Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.
Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, il Segno che mi è stato donato nel Battesimo e che mi contraddistingue come cristiano.
“Accogliendo ora la sua Croce gloriosa, quella Croce che ha percorso insieme ai giovani le strade del mondo, lasciate risuonare nel silenzio del vostro cuore questa parola consolante ed impegnativa: <Beati…>”.
[XVII GMG Toronto, Festa di accoglienza dei giovani, Discorso di Giovanni Paolo II, 25 Luglio 2002]
“Il Dio, diventato agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini.”
[S. Messa di inizio del Ministero Petrino, Omelia di Benedetto XVI, 24 Aprile 2005]
Invoco lo Spirito Santo:
Vento del Suo Spirito che soffi dove vuole, libero e liberatore,
vincitore della legge, del peccato e della morte... Vieni!
Vento del Suo Spirito che alloggiasti
nel ventre e nel cuore di una cittadina di Nazareth... Vieni!
Vento del Suo Spirito che ti impadronisti di Gesù
per inviarlo ad annunciare una buona notizia ai poveri
e la libertà ai prigionieri... Vieni!
Vento del Suo Spirito che ti portasti via nella Pentecoste
i pregiudizi, gli interessi e la paura degli Apostoli
e spalancasti le porte del cenacolo
perché la comunità dei seguaci di Gesù
fosse sempre aperta al mondo, libera nella sua parola
coerente nella sua testimonianza
e invincibile nella sua speranza... Vieni!
Vento del Suo Spirito che ti porti via sempre le nuove paure della Chiesa
e bruci in essa ogni potere che non sia servizio fraterno
e la purifichi con la povertà e con il martirio... Vieni!
Vento del Suo Spirito che riduci in cenere la prepotenza, l'ipocrisia e il lucro
e alimenti le fiamme della giustizia e della liberazione
e che sei l'anima del Regno... Vieni!
Vieni o Spirito perché siamo tutti vento nel tuo Vento,
vento del tuo Vento,
dunque eternamente fratelli.
Veni, Sancte Spiritus
Veni, per Mariam.
Contemplo i segni della Passione che sono impressi nel Crocifisso.
“Raccolti intorno alla Croce del Signore, guardiamo a Lui…”
[XVII GMG Toronto, Festa di accoglienza dei giovani, Discorso del Santo Padre, 25 Luglio 2002]
19 È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente; 20 che gloria sarebbe infatti sopportare il castigo se avete mancato? Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. 21 A questo infatti siete stati chiamati, poichè
anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme:
22 egli non commise peccato
e non si trovò inganno sulla sua bocca,
23 oltraggiato non rispondeva con oltraggi,
e soffrendo non minacciava vendetta,
ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia.
24 Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato,
vivessimo per la giustizia;
25 dalle sue piaghe siete stati guariti.
Eravate erranti come pecore,
ma ora siete tornati al pastore
e guardiano delle vostre anime.
Parola di Dio
La Parola di Dio scritta nella Bibbia si legge con la penna e non soltanto con gli occhi!
“Lettura” vuol dire leggere il testo sottolineando in modo da far risaltare le cose importanti.
È un’operazione facilissima, che però va fatta con la penna e non soltanto pensata.
MEDITATIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro on line: “Il Grande Silenzio”! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Anche la pazienza, quella vera è frutto dello Spirito. Cioè si tratta di un atteggiamento che il Signore attiva in noi e ben si coniuga con gli atteggiamenti che già abbiamo preso in considerazione: l'amore, la gioia, la pace.
Prima di tutto, dunque, bisogna sgombrare il terreno da preconcetti sulla pazienza. Affermiamo cioè con forza che la pazienza cristiana non è quella di chi è "paziente come un asino" che significa: impotente a vendicarmi di un male ricevuto me ne sto rassegnato, inerte.
La pazienza è forza, vigore spirituale nel sopportare cose moleste, coraggio nel soffrire ma perché, come vedremo, in Gesù è altissima espressione d'amore la pazienza è coraggio di soffrire bene.
Contesto:
Dopo aver detto che il cristiano è chiamato a vivere i suoi doveri civici rispettando le autorità e le leggi dello stato, San Pietro si rivolge agli schiavi che rappresentavano una parte notevole della società di quel tempo e che venivano spesso maltrattati. Nel raccomandare loro un atteggiamento di pazienza, l'Apostolo non si limita agli schiavi, ma abbraccia la condizione generale dei cristiani. Sì, in forza della sua vocazione, il seguace di Cristo è in grado di vivere come "grazia" l'ora della sofferenza non causata dai suoi errori ma da ingiusti maltrattamenti. E la può vivere come "una grazia davanti a Dio" (20b) solo per un motivo molto forte che qui fa da perno attorno a cui è costruito il brano: "Anche Cristo patì per voi lasciandovi un esempio: Egli non commise peccato eppure oltraggiato non rispondeva con oltraggi […] ma rimetteva la sua causa a Dio".
