Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
|
Dammi, Signore,
(Francesco d’Assisi) |
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
“Le donne sono quelle del Vangelo di Luca;
la gioia è quella che scaturisce dal loro incontro con Gesù”
Proseguiamo la preghiera suggerita da alcune lectio tratte da episodi del
Vangelo di Luca, nelle quali il filone comune è la GIOIA DELLE DONNE CHE
INCONTRANO GESU’.
Oggi lasciamoci toccare dalla “vedova povera” che non esita ad indicarci il
“vangelo della totalità”.
Queste
riflessioni sono liberamente tratte da alcune lectio di don Davide Caldirola,
della Chiesa di Milano.
Buona
meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
(Luca
21,1-4)
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
La vedova povera: la gioia del dono
(Luca 21, 1-4)
La parola spezzata
La seconda parte del vangelo di Luca è pensata come un viaggio verso
Gerusalemme. Ma quando Gesù arriva nella città, l'impatto non è idilliaco. È un
contatto aspro, duro, e non potrebbe essere diversamente, dato che il Signore a
Gerusalemme va per morire e non per una vacanza. Dal pianto sulla città
(capitolo 19) fino alla crocifissione sarà un susseguirsi di conflitti, di
contrasti, di malintesi, di litigi, di discorsi apocalittici. Lo stesso clima
dell'ultima cena non sarà quello di un ritrovo tra amici: proprio in quel
momento si consuma il dramma del tradimento e dell'incomprensione, basti pensare
al tradimento di Giuda, al rinnegamento di Pietro, alla discussione sul più
grande.
L'episodio della vedova avviene nel tempio, nel cortile in cui venivano ammesse
anche le donne. Lì c'erano le ceste per gettare le monete. Probabilmente gli
offerenti dovevano dichiarare l'entità del dono e lo scopo per cui lo offrivano.
Non è il primo episodio che Luca ci presenta riguardo a Gesù nel tempio: tutto
il capitolo 20 è ambientato lì, ed è un susseguirsi di fatti di segno negativo:
-
la cacciata dei venditori (19,45-48);
-
la controversia sull'autorità di Gesù (20,1-8);
-
la parabola dei vignaioli omicidi (20,9-19);
-
la questione del tributo a Cesare (20,20-26);
-
la controversia coi sadducei sulla risurrezione (20,27-40) e sulla figliolanza
davidica (20,41-44);
-
quella con gli scribi riguardo all'ostentazione della loro giustizia (20,45
-47).
Gesù inesorabilmente si sta inimicando tutta la gente che conta. Sta compiendosi
la sua ora, il momento in cui
«getterà»
la sua stessa vita.
Vale la pena spendere due parole in più sul quadro immediatamente precedente,
perché fa da contrasto a quello della vedova (cf Lc 20,45-47).
«Mentre tutto il popolo ascoltava, disse ai suoi discepoli: "Guardatevi dagli
scribi, che vogliono passeggiare in lunghe vesti e si compiacciono di essere
salutati nelle piazze, di avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti
nei banchetti; divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere.
Essi riceveranno una condanna più severa"».
Vera e falsa religiosità
Il comportamento degli scribi e quello della vedova rappresentano la vera e la
falsa religiosità. I discepoli, invitati a osservare entrambi, devono
confrontarsi e riconoscersi. Gesù in questo caso non sta rimproverando
direttamente gli scribi: si rivolge ai discepoli perché non cedano al loro
fascino. Sono stimati, accettati e seguiti dal popolo. Ma il discepolo non si
deve lasciare ingannare dalla “popolarità”…
In questo contesto così cupo, la vedova rappresenta l'unico personaggio genuino,
vero, sincero, autentico. È significativo che lo sia una donna, una donna
povera, una donna vedova: in pratica una persona che non conta assolutamente
nulla e che non si cura di perdere la propria vita.
È l'unica persona che ama veramente il tempio, che non se ne serve per i suoi
affari, per le proprie discussioni di sapienza, per accrescere il proprio
prestigio o il proprio potere.
Ed è l'unica a essere indicata come modello da Gesù ai discepoli.
Anche se fugacissima, la sua apparizione è
tutt'altro che irrilevante.
Piuttosto
è
l'immagine che segnala nel modo più trasparente
possibile ciò che Gesù è venuto a fare: gettare la propria vita tra il disprezzo
dei potenti e la sostanziale indifferenza del popolo. Anche Gesù, forse, ha
bisogno di un segno. Gli viene dato: la vedova povera è esattamente come lui.
Alzàti gli occhi
Facendo scorrere rapidamente il testo di Luca, possiamo annotare alcuni elementi
significativi.
«Alzàti gli occhi».
Il testo di Luca si apre con questo gesto di Gesù. È un gesto che i vangeli
ricordano spesso. In particolare il rimando è al discorso delle beatitudini,
introdotto
da Luca con
parole simili. Letteralmente è un guardare
verso l'alto, un sollevare (distogliere) lo sguardo dall'apparente grandezza
degli scribi che si rivela in realtà cosa di poco conto.
