RITIRO ON LINE - novembre 2024 |
Venero
la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia
persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla
presenza del Signore che vuole parlarmi.
Mi serve una parola buona, una consolazione
e una piccola spinta per riprendere il cammino.
Mi serve anche solo una carezza di Cielo.
Oggi
(un minuto con Dio)
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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I SALMI INSEGNANO A PREGARE
Continua la piccola serie di Lectio suggerite dalla lettura di alcuni salmi. Per
fare ciò prendiamo liberamente spunto da alcune riflessioni di padre Ubaldo
Terrinoni, (OFM cappuccini), raccolte nel suo libro “I salmi insegnano a
pregare”.
LECTIO
Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
Salmo
136 (135)
vv. 1-3 lode iniziale
2
Rendete grazie al Dio degli dèi, perché il suo amore è per sempre.3
Rendete grazie al Signore dei signori, perché il suo amore è per sempre.
vv. 4-9 il dono della creazione
4
Lui solo ha compiuto grandi meraviglie, perché il suo amore è per sempre.5
Ha creato i cieli con sapienza, perché il suo amore è per sempre.7
Ha fatto le grandi luci, perché il suo amore è per sempre.8
Il sole, per governare il giorno, perché il suo amore è per sempre.9
La luna e le stelle, per governare la notte, perché il suo amore è per sempre.
vv. 10-20 il dono della liberazione
10
Colpì l’Egitto nei suoi primogeniti, perché il suo amore è per sempre.11
Da quella terra fece uscire Israele, perché il suo amore è per sempre.12
Con mano potente e braccio teso, perché il suo amore è per sempre.13
Divise il Mar Rosso in due parti, perché il suo amore è per sempre.14
In mezzo fece passare Israele, perché il suo amore è per sempre.15
Vi travolse il faraone e il suo esercito, perché il suo amore è per sempre.16
Guidò il suo popolo nel deserto, perché il suo amore è per sempre.17
Colpì grandi sovrani, perché il suo amore è per sempre.18
Uccise sovrani potenti, perché il suo amore è per sempre.19
Sicon, re degli Amorrei, perché il suo amore è per sempre.20
Og, re di Basan, perché il suo amore è per sempre.
vv. 21-25 il dono della terra
21
Diede in eredità la loro terra, perché il suo amore è per sempre.22
In eredità a Israele suo servo, perché il suo amore è per sempre.23
Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, perché il suo amore è per sempre.24
Ci ha liberati dai nostri avversari, perché il suo amore è per sempre.25
Egli dà il cibo a ogni vivente, perché il suo amore è per sempre.
vv. 26 lode conclusiva
26
Rendete grazie al Dio del cielo, perché il suo amore è per sempre.
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della
Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga
del nostro Ritiro On Line: il grande
silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"
SALMO
136
«…perché il suo amore è per sempre»
Premessa e struttura letteraria
-
il
dono
della
creazione
(vv.
4-9),
-
il
dono
della
liberazione
dalla
schiavitù
egiziana
(vv.
10-20)
-
e
il
dono
della
terra
promessa
(vv.
21-22).
«L'inno
è
composto
non
da
una
successione
di
asserti
astratti
e
“teologici",
ma
da
una
concretissima
serie
di
interventi
storici
che
Israele
ha
sperimentato.
La
rivelazione
di
Dio
ha
come
suo luogo
privilegiato
di
manifestazione
non
tanto la
riflessione
speculativa
di
un
genio
o
di
un
complesso
di
teologi, ma
piuttosto
il
groviglio delle
vicende
umane»
(G.
Ravasi).
È
il
salmo
per
il
quale
sono
state
formulate
le
più
entusiastiche
designazioni:
«è
una
litania
di
ringraziamento»
(G.
Dalla
Nora);
«è
un
solenne
e
monumentale
inno
litanico»
(G.
Ravasi);
«è
un
grande
affresco
della
storia
della
salvezza»
(iL
Barth);
«è
il
canto
commosso
di
gesta
prodigiose
che
soltanto
Dio
poteva
compiere»
(Beaucamp
—
De
Relles);
«è
la
celebrazione
dossologica
dell'amore
di
Dio
più
pregnante
del
salterio»
(L.