Approfondimento del testo:
v. 19 “È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente”.
Il termine "grazia" (charis) è molto importante qui e in tutta la lettera di Pietro, ed è associato a "salvezza" (soteria) ed a "vita". Il fatto di soffrire ingiustamente non deprime il cristiano, proprio perché, per grazia, egli entra in quel rapporto vitale d'amore che è la conoscenza di Dio-Amore, la cui volontà è salvezza. È qui che la pazienza cristiana si differenzia dall'impassibilità degli stoici. Il cristiano soffre per amore. È la grazia di Dio a sostenerlo, non un presunto eroismo.
v. 20 “Che gloria sarebbe sopportare il castigo se avete peccato, ma se facendo il bene e soffrendo sopporterete con pazienza, ciò sarà una grazia davanti a Dio”.
Ciò che a Pietro preme chiarire è che la bellezza spirituale (=gloria) del vivere con pazienza il dolore non deriva dal fatto di soffrire. Proprio quando hai chiara coscienza che il dolore non ti viene da una tua colpa ma ti è piombato addosso senza che tu l'abbia causato, esso diventa prezioso: veramente "grazia davanti a Dio". Brilla in esso lo splendore di "un sacerdozio santo e regale" che offre sacrifici per il mondo, come dice, sempre in questa lettera, San Pietro (cf 1 Pt 2,5-9).
v. 21a “a questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo soffrì per voi lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme”.
Ecco: il motivo della forte chiamata a soffrire con pazienza, senza vendette e ribellioni, sta nel fatto che il Figlio di Dio, assolutamente innocente, portò tutto il peccato del mondo proponendo uno stile di non-violenza in cui riluce l'amore, da seguire e da vivere alla stessa maniera.
v. 22 “Egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca”.
Nel vangelo di Giovanni, Gesù sostenendo l'urto violento e subdolo dei suoi provocatori, li interroga: "Chi di voi mi convincerà di peccato?" (Gv 8,46). Ha detto di se stesso di essere la "Verità" in persona (cf Gv 14,6). Gesù è davvero il fulgore dell'infinita innocenza di Dio. Proprio questo esprime, in forza di assoluto contrasto, l'orrore dei suoi patimenti ingiusti e dell'assurdità della sua condanna a morte di croce. Qui e nei versetti che seguono, gli esegeti colgono il residuo di un antichissimo inno cristiano inglobato da Pietro in questa sua lettera. È un inno che s’ispira al canto del servo sofferente di Javeh descritto da Isaia (53,1-12). Quel "servo" da lui profetizzato è Gesù di Nazareth.
v. 23 “Oltraggiato non rispondeva con oltraggi e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia”.
Viene così sottolineato l'atteggiamento spirituale del servo innocente umile non violento e dunque pazientissimo nel subire percosse e angherie. Il suo è atteggiamento esemplare anche da un altro punto di vista: il suo rimettere non solo il suo caso giuridico a Dio ma il suo offrirsi, vittima innocente, a quell’ira di Dio che è l'impossibilità da parte di Dio di accogliere il peccato, il male. Com'è impossibile al sole di unirsi ed essere una cosa sola con le tenebre della notte.
v. 24a “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato vivessimo per la giustizia”.
Qui San Pietro, utilizzando ancora l'antico inno, c'immerge nell'aspetto pienamente redentivo del mistero pasquale. Gesù fece talmente suo il peso dei nostri peccati da diventare egli stesso “il maledetto” (Gal 3,13). E fu questo il prezzo altissimo del nostro essere liberi di vivere per la giustizia che qui ha il senso profondo e ampio della santità che è vera se è amore: pazienza di amore.
v. 24b “Dalle sue piaghe siete stati guariti”.
Questa espressione riprende alla lettera il testo di Isaia: “Si è abbattuto su di lui il castigo che ci dà salvezza; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,5). È dunque possibile acquisire questa consolante certezza: ciò che Isaia ha contemplato nella sua prefigurazione profetica è verità verificabile da noi quando, con profonda fede, contempliamo il crocifisso. Così nel testo di Pietro cogliamo con evidenza che Gesù "ha preso su di sé i peccati non come la vittima espiatoria e sostitutiva ma come il SERVO solidale e fedele. Grazie alla sua immersione nella sua umanità storica (=corpo) vissuta nella forma estrema della morte infamante della croce, egli ha strappato i fedeli dalla situazione di peccato e ha reso possibile l'attuazione della volontà di Dio: la giustizia" (R. Fabris).
v. 25 “Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e custode delle vostre anime”.
