Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.
Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, il Segno che mi è stato donato nel Battesimo e che mi contraddistingue come cristiano.
“Accogliendo ora la
sua Croce gloriosa, quella Croce che ha percorso insieme ai giovani le
strade del mondo, lasciate risuonare nel silenzio del vostro cuore questa
parola consolante ed impegnativa: <Beati…>”.
[XVII GMG Toronto,
Festa di accoglienza dei giovani, Discorso del Santo Padre, 25 Luglio 2002]
Invoco lo Spirito Santo:
Spirito Santo, eterno
Amore,
che sei dolce Luce
che mi inondi
e rischiari la notte
del mio cuore;
Tu ci guidi qual mano
di una mamma;
ma se Tu ci lasci
non più d'un passo solo avanzeremo!
Tu sei lo spazio che
l'essere mio circonda e in cui si cela.
Se m'abbandoni cado
nell'abisso del nulla,
da dove all'esser
mi chiamasti.
Tu a me vicino più
di me stessa, più intimo dell'intimo mio.
Eppur nessun Ti tocca
o Ti comprende
e d'ogni nome infrangi
le catene.
Spirito Santo, eterno
Amore.
(Edith Stein)
Contemplo i segni della Passione che sono impressi nel Crocifisso.
“Raccolti intorno alla
Croce del Signore, guardiamo a Lui…”
[XVII GMG Toronto,
Festa di accoglienza dei giovani, Discorso del Santo Padre, 25 Luglio 2002]
LECTIO
Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano – Genesi 12, 1-9
1
Il Signore disse ad Abram:
“Vattene
dal tuo paese, dalla tua patria
e dalla casa
di tuo padre,
verso il
paese che io ti indicherò.
2
Farò di te un grande popolo
e ti benedirò,
renderò
grande il tuo nome
e diventerai
una benedizione.
3
Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro
che ti malediranno maledirò
e in te si
diranno benedette
tutte le
famiglie della terra”.
4
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui
partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò
Carran. 5 Abram dunque prese la moglie
Sarai, e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati
in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono
verso il paese di Canaan. Arrivarono al paese di Canaan 6
e Abram attraversò il paese fino alla località di Sichem,
presso la Quercia di More. Nel paese si trovavano allora i Cananei.
7
Il Signore apparve ad Abram e gli disse: “Alla tua discendenza
io darò questo paese”. Allora Abram costruì in quel posto
un altare al Signore che gli era apparso. 8
Di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò
la tenda, avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì
un altare al Signore e invocò il nome del Signore. 9
Poi Abram levò la tenda per accamparsi nel Negheb.
La Parola di Dio scritta nella Bibbia si
legge con la penna e non soltanto con gli occhi!
“Lettura” vuol dire leggere il testo sottolineando
in modo da far risaltare le cose importanti.
È un’operazione facilissima, che
però va fatta con la penna e non soltanto pensata.
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura
della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più
sacra e più lunga del nostro Ritiro on line: “Il Grande Silenzio”!
Il protagonista è lo Spirito Santo.
Incominceremo a meditare e a pregare sulle grandi figure di patriarchi della Genesi. La nostra fede è figlia di una promessa fatta dal “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”. Penso che faccia bene spiritualmente pregare su alcuni testi che si riferiscono a questi personaggi. Gli autori di tutti i tempi hanno scritto fiumi d’inchiostro sulle pagine e sui personaggi che vedremo. Ci inseriamo in questa tradizione, umilmente e in punta di piedi. Mettiamoci alla scuola della Parola per continuare la nostra Storia della Salvezza personale e comunitaria, iniziata dal popolo ebraico con le figure dei Padri della Fede nel “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe…” Le promesse di Dio fatte ad Abramo e alla sua discendenza si sono attuate in Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio.
Vi consiglio, prima di tutto, di leggere nelle vostre Bibbie l’introduzione al Pentateuco e alla Genesi in particolare. Particolarmente vi segnalo l’introduzione al Pentateuco in Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane, Bologna.
