Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c'è tregua per me. Sei proprio tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai affidato al seno di mia madre. |
Non stare lontano da me perché l'angoscia è vicina e non c'è chi mi aiuti. Mia forza, vieni presto in mio aiuto. (dal salmo 22) |
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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Le ore del giorno scorrono rapide. Impossibile fermarle.
Il credente però le può «redimere».
Continuano le lectio liberamente tratte da alcune riflessioni di don Davide
Caldirola, sacerdote della Chiesa di Milano.
Buona meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.
(Luca
24,13-35)
13Ed
ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di
nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme,
14e
conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
15Mentre
conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con
loro.
16Ma
i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
17Ed
egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo
il cammino?». Si fermarono, col volto triste;
18uno
di loro, di nome Cleopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non
sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?».
19Domandò
loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu
profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo;
20come
i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo
condannare a morte e lo hanno crocifisso.
21Noi
speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono
passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.
22Ma
alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla
tomba
23e,
non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una
visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.
24Alcuni
dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne,
ma lui non l’hanno visto».
25Disse
loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!
26Non
bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua
gloria?».
27E,
cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò
che si riferiva a lui.
28Quando
furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare
più lontano.
29Ma
essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al
tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
30Quando
fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede
loro.
31Allora
si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.
32Ed
essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli
conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
33Partirono
senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici
e gli altri che erano con loro,
34i
quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».
35Ed
essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto
nello spezzare il pane.
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
“Rimani con noi:
l'ora del desiderio”
(Arcabas)
Resta con noi
La Sacra Scrittura è piena di preghiere brevissime, semplicissime, che vanno
diritte al cuore perché partono dal cuore, e non hanno bisogno di grandi
interpretazioni perché la loro semplicità è la loro ricchezza.
«Resta
con noi»
(v29); rimani; non te ne andare. Chissà quante volte abbiamo pronunciato parole
così, magari in contesti di vita quotidiana: al termine di una serata passata
insieme a un amico, o dopo un'esperienza di vacanza o di condivisione, o in
maniera più struggente di fronte a un inevitabile addio. Non lasciarmi, tienimi
compagnia, resta insieme a me. E’ la commovente forza di una richiesta che
sprigiona dal desiderio dell'uomo
di trovare compagnia e tutto il suo timore di rimanere solo, senza nessuno.
Resta con noi, cosa faremo senza di te? Chi nella vita si è trovato a vivere una
separazione lacerante, chi ha sofferto per il brusco e inatteso finale di una
relazione promettente, chi ha pagato un prezzo alto alla realtà della morte, sa
bene che parole così semplici sono pesantissime, in realtà, e non si possono
pronunciare se non a prezzo di un grandissimo dolore.
Noi oggi le vogliamo raccogliere e rileggere provando a guardarle per ciò che
sono: l'espressione di un desiderio più grande dell'uomo stesso, di una domanda
che rimanda direttamente alla nostra sete di assoluto. Perché tutto quanto è
bello deve finire?
Rimani con noi perché le cose belle devono durare per sempre.
Con i discepoli di Emmaus: il racconto
Abbiamo raccolto questa invocazione dalla bocca dei discepoli di Emmaus. Abbiamo
bisogno di riprendere a grandi linee il loro percorso, il loro viaggio.
L'invocazione che fiorisce sulle loro labbra alla fine di una giornata concitata
e difficile, non nasce per caso ma al termine di un vero e proprio percorso di
vita, di una faticosa apertura della mente e del cuore. Proprio per questo è in
grado di esprimere un desiderio vero, non un capriccio, una tensione reale, non
il cedimento a un'infatuazione momentanea. I desideri sono una cosa seria!
Il cap. 24 di Luca ci presenta i due discepoli, all'inizio della loro fuga da
Gerusalemme, «col
volto triste», mentre discutono insieme. Non è la prima volta che
troviamo il «volto
triste» in Luca. La stessa parola si trova in 18,23 a proposito
del ricco notabile (più noto come il «giovane ricco»). Ci sono sicuramente dei
tratti di somiglianza in questa tristezza. È legata alle speranze deluse. Sia
nel caso del notabile che in quello dei discepoli, la figura di Gesù e
l'incontro con lui diventano oggetto di delusione, tanto più amaro quanto più
grande era la speranza posta in Lui.
