Ho intenzione di incontrare il Signore nella preghiera. Stampo il Ritiro On Line di questo mese. Spengo il cellulare. Preparo accuratamente i posti e i segni.
Mi inginocchio e venero il Crocifisso, l’icona, la Parola accendendo un lumino, la luce di Tor Vergata o di Toronto.
Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, il Segno che mi è stato donato nel Battesimo e che mi contraddistingue come cristiano.
“Accogliendo
ora la sua Croce gloriosa, quella Croce che ha percorso insieme ai giovani
le strade del mondo, lasciate risuonare nel silenzio del vostro cuore questa
parola consolante ed impegnativa: <Beati…>”.
[XVII
GMG Toronto, Festa di accoglienza dei giovani, Discorso del Santo Padre,
25 Luglio 2002]
Invoco lo Spirito Santo:
Glorioso
Padre,
chiedo
uno spirito di sapienza e di rivelazione,
perché
gli occhi del mio cuore siano illuminati,
perché
possa comprendere la speranza alla quale mi hai chiamato,
quali
sono i tesori della tua gloriosa eredità nei santi
e l’immensurabile
grandezza della tua potenza in noi che crediamo.
Che io
impari a misurarla secondo l’energia della possanza
della
tua forza che hai manifestato in Cristo
risuscitandolo
dai morti e collocandolo alla tua destra, nei cieli,
molto
al di sopra di ogni governo e autorità
e potere
e signoria e sopra ogni nome menzionabile
non
solo nel tempo ma anche in quello da venire.
(Paul Hilsdale cfr Ef 1, 17-21)
Contemplo i segni della Passione che sono impressi nel Crocifisso.
“Raccolti
intorno alla Croce del Signore, guardiamo a Lui…”
[XVII
GMG Toronto, Festa di accoglienza dei giovani, Discorso del Santo Padre,
25 Luglio 2002]
LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano del Vangelo di Marco (Mc 9, 33-40)
33
Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: “Di che
cosa stavate discutendo lungo la via? ”. 34
Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse
il più grande. 35 Allora, sedutosi,
chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuol essere il primo, sia
l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. 36
E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
37
“Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie
me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
38 Giovanni gli disse: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri”. 39 Ma Gesù disse: “Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. 40 Chi non è contro di noi è per noi.
Parola del Signore
Il Vangelo si legge con la
penna e non soltanto con gli occhi! “Lettura” vuol dire leggere il testo
sottolineando in modo da far risaltare le cose importanti.
Occorre che risultino bene
le azioni che vengono descritte, l’ambiente in cui avviene il fatto, il
soggetto che agisce e chi riceve l’azione.
È un’operazione facilissima,
che però va fatta con la penna e non soltanto pensata.
MEDITATIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: “Il Grande Silenzio”! “Il Grande Silenzio” della Meditatio deve durare almeno 30 min.
Quest’ultima parte del cap. 9 del Vangelo di Marco è frutto di un lavoro redazionale che ha utilizzato elementi frammentari della tradizione costituiti da detti di Gesù. Come gli altri evangelisti, Marco inserisce affermazioni di Gesù nel modo e nel punto più appropriati, secondo la linea di discorso che sta sviluppando. Marco ci presenta l’incomprensione e il comportamento dei discepoli, così contrario all’attegiamento di Gesù e le parole di monizione. L’immagine del bambino, gesto simbolico e particolarmente intenso, offre a Marco la risposta alla domanda “Chi è il discepolo?”: il discepolo è il “piccolo”, l’ultimo, il servo è proprio quello più prezioso. Gesù e il discepolo sono una cosa sola nel nome di Gesù.
- “Se uno vuol essere il primo… preso un bambino”: la presenza di questo detto in tutti i sinottici mostra che è stato probabilmente pronunciato da Gesù ed era ritenuto di fondamentale importanza nella vita della comunità cristiana.
“Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”.
Il primo non è colui che ha il primo posto, che siede in alto, che è importante. Il primo è l’ultimo, il servo, colui che si fa servo di tutti.
Sono primo o ultimo? Cosa vuol dire per me, nella mia vita, essere l’ultimo? Cosa vuol dire essere servo? Mi faccio servo? Quando?
“Chi
accoglie uno di questi piccoli nel mio nome…”
Il discepolo è paragonato ad un bambino. L’accoglienza del discepolo è data anche dal suo modo di porsi. Accoglienza del discepolo = accoglienza di Gesù = accoglienza del Padre
Che cosa vuol dire accogliere ed essere accolto? Sono “bambino” nell’essere discepolo? …nel mio nome: accolgo i discepoli nel nome del Signore?