Della vita di Gesù, noi possediamo quattro redazioni la cui pubblicazione abbraccia un periodo di più o meno un secolo. Ciò che la Bibbia non ha voluto per la vita di Gesù, l’ha invece fatto per la vita del popolo di Dio. I libri che formano il Pentateuco sono in realtà «quattro racconti in uno solo», la cui storia si scagliona per 13 secoli e la messa per iscritto per più di mezzo secolo. Erano raccontati all’inizio sotto qualche tenda di pastori e trasmessi oralmente, questi racconti sono stati messi per iscritto in epoche diverse. Questi documenti o tradizioni sono:
1. JAHVISTA sigla J chiama Dio «Jahvè» Signore, ha uno stile vivo e colorito, fu scritta probabilmente nel secolo di Salomone nel Regno del Sud verso il 950 a. C. circa;
2. ELOHISTA sigla E chiama Dio «Elohim» Dio, ha un stile più sobrio e più esigente, fu scritta nel Regno del Nord verso l’ 850 a. C. circa;
3. DEUTERONOMISTA sigla D ha molte affinità con il profeta del Nord, Osea, e fu scritta verso il 750 a. C. circa;
4. SACERDOTALE sigla P (P come Priestercodex), più recente, dell’epoca dell’esilio e con molte affinità con il profeta Ezechiele. Quest’ultimo riprende tutta la storia, per farne una sintesi teologica.
Quattro autori o, meglio, quattro gruppi o scuole di autori hanno lavorato dal X al V secolo a. C. alla composizione dell’ attuale Pentateuco. In base ai documenti o tradizioni che sono confluiti nei primi cinque libri della Bibbia, si può dire che «il Pentateuco è un concerto a quattro voci».
Stiamo per entrare nella GRANDE storia di Abramo. Queste parole del cap 12 fanno parte della tradizione Jahvista, che è presente nei primi 11 cap del libro, ed è ancora presente nella storia di Abramo, quasi per unire l’alleanza, da Adamo ad Abramo (cfr Gen 2).
All’inizio del secondo millennio prima di Cristo, si ha l’impressione che tutto il Medio Oriente si metta in moto. Tribù semitiche salgono dal deserto dell’Arabia o scendono dagli altipiani dell’Iran e, come un’onda che ne solleva un’altra, spingono davanti a se altre tribù.
Verso il 1850 a. C. o il 1650 a. C., il fascio della luce divina isola un clan fra gli altri. Era partito da Ur dei Caldei, la moderna Nassiriya. Abramo non sa ancora che Dio lo ha scelto come suo «amico» e «padre di tutti coloro che nasceranno generati dalla sua fede».
Abramo è il cercatore di Dio che accetta di fidarsi perdutamente di Lui: così diventa il padre dei credenti, riconosciuto tale da ebrei, cristiani, musulmani. «Guardate la rupe da cui siete stati tagliati, la gola del pozzo da cui siete stati estratti. Guardate Abramo vostro padre» (Is 51,1s); «Figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede» (Gal 3,7); «Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia» (Rom 4,3).
La fede connota tutta la sua figura: «Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso... Per questo da un uomo solo, e inoltre gia segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare... Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: “In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome”. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo» (Eb 11,8-10. 12. 17-19).
CHI È DUNQUE
ABRAMO QUANDO VIENE CHIAMATO DA DIO? DA DOVE NASCE LA SUA STORIA?
QUAL È LA CONOSCENZA
DI DIO CHE LUI AVEVA ALL'INIZIO DEL SUO CAMMINO?
E QUANDO HA CONOSCIUTO
IL SIGNORE?
Secondo le fonti rabbiniche, che parlano a lungo e intensamente di Abramo ci sono tre diverse risposte a questa domanda.
