Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.
Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, il Segno che mi è stato donato nel Battesimo e che mi contraddistingue come cristiano.
“Accogliendo
ora la sua Croce gloriosa, quella Croce che ha percorso insieme ai giovani
le strade del mondo, lasciate risuonare nel silenzio del vostro cuore questa
parola consolante ed impegnativa: <Beati…>”.
[XVII GMG
Toronto, Festa di accoglienza dei giovani, Discorso del Santo Padre, 25
Luglio 2002]
Invoco lo Spirito Santo:
Dio della storia,
che hai parlato le
parole eterne
adattandole all'orecchio
dell'uomo,
che non hai esitato
a entrare tu stesso
nel tempo
per farti incontrare,
conoscere ed amare
da noi,
donaci di non cercarti
lontano,
ma di riconoscerti
dovunque la tua Parola
proclama la certezza
della tua presenza,
velata oggi certamente
e sofferta,
libera un giorno e
splendente,
al tramonto del tempo
quando sorgerà
l'alba
del tuo ritorno glorioso.
Vieni, Spirito Santo,
vieni in noi,
inquieti per la febbre
che tu stesso ci hai
contagiato:
vieni a ripresentare
in noi e per noi
il mistero del Crocifisso
Risorto,
vieni a riempire così
la nostra vita,
perché la bocca
parli finalmente
per la sovrabbondanza
del cuore.
Amen. Alleluia!
(Bruno Forte)
Contemplo i segni della
Passione che sono impressi nel Crocifisso.
“Raccolti intorno
alla Croce del Signore, guardiamo a Lui…”
[XVII GMG
Toronto, Festa di accoglienza dei giovani, Discorso del Santo Padre, 25
Luglio 2002]
LECTIO
Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il
brano – Genesi 27
1
Isacco era vecchio e gli occhi gli si erano così indeboliti che
non ci vedeva più. Chiamò il figlio maggiore, Esaù,
e gli disse: “Figlio mio”. Gli rispose: “Eccomi”. 2
Riprese: “Vedi, io sono vecchio e ignoro il giorno della mia morte. 3
Ebbene, prendi le tue armi, la tua farètra e il tuo arco, esci in
campagna e prendi per me della selvaggina. 4 Poi
preparami un piatto di mio gusto e portami da mangiare, perché io
ti benedica prima di morire”. 5
Ora Rebecca ascoltava, mentre Isacco parlava al figlio Esaù. Andò
dunque Esaù in campagna a caccia di selvaggina da portare a casa.
6 Rebecca disse al figlio Giacobbe:
“Ecco, ho sentito tuo padre dire a tuo fratello Esaù: 7
Portami la selvaggina e preparami un piatto, così
mangerò e poi ti benedirò davanti al Signore prima della
morte. 8 Ora, figlio mio, obbedisci
al mio ordine: 9 Và subito
al gregge e prendimi di là due bei capretti; io ne farò un
piatto per tuo padre, secondo il suo gusto. 10
Così tu lo porterai a tuo padre che ne mangerà, perché
ti benedica prima della sua morte”. 11
Rispose Giacobbe a Rebecca sua madre: “Sai che mio fratello Esaù
è peloso, mentre io ho la pelle liscia. 12
Forse mio padre mi palperà e si accorgerà che mi prendo gioco
di lui e attirerò sopra di me una maledizione invece di una benedizione”.
13 Ma sua madre gli disse: “Ricada
su di me la tua maledizione, figlio mio! Tu obbedisci soltanto e vammi
a prendere i capretti”. 14 Allora
egli andò a prenderli e li portò alla madre, così
la madre ne fece un piatto secondo il gusto di suo padre. 15
Rebecca prese i vestiti migliori del suo figlio maggiore, Esaù,
che erano in casa presso di lei, e li fece indossare al figlio minore,
Giacobbe; 16 con le pelli dei capretti
rivestì le sue braccia e la parte liscia del collo. 17
Poi mise in mano al suo figlio Giacobbe il piatto e il pane che aveva preparato.
18
Così egli venne dal padre e disse: “Padre mio”. Rispose: “Eccomi;
chi sei tu, figlio mio? ”. 19 Giacobbe
rispose al padre: “Io sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fatto come
tu mi hai ordinato. Alzati dunque, siediti e mangia la mia selvaggina,
perché tu mi benedica”. 20
Isacco disse al figlio: “Come hai fatto presto a trovarla, figlio mio!
