RITIRO ON LINE
febbraio - 2006  

 

 

 

NON CI INDURRE IN TENTAZIONE

MA LIBERACI DAL MALE

 

“La mia miseria è con me una cosa

da cui un miracolo ha tolto il peso”

(Raissa Maritain)

 

“Signore…”

Signore, ho peccato,

ho fatto quello che è male ai tuoi occhi,

ho mancato alla legge dell'amore.

Tu conosci la mia debolezza,

il bene mi attrae ma il male mi trascina.

Tu che conosci il mio presente e il mio futuro,

aiutami a dire ogni giorno il sì della verità,

ad evitare il no della facilità.

Sono qui davanti a te, o Signore, povero e senza valore,

debole e sconvolto nel corpo e nello spirito.

Il peccato mi ha reso triste, l'amicizia con te si è indebolita,

la comunicazione con gli altri si è resa difficile.

Sono qui davanti a te, perché tu mi ami ancora;

nel peccato non mi abbandoni, e mi dai il tuo perdono.

Ridonami, o Signore, la gioia della speranza

e mostrami il cammino sicuro che porta a te.     (P. Maior)

 

 

Introduzione:

I Salmi: scuola di preghiera

Preghiamo spesso con i Salmi. Vorrei mettere in luce come i Salmi siano un modello da cui imparare cosa significa pregare e come pregare nel modo giusto. I Salmi sono Parola di Dio che Dio stesso ci “presta” per pregarlo.

 

Þ     I Salmi: una preghiera che sgorga dalla vita.

I Salmi non sono una preghiera a lato della vita, bensì una preghiera che si spalanca sulla vita, che si innerva sul quotidiano, sostenendolo e alimentandolo; per questo non risultano una larva evanescente, ma un’espressione corposa, sanguigna, saporosa com’è appunto il concreto della vita. I Salmi ci insegnano a trasformare tutto in preghiera, a saldare la fede con la vita. Fra i tanti metodi e tecniche escogitati ai nostri giorni per ri-apprendere l’arte di pregare, i Salmi hanno l’incomparabile superiorità di insegnarci la semplicità di prendere l’uomo così com’è, lì dov’è e dirgli: prega! Non credere che per pregare devi rivestirti di abiti speciali. La prima cosa che Dio ti chiede è quello di essere vero, di essere sincero, senza autodifese. La preghiera che devi imparare è quella di dire a Dio la tua vita semplicemente, fosse anche dal fondo più buio del dubbio o dell’angoscia, della tentazione o del peccato.

 

Þ     I Salmi: una preghiera che si radica in una comunità e in una storia.

La preghiera dei Salmi, pur sgorgando dalla vita, e pur avendo quindi connotati molto personali, non è mai privatistica, si distingue invece per un legame intimo con la comunità e la storia d’Israele. Anche quando è un singolo che prega, egli si sente sempre membro di un culto organico, rivive in sé il cammino di tutta la comunità, si sente parte di un’unica storia che, per il dono dell’alleanza, ha stretto Israele in un’unica parentela con Dio e con ciascuno dei suoi membri che vi sono inclusi. L’uomo dei Salmi perciò, per quanto travagliato e desolato interiormente, non si sente mai del tutto isolato e smarrito, sa di essere con tutto il suo popolo dentro un mistero di elezione e di promessa da parte di Dio che non verrà mai meno, anche quando tutte le apparenze del momento sembrano testimoniare il contrario. È un’altra lezione per noi, per risvegliare la nostra identità di membri del popolo di Dio. Sentirci Chiesa e quindi dilatare gli spazi del nostro cuore. I Salmi ci insegnano a non pregare solo per noi stessi e a non pretendere di esprimere solo noi stessi nella preghiera ma di vivere invece il senso di comunione e di coralità che caratterizza la preghiera dell’uomo dell’AT. Nei Principi e Norme della Liturgia delle Ore si legge: “Chi recita i salmi nella Liturgia delle Ore, li recita non tanto a nome proprio quanto a nome di tutto il Corpo di Cristo, anzi nella persona di Cristo stesso. Se ciascuno tiene presente questa dottrina, svaniscono le difficoltà, che chi salmeggia potrebbe avvertire per la differenza del suo stato d'animo da quello espresso nel salmo, come accade quando chi è triste e nell'angoscia incontra un salmo di giubilo, o, al contrario, è felice e si trova di fronte a un canto di lamentazione. Nella preghiera puramente privata si può evitare questa dissonanza, perché vi è modo di scegliere il salmo più adatto al proprio stato d'animo. Nell'Ufficio divino, invece, si ha un determinato ciclo di salmi valevole per tutta la comunità ed eseguito non a titolo personale, ma a nome di tutta la Chiesa, anche quando si tratta di un orante che celebra qualche Ora da solo. Chi salmeggia a nome della Chiesa può sempre trovare un motivo di gioia o tristezza, perché anche in questo fatto conserva il suo significato l'espressione dell'Apostolo: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12, 15) e così la fragilità umana, ferita dall'amor proprio, viene risanata nella misura di quella carità per la quale la mente concorda con la voce che salmeggia” (n.° 108).