Ø Secondo la prima tradizione, Abramo conosce Dio a un anno: a quell’età non si ha nessuno strumento concettuale e intellettuale per conoscere Dio. Dunque, secondo questa tradizione, la conoscenza di Dio in Abramo è stata totalmente un dono, una grazia; tutto è venuto dall'alto. A un anno un bambino può conoscere Dio soltanto se Dio lo inonda della sua luce e lo rende capace di una conoscenza e di un amore che gli uomini da soli non si sarebbero mai potuti dare. Ecco allora il significato di questa prima tradizione, molto bella, che accentua l'assoluto primato dell’iniziativa di Dio.
Ø Secondo un'altra tradizione, Abramo conosce Dio a tre anni. A tre anni già si capisce qualcosa e soprattutto si fa già sentire l'influenza dell'ambiente familiare, di quelli che ci stanno formando, che ci stanno insegnando a parlare, che ci fanno scoprire le cose del mondo. Secondo questa tradizione la conoscenza di Dio in Abramo è frutto di due elementi: da una parte, il dono di Dio, perché a 3 anni occorre una grazia particolare per conoscere Dio come lo ha conosciuto Abramo. E tuttavia c’è spazio anche, in qualche modo, per una certa risposta di Abramo e del suo ambiente. Dunque, la conoscenza che Abramo ha di Dio sarebbe il frutto di un incontro di umano e divino, dove certamente l'ambiente circostante ha avuto influenza.
Ø La terza tradizione è però forse la più bella. Abramo conosce Dio a 48 anni. Perché proprio 48? Perché i 48 anni sono gli anni della piena maturità della vita. Sono gli anni, qualcuno dice, del disincanto. Quando si è giovani ci sono molti sogni, molti progetti. Poi, la vita porta a fare anche l’amara esperienza della delusione, ridimensiona i sogni e i progetti: ci scontriamo con la realtà che tante volte è dura, è pesante, forse proprio lì dove meno te lo saresti aspettato. Ed allora sarebbe in questo momento della vita, in cui cadono i progetti umani, in cui i sogni si ridimensionano, in cui c'è la grande tentazione di vivere nell'amarezza del rimpianto e della delusione, che Abramo, nell'assoluta povertà del suo cuore, scopre per dono l'assoluto primato di Dio. In altre parole, questa tradizione accentua nella maniera più bella, da una parte il dono di Dio, dall'altra il fatto che tu scopri veramente Dio quando hai conosciuto l'uomo, quando hai fatto esperienza del dolore del mondo: allora capisci che cos'è veramente il dono di Dio. Allora Dio non è più per te una consolazione umana, il rifugio dei tuoi sogni, la proiezione dei tuoi desideri: allora, Dio è Dio e tu ti affidi a Lui perdutamente perché sai che nessuna forza umana, neanche quella in cui tu tanto avevi confidato, sarà mai capace di darti la verità e la pace del cuore. È la scelta di Dio nel tempo della maturità, nel tempo della verità della vita, nel segno della profondità degli affetti, ma anche dei dolori umani.
In realtà, Abramo viene da una famiglia che serviva altri dei, parlando di lui come del «figlio di un certo Terach di Ur dei Caldei, al di là del fiume» (Gs 24,2). Dunque, Abramo dal punto di vista delle sue origini familiari, non ha nulla che lo predisponga a diventare l'eletto di Dio. La sua è una famiglia nomade, e i nomadi non hanno sicurezze: il loro tetto è il cielo, il loro futuro è la sorpresa di ogni giorno. La sua è una famiglia idolatrica. Secondo alcune tradizioni rabbiniche, Terach, il papà di Abramo faceva il fabbricante di idoli. Costruiva le statuette di terracotta che si vendevano presso i templi delle varie divinità pagane e girava poi di santuario in santuario a vendere la sua mercanzia.