”. Rispose: “Il Signore me l’ha fatta capitare davanti”. 21
Ma Isacco gli disse: “Avvicinati e lascia che ti palpi, figlio mio, per
sapere se tu sei proprio il mio figlio Esaù o no”. 22
Giacobbe si avvicinò ad Isacco suo padre, il quale lo tastò
e disse: “La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia
di Esaù”. 23 Così
non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia
di suo fratello Esaù, e perciò lo benedisse. 24
Gli disse ancora: “Tu sei proprio il mio figlio Esaù? ”. Rispose:
“Lo sono”. 25 Allora disse: “Porgimi
da mangiare della selvaggina del mio figlio, perché io ti benedica”.
Gliene servì ed egli mangiò, gli portò il vino ed
egli bevve. 26 Poi suo padre Isacco
gli disse: “Avvicinati e baciami, figlio mio! ”. 27
Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l’odore
degli abiti di lui e lo benedisse:
“Ecco l’odore
del mio figlio
come l’odore
di un campo
che il Signore
ha benedetto.
28
Dio ti conceda rugiada del cielo
e terre grasse
e abbondanza
di frumento e di mosto.
29
Ti servano i popoli
e si prostrino
davanti a te le genti.
Sii il signore
dei tuoi fratelli
e si prostrino
davanti a te i figli di tua madre.
Chi ti maledice
sia maledetto
e chi ti
benedice sia benedetto! ”.
30 Isacco aveva appena finito di benedire Giacobbe e Giacobbe si era allontanato dal padre Isacco, quando arrivò dalla caccia Esaù suo fratello. 31 Anch’egli aveva preparato un piatto, poi lo aveva portato al padre e gli aveva detto: “Si alzi mio padre e mangi la selvaggina di suo figlio, perché tu mi benedica”. 32 Gli disse suo padre Isacco: “Chi sei tu? ”. Rispose: “Io sono il tuo figlio primogenito Esaù”. 33 Allora Isacco fu colto da un fortissimo tremito e disse: “Chi era dunque colui che ha preso la selvaggina e me l’ha portata? Io ho mangiato di tutto prima che tu venissi, poi l’ho benedetto e benedetto resterà”. 34 Quando Esaù sentì le parole di suo padre, scoppiò in alte, amarissime grida. Egli disse a suo padre: “Benedici anche me, padre mio! ”. 35 Rispose: “È venuto tuo fratello con inganno e ha carpito la tua benedizione”. 36 Riprese: “Forse perché si chiama Giacobbe mi ha soppiantato già due volte? Già ha carpito la mia primogenitura ed ecco ora ha carpito la mia benedizione! ”. Poi soggiunse: “Non hai forse riservato qualche benedizione per me? ”. 37 Isacco rispose e disse a Esaù: “Ecco, io l’ho costituito tuo signore e gli ho dato come servi tutti i suoi fratelli; l’ho provveduto di frumento e di mosto; per te che cosa mai potrò fare, figlio mio? ”. 38 Esaù disse al padre: “Hai una sola benedizione padre mio? Benedici anche me, padre mio! ”. Ma Isacco taceva ed Esaù alzò la voce e pianse. 39 Allora suo padre Isacco prese la parola e gli disse:
“Ecco, lungi
dalle terre grasse
sarà
la tua sede
e lungi dalla
rugiada del cielo dall’alto.
40
Vivrai della tua spada
e servirai
tuo fratello;
ma poi, quando
ti riscuoterai,
spezzerai
il suo giogo dal tuo collo”.
41 Esaù perseguitò Giacobbe per la benedizione che suo padre gli aveva dato. Pensò Esaù: “Si avvicinano i giorni del lutto per mio padre; allora ucciderò mio fratello Giacobbe”. 42 Ma furono riferite a Rebecca le parole di Esaù, suo figlio maggiore, ed essa mandò a chiamare il figlio minore Giacobbe e gli disse: “Esaù tuo fratello vuol vendicarsi di te uccidendoti. 43 Ebbene, figlio mio, obbedisci alla mia voce: su, fuggi a Carran da mio fratello Làbano. 44 Rimarrai con lui qualche tempo, finché l’ira di tuo fratello si sarà placata; 45 finché si sarà placata contro di te la collera di tuo fratello e si sarà dimenticato di quello che gli hai fatto. Allora io manderò a prenderti di là. Perché dovrei venir privata di voi due in un sol giorno?”.
