Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Signore, anch’io ti chiedo
“insegnami a pregare”.
Donami il gusto della preghiera
continua e fervorosa,
affinché abbia la forza necessaria
per affrontare ogni situazione. |
Solo la vigilanza e la preghiera
mi mantengono fedele a te
e mi permettono di non essere spazzato via
dalla quotidianità e dalla miseria. |
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
“Le donne sono quelle del Vangelo di Luca;
la gioia è quella che scaturisce dal loro incontro con Gesù”
Proseguiamo la preghiera suggerita da alcune lectio tratte da episodi del
Vangelo di Luca, nelle quali il filone comune è la GIOIA DELLE DONNE CHE
INCONTRANO GESU’.
Oggi lasciamoci toccare dai sentimenti della donna che ha ritrovato la moneta
perduta.
Queste
riflessioni sono liberamente tratte da alcune lectio di don Davide Caldirola,
della Chiesa di Milano.
Buona
meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
(Luca
15,8-10)
“Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada
e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla
trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: «Rallegratevi con me, perché ho
trovato la moneta che avevo perduto». Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli
angeli di Dio per un solo peccatore che si converte.”
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della
Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga
del nostro Ritiro On Line: il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
(Luca 15,8-10)
La parola spezzata
Siamo al cuore del vangelo di Luca, che in molti hanno voluto definire «il vangelo della misericordia».
Il capitolo 15 ci presenta tre parabole: quella della moneta perduta è inserita
tra le altre due - più note e più ricche di particolari - della pecora smarrita
e del padre misericordioso. Anche in questo caso, come in molti altri,
l'evangelista tende ad affermare la medesima idea
servendosi di personaggi sia maschili (il pastore)
che femminili (la donna di casa), quasi a invitarci a guardare l'essere umano
nella sua totalità e nella sua completezza. Di conseguenza sono molte le
analogie tra la parabola della pecorella smarrita e quella della moneta: siamo
di fronte a una sorta di «variazione sul tema» che l'evangelista ci propone per
segnalarci
nuovi aspetti e nuovi particolari di questo
volto benevolo di Dio.
In particolare Luca ci parla di un Padre che si china sul piccolo, sul povero,
su chi si è perduto, che non ha a cuore i numeri ma le persone. Una pecora vale
quanto e più delle altre novantanove, una moneta quanto e più delle altre nove.
Le dieci monete
(“Quale donna, se ha dieci monete e ne perde una…”)
Questa donna possiede dieci monete. È forse un numero simbolico, che dice la
totalità, la pienezza. Perdere anche una sola moneta, dunque, non si qualifica
come un piccolo danno economico, come un episodio sfortunato, ma rappresenta più
a fondo la perdita della totalità, dell'equilibrio, dell'ordine della vita. Nel
linguaggio della parabola, che chiede di essere esplorato a fondo, l'unica
moneta mancante crea un senso di vuoto incolmabile. È come se anche le altre
nove non contassero più nulla.
La moneta perduta è come l'anello di una catena che
si
è rotto. La catena non serve più a nulla, e anche
gli altri anelli sono utili a poco. Questa donna ha perso il proprio centro, e
senza questo centro non le servono a nulla neppure le altre nove monete, che
cadono in frantumi, non sono più legate l'una con l'altra. È come se la donna
avesse perso se stessa. E chi ha perso il proprio sé continua a fare molte cose,
visto dall'esterno, ma a tutte manca il centro, la forza, la chiarezza.
Come reagisce la donna a questo evento che la
scombussola
e la agita?
La luce
Anzitutto
accende una luce:
(“accende la lampada…”)
È la luce della fede, dell'intelligenza, della buona volontà, del buon senso,
della saggezza o di altro ancora? Forse più che identificare il senso metaforico
del gesto ci possiamo fermare sulla sua «fisicità ». Accendere una luce: è
quanto si fa d'istinto, senza pensarci troppo, quando viene sera. La donna non
si lamenta del buio: gli contrappone un'opera semplice che lo argina. Non si
perde in ragionamenti sul perché o il per come la moneta si è persa, non si
attarda in congetture astratte su dove può essere finita. È immediatamente
operativa, concreta. Dimostra di avere senso pratico. Non le serve un'analisi
accurata della situazione, quanto una risposta immediata, efficace, al bisogno
che si è creato.