Dal punto di vista umano, secondo i dati storici che abbiamo, Abramo non aveva nessun presupposto per diventare il nostro padre nella fede. Credo che questo sia un aspetto molto bello, perché ci fa capire che la fede non si trasmette in eredità, la fede non è qualcosa di scontato; si arriva alla fede, ognuno pagando il proprio prezzo, vivendo il proprio amore, soffrendo la propria avventura. Il fatto di essere figli di genitori credenti non dà assolutamente per scontato che tu sia credente e, viceversa, il fatto che tu venga da una famiglia di idolatri o di nomadi, come Abramo, non dà assolutamente per scontato che tu non possa conoscere Dio. Nulla umanamente ci garantisce o ci preclude la conoscenza di Dio. La conoscenza di Dio è un incontro di grazia e di libertà. Il dono assoluto di Dio è la libertà del cuore che lo accoglie. Non vale davanti a Dio nessun titolo di grandezza umana o di presunta elezione del proprio popolo, della propria storia, della propria tribù. Davanti a Dio siamo tutti dei poveri, bisognosi del suo amore.
Ma, c'è un altro aspetto su cui dobbiamo fermarci, e cioè che tutta la grande avventura di Abramo, secondo il racconto che abbiamo appena letto da Gen 12, comincia quando Abramo aveva 75 anni. Come vedete, non è mai troppo tardi per cominciare. Dice Gen 12, 4: «Abramo aveva 75 anni quando lasciò Carraan». Settantacinque anni, anche in quel tempo, era l’età della vecchiaia, anche se, secondo le tradizioni dei patriarchi, si viveva più a lungo. Non solo, ma Abramo è un uomo pieno di paure. Non è affatto un eroe a prima vista, ma è uno che ha le paure che abbiamo tutti noi, in modo particolare due paure che sono così profonde nel cuore dell'uomo: la prima è la paura del pericolo, la paura della morte che diventa paura del pericolo. Pensate, che quando Abramo va in Egitto, secondo il racconto di Gen 12, 10-20 e va con sua moglie Sara, che era avanti negli anni eppure continuava ad essere bella, Abramo si inventa che Sara non è sua moglie, ma sua sorella, perché così, se il faraone o qualche potente dell'Egitto avesse messo gli occhi su Sara, non lo avrebbe ucciso per liberarsi del concorrente scomodo. Come vedete, Abramo era furbo e aveva quelle paure che sono caratteristiche di ogni essere umano. Ma lui ha un'altra paura, se volete, un altro dolore. Dovete pensare che ai tempi di Abramo, non esisteva la fede nell'immortalità. La vita, secondo il giudizio comune, era quella che si vive in questo mondo, chiusa fra il grido della nascita e il grido della morte. Questa era la vita secondo la concezione comune in quel tempo. Dunque, tutto ciò che un uomo poteva dare o ricevere, doveva darlo o riceverlo negli anni della sua vita mortale. Né più, né meno. Ebbene, Abramo in questo contesto sente l'influenza profonda della mentalità del suo tempo. Qual è l'unico modo di sopravvivere in una concezione della vita dove la morte è l'ultima parola? Avere dei figli. Chi non ha un figlio morirà due volte; morirà con la sua morte, ma morirà anche perché non ci sarà nessuno che continuerà a pronunciare il suo nome con amore. Non ci sarà chi, come dice la tradizione ebraica, preghi il qadish, la preghiera dei morti, una preghiera di benedizione che il figlio deve recitare per il proprio padre defunto.
Dunque, Abramo desidera ardentemente un figlio. Per lui è questione veramente di vita o di morte, perché non avere un figlio significa veramente morire due volte. E, a tal punto desidera avere un figlio, che si lascia convincere ad avere un figlio dalla schiava, Agar. Secondo Gen 16, 1-6, Agar darà un figlio ad Abramo. Questo figlio sarà Ismaele. Il rapporto fra arabi e israeliani si radica su questa tradizione biblica, perché mentre gli ebrei si considerano i discendenti di Isacco, gli arabi si considerano i discendenti di Ismaele, che per gli ebrei è il figlio della schiava, mentre nella tradizione islamica è il figlio della promessa, essendo Agar comunque un'eletta come Sara. Dunque, il rapporto di odio-amore che c'è fra ebrei e arabi nasce nella memoria biblica proprio nella storia di Abramo e di Agar: nasce, cioè, dalle paure di Abramo.
