Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.
Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Ascolta, Signore, la mia causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera.
Dal tuo volto venga per me il giudizio,
i tuoi occhi vedano la giustizia.
Saggia il mio cuore, scrutalo nella notte,
provami al fuoco.
Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole,
mostrami i prodigi della tua misericordia,
tu che salvi dai nemici chi si affida alla tua destra.
Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi.
Nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine.
(dal Salmo 17 )
Veni, Sancte Spiritus
Veni, per Mariam.
L’ITINERANZA
Proseguiamo nell’approfondimento di alcune figure bibliche che hanno, particolarmente, vissuto l’ “itineranza”.
LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.
(Rut 1,1-17 2,4-12 3,7-11 4,13-17)
1 Al tempo in cui governavano i giudici, ci fu nel paese una carestia e un uomo di Betlemme di Giuda emigrò nella campagna di Moab, con la moglie e i suoi due figli. 2 Quest'uomo si chiamava Elimèlech, sua moglie Noemi e i suoi due figli Maclon e Chilion; erano Efratei di Betlemme di Giuda. Giunti nella campagna di Moab, vi si stabilirono. 3 Poi Elimèlech, marito di Noemi, morì ed essa rimase con i due figli. 4 Questi sposarono donne di Moab, delle quali una si chiamava Orpa e l'altra Rut. Abitavano in quel luogo da circa dieci anni, 5 quando anche Maclon e Chilion morirono tutti e due e la donna rimase priva dei suoi due figli e del marito.
6 Allora si alzò con le sue nuore per andarsene dalla campagna di Moab, perché aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane.7 Partì dunque con le due nuore da quel luogo e mentre era in cammino per tornare nel paese di Giuda 8 Noemi disse alle due nuore: «Andate, tornate ciascuna a casa di vostra madre; il Signore usi bontà con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me! 9 Il Signore conceda a ciascuna di voi di trovare riposo in casa di un marito». Essa le baciò, ma quelle piansero ad alta voce 10 e le dissero: «No, noi verremo con te al tuo popolo». 11 Noemi rispose: «Tornate indietro, figlie mie! Perché verreste con me? Ho io ancora figli in seno, che possano diventare vostri mariti? 12 Tornate indietro, figlie mie, andate! Io sono troppo vecchia per avere un marito. Se dicessi: Ne ho speranza, e se anche avessi un marito questa notte e anche partorissi figli, 13 vorreste voi aspettare che diventino grandi e vi asterreste per questo dal maritarvi? No, figlie mie; io sono troppo infelice per potervi giovare, perché la mano del Signore è stesa contro di me». 14 Allora esse alzarono la voce e piansero di nuovo; Orpa baciò la suocera e partì, ma Rut non si staccò da lei. 15 Allora Noemi le disse: «Ecco, tua cognata è tornata al suo popolo e ai suoi dei; torna indietro anche tu, come tua cognata». 16 Ma Rut rispose: «Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove andrai tu andrò anch'io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; 17 dove morirai tu, morirò anch'io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te». (Rut 1)
4 Ed ecco Booz arrivò da Betlemme e disse ai mietitori: «Il Signore sia con voi!». Quelli gli risposero: «Il Signore ti benedica!». 5 Booz disse al suo servo, incaricato di sorvegliare i mietitori: «Di chi è questa giovane?». 6 Il servo incaricato di sorvegliare i mietitori rispose: «E' una giovane moabita, quella che è tornata con Noemi dalla campagna di Moab. 7 Ha detto: Vorrei spigolare e raccogliere dietro ai mietitori. E' venuta ed è rimasta in piedi da stamattina fino ad ora; solo in questo momento si è un poco seduta nella casa». 8 Allora Booz disse a Rut: «Ascolta, figlia mia, non andare a spigolare in un altro campo; non allontanarti di qui, ma rimani con le mie giovani; 9 tieni d'occhio il campo dove si miete e cammina dietro a loro. Non ho forse ordinato ai miei giovani di non molestarti? Quando avrai sete, và a bere dagli orci ciò che i giovani avranno attinto». 10 Allora Rut si prostrò con la faccia a terra e gli disse: «Per qual motivo ho trovato grazia ai tuoi occhi, così che tu ti interessi di me che sono una straniera?». 11 Booz le rispose: «Mi è stato riferito quanto hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e la tua patria per venire presso un popolo, che prima non conoscevi. 12 Il Signore ti ripaghi quanto hai fatto e il tuo salario sia pieno da parte del Signore, Dio d'Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti». (Rut 2)
7 Booz mangiò, bevve e aprì il cuore alla gioia; poi andò a dormire accanto al mucchio d'orzo. Allora essa venne pian piano, gli alzò la coperta dalla parte dei piedi e si coricò. 8 Verso mezzanotte quell'uomo si svegliò, con un brivido, si guardò attorno ed ecco una donna gli giaceva ai piedi. 9 Le disse: «Chi sei?». Rispose: «Sono Rut, tua serva; stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva, perché tu hai il diritto di riscatto». 10 Le disse: «Sii benedetta dal Signore, figlia mia! Questo tuo secondo atto di bontà è migliore anche del primo, perché non sei andata in cerca di uomini giovani, poveri o ricchi. 11 Ora non temere, figlia mia; io farò per te quanto dici, perché tutti i miei concittadini sanno che sei una donna virtuosa. (Rut 3)
13 Così Booz prese Rut, che divenne sua moglie. Egli si unì a lei e il Signore le accordò di concepire: essa partorì un figlio. 14 E le donne dicevano a Noemi: «Benedetto il Signore, il quale oggi non ti ha fatto mancare un riscattatore perché il nome del defunto si perpetuasse in Israele! 15 Egli sarà il tuo consolatore e il sostegno della tua vecchiaia; perché lo ha partorito tua nuora che ti ama e che vale per te più di sette figli». 16 Noemi prese il bambino e se lo pose in grembo e gli fu nutrice. 17 E le vicine dissero: «E' nato un figlio a Noemi!». Essa lo chiamò Obed: egli fu il padre di Iesse, padre di Davide. (Rut 4)
MEDITAZIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.
Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".
RUT, non staccarti!
Potremmo definire «edificante» la storia narrata nel libro di Rut. Al pari di altre storie ( Ester, Tobia, ecc.), si tratta di una narrazione con un’esigua base storica, rielaborata e idealizzata in vista di un preciso obiettivo: la strategia dell’autore di Rut è quella di sostenere la speranza dei suoi lettori in tempi difficili, mostrando quali modi di pensare, sentire, agire possono portare alla realizzazione di una «vita salvata», cioè a una vita secondo la «via del Signore». In questo libro i conti tornano perfettamente: nessuno pecca e il lieto fine porta beneficio a tutti.
Se da una parte il profilo della narrazione è quotidiano, perfino dimesso (non ci sono miracoli né persone fuori dal comune come re, sacerdoti o profeti; e neppure potenti o «giusti»; tanto meno dèi o semi-dèi come nei miti), dall’altra parte in maniera assai discreta e quasi nascosta Dio sorprendentemente si identifica con la vicenda di questi personaggi tanto «mediocri» (potremmo essere noi) quanto capaci di grandezza (è l’insegnamento per noi). Il Signore dell’Universo si identifica e agisce in essa. Ecco la provocazione: dopo la lettura di Rut come potremo ancora definire il confine tra sacro e profano? E se teniamo presente che protagoniste sono donne, per di più in condizioni marginali e precarie, come potremo ancora mantenere concezioni della benedizione divina secondo le quali essa viene riconosciuta nella realizzazione di una qualche grandezza umana (salute, ricchezza, potere, successo, fama, ecc.)?
Tornare indietro.
Il racconto comincia con una importante annotazione temporale: «Al tempo in cui governavano i giudici…».
La storia viene collocata nel tempo che va dall’insediamento delle tribù di Israele in Canaan all’istituzione della monarchia. Prima che governassero i re Israele viveva distinto in tribù legate tra loro da un patto. Non esisteva uno stato, e dunque non c’era un governo centralizzato, un esercito permanente, né tasse da pagare per mantenere tutto questo (c’era solo la “decima”). Non c’era il latifondo, e perciò era assai contenuto il divario tra ricchi e poveri. Nessuno doveva vendersi schiavo per far fronte ai debiti… Non c’era tutto questo, o almeno così si pensava qualche secolo dopo... In questo senso, e soprattutto dopo l’esilio babilonese, questo tempo diventa in fretta un tempo «ideale», nel quale il governo del popolo era prima di tutto e soprattutto governo esercitato da Dio stesso. Un capo unico era tollerato soltanto in caso di pericolo e finché durava il pericolo. Ed era Dio a suscitarlo. Allora «sorgeva» un «giudice», guidava in battaglia guerrieri improvvisati provenienti dalle tribù e manteneva la pace fino alla sua morte. Il nomadismo dei patriarchi e il periodo dei giudici saranno considerati paradigmatici soprattutto quando la fine dello stato ebraico sarà definitiva e la maggioranza degli ebrei si troverà ormai a vivere nella diaspora (dispersione), in una condizione di «esilio», o di «migrazione», permanente.
Come accade ai patriarchi, però, anche al tempo dei giudici si fa un’esperienza faticosa della terra assegnata da Dio al suo popolo. La terra non deve diventare una casa, un punto di arrivo, e non deve essere mai considerata possesso definitivo. In questo caso verrebbe idolatrata. Perciò la carestia la rende a tratti inospitale. E costringe alla migrazione in cerca di pane. La crisi costituita dalla carestia e la necessità della sopravvivenza creano una rottura che spinge a uscire: la dimensione dell’esilio sembra misteriosamente necessaria alla fede. In tale situazione di esilio la vita del credente si configura come una itineranza orientata al «ritorno». Non si tratterà però di tornare alla casa di prima, giacché proprio la carestia ha mostrato che essa è un segno ma non la salvezza. La salvezza tuttavia appare possibile: essa consiste nel «dimorare» nel Signore, e questo è possibile ovunque. Così gli incontri che si faranno in terra straniera istruiranno l’itinerante: la fraternità è possibile ovunque, giacché anche altri dimorano nel Signore.