Manicardi);
«è una
solenne
liturgia,
in
veste
unica,
costruita
sull'infinita
ricchezza
e
bontà
diffusa
da
Dio
nell'opera
della
creazione
e
nella
hystoria
salutis»
(A.
Lancellotti);
«è
lode
riconoscente
e
rendimento
di
grazie
ammirato»
(L.A.
Schtikel
—
C.
Carniti).
Il salmo
è
da
sempre
designato come
parte
del
«grande Hallel»
(Sal 120,136),
cioé
la
«grande
lode», la
vera
laus
magna
che
i
pellegrini
d'Israele
celebravano
in
tre
grandi
feste
del
calendario
liturgico
ebraico:
a
Pasqua,
nella
ricorrenza
della
festa
delle
Capanne
e
a
Capodanno.
Nelle
due
prime
solennità
si
faceva
memoria
della
liberazione
dalla
schiavitù egiziana
e
della
traversata
del deserto,
nella
terza
invece
si
ricordavano
l'evento
della
creazione
del
mondo
e la
sovranità
di
Dio.
Questi
momenti
celebrativi
nella
sinagoga
erano annunciati
con
il
suono
dello
shofàr
(corno)
per
invitare
il
popolo a
ricordarsi
del
Creatore
e a
tornare
a
lui.
Probabilmente
Gesù
ha
concluso
la
sua
ultima cena
pasquale
con
i
dodici
cantando
questo
inno
litanico,
come
ci
lascia
supporre
l'evangelista
Matteo: «Dopo aver cantato
l'inno, uscirono verso il monte
degli ulivi»
(Mt
26,30).
Anche
in
questo
salmo, siamo
in
presenza
di
una
composizione
alfabetica.
Infatti,
escludendo
i
primi
tre
versetti
(vv.
1-3)
(che
sono
un invito
alla
lode)
e
l'uItimo
(v.
26)
(che
ripete
lo
stesso invito),
abbiamo
22
distici,
e
cioè
quante
sono
le
lettere
dell'alfabeto
ebraico.
L'intenzione dell'autore
è di
voler
comporre
un
inno
che,
utilizzando
tutte
le
lettere,
da
alef
a
tau
(dalla
prima
all'ultima),
riesca
a
esprimere
le
piú
belle
parole
di
lode
e
di
benedizione
che
un
orante
possa
elevare
al
Signore
nel
tempio.
B. Maggioni offre al riguardo una felice e puntuale riflessione: «La risposta
corale dell'assemblea inizia sempre con un ‘perché". Ma sarebbe meglio tradurre
con “si
veramente, il suo amore è per sempre”.
Questa traduzione lascia trasparire la sorpresa e lo stupore (veramente!) che
accompagnano la contemplazione di Dio e delle sue opere».
La struttura letteraria del salmo è lineare e chiara, procede ben ritmata quanto
alla forma e al contenuto: è un modello limpidissimo di preghiera, in cui ogni
elemento è ben calibrato e si innesta con l'altro, così da offrire una trama
facile, anche se raffinata, favorevole all'uso mnemonico e alla formulazione
rigorosa delle tesi-evento che reggono il «credo»:
vv. 1-3:
lode iniziale
vv. 4-9:
dono della creazione;
vv. 10-20:
dono della liberazione;
vv. 21-25:
dono della terra;
v. 26:
lode conclusiva.
«Il ritmo litanico conferisce alla composizione una duplice importante unità:
quanto al tema e quanto al sentimento. L'esperienza al riguardo insegna che la
ripetizione di una stessa formula può risultare alla lunga noiosa e senza alcuna
partecipazione personale; però può anche «essere
l'espressione di un'emozione intensa che si sfoga in onde successive; può
rafforzare l'effetto in un contagio condiviso e coinvolgere e travolgere con
forza irresistibile» (L.A. Schökel — C. Carniti).
La maggior parte dei biblisti propende per collocare il salmo nel tempo
postesilico. La dura esperienza della schiavitù babilonese aveva prodotto tra
l'altro anche un profondo cambiamento religioso: si era ridestato negli esuli un
vivo desiderio di fedeltà a Dio, dimostrato in modo particolare in una
scrupolosa osservanza della legge e in una preghiera espressa con un
atteggiamento interiore più intenso e più vivo.