Ma la delusione non dipende da Gesù: piuttosto da una distanza, da una
incomprensione che alberga nel cuore dei discepoli come del notabile. Ci sono in
entrambi i casi false speranze, fraintendimenti che portano a non comprendere la
vicenda di Cristo. Ci sono attaccamenti sbagliati a cui non si intende
rinunciare. Per il notabile erano le ricchezze, per i discepoli è la convinzione
di avere capito chi fosse Gesù senza conoscerlo davvero, la pretesa di
determinare loro come debba agire il Messia e che cosa sia venuto a fare. E la
tristezza diventa amarezza inconsolabile. I discepoli come il notabile rimangono
fisicamente con Gesù, davanti a lui, ma nello stesso tempo non si fanno
raggiungere da Lui.
Ascoltare
Di fronte a questa estraneità, il Signore inizia ad ascoltare:
«Che
cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?».
Non ha premura di chiarire, di parlare, di spiegare. Compie senza fretta il
passaggio decisivo dell'ascolto del racconto dell'altro, permette ai discepoli
di aprire il cuore e di parlare. Gesù favorisce il racconto, è capace di
domandare e tacere, di non giudicare e di valorizzare ogni frammento.
Spesso invece gli uomini non “si raccontano”, dubitano della possibilità di
intendersi, vivono nella solitudine di storie che non si parlano.
Offrire relazioni di ascolto è un servizio che ridona dignità alla vita scartata
e alle storie che non hanno nessuno che le ritenga degne di valore. Gesù appare
come un viandante che si fa compagno di strada dei nostri racconti. Non teme di
perdere il tempo ad ascoltare, anzi gli è indispensabile partire dalla nostra
storia. È grande narratore, ma anche grande ascoltatore.
Raccontare
«Ciò
che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole,
davanti a Dio e a tutto il popolo;…
i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo
condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che… . Ma alcune donne,
delle nostre, ci hanno sconvolti... Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e
hanno trovato come avevano detto le donne… ma lui non l’hanno visto»
Se ascoltare è difficile, non è semplice neppure raccontare. I discepoli di
Emmaus cadono nella trappola di dire cose giuste senza coglierne il centro. Il
loro racconto è dettagliato, e nello stesso tempo sterile. Sanno bene il
catechismo, hanno imparato le risposte, non sbagliano nulla. Ma nello stesso
tempo non comprendono nulla.
C'è un modo di raccontare che è fine a se stesso, che non apre alla vita, che
chiude alla replica, che non suscita domande o desideri. Che pretende sempre di
dire tutto, di dare il quadro completo della situazione, ma che non invita al
dialogo. Che moltiplica le parole per nascondere la scarsità delle idee, che
riporta il già detto senza illuminarlo di luce nuova.
Così è il racconto dei discepoli, così talvolta è il nostro linguaggio
«ecclesiale»: intelligibile solo agli addetti ai lavori, senza umorismo né
dramma, senza fremiti, con poca passione, fatto di buone intenzioni e di «buone
parole», il più delle volte noioso e ripetitivo. Come può suscitare desideri un
linguaggio così? Come può far nascere la richiesta dei due di Emmaus: rimani con
noi?
Parlare
C'è un altro rischio, un altro modo di «bloccare» il racconto. È quando si parla
senza ascoltare. Il ruolo di chi ci sta davanti è del tutto disatteso, la sua
eventuale replica non interessa, perché tanto ho già detto tutto io. È quando si
ascolta interrompendo di continuo, senza criterio, senza legame col discorso
dell'altro. Non ritroverò mai il fratello, non comprenderò mai i suoi desideri,
perché sono troppo occupato a cercare me stesso, ad affermarmi davanti a lui.
Non arriverò a un reale contatto con lui, ma in fondo non mi interessa davvero
né lui né il contatto. Conto io, e questo mi basta...