…ma…
Ciò che immediatamente vede Gesù è ciò che vedono
tutti: i ricchi che offrono ingenti somme. Ma subito dopo c'è un'avversativa
(«ma» vide, o
“vide «anche» una vedova povera”).
Gesù è l'uomo delle avversative, l'uomo che sovverte il modo di guardare comune.
Quando lui alza gli occhi vede cose che altri non vedono, coglie risvolti della
vita, situazioni, personaggi che sfuggono allo sguardo pigro e poco intelligente
dell'uomo comune, che trovano profondità negate all'occhio miope di chi si
lascia abbagliare e trarre in inganno dalle apparenze. Gesù insegna che c'è
sempre un «ma», un «altro», un modo di vedere diverso.
La conversione del cuore può anche cominciare dallo sguardo attento.
“vedere”, come?
In questo particolare «vedere» di Gesù c'è una
sottigliezza non da poco. Innanzitutto Gesù ci viene presentato come uno attento
al particolare, curioso, capace di cogliere le sfumature. Ma qui si suggerisce
qualcosa di più. La vedova non vede Gesù: è Gesù che vede lei. La vedova non
compie il suo gesto per farsi vedere da lui, ma compie questo gesto al di là di
qualsiasi interesse, di qualsiasi pubblicità, di qualsiasi tornaconto. Non è del
segno di coloro che non fanno nulla senza le telecamere. Sicuramente non si sarà
neppure accorta dell'attenzione e dell'apprezzamento di Gesù: non c'è tra loro
scambio di parole o di opinioni. Gesù non parla con lei, ma
di lei ai
suoi discepoli. Proprio questa sua libertà fa di lei una persona guardata da
Dio.
Beati i poveri
“Vide anche una vedova povera… Questa vedova, così povera,…”
Si ricorda per ben due volte che questa
vedova è povera. Il fatto che è vedova dice che non è di nessuno: per questo è
di Dio, che ne accoglie e tutela i diritti. Il secondo dei due termini usati per
indicare la sua condizione di indigenza è lo stesso delle beatitudini: beati i
poveri, perché di essi è il regno di Dio. La vedova è beata perché è come il suo
Signore. Questa vedova possiede già il regno di Dio grazie alla sua povertà,
alla sua gratuità, al non accettare di tenere qualcosa per sé. Il suo non è un
gesto di rinuncia, ma di beatitudine: ha trovato la perla preziosa, il tesoro
nascosto nel campo.
Due spiccioli
“…che vi gettava due monetine…”
Gli
esegeti fanno notare l'importanza del fatto che gli spiccioli siano due, e non
uno soltanto. Anche il samaritano aveva lasciato due denari all'albergatore.
Sono due. Qualcuno può dire: «Me ne tengo uno per me e l'altro lo do in
elemosina». Ma facendo così rientra, a suo modo, nella categoria dei ricchi che
danno il di più, il superfluo, e non tutta la vita.
Di fronte a questo gesto, Gesù richiama l'attenzione
dei discepoli con parole molto impegnative:
«In verità vi dico…».
Sono le parole che il vangelo riserva per gli insegnamenti più importanti. Gesù
ha trovato un gesto autentico e vuole che i discepoli lo imparino subito. Ciò
che l'ha colpito è insieme l'assenza di ostentazione e la totalità del dono:
rilegge in questo gesto se stesso e ciò che sta per compiere.
Ritorna continuamente nel testo greco il verbo «gettare». Richiama insieme il
disprezzo e lo spreco. C'è un gettare spregiativo, da ricchi, di chi dall'alto
della propria sufficienza butta via ciò di cui può fare a meno. C'è il gettare
di chi spreca, di chi ignora il valore delle cose. Ma la stessa parola può avere
connotazioni positive: c'è un gettare, un buttare se stessi che è sinonimo di
una generosità che non conosce confini; c'è uno spreco che è quello della logica
di Gesù e della sua passione. La vedova getta «quanto aveva per vivere», cioè la
vita stessa. È lei il personaggio più vicino e più simile al Maestro che va a
morire per amore.
Dalla
mensa della parola, briciole di gioia
Il contesto remoto e prossimo del brano sembra sottolineare con forza e
richiamare la terribile possibilità di condurre una vita inautentica all'ombra
del tempio. Scribi, farisei, sadducei si alleano per conservare le loro
posizioni di potere, per mettere in difficoltà Gesù, per farlo cadere. Non
accettano di mettere in discussione se stessi e le proprie sicurezze: non si
pongono domande, non sono disposti a entrare in crisi, in stato di
discernimento o di conversione.
È possibile condurre una vita falsa pur senza mai lasciare il tempio,
frequentandolo ogni giorno, sostenendo dibattiti sacri, riempiendosi la bocca
della parola di Dio, curando l'apparire più che l'essere. Il tempio, il luogo
sacro, vissuto così diventa un abisso, un baratro di perdizione. Con
l'aggravante che uno non si accorge che si sta perdendo, che sta nutrendo il suo
orgoglio, che sta cercando la propria soddisfazione personale.
