RITIRO ON LINE - novembre 2023 |
Venero
la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia
persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla
presenza del Signore che vuole parlarmi.
Ti aspetto, Pane che sazi ogni fame,
Vino che disseti e rallegri, Cibo sconosciuto
che accendi desideri, che inciti a sperare.
(Luca Rubin)
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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CERCATE GESU’
Nelle LECTIO che stiamo proponendo ci facciamo aiutare dal cardinale Carlo Maria
Martini che nel 2002 tenne, in Cattedrale a Milano, i suoi ultimi “quaresimali”
prima di lasciare la direzione della diocesi. Sono commenti al capitolo 18 del
Vangelo di Matteo. Lasciamoci aiutare dalle parole precise e puntuali di questo
“pastore” che tanto ha saputo donare alla Chiesa.
LECTIO
Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
21
Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.23
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.28
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.31
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della
Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga
del nostro Ritiro On Line: il grande
silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"
Perdono e riconciliazione
I due brani vanno considerati insieme, ma certamente questo del perdono è nodale
per tutto il capitolo preso in esame, oltre che per l’intero Nuovo Testamento,
perché il tema del perdono è un punto essenziale del grande processo di
riconciliazione che abbraccia la storia della salvezza, la quale per l’appunto è
tutta una storia di riconciliazione di Dio con l’uomo, dell’uomo con Dio,
dell’uomo con i suoi fratelli, dell’uomo con la natura, dell’uomo con se stesso.
In questo processo globale di riconciliazione al cui centro ci sono la croce e
la risurrezione di Gesù, punto determinante è il perdono: non per niente Gesù
muore per il perdono dei peccati e dalla croce chiede al Padre: «Perdona loro perché non sanno quello che fanno»;
e appena appare risorto agli apostoli dice: «Perdonate
i peccati».
Dunque ci troviamo in presenza di un luogo nodale dell’economia cristiana.
Settanta volte sette
Analizzando la struttura del brano notiamo che esso comprende un detto di Gesù
ai versetti 21 e 22, seguito da una parabola abbastanza lunga che va dal
versetto 23 fino alla fine del capitolo al versetto 35.
Il detto di Gesù prende spunto da una domanda di Pietro: «Signore,
se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?
Fino a sette volte?»,
il quale pensando di dire una cosa grandiosa, straordinaria ed eroica afferma di
essere disposto a perdonare fino a sette volte. Penso che Pietro in quel momento
si aspettasse di sentirsi dire:
«Beato tu Pietro figlio di Giona perché non
la carne e il sangue te l’hanno rivelato ma il Padre mio ti ha rivelato quanto
grande è il perdono».
Invece, pur avendo Pietro chiamato in causa il numero sette, che è sinonimo di
totalità, e pensando quindi di essersi giocato fino in fondo, la risposta di
Gesù è sconvolgente: «Non
ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette».
Ciò significa che il perdono è un grande mistero, che non si può parlare di
limiti del perdono. Il perdono è un atteggiamento regale, divino, che non
ammette frontiere, è un qualcosa con cui noi imitiamo molto imperfettamente
l’infinita, inesauribile, inesplicabile misericordia di Dio, è qualcosa che ci
permette di affondare lo sguardo della fede nell’infinita misericordia del
Padre.
La parabola del servo senza pietà
Tale il succo della parabola. Lo schema narrativo è d’altra parte molto semplice
e ben composto, con una struttura precisa: notiamo un’introduzione, al versetto
23, dove si presentano i personaggi e l’occasione di ciò che poi viene narrato;
a questa seguono quattro parti, quattro scene ognuna con la sua conclusione. Una
parabola che non esiterei a definire un piccolo capolavoro letterario, così
sapientemente costruita ed efficace che basta leggerla bene una sola volta
perché rimanga impressa.
I personaggi sono il re e i suoi servi e l’occasione è data dal fatto che il re
vuol fare i conti con loro: ne deduciamo che questi servi potrebbero essere
funzionari di alto rango cui sono state affidate amministrazioni di beni
importanti; ma c’era, allora come adesso, il vizio della corruzione, per cui il
rendere conto delle spese, il giustificare la propria condotta, era buona norma
da seguirsi.