Si era fatta piú limpida e più sentita la fede nel Dio creatore («ha
creato i cieli con sapienza, ha disteso la terra sulle acque, ha fatto le grandi
luci»
vv. 5-7).
Inoltre sembra che nei vv. 23-24 si colga la gioia per la riacquistata libertà
degli esuli. C'è poi «l'insolita invocazione «Dio
del cielo»
che suggella il salmo, tipica della preghiera d'Israele del periodo postesilico
e riflette la mentalità religiosa persiana (Esd 1,2; 6,10; Ne 1,4; 2Cr 36,23; Dn
2,18; Gv 1,9)» (G. Ravasi).
Dal punto di vista grammaticale, è un superlativo e vuole esprimere la
supremazia e la magnificenza del Dio d'lsraele, che non teme confronti con
nessuno.
Un'ultima annotazione: nel racconto della creazione, è Dio che, in qualità di
assoluto protagonista, contempla il creato come frutto del suo amore e afferma
che tutto è «buono,
bello, utile, prezioso›.
Nel nostro salmo invece è l'uomo che, quale unico celebrante, canta la sua
ammirazione per le meraviglie profuse da Dio nel cosmo e nella storia: però qui
l'autore del salmo si appella all’, «amore,
grazia,
misericordia»,
perché egli scopre l'infinita sapienza di Dio e il suo immenso amore
misericordioso per l'uomo.
Commento a)
vv. 1-3 invito alla lode
In apertura della «grande lode» viene subito indicato il nome del protagonista,
YHWH, che poi nel resto del salmo non
viene più pronunciato. Nel testo ebraico (e in molte traduzioni moderne) viene
designato col semplice pronome personale
«egli»,
che è ripetuto in ogni versetto. Il motivo primo e fondamentale della «lode»
indirizzata a Dio è per il suo essere e restare sempre «buono»:
egli è buono sempre e con tutti.
La formula iniziale: «Rendete
grazie al Signore perché è buono»
appartiene allo stile di avvio di molti salmi e di altri testi narrativi e
profetici (Sal 100,5; 106,1; 107,1; 118,1; lCor 16,34; 2Cr 5,13; 7,3.6; Ger
33,11; ecc.).
Il secondo motivo della lode è costituito da due titoli che riflettono il
superlativo semitico: «Dio
degli dèi»
e «Signore
dei signori»
(vv. 2-3). La duplice designazione si incontra unita solo in Dt 10,17: «Il
Signore vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande,
forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali».
In ambedue i testi si vuole esprimere la trascendenza e l'onnipotenza divina. È
una splendida professione di fede, che non ha nulla a che vedere col politeismo.
La sovranità
di Dio resta indiscussa per Israele. Egli è un Dio che rivela la sua maestà
attraverso le opere; è il protagonista unico di grandi interventi cosmici e
storici.
Si tratta di gesta prodigiose che soltanto Dio ha potuto realizzare. L'autore
desidera cantare ed esaltare il Signore per quanto «ha
fatto».
Però non si richiama all'elezione dei patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe), ma
preferisce partire dalla creazione, dalle opere che Dio ha profuso nel creato.
È lui che ha disteso i cieli come sicuro e solido soffitto per gli uomini; ha
fissato la terra su colonne che emergono robuste dall'abisso delle acque; ha
distribuito gli astri (sole, luna e stelle), quali orologi cosmici, destinati a
scandire il tempo quotidiano, stagionale, annuale e festivo dell'uomo (vv. 4-9).
Le antiche cosmogonie pagane avevano fatto assurgere gli astri a misteriose
potenze divine che regolavano la vita degli uomini e ne determinavano il bene e
il male. L'autore del salmo (come del resto anche quello del libro della Genesi)
ridimensiona intenzionalmente i luminari del cielo al rango di semplici opere di
Dio, in quanto destinati a regolare l'alternarsi del giorno e della notte.
Così, «Israele non crede affatto di essere dominato dalle potenze cosmiche:
ancelle di YHWH, esistono unicamente
per l'utilità dell'uomo e, più in particolare, per determinare lo svolgimento
delle sante liturgie» (Beaucamp — De Relles).