Un vero discepolo
Gesù stenta a trovare nel tempio un vero discepolo:
ha bisogno
di
una donna
povera, senza difese,
per trovare una persona vera. Non una
professionista del tempio, non una di quelle che col tempio «ci campano». Non
cerca professionisti ma dilettanti.
Certo, l'affermazione è da spiegare. Non si intende dire che davanti a Dio
possiamo stare o fare le cose «in qualche modo» (da «dilettanti», appunto, cioè
da persone poco preparate, che non hanno il rigore e la competenza del
professionista), ma che le dobbiamo fare «dilettandoci», provando diletto,
gratitudine, gioia, pienezza di gusto. Non chiediamo di essere retribuiti per il
nostro servizio, come un professionista serio che giustamente si fa pagare per
le sue prestazioni. La nostra ricompensa e la nostra gioia - potremmo dire
parafrasando san Paolo - consistono nel poter stare gratuitamente davanti a Dio.
È la gioia di chi non vive la propria fede aspettandosi uno stipendio, un
compenso, una gratifica, o vantando qualche diritto in più nei confronti di Dio
perché gli è sembrato di aver fatto un po' di più del proprio dovere. E’ la
gioia di chi ha imparato il valore inestimabile delle cose che non si possono
comprare.
La conversione dello sguardo
C'è poi una gioia da chiedere: quella della
conversione dello sguardo, che domanda di diventare limpido e profondo come
quello del Maestro. Uno sguardo innanzitutto che non si lascia ingannare
dall'apparenza, da ciò che luccica. Uno sguardo
che diventa
attento ai particolari, alle notizie e alle
persone marginali, ai poveri. Uno sguardo che non pregiudica nessuno, che sa
dare il giusto valore alle cose.
Lo sguardo di Gesù si posa sui discepoli per insegnare loro dove guardare, per
metterli in guardia dai rischi possibili, dagli abbagli e dai fraintendimenti. I
discepoli hanno bisogno che qualcuno orienti il loro sguardo.
La conversione dello sguardo, però, significa anche
uscire dall'ansia del «farsi guardare», del cercare notorietà e pubblicità,
apprezzamento per le proprie qualità, encomi, premi e riconoscimenti. Chiede
la capacità di operare il bene lontano dai
media e dai riflettori, senza nessuna preoccupazione riguardo a eventuali
tornaconti. Quando si impara a guardare (e a lasciarsi guardare) così, si entra
in una gioia profondissima, pacificata, e si realizza in noi quanto sta scritto
nel discorso della montagna:
«La lampada del corpo è l'occhio;
perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso»
(Mt 6,22)
Il vangelo della totalità
Questo vangelo è il vangelo della totalità, non il vangelo del poco o del tanto.
Non è una questione di conti, perché non c'è nulla da misurare. O meglio: perché
fa saltare ogni unità di misura umanamente comprensibile. In questione non ci
sono le offerte in denaro, ma l'offerta della vita. È un problema di amore. In
questo senso esprime una radicalità impressionante: è vangelo duro, di
crocifissione. E ci conduce senza scorciatoie e senza retoriche alla gioia di
donare la vita.
Che ne ho fatto della mia vita?
Sembra questa la domanda posta da un testo così.
Ma ce n'è una ancora più profonda:
che ne ho fatto di Cristo?
Gettare la vita ci pone anche un'ulteriore, duplice questione: che cosa mi
trattiene e che cosa sto trattenendo.
Che cosa mi trattiene,
anzitutto: che cosa mi impedisce
la libertà,
la gratuità,
che
cosa
mi rende incapace di uscire dalla mediocrità,
dalle mezze misure.
Ma anche che
cosa sto trattenendo, quali ricchezze mi
impediscono di essere libero, quali legami non so sciogliere, a quali ricchezze
non so rinunciare.
Quali le zavorre della mia vita, i pesi, gli attaccamenti non buoni che mi
ritrovo incapace di rompere, che non so, non posso, non voglio mettere in
discussione?
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Dammi, Signore, un cuore che ti pensi;
un'anima che ti ami,
una mente che ti contempli,
un intelletto che ti intenda,
una ragione che aderisca fortemente a te,
e sapientemente ti ami, o Amore sapiente.
O vita per cui vivono tutte le cose,
vita che mi doni la vita,
vita che sei la mia vita,
vita per la quale vivo,
senza la quale muoio;
vita per la quale sono risuscitato,
senza la quale sono perduto.
|
Vita per la quale godo,
senza la quale sono tormentato;
vita vitale, dolce e amabile,
vita indimenticabile.
Ti prego: dove sei, dove ti troverò,
per morire a me stesso e vivere di te? Sii vicino a me nell'anima, vicino nel cuore, vicino nella bocca, vicino col tuo aiuto perché sono malato,
malato d'amore,
perché senza di te muoio,
perché pensando a te mi rianimo.
(sant’Agostino) |
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò
che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da alcune lectio di don Davide Caldirola, della
Chiesa di Milano)