Nella nostra esperienza quotidiana comprendiamo bene quanto un buon racconto sia
in grado di far nascere e crescere un grande desiderio. Spesso scopriamo che
dietro i nostri desideri ci sta una storia che ci ha catturato, che ci ha
avvinto, o un'immagine che ci ha ferito il cuore. Anche la fede si trasmette
così: attraverso un racconto appassionato e commosso del bene ricevuto, come un
tesoro da condividere nella gioia.
La Parola
Grazie
al racconto dei due discepoli il Vangelo di Luca inizia a tessere la trama che
troverà il suo compimento nella loro richiesta e darà consapevolezza
all'espressione del loro desiderio. Ma prima di arrivare al «Rimani
con noi» i discepoli devono affrontare un'altra tappa: devono
«mangiare la Parola», nutrirsi dell'intelligenza delle Scritture. Adesso tocca a
loro ascoltare Gesù.
“Disse
loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!
Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua
gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le
Scritture ciò che si riferiva a lui.”
Gesù critica le riflessioni che stanno facendo i due discepoli. Sono discorsi
che non portano da nessuna parte, espressione di una speranza che si è perduta,
di una parola vuota. Gesù definisce i discepoli insipienti, senza ragione, e
tardi di cuore, come chi ha un problema di brachicardia, di un battito lento del
cuore che sembra non tenere il passo.
Ci sono parole insipienti e lente,
prive di cuore e di profondità, che
mancano di ossigeno, e lasciano senza gusto e sapore.
Ci sono le parole vuote e insipide.
Sono quelle che usiamo in ascensore, parlando del tempo, come chi non vuole
esporsi, non vuole dire nulla.
Ci
sono le parole “irresponsabili”,
che non impegnano. Le parole infatti dovrebbero creare legami, sono promesse con
le quali ci dichiariamo, offriamo la nostra disponibilità o scopriamo il nostro
pensiero.
Ci sono le parole senza profondità.
Le parole per nutrire devono avere
un cuore. Un cuore libero, che sa custodire anche quello che non comprende
subito, ma che ha un peso e una verità.
Finalmente, ci sono anche le parole vere,
quelle che io ho custodito nel cuore. Le parole profonde, che chiedono il
silenzio e nascono dal silenzio. Le parole che danno gusto alla vita, quelle che
fanno nascere grandi desideri, quelle che esprimono impegno e legame profondo.
Sono
le parole passate al vaglio dell'esistenza e delle sue crisi, ed hanno assunto
una nuova profondità. Sono quelle che hanno resistito alla sfida della prova e
della morte, che sono passate da una rinascita pasquale.
Sono le parole che come un seme sono
cadute e marcite nel terreno, e per questo portano frutto.
Sono parole che vengono da lontano, che si nutrono delle Scritture, della storia
nella quale Dio stesso si è impegnato con le sue parole. E sono anche le parole
che aprono al mistero di Gesù e della sua persona. A parole così Gesù stesso si
affida, e il suo «scaldare il cuore dei discepoli» (“ardeva
forse in noi il nostro cuore”), spiegando loro le Scritture,
conduce i due di Emmaus a dimenticare la parole che non contano per affidarsi
soltanto alla forza
dell'invocazione.
L'invocazione
L'invocazione dei discepoli nasce nella sua semplicità e nella sua spontaneità
da questo lungo percorso di purificazione della parola. È così vera, così
immediata, così commovente perché
attraverso il racconto e l'ascolto si è unificata, è diventata semplice, sa e
può esprimere solo ciò che è essenziale, solo ciò che conta davvero. Rimani
con noi: il resto non ci interessa.
Perché i due discepoli chiedono a quest'uomo di restare? Lo fanno per puro senso
di ospitalità o perché qualcosa ha fatto sorgere in loro il desiderio di non
privarsi di questa compagnia? Sembra più probabile la seconda ipotesi. Durante
il cammino, ascoltando la spiegazione che quest'uomo dava delle Scritture, la
speranza è diventata più forte, la tristezza si è via via stemperata fino a
scomparire. Si comincia così a percepire la bellezza di una presenza e non si
vorrebbe perderla.