Nella casa
(“spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova”)
E al di là della sua possibile disattenzione o
distrazione per aver perso la moneta, torna a essere una brava donna di casa:
lava, pulisce, spazza, fruga tra le intercapedini, toglie la polvere e lo sporco
che hanno invaso gli angoli del pavimento o si sono attaccati alle pareti.
Perché - e il dato è interessante - la moneta si è proprio persa nella casa,
dove lei si sentiva più tranquilla, dove era certa di essere la padrona, al
riparo da ogni possibile sorpresa. È sempre possibile perdere qualcosa o
perdersi «in casa nostra», tra le pareti che ci proteggevano, che ritenevamo
sicure. È possibile fallire là dove ci sentivamo più forti. Poi è lì che bisogna
cercare per ritrovarsi, come fa la donna. Ed è quello il luogo in cui iniziare a
fare pulizia. Notiamo che in tutto questo la donna deve lavorare non solo per
pulire la casa, ma
anche per
riconoscere due
piccoli fallimenti
legati al
suo
operato
quotidiano.
Ammettere la disattenzione
Anzitutto deve ammettere la propria disattenzione.
La moneta non è stata rubata dalla casa, ma si è perduta per la negligenza di
chi la abita. «La casa nasconde ma non ruba», dice un antico proverbio, che
conosce anche la variante in rima: «Quel che la man non prende, canton di casa
rende». La donna non può prendersela con il soffitto o le finestre, ma solo con
se stessa e la propria svagatezza. Accanto a questo deve anche accettare di non
essere stata troppo attenta nel proprio dovere quotidiano: una casa spazzata e
linda, nella quale non si fossero accumulate la sporcizia e la polvere, avrebbe
rivelato subito alla luce della lanterna la presenza della monetina perduta.
Forse la donna ha un pochino lasciato andare le cose, si è impigrita,
non è stata capace di compiere fino in fondo
il proprio dovere di buona massaia.
Perdere
Possiamo anche vedere la ricchezza simbolica legata
a questo perdere: potremmo aprire al proposito una serie di riflessioni legate
alla disattenzione, alla dispersione del nostro modo di vivere, alla
trascuratezza nella quale a volte gestiamo i nostri ambienti e la nostra stessa
vita personale, alla pigrizia con la quale permettiamo - in casa nostra -
l'accumulo di problemi irrisolti, all'inerzia che ci porta a rimandare alcune
scelte concrete fino a che i problemi esplodono, alla svagatezza superficiale
che ci porta a perdere il senso dell'insieme delle cose che facciamo...
Tutti
temi che elenchiamo soltanto, senza
approfondire, perché, più di tutto, questo ci interessa: il finale della
parabola.
La festa
(“E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: «Rallegratevi con
me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto»”)
Questa donna ritrova la moneta e fa festa. Nella
varietà e nella differenza
delle situazioni
descritte, le tre parabole di Lc 15
concordano sull'esito finale: ciò che si è perduto e ritrovato non è motivo di
gioia per uno solo, ma per molti, per tutti (“chiama
le amiche e le vicine”). In questo
senso risalta ancora più negativamente la figura del figlio maggiore
nell'episodio del padre misericordioso, che non entra a far festa con gli altri
perché risentito nei confronti del padre e del fratello minore.
La festa finale è quanto di più bello e di meno
economico si possa pensare. Di più bello perché
ci parla di una gioia contagiosa, che non
chiede di essere consumata in un orizzonte ristretto di luoghi e di persone ma
di essere partecipata a tutti: amici, vicini, parenti... Di antieconomico perché
organizzare una festa costa. Non
posso fare a meno di
pensare
(anche se si tratta di un'esegesi fantasiosa)
che la donna abbia speso la moneta
ritrovata
per comprare
qualcosa
da mangiare e bere con le vicine. Ma in
questo caso la moneta non si è più rivelata
come «perduta» quanto come «spesa», o meglio ancora «regalata», gettata e usata
per quello che è il suo scopo originario, che non corrisponde allo stare
nascosta in casa (in una fessura del pavimento o in una cassaforte fa poca
differenza: in ogni caso rimane inerte e inutilizzata)
ma «buttata via» per creare un'occasione di
gioia.