Abramo è dunque un uomo avanti negli anni, un uomo nomade, che viene da una famiglia idolatrica, un uomo pieno di paure, soprattutto la paura della morte, la paura del pericolo, la paura di non lasciare una discendenza: tanto simile a noi. Abramo è come noi, con tutte le nostre fragilità così umane, con tutte le nostre incertezze, con tutti i nostri dubbi, con tutte le nostre domande… Che cosa succede a quest'uomo? Anzitutto, gli arriva la prima chiamata da parte di Dio. Ci sono infatti come due chiamate di Abramo, due vocazioni, che è importante distinguere: Gen 12 e Gen 22, che poi vedremo.
In Gen 12 il Signore chiama Abramo, dicendogli di lasciare la sua terra, le sue certezze, e questo è certamente qualcosa che costa. Dobbiamo, quindi, prendere sul serio questa chiamata. Lasciare le proprie sicurezze costa sempre e costa ancora di più quando si è avanti negli anni, quando si diventa più abitudinari, più legati alle proprie certezze, come il cane che difende il suo piccolo osso. Abramo non fa eccezione: dover lasciare Ur dei Caldei quel suo piccolo mondo fatto di idoli, di commerci, di nomadismo, di insicurezze, di paure, non è una cosa facile. Noi amiamo tanto la nostra prigione! Dio gli promette, però, qualcosa di molto bello. Dio gli promette la pienezza della benedizione, la discendenza numerosa come le stelle del cielo, come la sabbia che è sulla riva del mare. A uno che non aveva figli una promessa del genere appare un sogno. E gli promette la terra, a lui che era un nomade! Dunque, la promessa è di una sicurezza, di una stabilità per sempre. Insomma, la chiamata è troppo bella per non essere accolta. Abramo, in un sussulto di libertà decide di obbedire alla voce di Dio. Ecco perché parte, lasciando la sua terra verso la terra della promessa di Dio. Tuttavia, in questa maniera Abramo risponde a un Dio che gli promette esattamente quello che lui voleva. In altre parole, Abramo, rispondendo a Dio nella sua prima chiamata, insegue il suo sogno, il suo desiderio. La chiamata di Gen 12 è la proiezione del desiderio di Abramo. Se tu desideri profondamente una cosa bella, vera, importante e Dio te la promette, allora dici sì alla volontà di Dio perché è esattamente quello che tu vuoi. Dunque, l'entusiasmo di Abramo è comprensibile. Anche le rinunce, abbandonare la propria terra, la propria patria, quando sono viste in quest'ottica di desiderio del cuore, sono accettabili perché il gioco vale la candela.
Questo spiega anche il comportamento di Abramo: dopo la sua chiamata parte e diventa ricco di Dio, generoso con tutti. Per esempio quando si tratta di dividere la terra anche con Lot e con il re di Sodoma, Abramo dice loro di scegliersi quello che vogliono ed essi naturalmente si scelgono la parte migliore e lasciano a lui quella peggiore, perché essendo lui ormai l'uomo che ha ricevuto la promessa, l'uomo che sa che avrà una discendenza e una terra, allora tutto il resto diventa secondario. Penso che tutti noi abbiamo nella nostra memoria i tempi del primo entusiasmo della nostra vocazione dove ogni abbandono, ogni lascito ci sembrava bello e giusto perché è talmente bello seguire Dio inseguendo il proprio sogno, che qualunque rinuncia diventa secondaria: Abramo è così! Insegue il sogno della sua vita che corrisponde alla chiamata di Dio e dunque è pronto a lasciare tutto quello che è meno di Dio. È un uomo che parla poco, ascolta molto, prega, portando a Dio tutto se stesso. Abramo in questa fase della sua vita piena di entusiasmo sa portare a Dio anche il proprio lamento, si sa lamentare con Dio. Genesi 15 o Genesi 17,16ss, mostrano come Abramo porti a Dio non solo le cose belle. Nella preghiera egli sa anche lamentarsi come ci si lamenta soltanto con quelli che amiamo. «Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: a uno di cento anni, può nascere un figlio? E Sara, all’età di novant’anni, potrà partorire? Abramo disse a Dio: se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!». (Gen 17,16 ss)
Nonostante la promessa, Abramo continua ad essere uno che con Dio ha i suoi dubbi, si lamenta e vuol giocare almeno a salvare il salvabile. Egli anche nel tempo dell’entusiasmo porta tutte le sue mediocrità, porta a Dio i suoi lamenti, contratta con Dio, crede in Dio, poi qualche volta si dimentica di credere in Dio, e cerca, almeno, di accontentarsi di quello che ha! Abramo già nel tempo della sua prima vocazione è uno che cammina con Dio in ogni circostanza della sua vita. In realtà, la prima vocazione di Abramo è un inseguire il sogno e il desiderio del proprio cuore, ma è anche un vivere con amore l’amicizia con Dio.