Resta
con noi!
La motivazione adottata a sostegno di questa richiesta è: «perché
si fa sera». La frase suona come un invito a trattenersi da parte
di chi si preoccupa per il viandante che dovrà affrontare la notte. E’ vero, ma
non è tutto.
In realtà, vi è un desiderio inconfessato in questa richiesta, ed è quello di
potere ancora gustare questa presenza divenuta cara, una presenza che ha vinto
la sera interiore dei due discepoli, la loro tristezza e la loro paura e ha
acceso una luce nella loro mente, dissipando i dubbi e gli interrogativi aperti.
Emerge nei discepoli il desiderio delle cose che non passano, il desiderio che
questo cammino col viandante forestiero non si interrompa, non finisca, ma in
qualche modo abbia un seguito. Sono stati catturati da qualcosa che non
capiscono appieno, ma che ha risvegliato nel loro cuore un desiderio.
Ed
ecco il gesto di Gesù che apre alla scena finale, alla rivelazione che avviene
nel segno semplice dello spezzare del pane. «Egli
entrò per rimanere con loro». Luca riprende la prima frase
soltanto. Non dice «entrò perché era sera». Si capisce dunque che la vera
ragione della richiesta era il desiderio di rimanere ancora insieme.
Questo era il desiderio dei discepoli, ma anche del Risorto: stare con i suoi
come salvatore e redentore, presenza misteriosa, fonte di gioia e di
consolazione, compimento di ogni promessa. Non si ferma perché ha paura della
notte e della strada, ma perché vuole rimanere con loro.
Lo riconobbero, ma lui sparì
Una
costante nel racconto dei discepoli di Emmaus, è quella della presenza del
Signore reale eppure inafferrabile. Durante il cammino gli occhi dei discepoli
vedono Gesù ma non sanno riconoscerlo; allo spezzare del pane lo riconoscono ma
non lo vedono più: «Sparì
dalla loro vista».
La presenza di Gesù è assolutamente vera ma non visibile. Ancora oggi lo
spezzare del pane rende il Signore presente ma non visibile nell'assemblea
eucaristica, se non sotto la forma del pane consacrato, percepibile solo
attraverso lo sguardo della fede.
Per mantenere a lungo questo sguardo i discepoli non avranno bisogno di
rimanere, ma di tornare. L'istante brevissimo in cui vedono e riconoscono il
Signore, e che concentra e conclude tutto il loro itinerario di fede, chiede di
dilatarsi in un ritorno a Gerusalemme carico di speranza e di desiderio.
Per riconoscere Gesù bisogna che lui possa sparire. Anche per rivelare con
chiarezza che lo spazio del suo riconoscimento non coincide mai con lo spazio
del possesso, come se lo potessimo trattenere a nostro piacimento.
La densità dell'istante del riconoscimento si dispiega in una vita carica di
gratitudine. La forza di quell'unico momento («Non
ardeva forse in noi il nostro cuore...? »), si trasforma in una
lunghissima, interminabile sequenza di altri momenti, che ne sono il
prolungamento e l'esito:
“Partirono
senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme”.
Il desiderio dei discepoli si dilata e si purifica, apre a nuovi desideri, a
nuovi incontri, a nuove parole di
benedizione e gesti d'amore.
La parola per la mia vita: il desiderio delle cose che non passano
Una pagina così densa e così struggente dice molto alla nostra vita di oggi!
Anzitutto interpella il nostro cammino di Chiesa. Un cammino che non può essere
animato da desideri poveri, che ha bisogno di essere attraente e invitante senza
usare esche per attirare, ma provando a suggerire domande vere e risposte
credibili. A lasciare entrare nei cuori degli uomini grandi desideri. In altre
parole, vivere nella Chiesa significa maturare l'attitudine a far nascere nel
cuore degli uomini il desiderio delle cose che non passano.
E
qui purtroppo occorre riconoscere tutte le nostre lacune e le nostre mancanze. I
gesti che poniamo, talvolta sono gesti che hanno la pretesa di dire tutto, di
spiegare tutto, di rendere tutto disponibile, a portata di mano. Sembra che
abbiamo appannato il senso della bellezza, dei segni che hanno la forza di
evocare, di ridestare un gusto, un'attrazione.