Parola di Dio
La Parola di Dio scritta
nella Bibbia si legge con la penna e non soltanto con gli occhi!
“Lettura” vuol dire
leggere il testo sottolineando in modo da far risaltare le cose importanti.
È un’operazione
facilissima, che però va fatta con la penna e non soltanto pensata.
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura
della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più
sacra e più lunga del nostro Ritiro on line: “Il Grande Silenzio”!
Il protagonista è lo Spirito Santo.
Troviamo al capitolo 27 il vecchio patriarca Isacco sulla soglia dell'eternità; la terra e tutto ciò che appartiene alla natura svaniscono rapidamente dinanzi a lui; tuttavia egli è occupato dalle «pietanze saporite» e sta per agire in opposizione diretta col consiglio di Dio, benedicendo il più vecchio invece del più giovane. Ecco la natura, la natura con gli occhi ormai annebbiati. Se Esaù ha venduto il diritto alla primogenitura per una minestra di lenticchie, vediamo Isacco sul punto di dare la benedizione in cambio di un piatto di selvaggina. Bisogna tuttavia che il proposito di Dio resti invariato e Dio compirà tutta la sua volontà. La fede lo sa e nell'energia di questa conoscenza può aspettare il tempo fissato da Dio, mentre la natura, incapace di attendere, deve cercare di raggiungere i suoi scopi con mezzi di sua propria invenzione!
I due grandi fatti che emergono dalla storia di Giacobbe sono, da un lato, il disegno di Dio in grazia e, dall'altro, la natura che imposta i propri piani e i propri progetti per ottenere ciò che, senza piani e senza progetti, il consiglio di Dio avrebbe inevitabilmente fatto avvenire. Questa considerazione vale a semplificare, in maniera singolare, tutta la storia di questo patriarca e ad aumentarne l'interesse.
Nessuna grazia forse ci manca tanto, come quella di saper aspettare con pazienza e dipendere completamente da Dio. La natura agisce sempre in un modo o nell'altro, ostacolando, per quanto dipende da lei, la manifestazione della grazia e della potenza divina. Per compiere i propri disegni Dio non aveva bisogno di elementi come l'astuzia di Rebecca e la grossolana astuzia di Giacobbe. Aveva detto: «Il maggiore servirà il minore», e ciò bastava; bastava per la fede, non certo per la natura che, non sapendo cosa voglia dire dipendere da Dio, si riduce sempre a usare i propri mezzi.
Astuto, non sempre sincero e a volte pavido, il secondogenito di Isacco poteva apparire una scelta improbabile per impersonare il compimento della promessa di Dio alla nazione di Israele. In realtà, come dimostrano chiaramente l'Antico Testamento e la tradizione rabbinica, fu proprio l'umana debolezza del terzo patriarca che contribuì a provare che fu la volontà divina, e non l'umana iniziativa o il merito individuale, a insediare gli Israeliti nella loro Terra Promessa e in altri modi a forgiare il loro destino nazionale. Oggi molti studiosi biblici ritengono che Giacobbe sia vissuto tra il 2000 e il 1700 a.C.
Come suo padre Isacco, Giacobbe e il fratello gemello Esaù erano nati da una madre che era stata sterile per lungo tempo. Isacco pregò con fervore perché sua moglie Rebecca concepisse un figlio, una supplica che il Signore ascoltò quando egli aveva ormai 59 anni ed ella non era riuscita a concepire durante i 19 anni di matrimonio. I due gemelli lottavano furiosamente tra loro mentre erano ancora nell'utero di Rebecca, fino a spingere la madre, preoccupata, a esclamare: «Se è così, perché questo?» (Gen 25,22). La donna andò a consultare il Signore, la cui spiegazione fu per lei come una profezia del tormentato futuro della sua famiglia: «Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si disperderanno; un popolo sarà più forte dell'altro e il maggiore servirà il più piccolo» (Gen 25,23). In realtà, al momento del parto, Esaù uscì per primo, ma Giacobbe gli teneva saldamente il calcagno.
Fin dal momento della nascita, le differenze tra i due fanciulli si rispecchiarono nei rapporti con i genitori. Esaù, il maggiore, era considerato il vero figlio di suo padre, attivo, spensierato e abile cacciatore. Giacobbe, che preferiva rimanere a casa tra le tende del suo gruppo familiare e condurre la vita di un pastore (ish tam, che significa "uomo semplice" o "quieto", è l'espressione usata dalla Bibbia per descriverlo), diventò il favorito della madre.