Dopo questa introduzione, vi è tra i versetti 24 e 27 una prima scena che
riguarda il comportamento del re con il primo servo. Una scena suddivisa in
quattro momenti.
Nel primo, al versetto 24, viene presentato davanti al re un servo che ha un
debito immenso, diecimila talenti, praticamente insolvibile; di fronte a questa
situazione il re prende un provvedimento duro, forse crudele, ma non così alieno
dai costumi dell’epoca: «Poiché
costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui
con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito».
Viene allora presentata nel terzo momento della scena la supplica del servo, che
si getta ai piedi del padrone, implora pietà, chiede pazienza e promette
restituzione, anche se dal contesto è chiaro come tale promessa sia menzognera.
Di fronte a ciò, ed è il quarto momento della scena, il padrone si commuove e
non si limita a concedere una dilazione o a sperare in una restituzione che sa
impossibile, ma condona totalmente il debito senza condizioni né riduzioni.
A questo punto del racconto il lettore è sorpreso e rallegrato dalla grandiosità
e dalla magnanimità del padrone, che mosso unicamente dalla compassione ha di
colpo condonato tutto il debito.
Quanto appena descritto fa da contrasto con la seconda scena, dal versetto 28 al
30, che presenta un secondo servitore, debitore del primo. Questa scena è
strettamente parallela alla precedente e comparandole si nota immediatamente ciò
che è identico e di conseguenza con maggior risalto ciò che contrasta: come per
il primo servitore si parla di un debito, però stavolta molto piccolo, cento
denari, un nulla in confronto con quello precedente; vi è una pretesa di
restituzione, ma espressa molto più brutalmente e con violenza («Lo prese per il collo e lo soffocava»),
mentre il re si accontentava di esprimere i suoi diritti; anche qui giunge la
supplica ad avere pazienza con la promessa di restituzione del debito, questa
volta credibile, data l’entità dello stesso (sembra che corrispondesse allo
stipendio di un anno di un operaio, quindi abbastanza grande per un povero, ma
non impossibile da sciogliere in assoluto); tuttavia, ecco la differenza enorme,
non segue la dilazione richiesta né il condono, ma un durissimo provvedimento: «Lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito».
Nel confronto risulta quindi come la seconda scena sia perfettamente in
parallelo con quella del brano precedente, con la differenza che ciò che là era
enorme qui è piccolo, ciò che sembrava insolvibile qui è solvibile, ciò che
sembrava impossibile concedere qui sarebbe più ragionevole, ma contrariamente
alla prima scena qui prevale la durezza.
Un racconto accuratamente costruito punto per punto, tanto che non sarebbe
possibile esprimere con maggior forza ed efficacia la contrapposizione tra
l’atteggiamento regale del re e quello assai meschino del primo servitore.
Al verso 31 è descritta la breve scena dell’intervento dei colleghi, che vanno a
riferire al padrone l’accaduto. Il furore del re è espresso poi nel quarto
episodio della parabola.
Ai versetti da 32 a 34, infatti, si legge di come il re convochi nuovamente il
primo servitore che gli doveva una somma immensa, gli richiami il grande favore
che gli aveva fatto condonandogli l’intero debito e partendo di qui rimarchi il
dovere morale che ne sarebbe dovuto conseguire, cioè di avere pietà del suo
compagno; dice il re: «Così
come io ho avuto pietà di te».
Viene così messo in risalto questo bellissimo tema della reciprocità tra il re e
il servo, che poi ritorna nel Vangelo come segno di reciprocità tra Dio e
l’uomo: se Dio ha così perdonato, allora devi anche tu come Lui così perdonare.
Infine con il terzo di questi versetti, che mostra il ritrarsi del re dalla sua
promessa originaria per far eseguire un castigo terribile, si chiude la parabola
in maniera piuttosto negativa.
Concludendosi in tal modo, questa parabola incute un certo timore, perché
afferma che se è bello imitare la misericordia di Dio, all’opposto è disastroso
per l’uomo esprimere un atteggiamento contrario a quello del Padre celeste.