- “Il nome di
Gesù”: è una formula di carattere semitico che si trova,
oltre nell’AT, anche in alcuni passi del NT; in questi versetti dove svolge
la funzione di parola-chiave, l’azione viene compiuta sul fondamento della
fede nella potenza di Gesù, cioè con un diretto appello alla
sua autorità. Gesù è nome che sbaraglia ogni peccato,
violenza, non pace e ci dona la pace vera.
Mi rivolgo a Gesù
per ogni cosa? Mi rivolgo a Gesù quando non sono in pace? Prego
la preghiera di Gesù, fondata sul suo nome? In questo mese di maggio,
da questo brano di Vangelo, ho capito e mi sono preso degli impegni per
vivere il discepolato come vuole Gesù? Scrivo alcune cose.
La meditazione non è
fine a se stessa, ma tende a farmi entrare in dialogo con Gesù,
a diventare preghiera.
ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare. Se sei in difficoltà, prega così:
E' bello,
o Signore,
saperti
e sentirti a noi vicino,
fatto
di carne come noi,
vestito
come uno di noi.
Tu non
sei un Dio di ghiaccio
perché
porti dentro di te
i nostri
medesimi sentimenti.
Conosci
e vivi il valore dell'amicizia
e sei
capace di commuoverti
per
la morte di un amico.
Le nostre
gioie sono anche le tue,
come
lo sono anche le nostre lacrime.
Sei proprio
come noi, o Signore,
ma noi
purtroppo non siamo come te.
I nostri
sentimenti spesso ci isolano dagli altri,
ci bloccano
nella tomba dell'egoismo,
mentre
i tuoi aprono e liberano.
Le tue
lacrime bagnano una tomba
e fanno
tornare la vita
riaccendendo
la gioia nella casa.
Signore,
dona a tutti noi
la grazia
di avere un cuore come il tuo
perché
le pietre dei nostri tanti peccati possano aprirsi
così
da far tornare nelle nostre case, la vita che sorride
e la
speranza che fiorisce.
Amen.
(A. Dini)
CONTEMPLATIO
Si avverte il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarsi raggiungere
dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi.
È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver
toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Contemplo ed adoro, in ginocchio, il Crocifisso, segno della Risurrezione.
ACTIO
Mi impegno a vivere un versetto di questo brano, quello che mi ha colpito
di più nella meditatio, che ho ripetuto nell’oratio, che ho vissuto
come adorazione e preghiera silenziosa nella contemplatio e adesso vivo
nell’actio.
Si compie concretamente un’azione
che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato
diventa ora vita!
Prego con la Liturgia della Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Quando ho finito l’Ora Canonica,
spengo il lumino.
Arrivederci!
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mese
di maggio:
MARIA
compagna
di viaggio
maestra
nella fede
“Per me il ricominciare da capo ha avuto un momento importante. E’ stato
durante il mio lungo soggiorno nel deserto.
Vivevo nell'Hoggar in una fraternità di Piccoli Fratelli del Padre
de Foucauld e mi guadagnavo il pane lavorando sulle piste dì Tit,
Tazrouk, In Amguel, come metereologo. Il lavoro mi piaceva assai perché
oltre il sostentamento mi dava la possibilità di vivere nell'ambiente
che avevo cercato: il deserto e di unire alla fatica quotidiana i grandi
silenzi e la possibilità della preghiera prolungata.
In poco tempo conobbi i tuareg che vivevano sotto la tenda, gli aratini
che coltivavano le oasi, gli arabi che venivano dal nord e i mozabiti che
si dedicavano ai commerci.
Mi ero affezionato soprattutto ai tuareg che avevano gli accampamenti lungo
le « gueltà » e sugli altipiani e coglievo le occasioni
dei miei viaggi per fermarmi con loro la sera dopo il lavoro.
Fu durante un incontro con loro che io venni a conoscenza di un fatto interessante.
Ero venuto a sapere, quasi per caso, che una ragazza dell'accampamento
era stata promessa sposa ad un giovane di un altro accampamento ma che
non era ancora andata ad abitare con lo sposo perché troppo giovane.
Istintivamente avevo collegato il fatto al brano del Vangelo di Luca dove
si racconta proprio che la Vergine Maria era stata promessa a Giuseppe,
ma non era ancora andata ad abitare con lui (Matteo 1,18).