Non sappiamo nulla degli anni della fanciullezza di Giacobbe, ma il primo evento biblico che riguarda i due fratelli e che avvenne quando erano giovani, mette in luce i loro caratteri contrastanti e la reciproca ostilità.
Un giorno, tornando a casa dopo una battuta di caccia, affamato ed esausto, Esaù trovò il fratello più giovane che stava preparando una minestra di piccole lenticchie rosse. Quando gliene chiese un po', Giacobbe replicò senza esitare: «Vendimi subito la tua primogenitura» (Gen 25,31); e così Esaù fu ingannato e privato del suo diritto a vantaggio del fratello più giovane. Giacobbe non solo approfittò della fame e dell'ingenuità del fratello, ma arrivò anche al motivo profondo della loro gelosia, mercanteggiando per diventare primogenito. Esaù non si rese conto della serietà dell'imbroglio e avventatamente rispose: «Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?» (Gen 25,32). Ma l'astuto fratello, prima di cedergli la sua minestra, gli chiese di giurare a conferma della cessione della primogenitura.
Nella successiva storia di Israele, diventò illegale trasferire la primogenitura dal figlio più anziano a un'altra persona, ma evidentemente tale prassi era largamente diffusa e accettata in Medio Oriente all'epoca dei patriarchi. Un antico documento registra che un fratello più giovane aveva potuto comprare la primogenitura dal fratello maggiore dandogli in pagamento tre pecore. In un altro, il padre attesta di ripristinare la primogenitura di un figlio che era stato diseredato. Nonostante la natura riprovevole dell'accordo intervenuto tra Esaù e Giacobbe, la vendita della primogenitura compì la profezia fatta da Dio a Rebecca.
Al rimorso per aver perso così avventatamente la sua primogenitura si aggiunse un altro incidente tra i due fratelli che scatenò in Esaù una rabbia omicida. Isacco, ormai anziano e praticamente cieco, cominciò a rendersi conto che la morte si stava avvicinando e decise di trasmettere la sua benedizione patriarcale al primogenito. Gli Israeliti, come altri popoli antichi, credevano che la benedizione data sul letto di morte influisse sia sul destino sia sul carattere di chi la riceveva: nel caso concreto, rappresentava anche la designazione irrevocabile del capo del clan. Prima di assolvere quel rito importante, Isacco chiese al prediletto Esaù di cacciargli qualche preda novella e preparargli un saporito piatto di carne. Rebecca, udito il discorso, ordinò a Giacobbe di macellare due giovani capretti del gregge familiare perché lei potesse preparare una buona pietanza e ingannare il marito facendogli impartire la benedizione al figlio più giovane. Giacobbe, prudente come al solito, esitava perché vedeva un ostacolo: «Sai che mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia. Forse mio padre mi palperà e si accorgerà che mi prendo gioco di lui e attirerò sopra di me una maledizione invece di una benedizione» (Gen 27,11-12).
Sua madre non si lasciò scoraggiare. Dopo aver preparato uno stufato di capretto e cotto pane fresco, fece indossare a Giacobbe i vestiti migliori di suo fratello e gli coprì il collo e le mani lisce con la pelle dei capretti uccisi. Così travestito dalla madre, il giovane portò l'appetitosa pietanza calda al padre, facendosi passare per Esaù. Quando Isacco, insospettito, chiese come avesse potuto uccidere e cucinare la selvaggina in un tempo tanto breve, Giacobbe rispose: «Il Signore me l'ha fatta capitare davanti» (Gen 27,20).
Ancora incerto, l'anziano padre gli chiese di avvicinarsi. Con un'espressione rimasta famosa, Isacco mormorò: «La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù» (Gen 27,22). Anche dopo aver mangiato la carne e bevuto il vino, Isacco forse aveva qualche dubbio. Ma quando chiese al figlio di baciarlo prima di ricevere la benedizione, fu convinto dall'odore degli abiti di Esaù, che erano impregnati delle fragranze naturali dei campi e dei boschi. E così, involontariamente, Isacco diede la sua benedizione patriarcale al figlio minore. Secondo le credenze del tempo, la benedizione, una volta pronunciata, non poteva più essere ritirata o trasferita. Per la seconda volta, Giacobbe era riuscito a sottrarre a Esaù la maggior parte dell'eredità naturale che gli spettava in quanto figlio maggiore.