 

Ascolto della Parola di Dio

 

Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane”. Gesù gli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo”. Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: “Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo”. Gesù gli rispose: “Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai”. Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano” e anche “essi ti sosterranno con le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra”. Gesù gli rispose: “È stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo”. Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato. (Lc 4,1-13)

 

Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse. (Gv 17, 1-5)

 

Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. (Gv 17,12-19)

 

 

 

Noto innanzitutto che le due ultime invocazioni del Padre Nostro, per essere meglio capite, vanno tenute legate fra loro. L’una aiuta a spiegare l’altra. Entrambe presuppongono un dato di fatto: l’uomo è il campo di battaglia in cui quotidianamente s’affrontano le forze del bene e del male, forze che fanno capo a due soggetti ben precisi: Dio e il demonio. La posta in gioco di questa lotta, il motivo di scontro è ancora l’uomo, e più precisamente l’impiego della sua volontà. In questa lotta l’uomo non è spettatore; egli è chiamato a schierarsi, a scegliere l’uno o l’altro fronte, a combattere a fianco di Dio o di Satana. Questo combattimento è ininterrotto e quotidiano; tuttavia ci sono dei momenti in cui questa lotta conosce delle punte d’asprezza eccezionali. La Bibbia chiama questi momenti: tentazioni, prova, «ora». Persino Gesù li ha vissuti. È singolare che nel vangelo di Giovanni questa situazione drammatica sia designata come «l’ora della tenebre», «l’ora del Padre», e la «sua ora».

In questa luce la prova, la tentazione, appare come il momento della verità, del collaudo, in cui si è costretti ad uscire allo scoperto, a manifestare l’atteggiamento profondo del cuore, ad esprimere se stessi e la propria scelta, senza maschere e sotterfugi: bene o male, Dio o Satana.

 

 

 

Per la riflessione…

 

Þ     «Non ci indurre in tentazione»: questa traduzione può suonare equivoca. Non è che Dio ci induca artificiosamente in tentazione, quasi fosse curioso di vedere come ce la caviamo! In un certo senso Dio non può non permettere la tentazione, in quanto avendoci creato liberi, è “obbligato” a lasciare a noi la responsabilità di deciderci liberamente per il bene. Ci sono delle ore e delle circostanze talmente importanti e cruciali che in esse si può decidere e determinare l’orientamento di tutta una vita. Il «non indurci in tentazione» significa: «Signore, non permettere che nella prova, in questi momenti decisivi della vita, noi ci separiamo da Te, usando male la nostra libertà».

Nella Bibbia troviamo dei mezzi che ci fanno superare la tentazione. Ne evidenzio tre atteggiamenti.

Innanzitutto l’atteggiamento di umiltà. San Paolo ci dice: «Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1Cor 10,12). Non bisogna presumere di sé, non credersi inattaccabili, inossidabili, non bisogna ritenere superflua ogni regola di elementare prudenza. Collegato all’umiltà, l’atteggiamento di vigilanza e di preghiera. «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione» (Mt 26,41) ci dice Gesù. Infine il ricorso alla Parola di Dio. Nella brano delle tentazioni, Gesù combatte le insinuazioni del diavolo a suon di citazioni bibliche: «Sta scritto…».

 

Þ     «Liberaci dal male»: il termine male traduce una parola greca che può designare sia il male in genere, dunque una realtà di per sé impersonale, sia il Maligno, quello che la Bibbia chiama a volte il Diavolo, a volte Satana. Pregando: «liberaci dal male», noi intendiamo riferirci ad entrambe le realtà.