Chi è dunque Abramo? Possiamo dire che Abramo è l’eletto da Dio, secondo la tradizione Jahvista, cioè è colui che risponde alla chiamata di Dio caricandola del suo desiderio, come avviene in Gen 12, una tappa della vita che probabilmente tutti noi abbiamo vissuto: l’entusiasmo della giovinezza, del sogno, dell’inseguire il nostro desiderio riconoscendovi la volontà di Dio, una piacevole volontà di Dio.
(http://it.geocities.com/laboratoriodellafede/abram.htm)
Ø «Il Signore disse ad Abram: vattene…» Dio parla e la sua parola crea, come nella creazione… «Dio disse: “Sia la luce!”» (Gn 1,3). La Parola di Dio è, in ogni vita, come la nostra così per Abramo, un invito a rompere con il passato, con i propri idoli, con ogni propria sicurezza… Abramo si mette in cammino senza avere molte garanzie, senza conoscere i tempi, i costi... Sapeva solo che chi lo guidava era il Signore, e questo gli bastava! Tutti noi siamo chiamati dal Signore a seguirlo, siamo chiamati, non obbligati...
So ascoltare il Signore? So rispondere con un deciso «si» al Suo «seguimi»? So fare silenzio, mettermi in ascolto, in ricerca per cercare sempre di condurre la mia vita seguendo la mia vocazione?
Ø «…in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» La promessa di Dio ad Abramo la si capisce «con il senno di poi». Abramo è padre della fede, padre per la sua fede e padre di quanti provengono nei secoli dalla sua fede. L'apostolo Paolo riferendosi ad Abramo scrive: «Egli ebbe fede, sperando contro ogni speranza e divenne padre di molti popoli» (Rm 4,18). Una fiducia completa ed incondizionata nel Signore: questo è uno degli ingredienti della santità... ma non è di così facile attuazione, perché a volte il Signore sembra regalarci solo il Suo silenzio o perché sentiamo il nostro cuore troppo lontano da Lui.
Mi è capitato di vivere questi momenti di «buio» nella mia fede? Nelle situazioni di solitudine, mi ricordo di quando ho sentito il Signore vicino a me? Di quando l'ho incontrato davvero? So, quindi, affidare completamente il mio cuore e la mia vita a Lui? Affidandomi alla Sua guida, so compiere scelte anche in contraddizione con la logica del mondo? Credo in Dio perché Lui realizza i desideri del mio cuore o credo in Dio perché Dio è Dio? Lo amo per le sue consolazioni o lo amo perché è il Dio della mia vita, del mio cuore?
[cfr GEN 26,5; GS 24,2; NE 9,7; 1MAC 2,52;
1MAC 12,21; SAL 105,9.42; SIR 44,21;IS 41,8; IS 51,2; LC 1,55; AT 3,35;
ROM 4; GAL 3; EB 11; GC 2,21S]
Dalla vita vissuta:
Nel corso degli anni,
la mia fede in Dio è cambiata; è via via cresciuta e maturata.