Nel caso specifico di quella importante famiglia, la benedizione aveva un significato enorme. Non solo essa includeva il diritto di ereditare la terra di Canaan, ma trasmetteva anche la promessa divina di diventare il patriarca dell'intera nazione di Israele, la promessa fatta inizialmente ad Abramo e riaffermata a Isacco. L'inganno stesso di Giacobbe fu il compimento del piano divino; le manchevolezze del suo carattere non costituirono un ostacolo al disegno a lungo termine che Dio aveva formulato per il suo popolo eletto.
Saputo l'accaduto, Esaù, furioso, minacciò di uccidere il fratello subito dopo che il padre fosse morto. Allora Rebecca decise di mandare Giacobbe lontano dal pericolo. Con il pretesto che il suo secondogenito non doveva sposare una ragazza cananea, come aveva già fatto Esaù, esortò Isacco a mandare il giovane presso suo fratello Labano, in Paddan-Aram, la regione a nord della Mesopotamia dove ella aveva vissuto da giovane. Il marito acconsentì, concedendo questa volta volontariamente la sua benedizione a Giacobbe.
Per la riflessione:
Ø L’imbroglio
di Giacobbe: Giacobbe prende il posto di Esaù che aveva
venduto la sua primogenitura.
Cosa comporta in me
“essere il primogenito tra molti fratelli” come Gesù? Quale responsabilità?
Quali sono i miei imbrogli anche con il Signore? In che cosa imbroglio
me stesso? Perché lo faccio? Ho paura di sentirmi secondo a qualcuno
con Dio?
Ø La benedizione
di Isacco: la benedizione è espressa in termini agresti.
Anche noi siamo benedetti dal Signore.
Cos’è benedizione
per me, nella mia vita? Come Dio ci concede la sua benedizione? Come nella
mia vita serviamo il Signore? Come realizzo nella mia vita l’adorare il
Signore e il prostrarmi davanti a lui? Davvero il Signore è il Dio
della mia vita? Qual è il mio rapporto con questo Dio, il Dio d’Abramo,
di Isacco e di Giacobbe?
La meditazione non
è fine a se stessa, ma tende a farmi entrare in dialogo con Gesù,
a diventare preghiera.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa,
per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune
frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno
fatto meditare. Se sei in difficoltà, puoi pregare così:
Sii benedetto!
Sii benedetto, o Dio,
che sei così
grande,
così luminoso
e così buono.
Sii benedetto, o Dio,
per essere Colui ch'è
e che non prende niente
da nessuno,
non riceve niente
da nessuno.
Sii benedetto
perché sei
solo intelligenza e amore,
una luce immateriale
che nulla potrebbe
oscurare,
una bontà che
nulla
potrebbe mai impicciolire.
Sii benedetto, o Dio,
perché stai
al di là
del mio sguardo
e tuttavia stai in
cima alla mia fede
e al mio amore.
Sii benedetto, o Dio,
perché sei
l'infinito
che si apre a me
e sei la beatitudine
che mi chiama.
(Lebret)
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarsi raggiungere
dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi.
È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver
toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
SUI PASSI DEI MAGI
Che i Magi ci indichino
la strada
per questo anno 2005!
Come loro,
mettiamoci in cammino,
con fiducia,
anche se non conosciamo
ancora
la traccia della nostra
avventura
Come loro leviamo gli
occhi
alla luce che viene
dall'alto e lasciamo
che una stella rischiari
i nostri passi.
Mettiamoci in ricerca,
senza tante certezze,
e come loro scopriamo
nella debolezza
i segni di una presenza.
Offriamo i nostri doni:
la preghiera, il rispetto
di ogni uomo,
perché possiamo
piacere a Dio e agli uomini.
Affrontiamo ogni nuova
strada
che l'esperienza ci
propone,
lasciamoci scomodare
dai bisogni del mondo.
Che questo anno 2005
sia un cammino fraterno
sui passi dei Magi
che ci porti a Colonia
alla GMG 2005
per adorare il Signore
e, di lì, testimoniarlo
a tutti.
Per Cristo, con Cristo
e in Cristo
a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità
dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria
per tutti i secoli
dei secoli.
ACTIO
Mi impegno a vivere un versetto di questo brano, quello che mi ha colpito
di più nella meditatio, che ho ripetuto nell’oratio, che ho vissuto
come adorazione e preghiera silenziosa nella contemplatio e adesso vivo
nell’actio.
Si compie concretamente
un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è
meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia della Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!