirituale - un percorso
difficile da decifrare. Tuttavia, come esseri umani e come discepoli, non
possiamo non addentrarci in questo sentiero insidioso, irregolare,
imprevedibile. La nostra vita è fatta anche di emozioni, e la nostra sensibilità
umana non è estranea al nostro percorso di fede. Occorre chiarire però questa
parola difficile, «emozione», perché non abbiamo il diritto di confonderla col
sentimento vuoto, o con l'esperienza folgorante e momentaneamente appagante che
non lascia alcuna traccia reale nel vissuto profondo.
La nostra vita affettiva soffre di uno squilibrio dovuto a un eccesso di
emozioni-shock e a un deficit di emozionicontemplazione. Nel campo delle
emozioni, l'individuo contemporaneo tende a selezionare quelle che gli procurano
un massimo di eccitazione. Egli preferisce l'emozione-shock, che è nell'ordine
del grido, all'emozione-contemplazione, che è nell'ordine del sospiro. [... ]
L'uomo attuale si interessa più alle emozioni di tipo esplosivo che ai
sentimenti, i quali hanno un'impronta smorzata e durevole. Accorda più valore
alla scarica affettiva che all'espressione lirica, alla trance che all'estasi,
all'adrenalina che all'ammirazione. […] L'individuo è in uno stato permanente di
eccitazione. Si emoziona molto, ma non sa più sentire. È allo stesso tempo
sovreccitato e insensibile.
Il sonno
Parlare di sonno non significa soltanto parlare del sonno spirituale o
dell'occhio appesantito dei discepoli. Significa anche - in positivo - mettere a
fuoco quel giusto riposo che permette di vigilare al momento opportuno. Il
Vangelo di Matteo fa notare (cap. 14) che «mentre
tutti dormivano» il nemico arriva e semina la zizzania, lasciando
intendere che anche il buon padrone del campo si è addormentato. E’ proprio la
Scrittura a suggerirci che c'è un sonno buono, un riposo doveroso, in cui il
Signore ricolma di bene i suoi amici,che non corrisponde
all'intorpidimento dello Spirito o a un'assenza di vigilanza, ma nasce da
un bisogno di riposo profondamente umano, di cui perfino il Signore Gesù ha
sentito un'intima necessità. Paradossalmente, la capacità di un credente di
vigilare è strettamente connessa alla sua attenzione nel trovare tempi e luoghi
di riposo idonei, alla possibilità di dormire e vegliare al momento opportuno.
Una volta si diceva che dorme bene chi ha la coscienza tranquilla. La cosa non è
proprio così automatica; eppure c'è del vero. Mi piace quindi leggere questo
momento del sonno come il momento in cui mi lascio andare e lascio lavorare Dio,
o, più ancora, come il mo mento in cui posso finalmente riposare in pace perché
qualcuno mi ha perdonato. La tensione che a volte non ci fa dormire non è solo
quella del lavoro, ma anche quella che ci conduce ad andare a letto
irriconciliati con noi stessi, la nostra famiglia, il mondo. Allora il nostro
sonno non è dolce, ma porta con sé il peso di un perdono non avuto o non donato.
«Non tramonti
il sole sopra la vostra ira», dice Paolo (Ef 4,26).
L'ora di veglia
Un pensiero sull'«ora di veglia»
che i discepoli non sono stati in grado di fare. Abbiamo sempre collegato
quest'ora di veglia all'«ora di adorazione» che spesso viene proposta e
raccomandata nelle nostre chiese e nelle nostre comunità. Un'ora difficile, una
preghiera che spesso lascia lo spazio a praterie di distrazioni, a consultazioni
nervose del cronometro, un'ora in
cui poco alla volta ci si accorge che non sempre è così semplice fare compagnia
a Gesù nel silenzio, senza soffocarlo con le nostre parole e le nostre
devozioni.
Che
siano un'ora o cinque minuti soltanto, gli istanti del silenzio adorante ci sono
dati per fiorire, per illuminare tutto, camminando, dopo che sono passati. Non
importa se siano vissuti fuori tra i palazzi brutti di un anonimo quartiere di
città, o nel cuore di un giardino buio (come fu per i discepoli). Ciò che conta
è il desiderio di stare con lui, di correre a incontrarlo. Oltre la nostra
tristezza, e la nostra stanchezza.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra.
Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà,
non prenderà sonno
il custode d’Israele.
Il Signore è il tuo custode,
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra.
|
Il Signore
i custodirà da ogni male:
egli custodirà la tua vita.
Il Signore ti custodirà
quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.
(dal Salmo 121) |
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei
secoli. Amen
ACTIO
Mi impegno
a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il
cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego
con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da una lectio di don Davide Caldirola, della Chiesa
di Milano)
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