Dalla mensa della parola, un primo sentiero di gioia
Un primo sentiero di gioia è legato alla ricerca del
proprio «sé», della propria unità, della propria bellezza originaria. È questo
uno dei significati della parabola: l'unica
moneta
mancante
segnala
la
perdita della completezza, di un pezzo
fondamentale di se stessi. È bello dunque percorrere una strada che permette di
riscoprirsi, ritrovarsi. Anche se occorre al proposito segnalare due opposte
derive possibili.
La prima
deriva
è quella che porta a esasperare i cammini
di introspezione, della ricerca
dell'«io», della scoperta della realtà profonda di se stessi come se fosse
l'unica cosa che conta e, soprattutto, ignorando che la ricerca di sé è sempre
anche ricerca dell'altro, della relazione, del rapporto. È l'altro che mi rivela
e mi suggerisce chi sono, che mi definisce, che contribuisce in maniera
insostituibile ad affermare la mia identità e il mio posto nel mondo.
Quando il cammino di ricerca di se stessi diventa un
percorso tendenzialmente narcisistico non conduce da nessuna parte.
La seconda deriva,
contraria alla precedente, è quella che
vede sempre con sospetto ogni percorso di introspezione alla ricerca del proprio
io perché lo legge in opposizione al
cammino di rinnegamento di sé proposto da Cristo nel vangelo. In realtà la fede
cristiana non conduce alla negazione di sé. Il rinnegare se stessi di cui parla
il vangelo non coincide affatto col farsi del male. Semmai è il contrario: è il
rinnegamento di quella parte di noi che ci può far male, che ci impedisce di
ricordare che siamo a immagine e somiglianza di Dio, che non ci fa essere
felici, che ci fa sentire sempre mancanti, a disagio, non unificati. Ci può e
deve essere gioia anche in un percorso così, che non designa un'ascesi fine a se
stessa o una mortificazione che non fa crescere, anzi che rischia soltanto di
nutrire l'orgoglio a forza di «digiuni», ma il libero consegnarsi al progetto
del Padre nella sequela di Gesù, sul cammino verso Gerusalemme.
Perdersi
in
casa propria: una seconda pista di gioia ritrovata
Una seconda pista di gioia ci è suggerita
dall'immagine di questa donna
che
perde
qualcosa
in casa
sua. Il luogo più familiare è spesso il più
insidioso, il più difficile da praticare. Conosce molti nascondigli, molti
angoli oscuri, molte stanze non ancora visitate, molti soffitti pieni di
ragnatele e molti pavimenti su cui si è posata la polvere. Questo vale per il
proprio cuore, ma vale anche per la comunità, per la famiglia in cui uno vive. È
facile perdersi anche quando si vive fianco a fianco; è facile perdere se stessi
anche quando ci si sente a posto e sicuri. C'è di conseguenza la gioia intensa e
traboccante di chi ritrova la familiarità perduta con le pareti di casa, con
quelli che abitano il medesimo luogo, che fanno parte della stessa famiglia o
della stessa comunità. Perché perdersi e ritrovarsi, a volte, è un cammino
«domestico», e i sentieri più noti si rivelano come i più insidiosi, e insieme
come i più fecondi.
Il lavoro rigoroso e paziente: un terzo percorso di gioia
Un terzo percorso di gioia è tracciato dall'immagine
del lavoro che compie la donna. La
ricerca di sé e di Dio passa attraverso
l'accensione di una lampada e il lavoro rigoroso e paziente. Le opere che la
fede ci spinge a compiere, alla fine, non sono niente di cui vantarsi, non
servono ad accumulare meriti, ma solo a renderci conto di ciò che rischiamo di
perdere ogni giorno. Sono solo i
presupposti
buoni
perché possiamo
riuscire a trovare serenità e pace: non li
dobbiamo né esasperare né sottovalutare
nella loro importanza.