Sia l'immagine delle pecore erranti e quindi nella china della perdizione, sia l'immagine del ritorno e del pastore sono eminentemente bibliche e cariche di connotazioni messianico-salvifiche. Il pastore nell'Antico Testamento è Dio (cf Sal 22(23); Ger 23,1-4; Ez 34,23-25; Zc 11,4-7; 13,7-9). Nel Nuovo Testamento Gesù riferisce a sé la figura del pastore in ordine alla sua missione che è appassionata ricerca dell'uomo perché abbia, da Lui, salvezza.
Meditatio
Dentro una società violenta come la nostra è tanto facile che s'inneschino processi d'intolleranza, di rifiuto acceso di odio o rancore, brandendo come spada le pseudo ragioni e pseudo verità in difesa dei propri diritti: veri o presunti. La pazienza, frutto dello Spirito, può essere anch'essa o rifiutata o disattesa: come un abito vecchio per gente abulica o rassegnata o vile e comunque senza nerbo. Niente di più falso! Certo non è la rassegnazione al dolore a segnare vittoria e crescita nel cammino umano-spirituale. Il dolore, in sé, non è redentivo; in sé non è bene. Neanche - attenzione! - mediante un riferimento estrinseco alla croce di Cristo. Anzi, può degenerare in vittimismo, nel meccanismo masochistico - autopunitivo, o in "malato" compiacimento del proprio ego, sempre incompreso da tutti, sempre ingiustamente sotto processo.
Solo il percepirsi uniti a Cristo Crocifisso-Risorto trasforma il pazientare dentro una situazione di dolore e forse anche di ingiustizia in una scelta di amore liberante, che abbraccia anche colui che ci è causa di dolore. È questo il segreto della pazienza. E proprio dalla pazienza, frutto dello Spirito, si misura l'amore: quello vero! Così l'amore diventa redentivo perché nasce dall'inenarrabile forza della croce di Cristo, operante anche in me se credo e soffro amando, con Lui e come Lui.
"Giustizia e pace si baceranno" canta il salmista. Se la nostra giustizia è l'esercizio costante di una pazienza che è vigore dello Spirito in noi, anche la sofferenza diventa positività. È infatti nell'abbarbicarmi alla croce di Cristo che trovo vigore. Come il muschio e il lichene abbarbicati all'albero, senza del quale muoiono.
Qui, soltanto qui è la pace: per noi e per quanti ci circondano.
Ø Sono facile a irritarmi, a reagire con intolleranza a quanto mi fa soffrire? Mi lascio andare ai miei moti d'impazienza? Quali sono, in genere, le cause scatenanti?
Ø Ho capito che la pazienza esprime il vigore della persona, il suo diventare capace di amore, quando si lascia possedere dallo Spirito Santo Amore? Perciò prego con insistenza per ottenere ciò?
Ø Sono forse una persona sempre in balia della paura di soffrire? Oppure vado comprendendo che se guardo Gesù crocifisso se gli chiedo aiuto per soffrire insieme con lui dentro il mio pazientare la sofferenza stessa si trasforma da veleno in rimedio?
La meditazione non è fine a se stessa, ma tende a farmi entrare in dialogo con Gesù, a diventare preghiera.
ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
È importante che contempli l'immagine di Gesù crocifisso
o, almeno, io la venga evocando nell'intimo del cuore.
Lascio anche emergere la mia storia in quello che ha di sofferenza, di tribolazione, di prova.
Prego così:
Sono qui, Gesù,
con tutta semplicità a esporre le mie ferite fisiche e spirituali a te.
Io credo che tu puoi trasfigurarle.
Ripeto poi più e più volte la Parola biblica:
"Dalle tue piaghe io sarò guarito".
Chiedo anche allo Spirito Santo che maturi in me la pazienza
verso eventuali persone che mi fanno soffrire.
Chiedo di ottenere da Lui l'atteggiamento dell'amore vero
di cui S.Paolo dice: "l'amore tutto sopporta" (1 Cor 13,7).
CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarsi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo
a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria
per tutti i secoli dei secoli.
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questo brano, quello che mi ha colpito di più nella meditatio, che ho ripetuto nell’oratio, che ho vissuto come adorazione e preghiera silenziosa nella contemplatio e adesso vivo nell’actio.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia della Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!