Il Diavolo è una realtà personale nemica dell’uomo. Il Magistero della Chiesa ha ribadito con vigore questa verità drammatica. Coloro che si professano superman della cultura moderna «radical-chic» ci ridono su beffardamente, ma è semplicemente un tentativo per esorcizzare una realtà di cui hanno un’enorme paura. Gesù, poco prima di morire, ha pregato: «Padre, non ti chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno» (Gv 17,15). E San Pietro ci mette in guardia: «Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede» (1Pt 5,8).

Il diavolo trova molti complici che lo aiutano in questa opera devastatrice. I primi suoi alleati siamo noi stessi. C’è in noi un’inclinazione al male, una spinta che talvolta sembra irresistibile e che faceva esclamare San Paolo: «C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,18-19). San Giacomo a sua volta notava: «Ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce» (Gc 1,14). Molti altri alleati del diavolo sono disseminati fuori di noi. San Paolo parlava di essi in termini di «principati, potestà, spiriti del male» (Ef 6,12). Lungo la storia, l’azione del male si evidenzia attraverso personaggi, organizzazioni, centrali di potere che sono come l’incarnazione del demoniaco nel mondo: penso ad esempio ai mercanti di droga, di pornografia, di prostituzione, di feti umani; penso agli aguzzini in tutti i campi di sterminio in tutto il mondo, agli agenti di tanti ignobili sfruttamenti dell’uomo… Non sono forse queste delle manifestazioni storiche e concrete del Maligno? Da tutto questo chiediamo al Signore di essere liberati.

Il Padre Nostro termina su toni funerei, che inducono all’ansia, alla paura, che insinuano la resa e la sconfitta? No, la finale del Padre Nostro non è pessimista, è semplicemente realista. Il rischio per l’uomo di perdersi, di fallire, di soccombere è qualcosa di molto concreto, da non prendere alla leggera. Ma con altrettanto realismo abbiamo diritto di ribadire la nostra fiducia e la nostra speranza, perché all’interno di questo mondo minaccioso, infestato di potenze ostili, il cristiano sa di poter contare sull’aiuto costante di Dio, la cui onnipotenza si è manifestato nella Risurrezione di Cristo: «Il Padre ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1,13). È proprio la preghiera pronunciata nello Spirito di Gesù che ci consente di superare, di essere «supervincitori» nei confronti delle forze del male, sfuggendo sia ad una paura paralizzante, sia ad una falsa sicurezza.

 

Þ     «Amen»: il Padre Nostro lo facciamo terminare con l’Amen. Questa parolina ebraica, che tante volte ritroviamo nelle nostre preghiera, merita un breve commento. In genere traduciamo l’Amen con il «così sia», il che non è inesatto, ma può essere incompleto. L’Amen è innanzitutto l’attestazione di fede. «È così», «tutto questo è vero, corrisponde a realtà», per cui, ecco la conseguenza: «voglio su questa verità-realtà conformare e radicare la mia vita, di modo che tutto quello che sono e faccio dalla verità-realtà tragga fisionomia, timbro, tonalità».

Terminando il Padre Nostro con l’Amen noi affermiamo: «Padre, tutte le invocazioni che ti abbiamo rivolte si realizzino: così sia! In queste invocazioni, noi riconosciamo la verità, il senso ed il valore della nostra vita. Vogliamo che essa incarni ed esprima ogni giorno quanto ti abbiamo chiesto nella preghiera».

 

 

Per la preghiera…

Dio onnipotente,

Padre misericordioso e Signore buono,

abbi misericordia di me peccatore.

Perdona i miei peccati.

Fa' che io sia vigile, che vinca tutte le insidie,

le tentazioni e i pericolosi diletti;

che io eviti completamente col pensiero e con l'azione ciò che tu proibisci,

che io esegua e rispetti ciò che tu ordini.

Fammi credere, sperare, amare, vivere ciò che sai e vuoi,

quanto e come lo sai e lo vuoi.

Fa' che io abbia la compunzione della pietà e dell'umiltà,

giusta astinenza e mortificazione della carne,

per amare te, per pregarti, lodarti e meditarti.

(S. Anselmo d’Aosta)

 

 

Per il mese…

 

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

 

Cerco ogni giorno di trovare un po’ di tempo per pregare, anche solo per ruminare la frase che il Signore mi ha indicato nella riflessione.

 

Prego con la Liturgia della Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

 

Concludo il momento di preghiera recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

 

Arrivederci!