Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.
Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Cantate al Signore un canto nuovo;
la sua lode nell’assemblea dei fedeli.
Gioisca Israele nel suo creatore,
esultino nel loro re i figli di Sion.
Lodino il suo nome con danze,
con tamburelli e cetre gli cantino inni.
Il Signore ama il suo popolo,
incorona i poveri di vittoria.
Esultino i fedeli nella gloria,
facciano festa sui loro giacigli.
Le lodi di Dio sulla loro bocca.
(dal Salmo 149 )
Veni, Sancte Spiritus
Veni, per Mariam.
L’ITINERANZA
Proseguiamo nell’approfondimento di alcune figure bibliche che hanno, particolarmente, vissuto l’ “itineranza”.
Nelle figure bibliche l’itineranza si attiva / si riattiva, o più spesso c’è già e allora prende il suo orientamento decisivo a partire da un particolare incontro con Dio o con un suo mediatore. Per questo nelle riflessioni che seguono cercheremo di prendere le mosse da testi che «fotografano» il momento decisivo di questo incontro (vocazione). Tale momento può accadere all’inizio di una vicenda. Ma per quello che si legge nella Bibbia quasi sempre si dà in età adulta. Sempre implica «uscite» (separazioni e liberazioni) che, ora più ora meno, suscitano resistenze.
In radice l’itineranza è allora «luogo» di rivelazione: di Dio, degli altri, di sé. Personaggi diversi realizzano itineranze diverse. L’elemento personale è sempre decisivo. Perciò in ogni itineranza c’è come un imperativo che la caratterizza.
E’ determinante per l’itineranza che se ne colga la «figura» dietro la narrazione. In altri termini essa potrà istruire la nostra esperienza di vita e di fede solo se se ne coglie la valenza spirituale. «Spirituale» non vuol dire però disincarnato, astratto. Tanto meno indica qualcosa di vago. Anzi, secondo la peculiarità ebraico-cristiana dell’esperienza dello Spirito l’itineranza non potrà mai prescindere da un qualche muoversi effettivo. E qui il paradigma della missione ad gentes ritrova tutta la sua importanza.
LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto. (Es 3,1-10)
1Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. 2L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava.
3Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». 4Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». 5Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». 6E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.
7Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. 9Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. 10Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!».
MEDITAZIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.
Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".
Mosè “Mosè: fà uscire!”
C’è un cambiamento tra Genesi ed Esodo: l’epoca dei “padri” e dei “figli”si chiude e si apre quella dei «figli di Israele».
Il libro delle «discendenze» finisce e cominciano i libri del popolo guidato fuori dalla schiavitù dell’Egitto da un uomo con due madri e in lotta con il padre dell’Egitto.
Io sono il Dio di tuo padre
Esodo assegna a Mosè un padre e una madre della tribù di Levi. Ma egli porta un nome egiziano ed è figlio “adottivo” della figlia del faraone che lo ha salvato dalle acque del Nilo. Gli inizi leggendari della vita di Mosè lo ritraggono come colui che sopravvive grazie alla cospirazione delle «madri» a favore della vita nel bel mezzo della furia omicida dei «padri».
Gli inizi di Mosè prefigurano l’esperienza del popolo. Per essere guida di un esodo verso il Signore, Mosè deve esserne… esperto. Salvato dalle acque ed educato alla corte del faraone, quando in età adulta «esce», (“si recò dai suoi fratelli”), avverte una parentela e una solidarietà che lo spingono a uccidere. E’ a questo punto che Mosè deve scappare per mettersi in salvo dal faraone che lo cerca per giustiziarlo: «si allontana dalla faccia di faraone», cosa che in qualche modo equivale ad abbandonare suo padre. Il figlio omicida fugge dalla punizione mortale del padre.
Trova rifugio a Madian e diventa madianita. Dunque al momento in cui Dio lo incontra all’Oreb (Sinai) Mosè ha attraversato tre mondi: quello egizio, quello ebraico (ma solo di sfuggita) e quello madianita, dal quale ha preso quello che attualmente ha: una moglie, un figlio, un suocero sacerdote (Ietro); e probabilmente da quest’ultimo anche un orientamento verso il Dio che ora si rivela.