Quando ero ragazzino
non avevo la consapevolezza piena della fede, mentre a partire dall’adolescenza
il rapporto d’amicizia con Lui è diventato meno superficiale e sempre
più intimo.
Oggi posso dire di
vivere un periodo soggetto ad alti e bassi continui, in cui si manifestano
molte piccole fragilità.
La crescita continua
nella fede è però, indissolubilmente legata alla preghiera
e alla meditazione della Parola; questo è ciò in cui credo
veramente.
Spesso, come Abramo,
sono portato a manifestare a Dio le mie lamentele, le mie perplessità,
le paure ma ogni volta Lui sa parlare al mio cuore ricordandomi che la
strada dell’Amore è segnata da momenti difficili; mi ricorda il
significato della Croce che è simbolo di sofferenza, ma soprattutto
della vita di Gesù donata per amore a ciascuno, me compreso.
La chiamata di Dio,
come per Abramo, richiede un distacco dalle proprie sicurezze e, nonostante
molte volte, personalmente, faccia fatica a capirlo, mi invita ad abbandonarmi
al Suo Amore.
È la coerenza
il punto debole nel mio caso; basterebbe soltanto poter raggiungere una
fede paragonabile a un granellino di senapa…
Dai Padri della Chiesa:
I precetti del Vangelo, fratelli carissimi, non sono altro che insegnamenti divini, fondamento su cui edificare la speranza, base d’appoggio per sostenere la fede, nutrimento per saziare il cuore, timone per dirigere il viaggio, aiuto per tenersi saldi alla salvezza; istruendo sulla terra le menti docili dei fedeli, le conducono ai regni del cielo. Molte cose Dio fece annunciare e udire per bocca dei profeti; ma quanto maggiori sono le verità che annuncia il Figlio, la Parola di Dio che abitò nei profeti, come ci attesta con le sue stesse parole! Ora, egli non comanda solo di preparare la via a colui che viene, ma egli stesso viene e ci apre, e ci indica la via affinché noi, che prima erravamo ciechi e alla ventura nelle tenebre di morte, illuminati dallo splendore della sua grazia, possiamo seguire la via della vita sotto la guida e la condotta del Signore.
Cipriano di Cartagine, La preghiera del Signore, 1
La meditazione non è fine a se stessa,
ma tende a farmi entrare in dialogo con Gesù, a diventare preghiera.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa,
per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune
frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno
fatto meditare. Se sei in difficoltà, puoi pregare così:
Conserva incontaminato
in me,
ti prego, questo rispetto
assoluto per la mia fede
e fino alla dipartita
del mio spirito
dona alla mia coscienza
di proclamarla,
affinché possa
ottenere per sempre quello che ho professato nel simbolo,
quando fui battezzato
nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito Santo;
cioè che adori
te, nostro Padre,
e insieme con te il
Figlio tuo; che meriti lo Spirito Santo tuo
che esiste da te per
mezzo del tuo Unigenito.
E` infatti per me
testimone pienamente attendibile
di questa fede colui
che dice:
«Padre, tutto
ciò che è mio è tuo e tutto ciò che è
tuo è mio» (Gv 17,10);
cioè il mio
Signore Gesù Cristo:
che resta in te, da
te e presso te Dio in eterno:
che è benedetto
nei secoli dei secoli.
Amen.
(Ilario di Poitiers)
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere
dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi.
È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver
toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo
e in Cristo
a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità
dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria
per tutti i secoli
dei secoli.
ACTIO
Mi impegno a vivere un versetto di questo brano, quello che mi ha colpito
di più nella meditatio, che ho ripetuto nell’oratio, che ho vissuto
come adorazione e preghiera silenziosa nella contemplatio e adesso vivo
nell’actio.
Si compie concretamente un’azione che cambia
il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa
ora vita!
Prego con la Liturgia della Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!