Perdonare di cuore
Di queste parole di Gesù al verso 35 è interessante notare l’espressione: «Se non perdonerete di cuore».
A questo proposito vorrei richiamare un bellissimo commento del Catechismo della
Chiesa Cattolica là dove spiega il Padre nostro, in particolare in riferimento
alle parole: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri
debitori».
Il Catechismo cita a paragone proprio questo brano del Vangelo di Matteo,
sottolineando in particolare l’espressione “di
cuore”;
dice infatti:
«È lì infatti, nella profondità del cuore,
che tutto si lega e si scioglie, non è in nostro potere non sentire più e
dimenticare l’offesa, ma il cuore che si offre allo Spirito Santo tramuta la
ferita in compassione e purifica la memoria trasformando l’offesa in
intercessione».
Parole molto dense che ci aiutano a capire quale profondità abbia questa
aggiunta del “perdonare di cuore”, perché tutto ciò che avviene di
profondo avviene nelle profondità del cuore.
Parole
chiave:
perdono, misericordia, compassione
Nelle ultime due citazioni la parola italiana è un po’ diversa, ma in greco
invece il termine è il medesimo e del resto si può agevolmente notare come in
italiano le due diverse traduzioni abbiano comunque in comune la radice, che è
quella di “dono”.
“Perdono”
è dunque la parola numericamente sostanziale di tutto il racconto, che ce ne dà
così anche matematicamente il senso, ed è accompagnata da altre due parole che
fanno da spalla, per così dire.
Una è usata per descrivere, al versetto 27,l’atteggiamento del re, dove dice: «Il padrone ebbe
compassione
di quel servo»,
dunque si commosse e se ne impietosì, si tratta della stessa espressione
utilizzata nella parabola del buon samaritano, che vedendo il ferito sulla
strada «si
commosse».
Una parola analoga ricorre due volte al versetto 32, quando il re dice al servo
malvagio: «Non
dovevi anche tu
aver pietà del
tuo compagno, così come io ho
avuto pietà di
te?».
Il verbo greco è quello da cui deriva l’espressione liturgica che significa “avere pietà”,“avere
misericordia”.
Dunque parole chiave sono “perdono”,
“misericordia”,
“compassione”,
tutte appartenenti a un unico campo semantico.
Quella letta è quindi una pagina che esalta il perdono divino e il perdono umano
e li mette in stretto collegamento. Sta forse qui il capolavoro di questo passo:
non si tratta di una banale esortazione al perdono, ma è un’esortazione che si
radica nel mistero di Dio, nella Sua misericordia, nel mistero trinitario stesso
che è tutto amore, grazia, misericordia e perdono.
Paralleli
Per prima cosa
il ricordare che il perdono così inteso è una realtà specificamente cristiana e
neotestamentaria, come riconosceva anche Gandhi, per esempio, parlando del
Discorso della montagna.
Secondo messaggio:
il perdono ha un’attualità straordinaria nel messaggio per la pace di Giovanni
Paolo II e nella preghiera per la pace del 24 gennaio 2002 delle grandi
religioni ad Assisi.
Terzo messaggio:
il perdono ha grande importanza non solo nella vita politica e internazionale ma
a cominciare da quella quotidiana.
Perdono, virtù cristiana
Possiamo dire, dunque, che il perdono è una realtà specificamente cristiana;
certo, lo si ritrova di per sé anche in tanti scritti di altre religioni, ma è
nel cristianesimo, nei Vangeli, che assurge a quella pienezza e purezza che lo
rende veramente incomparabile.
Consiglio a questo proposito un’enciclica molto
bella, ma forse un po’ dimenticata, di Giovanni Paolo Il dal titolo “Dives
in misericordia” (Dio ricco in
misericordia), dove si parla abbondantemente della misericordia divina e della
necessità del perdono che ne consegue, del rapporto tra perdono e giustizia.