Arriva al monte di Dio. E’ il monte di Dio ma Mosè non lo sa. Era il monte di Dio per altri ben prima che Mosè incontrasse Dio nel roveto ardente. Anche Mosè è dunque preceduto, appartiene a una serie, sebbene abbia ricominciato tre volte e possa così illudersi, nell’oblio delle sue origini, di essere un inizio.
Dio gli si presenta come il «Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Dio si rivela a Mosè come uno di famiglia, che conosce le origini di Mosè pur non avendolo mai incontrato prima. Il padre naturale di Mosè non ha potuto onorare il suo dovere di consegnare l’eredità della fede a questo figlio. I padri che Mosè ha avuto finora (ad eccezione di Ietro) anziché compiere il loro dovere di consegnare l’eredità della fede a questo figlio gli hanno soprattutto nascosto il volto di Dio. Il Mosè al quale Dio qui rivolge la sua parola è trattato fin dall’inizio come figlio. Ma è un figlio che ha esperienze problematiche circa la paternità.
Tutto il testo gioca sul «vedere»: il voler vedere di Mosè prima; il vedere di Dio poi; nel mezzo l’incontro e Mosè che si vela il volto per non vedere Dio. Mosè sarà ricordato come colui che stava davanti a Dio faccia a faccia, che parlava con Lui bocca a bocca.
Dio vede la miseria del suo popolo e decide la sua liberazione. Tuttavia, pur avendo visto personalmente e pur essendo sceso per liberare, il Signore manda Mosè a liberare Israele: Mosè sarà, insieme a Dio e grazie a Lui, il liberatore. Dio non libererà il suo popolo senza Mosè; Mosè non libererà il popolo senza Dio. E’ già un’alleanza. La missione di questo prescelto sarà quella di riprendere l’itineranza tra mondi diversi per ritrovare il popolo di Israele come popolo dei suoi fratelli e farlo uscire verso la terra promessa. Dovrà quindi confrontarsi con la questione della paternità. In questa itineranza, infatti, sarà inevitabile lo scontro con il padre dell’Egitto, il faraone. Dio non vede solo la miseria del suo popolo, vede anche la lotta che la liberazione comporterà e la fa vedere al suo eletto. Mosè, che porta un nome egiziano e che è stato figlio della figlia del faraone (e dunque un figlio dell’Egitto), che ha rischiato di essere ucciso dal precedente re e che ora deve affrontare il nuovo padre dell’Egitto, dovrà ritornare nella terra che lo ha salvato e che lo ha quasi fatto morire, per combattere contro il faraone. Sarà uno scontro tra padri: da una parte il faraone. E dall’altra? Dio o Mosè? Saprà resistere Mosè alla tentazione di farsi padre di Israele? Saprà resistere Mosè alla cattiva inclinazione (al peccato originale) di prendere il posto di Dio ?
Le priorità sono chiarissime: Israele è figlio di Dio, non di Mosè e meno che mai del faraone. Non è però un figlio unico. Tutti i popoli (le famiglie della terra nella vocazione di Abramo) sono figli di Dio, anche l’Egitto, che dunque non è figlio del faraone. Ma questo riconoscimento potrà avvenire solo attraverso la mediazione di Israele, il figlio primogenito. E solo se all’interno di questo popolo, diversamente da quanto accade in tutti gli altri, si rinuncerà alla paternità, che sola compete a Dio. Se un uomo, fosse pure il re d’Israele, si arrogherà questa autorità sarà causa di morte e non di vita, di maledizione e non di benedizione (come la Bibbia ci racconta).
Chiamato a un’impresa tanto immensa Mosè cerca di resistere: non è un buon parlatore; come potrà convincere gli israeliti e addirittura il faraone di essere stato mandato da Dio?