Il salmista esprime queste opere col termine «meraviglie»;
il vocabolo include sempre l'idea di qualcosa di prodigioso, di straordinario,
di strabiliante. Lascia chiaramente capire che egli, al colmo dello stupore e di
una profonda emozione, è come travolto da tanta magnificenza e vibra all'unisono
con tutto ciò che lo circonda: dall'infinitamente piccolo all'infinitamente
grande.
Egli si sente poeta, ma anche e soprattutto mistico che ammira, contempla e
adora; si sente libero da se stesso e da ogni desiderio di appropriazione, vive
distaccato da ogni bene creato e per questo può slanciarsi verso colui che è
unico con tutto il suo essere, beandosi del fulgore di Dio che si riflette nella
creazione.
Con i vv. 10-20, l'autore segna il passaggio dalle meraviglie del creato alle
squisite premure di Dio nell'evocazione delle gesta storiche. Sono soprattutto
queste ultime a toccare il cuore d'Israele, ricordandogli la sua stessa genesi:
se YHWH ha creato il mondo, non l'ha
forse fatto per installarvi un giorno il popolo da lui scelto? Quale prova
d'amore...! Non un amore platonico, né una condiscendenza più o meno efficace
verso creature già esistenti; ma un amore operante, un amore creatore che, dopo
aver dato la nascita all'oggetto amato, mette al suo servizio, sul piano della
storia, tutte le risorse della propria onnipotenza (cf. Beaucamp — De Relles).
L'autore inizia col riferimento all'ultima «piaga»
(la strage dei primogeniti, v. 10); è la terribile prova che fa capitolare il
faraone, costringendolo ad arrendersi alla potenza del Dio degli ebrei e a
lasciar uscire questi ultimi, diretti verso la terra promessa. Il verbo «uscire»
risulta emblematico deIl'esodo: esprime un uscire definitivo simile a quello del
bimbo dal grembo materno, dove non tornerà più. Il popolo dunque esce dalla
terribile schiavitù egiziana e, subito
dopo, dalle acque del mare (v. 13), simbolo del caos, del nulla, del male; e
Israele è come popolo nuovo, infante, libero, disponibile a ricevere altri doni.
Il popolo assapora per la prima volta la libertà; s'inoltra nel deserto vasto e
pericoloso e, per non smarrirsi, segue, con alterne vicende, la pista tracciata
da Dio con la nube di giorno e con la colonna di fuoco nella notte. Qui Dio è
certamente indispensabile guida, ma anche
guerriero invincibile che difende il suo popolo; già lo aveva difeso dal
potere del faraone e ora dai sovrani che si oppongono al passaggio del popolo,
che è diretto verso la terra promessa.
Israele finalmente è libero e pronto a ricevere l'eccellente dono della terra
come ambita eredità.
La storia successiva, poi, documenta che la permanenza d'Israele in questa terra
è contrassegnata da conquiste e da sconfitte, da glorie e da cocenti
umiliazioni, da narrazioni di grandezze e da pagine... nere!
L'invito a lodare il Signore è espresso in forma imperativa («lodate»)
sia nell'introduzione (vv. 1-3) che qui nella conclusione (v. 26). La
motivazione è ripetuta ben 26 volte ed è individuata nell'amore misericordioso
di Dio, nell'economia dell'amore assolutamente gratuito. Così ogni opera non può
avere altra spiegazione se non nell'amore. L'esistenza stessa di Israele, come
popolo, è appesa a questo amore gratuito.
«L'amore appare come il luogo originario, il movente profondo che guida l'agire
di Dio nella creazione e nella storia e attorno a cui si coagulano e si
ordinario le altre perfezioni di Dio: verità, fedeltà, potenza, stabilità,
giustizia... Per questo in diverse formule liturgiche invitatorie, presenti nei
salmi, l'invito alla lode è motivato unicamente dall'amore di Dio. Ciò che Dio è
e ciò che Dio fa si riassume nel suo amore: a questo amore va la celebrazione e
la lode» (L. Manicardi).
Dalla contemplazione dell'amore premuroso di Dio nei “mirabilia Dei”, si passa
poi necessariamente alla celebrazione liturgica, al canto e al ringraziamento
nel tempio. Questa è la successione dei momenti che ci insegna il salmista.