Basterebbe ricordare come nel Nuovo Testamento questo tema del perdono sia
presente molte volte. A partire dal “Discorso della montagna”, dove viene
espresso ripetutamente e con vocabolario diverso: «Beati
i miti [coloro che sanno perdonare] perché erediteranno la terra, beati gli
operatori di pace [coloro che sanno diffondere il perdono]».
Proseguendo con i versetti 23 e 24 del capitolo quinto del Vangelo di Matteo: «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che
tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti
all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire
il tuo dono»,
dove ovviamente il fulcro è quel verbo “riconciliarsi”,
che suppone per l’appunto un perdono.
Poi ancora al versetto 39: «Ma
io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla
guancia destra, tu porgigli anche l’altra»,
viene proposto un perdono eroico in atto.
E così via per tutto questo capitolo quinto, al versetto 43: «Avete
inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi
dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano».
Anche al capitolo sesto, versetti 12 e seguenti, ho contato ben undici versetti
in questa prima parte del “Discorso della montagna” e molti altri se ne
potrebbero elencare nel resto del Nuovo Testamento.
Il perdono è una realtà tipica neotestamentaria che troviamo quindi anche negli
altri Vangeli. Riporto almeno un parallelo dal Vangelo di Luca: «E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice:
“Mi pento”, tu gli perdonerai», con altre parole è espressa ancora
l’esigenza di un perdono senza limiti.
A proposito di questa numerologia qualcuno ha fatto notare, un po’
umoristicamente, che se prendessimo in senso matematico la menzione di Matteo “settanta volte sette”
e la applicassimo alla quotidianità come nel brano di Luca, ne verrebbe la
conclusione che dovremmo perdonarci almeno ogni tre minuti, il che può essere un
simbolo efficace di quanto una comunità sia fondata sul perdono reciproco.
Sempre in relazione a questo primo messaggio cito il
Catechismo della Chiesa Cattolica là dove dice: «Il
perdono è un culmine della preghiera cristiana, il dono della preghiera non può
essere ricevuto che in un cuore in sintonia con la compassione divina. Il
perdono sta anche a testimoniare che nel nostro mondo l’amore è più forte del
peccato. I martiri di ieri e di oggi rinnovano questa testimonianza di Gesù. Il
perdono è la condizione fondamentale della riconciliazione dei figli di Dio con
il loro Padre e degli uomini tra loro»;
e continua dicendo: «Non c’è né limite né misura a questo
perdono essenzialmente divino, in realtà noi siamo sempre debitori».
In ogni caso, era mia intenzione asserire che, benché il perdono compaia in
altre tradizioni e religioni, è soprattutto nel Nuovo Testamento che viene così
esaltato con tanta esigenza come fiore perfetto della carità.
Giustizia e perdono
Il nucleo del
secondo
messaggio (vedi
nel precedente capitolo “paralleli”) è nel fatto che questo tema del perdono
assume un’importanza urgente e fondamentale proprio nella drammatica
conflittualità dei nostri giorni.
«Il perdono» dice il papa «si oppone al rancore e alla vendetta, non alla
giustizia, e la pace è frutto della giustizia, ma la giustizia umana è sempre
fragile e imperfetta, essa va perciò esercitata e in certo senso completata con
il perdono, che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani
turbati».
Il papa ha il coraggio di affermare che ciò vale non soltanto per le tensioni
che coinvolgono i singoli, ma anche per quelle di portata più generale e
addirittura per quelle internazionali (al contrario di chi sostiene che il
perdono possa andar bene nella Chiesa, nelle comunità religiose, ma non nella
società).
Il papa reca poi a sostegno della sua tesi, ed è
commovente, la sua esperienza personale, perché egli ricorda come le immani
sofferenze portate dai totalitarismi nazista e comunista, da lui sperimentate
in prima persona, hanno sempre interpellato il suo animo e molte volte si è
soffermato a riflettere sulla domanda: «Qual è la via che porta al pieno
ristabilimento dell’ordine morale e sociale così barbaramente violato?». E
risponde in prima persona: «La convinzione cui sono giunto ragionando e
confrontandomi con la rivelazione biblica è che non si ristabilisce appieno
l’ordine infranto se non coniugando fra loro giustizia e perdono. I pilastri
della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il
perdono».