Più a fondo l’obiezione di Mosè è un’obiezione sulla debolezza intrinseca della parola. Essa è un’arma troppo debole contro il faraone. L’autorità dell’inviato deve poter contare su una forza maggiore. Perciò gli viene dato il bastone dei miracoli. Eppure Mosè dovrà essere soprattutto l’uomo della parola. Anche della parola che comanda e minaccia. Ma pur sempre soltanto parola, come si addice tra fratelli. La forza paterna (che spesso apparirà come debolezza) spetterà sempre a Dio, e quando Mosè non si affiderà a questa forza commetterà un peccato che gli costerà l’entrata nella terra promessa.
Questi squarci sulla figura di Mosè ci mostrano un elemento che merita di essere sottolineato: il Dio che chiama, fa uscire dalla «casa del padre», così come era accaduto al prototipo della fede Abramo. La paternità è tanto preziosa quanto ambigua: fa nascere, ma può far morire. D’altra parte l’«esodo» dalla casa del padre avvia un’itineranza che è insieme possibilità di incontro con Dio e con la fraternità perché è cammino di liberazione dall’ipoteca paterna (la «patria» autoritaria e schiavizzante) che mentre assegna un’identità apre la possibilità di una separazione dagli altri. Israele invece dovrà riconoscere perfino l’Egitto come suo fratello, figlio dello stesso Padre.
Questo cammino è difficile, contrastato e assai drammatico. Il rischio di smarrirsi, di essere eccessivamente destabilizzati e di ritrovarsi come mosche bianche in mezzo a un mondo che pensa e vive altrimenti è altissimo. E’ così perché la posta in gioco è enorme: niente di meno che la rivelazione del volto di Dio e della salvezza dell’uomo. Perciò in questa esperienza di «deserto», esperienza di una «difficile libertà», si manifesta subito il pericolo più grande, quello di desiderare un ritorno all’Egitto, dove si era schiavi ma almeno si mangiava. Per aprire un confronto con le immagini perverse che ci facciamo di Lui, Dio si presenta come Straniero, e si mostra insopportabilmente «debole». Ci si può affidare a un Dio così «strano»? Che cosa può una parola contro il simbolo della potenza terrena, cioè contro il faraone? E perché affidarla a un pastore nomade di Madian invece che a un principe a capo di un formidabile esercito?
Guida di fratelli ribelli
Mosè sarà una guida, non un Padre. Sarà l’incaricato dal Padre di far uscire il figlio Israele dalla schiavitù dell’Egitto, cioè dalla paternità dell’Egitto. E come ha presagito fin dal suo primo incontro con gli ebrei, è e resterà sempre un fratello. Preso dal suo ministero dimenticherà anche la sua famiglia e quasi morirà sommerso dalla fatica di amministrare gente così difficile in situazioni tanto precarie. Ma continuerà ad approfondire la sua solidarietà con il popolo al quale appartiene.
Esperto di uscite e attraversamenti Mosè conterà sempre sulla presenza di Dio, vera guida e sostegno del popolo che è stato liberato dal condottiero «egizio» ma che non gli appartiene. E’ lui, Mosè, che lungo la sua itineranza con il popolo imparerà ad appartenere sempre di più a Israele, divenendo in tutto fratello dei «suoi fratelli» ebrei.
Certo la sua è una posizione assai speciale nell’intimità con il Signore, e per un momento dovrà addirittura nascondere il viso agli israeliti perché riverbera troppo la gloria di Dio. Ma non si mostrerà mai geloso difensore dei suoi privilegi: è guida, mediatore, profeta, intercessore. Mai però tale posizione lo distingue fino a separarlo (sacralizzarlo) dagli altri (come neppure dovrà/dovrebbe accadere per il re).
Mosè resta solidale con Israele, fino in fondo fratello tra fratelli. E forse riesce in questa impresa proprio perché lui meno di altri ha motivi di sangue che lo leghino a un gruppo o a un ruolo.
Questa solidarietà costerà cara a Mosè (come a tutti i profeti e alla fine anche a Gesù). Fino al punto di patire con il popolo, e a causa del popolo, l’allontanamento di Dio.
Uscire senza poter entrare
Mosè esce e fa uscire… Ma potrà mai entrare da qualche parte? Potrà trovare finalmente casa in qualche luogo? E’ quello che vorrebbe. Ha fatto uscire ma non farà entrare perché ha peccato, come tutta la generazione che è uscita dall’Egitto.