Nell'evento celebrativo, l'amore di Dio esperimentato dal singolo si dilata e
coinvolge tutti i presenti. Così la persona pia, destinataria di un'esperienza
di amore e di misericordia, narra ai fratelli e alla grande assemblea convocata
(Sal 40,11) le meraviglie che Dio ha compiuto per lui (Sal 26,7; 66,16).
Il salmista elenca alcune opere della creazione nei vv. 5-9, ma non fa alcun
riferimento al destinatario, cioè non dichiara per chi mai Dio si è impegnato a
fare tutte queste opere. La risposta è inequivocabile: egli ha seminato le sue
meraviglie nell'universo per l'uomo, per ogni uomo. La creazione ha una finalità
universale: è per tutti. Però, si nota che nell'elencazione delle opere
successive (liberazione dall’Egitto, traversata del deserto, ingresso nella
terra promessa) è chiamato in causa un preciso destinatario: Israele.
Tuttavia, nel penultimo versetto, l'orizzonte si riapre in chiave
universalistica, perché si afferma che la premurosa provvidenza di Dio si
estende a tutti: «Egli
dona il pane a ogni carne»
(v. 25), recita il testo ebraico, «dà
il cibo a ogni vivente»,
si legge nel testo della Bibbia di Gerusalemme. La certezza è che il dono che
alimenta la vita raggiunge tutti i viventi. E ciò perché «gli
occhi di tutti sono rivolti a lui in attesa e lui provvede loro il cibo a suo
tempo»
(Sal 145,15); «non
trascura nessuno; pensa anche al bestiame e ai piccoli del corvo che gridano a
lui»
(Sal 147,9). Dunque, si nota che dalla storia si passa alle urgenze del vivere
quotidiano.
Egli «concede
dal cielo e piogge e stagioni ricche di frutti»,
aggiunge l'apostolo Paolo nel suo discorso a Listra, «fornendovi
di cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori»
(At 14,17).
Certo, l'autore avrebbe potuto esaltare la benevolenza di Dio con dichiarazioni
generiche, per esempio affermando che Dio è degno di lode e di gratitudine,
perché ha chiamato all'esistenza tante e grandi opere meravigliose a vantaggio
dell'uomo.
E invece qui siamo in presenza di numerosi enunciati che illustrano l'amore
provvidente e premuroso di Dio. Credo che questo procedimento riveli la grande
sensibilità spirituale dell'autore, il quale avverte in sé il bisogno di
elencare le singole opere nella profonda convinzione che riceve tutto da lui e
che tutto è suo dono. È così che egli si sente più legato a lui e a lui fa
costantemente riferimento.
Giustamente annota al riguardo Manicardi che «il salmo si conclude solo
formalmente: esso resta aperto a tutte le altre infinite manifestazioni
dell'amore di Dio che l'uomo può conoscere e per cui può lodarlo. Non c'è fine
all'enumerazione dei motivi della lode perché “l'amore
di Dio è per sempre
(in eterno)”. E così l'amore di Dio finalizza la storia all'eternità».
La creazione e le gesta prodigiose compiute dal Signore non sono eventi del
passato, consegnate soltanto alla storia, ma si estendono nel presente. Infatti
«il mistero dell'amore di Dio si manifesta quotidianamente nel tenere in vita le
proprie creature, andando incontro ai loro bisogni; le creature costituiscono lo
spazio di quotidiana epifania del suo amore» (L. Manicardi).
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Ho messo tutto nello stesso zaino:
la miseria e la superbia, gli errori e la presunzione,
i peccati e la vergogna.
Così, con questo fardello sulle mie spalle,
dopo tanto girovagare, sono tornato da te.
E tu ti sei commosso, Signore.
Mi hai guardato e ti sei commosso.
Hai versato lacrime di padre, mi hai abbracciato,
mi hai restituito anche ciò che non era mio.
E io, povero uomo, che cosa posso pretendere di più dal mio Dio?
(Eric Pearlman - Un
minuto con Dio)
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci
precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo
mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre
Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti
i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi
impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita.
Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al
momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
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