Noi possiamo osservare con fiducia, benché appena iniziale, che anche nei
conflitti drammatici che insanguinano la terra e in particolare il Medio Oriente
comincia a farsi strada l’idea che senza un certo perdono reciproco non se ne
possa uscire più, altrimenti si entra in un vicolo cieco di vendette su vendette
che non portano a nulla se non alla distruzione reciproca.
Perdono, cemento della comunità
Quindi il perdono è quello che continuamente ristabilisce l’armonia (mentre
le disarmonie nascono dalle reazioni immediate e pungenti), è il tessuto
della vita quotidiana di comunità, nella famiglia, in parrocchia, a scuola,
sul luogo di lavoro, anche nella società.
Il perdono è in particolare il cemento delle nostre comunità cristiane. Come
ricordava uno dei passi del Vangelo qui trattati, inevitabilmente sorgono
divisioni, dissensi e litigi anche nelle comunità, ma là dove il perdono
risana e riesce a fare breccia, offre persino la possibilità di
riconciliarsi più di prima, di passare da un litigio a un amore e a una
comprensione più grandi: quante volte è successo che dopo un litigio si sia
fatta pace e avendo riconosciuto gli errori di entrambi ci si sia compresi
meglio.
Per riassumere, il perdono è un elemento fondante della famiglia, della
Chiesa e della società, è quel fiore che permette ai rapporti umani di farsi
veramente tali, accoglienti e benevoli, mentre senza perdono una società
diventa impossibile e invisibile.
Una fotografia della comunità
cristiana
Mi pare utile a questo punto proporre una sintesi per far emergere
quell’immagine di comunità che risalta dall’intero discorso del capitolo 18
del Vangelo di Matteo.
Per prima cosa
è una comunità dove la fraternità è veramente vissuta, anche superando i
litigi inevitabili.
Secondo:
è una comunità nella quale i più piccoli, coloro che contano meno, sono
tenuti in più grande onore.
Terzo:
è una comunità che ha delle regole che vanno osservate, per le quali
esistono anche sanzioni, quindi una comunità seria.
Quarto:
è una comunità dove soprattutto occorre continuamente perdonarsi e cercare
chi si è smarrito e far festa per chiunque ritorni.
È una comunità, l’abbiamo osservato in un versetto centrale, in cui Gesù sta
nel cuore e con la forza della sua risurrezione rende possibile questo
miracolo di amore che è la comunione nella fede e nella carità. Una comunità
conscia delle sue debolezze, che non si spaventa delle sue fragilità, perché
certa del continuo perdono del Signore.
Proprio questo tipo di comunità è quello che dobbiamo sforzarci di costruire ogni giorno tra noi, a partire dalla famiglia, passando per la parrocchia e per la diocesi fino all’intera società. Questa visione ci dà coraggio anche di fronte ai conflitti più gravi del nostro tempo: siamo certi che l’odio è destinato a essere sconfitto dall’amore e la vendetta sarà vinta dal perdono, ma dipende anche dal cuore di ciascuno di noi.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Ma come ti è saltato in mente, mio Dio, di dirci…
_”Ama il prossimo tuo come te stesso”_ ?
Se non riusciamo neppure a guardarci nello specchio,
a vedere davvero chi siamo e ad amarci.
A scomode verità preferiamo sempre bugie rassicuranti.
Bugie consapevoli perché in ognuno di noi sussurra
sempre la Tua voce che ci fa sentire piccoli, scomodi e
peccatori.
Ma tutto si vende in fiera.
La fiera delle offese, degli insulti e delle ingiurie.
Tirami fuori da questo baratro.
Tirami fuori perché non è il mio mondo, quello per cui vivo e
sogno.
|
–
Un minuto con Dio)
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci
precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo
mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti
i secoli dei secoli. Amen
ACTIO
Mi
impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita.
Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al
momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(tratto
da catechesi tenute nel 2002 dal Card. Carlo Maria Martini)
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