E’ curioso: noi facciamo di tutto per descrivere i nostri santi privi di difetti; la Bibbia non esita a cercare una colpa perfino in Mosè. Ma cosa ha mai fatto? Ha “battuto” sulla roccia, mentre il Signore aveva comandato soltanto di “parlare”. Inoltre ha battuto “due volte”... Non si è affidato alla «debolezza» di una parola autorizzata da Dio contando invece sulla forza del bastone dei miracoli e ha ceduto così all’incredulità del popolo. Perciò morirà nel deserto, senza poter entrare nella terra. Non sarà lui a guidare il popolo in Canaan, ma non sarà neppure suo figlio. Israele sarà condotto alla conquista della terra da Giosuè, figlio di Nun.
Mosè impara l’umiltà e viene reso uguale a tutta la sua generazione, sebbene sia senz’altro migliore di molti loro. Ma davanti a Dio quale uomo può dirsi giusto? La fraternità si fonda sull’unica paternità di Dio, ma gli uomini imparano la solidarietà e l’uguaglianza anche attraverso il bisogno, il dolore, la gioia e… il peccato.
Quello che resta è la legge, la “visione” e un bacio
Alla fine che cosa resta a Mosè? E cosa resta di lui a noi? Rimangono la parola della legge, una «visione» e un bacio. Che per altro è tutto quello che un uomo che accetta la sua incompiutezza possa desiderare. Anche questo ci rende Mosè molto più fratello che padre.
La parola della legge
Se uscire è pericoloso e serve una guida, la legge che Mosè consegna a Israele sarà niente meno che la guida necessaria nella difficile libertà del deserto. Perché vivere è essere sostenuti dalla promessa di un dono e perciò è come vagare in un deserto (il dono non c’è ancora) verso la terra (il dono ci sarà). Il tempo della promessa apre sul tempo dell’adempimento, ma vivere vuol dire stare nel fra-tempo dell’attesa. Tuttavia come dimostra la storia di Israele, neppure la terra promessa sarà l’approdo definitivo. Essa sarà persa e diverrà il segno di un approdo definitivo che sta altrove, e che è il regno che il Padre prepara per tutti i suoi figli. Perciò una guida sarà necessaria sia nel deserto che nella terra. Anche quest’ultima, infatti, avrà le sue tentazioni, e quante. La legge insegnerà a cosa e come resistere, e non a caso sarà proprio dal Deuteronomio che Gesù nel deserto attingerà le parole per respingere le tentazioni di satana.
La visione
Ma alla promessa, per reggere nelle avversità della vita che mettono a dura prova la fede che richiede, non basta il comandamento. La legge stessa ha la necessità di essere sostenuta dalla «visione». La «visione» di Dio e la «visione» del suo dono. E’ ciò che viene offerto a Mosè alla fine della sua vita ed è quello che egli ci regala.
Il bacio
Capace fino alla fine di non farsi padre, Mosè viene associato da Dio ai padri: la terra che ora può finalmente contemplare sarà il luogo di una discendenza che sarà anche sua!
E Mosè, servo del Signore, morì «sulla bocca del Signore». Vuol dire per comando del Signore, ma alla lettera può alludere ad un bacio. Mosè muore nell’intimità di Dio, coperto e avvolto nel suo mistero. Nessuno conosce fino a oggi il luogo della sua sepoltura, misterioso presagio della risurrezione.
Non è decisivo entrare: quello non è compito nostro. E’ un regalo e a ben guardare ci è già accordato nell’intimità che il Signore ci offre fin da ora. Ciò che viene chiesto a noi è uscire. E in questo Mosè, prefigurazione di Gesù, ci è maestro.
La vicenda di Mosè, come quella dei grandi profeti di Israele, ci mostra fin dove può arrivare la solidarietà con il popolo dell’alleanza (sempre tradita). Ci istruisce anche su quanto possa essere dura e insieme decisiva la lotta contro le immagini cattive della paternità di Dio. Nell’incompiutezza che perfino Mosè vive alla fine della sua esistenza siamo suoi fratelli, finalmente ricondotti, come avvenne per Abramo, alla nostra figliolanza in Dio Padre.