Prevale nelle nostre riunioni, nelle nostre catechesi, la dimensione
“economica”, funzionale. Si deve sempre «portare a casa qualcosa».
Non sarebbe già molto se qualcuno scoprisse il gusto delle cose da non portare a
casa, da lasciare dove sono?
Si tratta di portare tutti a casa nostra o di suscitare in qualcuno il desiderio
di invitarci a casa sua, nella sua locanda?
Perdersi nel mistero, scoprire la bellezza della contemplazione, coltivare
grandi desideri diviene possibile soltanto per chi ha avuto l'occasione, almeno
una volta, di scoprire il gusto delle cose che non passano, per chi ha lasciato
la sfera dell' “economico” per entrare in quella del gratuito.
Il Signore ha saputo introdurre i discepoli in questa dinamica di desiderio
grazie a gesti molto semplici: la condivisone del cammino, l'ascolto delle loro
storie, la capacità di mostrare la forza e la bellezza delle Scritture.
Perché non provare attraverso gli stessi mezzi?
Bisogni e desideri
Una seconda traccia di riflessione la potremmo intitolare: bisogni e desideri.
Di fatto la nostra vita, che ci piaccia o no, è segnata dai nostri desideri e
dai nostri bisogni. Per nutrire grandi desideri occorre non avere paura di
guardare in faccia anche ai propri bisogni. In altre parole: non temere di
riconoscersi poveri, limitati, finiti. E scoprire in questa finitezza, l'estrema
misericordia di Dio. Quando la tua povertà smette di farti paura scopri che
anche tu hai qualcosa da donare; quando riconosci di dover dipendere anche dai
tuoi bisogni, allora sei pronto per accendere in te il desiderio di una vita la
cui pochezza può essere riempita dal tutto di Dio. Prendere coscienza dei propri
bisogni significa aprire lo sguardo anche su quelli degli altri e vivere la
carità senza risparmio, perché così Dio ha fatto con noi. Prendersi cura
dell'altro, e lasciare che l'altro si prenda cura di te: ecco un segnale di bene
che il mondo può comprendere benissimo, senza che sia necessario spendere troppe
parole.
Desiderio e solitudine
Una terza traccia di riflessione. L'invocazione «Rimani
con noi» è tanto più forte quanto più la leggiamo
sulle labbra di persone fragili, deboli, incapaci di affrontare la notte da
soli. Storie marginali e struggenti di gente che ha paura a restare sola ma che
è costretta a star sola, che vive portandosi addosso un disperato bisogno di
calore, che va mendicando una parola e un gesto d'affetto, che raccoglie le
briciole di un saluto, di un sorriso, e le conserva con cura perché devono
durare a lungo, perché non ne troverà molte altre nel corso della settimana.
Sono persone (come me, come tutti) che non hanno bisogno di una parola di
giudizio o di una sommaria consolazione, ma che semplicemente hanno diritto a
una scintilla d'amore, a qualche istante di attenzione commossa, a un interesse
animato da un'autentica simpatia, da una compassione reale.
Anche se non siamo il Signore, occorre riconoscere che spesso è proprio a noi
che viene rivolta questa richiesta d’amore e di attenzione, che siamo noi a
dover andare incontro all'altro per provare a consolarlo, a stare con lui che è
solo. Senza la pretesa di salvare nessuno, con la consapevolezza che stiamo
soltanto deponendo la nostra solitudine accanto alla sua.
(Arcabas)
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
O Dio, mio re, voglio esaltarti.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno
e per sempre.
Diffondano
il ricordo
della tua bontà immensa,
acclamino la tua
giustizia.
Il Signore sostiene quelli
che vacillano e
rialza chiunque è caduto.
Tu apri la tua
mano
e sazi il desiderio di ogni vivente.
(dal salmo 145)
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei
secoli. Amen
ACTIO
Mi impegno
a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il
cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego
con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da una lectio di don Davide Caldirola, della Chiesa
di Milano)
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