Ripassando due anni dopo in quell'accampamento, spontaneamente, come per
trovare motivi di conversazione chiesi se il matrimonio fosse avvenuto
Notai nel mio interlocutore un turbamento, seguito da un evidente imbarazzato
silenzio.
Tacqui anch'io. Ma la sera attingendo acqua ad una « gueltà»
a qualche centinaio di metri dall'accampamento, vedendo uno dei servi del
padrone, non potei resistere alla curiosità di conoscere il motivo
del silenzio imbarazzato del capo dell'accampamento.
Il servo si guardò attorno con circospezione, ma, avendo in me molta
confidenza perché « marabut » mi fece un segno
che ben conoscevo passando la mano sulla gola col gesto caratteristico
degli arabi quando vogliono dire « è stata sgozzata ».
Il motivo?
Prima del matrimonio s'era scoperta incinta e l'onore della famiglia tradita
esigeva quel sacrificio.
Ebbi un brivido pensando alla ragazza uccisa perché non era stata
fedele al suo futuro sposo.
La sera a compieta, sotto il cielo sahariano, volli rileggere il testo
di Matteo sul concepimento di Gesù in Maria.
Avevo acceso una candela perché era buio e la notte era senza luna.
Lessi:
« Maria, sua madre, era fidanzata a Giuseppe. Ora prima che andassero ad abitare insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo che era un uomo giusto non volendo denunciarla pubblicamente prese la risoluzione di ripudiarla silenziosamente » (Matteo 1,19).
Insomma Giuseppe non era stato il denunciatore e Gioacchino, padre di Maria, non aveva assunto il ruolo del Khomeiny di turno ammazzando Maria come avrebbe voluto la legge.
«Mosè ci disse che questo tipo di donne siano uccise » (cfr. Deuteronomio 22, 24).
Ricordo
come fosse ora. Sentii Maria vicina vicina seduta sulla sabbia, piccola,
debole, indifesa, col suo ventre grosso, con la sua impossibilità
a piegarsi, silenziosa.
Spensi la candela.
Nella notte buia non vedevo le stelle.
Vedevo attorno a noi tanti occhi che brillavano come gli occhi degli sciacalli
quando attentano gli agnellini.
Erano gli occhi di tutti gli abitanti di Nazaret che spiavano quella ragazza
madre e le chiedevano con tutta la potenza dell'incredulità di cui
sono capaci gli uomini, e più ancora le donne: « Come hai
fatto ad avere quel figlio, sciagurata, scostumata! »
Che notte!
Che so rispondere?
Che è Dio il padre di questo piccolo?
Chi mi crede?
Sto zitta. Dio sa.
Dio provvede...
Povera, dolce Maria, piccola
ragazza madre. Incominci male la fua carriera!
Come fai ad affrontare tanti nemici?
Chi ti crederà?
Quella sera sentii per la prima volta che mi stavo avvicinando al mistero
di Maria.
Per la prima volta non la vedevo sull'altare come una statua immobile di
cera, addobbata con abiti da regina, ma la sorella, vicino a me, seduta
sulla sabbia del mondo, con i sandali logori come i miei e con tanta stanchezza
nelle vene.
Allora capii perché sua cugina Elisabetta, che Maria era andata
a trovare dopo quei fatti (si esce sempre volentieri dal proprio ambiente
quando si è col ventre grosso e gli occhi dei vicini ti guardano
in una certa maniera puritana), avesse potuto dire al termine del racconto
che Maria le aveva fatto:
«Beata te che hai creduto» (Luca 1, 45).
Sì, veramente beata!
Maria, ci vuole coraggio a credere a queste cose!
È difficile per noi credete a quello che dici testimoniandoci che
quel figlio non è frutto di un'avventura notturna che non vuoi spiegare.
Ma è difficile soprattutto per te.
« Beata te che hai creduto » (Luca 1, 45).
E’ il massimo che si può dire ad una ragazzina semplice, umile, povera, che ha avuto la ventura di parlare con gli angeli, lei che è un nulla, e che si è sentita dire che dovrà avere un figlio che sarà il Santo e figlio dell'Altissimo, sì, proprio lei, l'ultimo e il più piccolo « resto » d'Israele.
« Beata te che hai creduto, Maria » (Luca 1, 45).
Quella
sera sulla sabbia, vicino alla gueltà di Issakarassem avevo deciso
di scegliere Maria come maestra nella fede.
Avevo trovato un contatto vitale con lei. Non era più un personaggio
a cui dovevo « culto », era la sorella del mio cuore, la compagna
di viaggio, la maestra della mia fede.”
(da “Beata te che hai creduto”
di Carlo Carretto)