Insieme a tutto questo è bello imparare a
gustare anche la gioia che scaturisce dai lavori più concreti, più umili. Chi
l'ha detto che pulire una casa è meno importante che costruire un tempio?
La paziente opera di ricerca che Dio compie nei nostri confronti
(“vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”)
Un ulteriore approfondimento è legato alla lettura della parabola che identifica
la donna con la paziente opera di ricerca che Dio compie nei nostri confronti.
Verrebbe da dire: non nascondiamoci, lasciamolo lavorare. Talvolta il principale
ostacolo alla nostra conversione, al nostro cambiamento, alla nostra felicità,
non viene dalle circostanze avverse, o dal fatto che il vangelo è una proposta
esigente, o dalla considerazione che viviamo in un mondo difficile. Non viene
nemmeno da chi ci vuole male e ostacola la nostra azione e il nostro operato.
Viene dalla durezza del nostro cuore, dal nostro nasconderci di fronte a Dio
come Adamo dopo il peccato originale. E Dio ci domanda: «Dove sei?». Non è Dio a
non saperlo: è Adamo che non sa più dove si trova, dove è finito, in quale
sentiero si è perduto, perché si è lasciato ingannare, perché adesso prova
vergogna. C'è gioia nel lasciar lavorare Dio, e nel lasciarci trovare da lui
quando ci siamo smarriti.
Se manca il desiderio di fare festa…
Infine, possiamo consegnarci e abbandonarci al desiderio e alla volontà di
questa donna di fare festa con le amiche e le vicine. Se manca nella nostra vita
il desiderio di questa festa, è perché non abbiamo trovato nulla di buono in
noi, oppure perché non vogliamo abbastanza bene a chi ci sta a fianco. E siamo
incapaci di rallegrarci con lui. In una comunità il desiderio di far festa non
dovrebbe mai mancare. Una comunità che non sa ridere, che non sa gioire, mostra
chiaramente di essere lontana dal vangelo, di essere perduta. Esibisce
costantemente un tratto cupo, pesante, che risulta insostenibile a chi si
avvicina sperando di trovare un po' di aria fresca. C'è bisogno di un po' di
leggerezza. Di questa leggerezza fanno parte anche lo scherzo, la capacità di
prendersi in giro con ironia lieve, il gusto di accogliere con un sorriso le
proprie manie e quelle degli altri, il tono benevolo di una battuta che scioglie
l'imbarazzo, la goffaggine che sfocia in una risata, l'imprevisto che nel tempo
diventa ricordo felice.
La donna aveva soltanto dieci monete. Non aveva
ritrovato un tesoro, ma una moneta di poco conto. Non si è lamentata per avere
così poco denaro: magari l'avrà speso tutto per la festa con le amiche. Il
vangelo non passa se non attraverso questa capacità di raccogliere amici e
vicini e di imparare, insieme, a far
festa.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Signore Gesù, ti lodo, benedico il tuo nome
e ti rendo grazie perché attraverso la tua vita
e le tue parole mi riveli il volto
e il cuore di Dio Padre.
Lo ripeti per tre volte attraverso queste
meravigliose parabole.
Tre modi per esprimere la gioia,
tre modi per dire la grandezza dell’amore,
tre modi per rivelare il volto
e il cuore del Padre.
Oggi mi parli di una donna di casa,
figura della tenerezza dell’amore,
che non si da pace finché non trova
ciò che ha perduto.
O Gesù, io contemplo il
volto del Padre
e mi chiedo:
“Dio è così? Ama così tanto?”.
Fà che non mi allontani più da te
perché fuori dal tuo abbraccio
la vita è vuoto e insignificanza.
Per sempre racconterò a tutti
l’amore che hai per me,
perché se grande è la mia stupidità,
più grandi ancora sono
la tua misericordia e il tuo amore.
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi impegno
a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò
che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da alcune lectio di don Davide Caldirola, della
Chiesa di Milano)