Per la mia vita
Chi è “il mio popolo”, “la mia gente”?
Semplicemente i consanguinei? semplicemente i connazionali? semplicemente i politicamente vicini?
Oppure sono capace di allargare lo sguardo e vedere con gli occhi del Padre?
Qual è il mio grado di coinvolgimento con “la mia gente”?
So gioire con loro? soffrire con loro? lottare con loro? imparare da loro? farmi “uno” con loro? camminare con loro? condividere con loro gioie e dolori?
Mi indigno quando vedo la violenza sui deboli e sugli inermi?
Mi bolle il sangue quando constato “l’arroganza del potere”?
Mi sento in dovere di essere parte attiva nel difendere la dignità delle persone?
Credo nel potere della parola onesta e chiara?
La mia parola ha sotterfugi? nego oggi quello che ho detto ieri? nasconde il ricatto?
Sono capace di lasciarmi illuminare dalla PAROLA?
So riconoscere la presenza della PAROLA nei roveti ardenti che incontro lungo i sentieri della mia vita?
Do spazio al Padre perché possa guidarmi e sostenermi? mi lascio “baciare” da Lui?
Posseggo l’umiltà di riconoscere che se non ci fosse l’aiuto del Padre potrei fare ben poco?
Mi ricordo di essere “fratello con i fratelli”? che senza l’appoggio e la solidarietà dei miei “compagni di cammino” non potrei realizzare proprio nulla?
Come la madre di Mosè, sono pronto al mio sacrificio, per dare “la vita” ai fratelli?
Tendo a scegliere la “cospirazione delle «madri»” oppure la “furia omicida dei «padri»”?
ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore.
La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini.
La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Udite, o cieli: io voglio parlare.
Ascolti la terra le parole della mia bocca!
Scorra come pioggia la mia dottrina,
stilli come rugiada il mio dire;
come pioggia leggera sul verde,
come scroscio sull'erba.
Voglio proclamare il nome del Signore:
magnificate il nostro Dio!
Egli è la Roccia: perfette le sue opere,
giustizia tutte le sue vie;
è un Dio fedele e senza malizia,
egli è giusto e retto.
Prevaricano contro di lui:
non sono suoi figli, per le loro macchie,
generazione tortuosa e perversa.
Così tu ripaghi il Signore,
popolo stolto e privo di saggezza?
Non è lui il padre che ti ha creato,
che ti ha fatto e ti ha costituito?
Ricorda i giorni del tempo antico,
medita gli anni lontani.
Interroga tuo padre e te lo racconterà,
i tuoi vecchi e te lo diranno.
Quando l’Altissimo divideva le nazioni,
quando separava i figli dell’uomo,
egli stabilì i confini dei popoli
secondo il numero dei figli d’Israele.
Perché porzione del Signore è il suo popolo,
Giacobbe sua parte di eredità.
Egli lo trovò in una terra deserta.
Lo circondò, lo allevò,
lo custodì come la pupilla del suo occhio.
Come un’aquila che veglia la sua nidiata,
che vola sopra i suoi nati,
egli spiegò le ali e lo prese,
lo sollevò sulle sue ali.
Il Signore, lui solo lo ha guidato,
non c’era con lui alcun dio straniero.
Lo fece salire sulle alture della terra
e lo nutrì con i prodotti della campagna;
gli fece succhiare miele dalla rupe
e olio dalla roccia durissima,
panna di mucca e latte di pecora
insieme con grasso di agnelli,
arieti di Basan e capri,
fior di farina di frumento
e sangue di uva, che bevevi spumeggiante.
Esultate, o nazioni, per il suo popolo,
perché egli purificherà la sua terra e il suo popolo.
(Deuteronomio 32)
CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo
a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria
per tutti i secoli dei secoli.
AMEN
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti da sussidi delle Pontificie Opere Missionarie)