In questo contesto si colloca la storia narrata dal libro di Rut, una storia di ebrei immigrati per bisogno che trovano accoglienza e ai quali viene concesso di risiedere da forestieri in terra straniera. Tuttavia proprio nel momento in cui la vita sembra poter ricominciare, il marito di Noemi muore. Solo dopo la morte del padre i figli prendono in moglie due donne del luogo. La narrazione ci informa che la vita della vedova e dei suoi due figli sposati scorre così per dieci anni. Anche i due figli di Noemi, però, muoiono a breve distanza l’uno dall’altro, lasciando al mondo tre vedove sole e senza figli.
C’è un nesso tra tutti questi segni di morte e la migrazione della famiglia di Elimèlech da Betlemme di Giuda? C’è forse una punizione, e dunque un implicito giudizio, per il fatto che hanno abbandonato la terra dei padri e dunque la benedizione? Certo, c’era la carestia. Ma si poteva resistere attendendo una visita del Signore che di fatto dopo qualche anno avviene. Insomma, Elimèlech e Noemi non migrano seguendo un’uscita di massa. Si spostano di loro iniziativa da soli, come a suo tempo fece Terach con il figlio Abramo lasciando la Mesopotamia. Qui però a venire abbandonata è la terra promessa. Tutti gli altri sono rimasti a casa loro, fedeli a una terra che è il segno dell’alleanza anche quando viverci diventa difficile. Loro se ne sono usciti, e non sono andati a Moab per un tempo breve bensì «per stabilirvisi», cioè per risiedervi in maniera permanente. Hanno trovato il pane. Però la loro vita è segnata dalla non-benedizione, ovvero da morte e sterilità.
Forse il racconto vuole condurci a un giudizio del genere. Forse la migrazione di Elimèlech è come l’esilio che Israele ha subito per le sue infedeltà e nel quale ha sperimentato la morte e ha temuto l’abbandono da parte di Dio. Ma a questa «famiglia» (composta solo da donne e senza figli) viene offerta una seconda possibilità, e dal loro «peccato» può venire qualcosa di buono addirittura per tutto il popolo. Per Noemi si apre infatti la possibilità del ritorno. Ha sentito che in Giuda c’è di nuovo pane. A Moab non manca, tuttavia qui Noemi si sente sola, sebbene abbia con sé le due nuore, e cerca la protezione della sua «casa», del suo popolo. Parte con le mogli dei figli… Ma come sarà il ritorno? Dopo dieci anni Noemi torna alla casa che ha abbandonato con due nuore vedove, senza figli e per di più straniere.
Dopo essere partite Noemi ha un ripensamento: invita le nuore a tornare a casa loro. Si erano ritrovate insieme e avevano messo su casa tra di loro; ma ora tutto è finito e Noemi non vuole costringere le nuore a fare l’esperienza di essere straniere in mezzo a un popolo che non è il loro. Anzi, le invita ad accasarsi, a trovare un marito in Moab. Al primo invito le due resistono. Ma al secondo accorato e generoso invito Orpa se ne va. Rut invece «non si staccò da lei». Rut è una che non si stacca. Nel cammino che ha intrapreso con la suocera sente questo imperativo. Ed esprime la sua determinazione a non staccarsi da Noemi con parole che dicono un’alleanza tanto profonda da ricordare quella matrimoniale. Per qualche aspetto sembra perfino superarla: già solo per il fatto che comporta, almeno immediatamente, la rinuncia a nuove nozze e ai vantaggi che ne deriverebbero. Un matrimonio consentirebbe comunque un dare/avere, ma soprattutto potrebbe rappresentare per Rut la possibilità di avere dei figli. Rut sposa la causa di Noemi impegnandosi in una solidarietà che non arriva a legarsi «fino a che morte non vi separi», ma la supera: «Dove morirai tu, morirò anch’io e lì sarò sepolta».
Cosa motiva la solidarietà di Rut? Chi la spinge a un impegno tanto oneroso che soltanto una profonda motivazione «religiosa» potrebbe giustificare? Forse Dio? Forse. A leggere il testo è semplicemente l’affetto per una suocera che altrimenti si troverebbe sola, a motivare il cammino pieno di incognite di Rut al fianco di Noemi. Rut accetta una itineranza senza certezze e gravida di rischi, per restare attaccata a chi ama e si trova in difficoltà. Troverà anche un popolo, e perfino un Dio. Ma solo perché vuole restare attaccata a Noemi. Ormai il destino della suocera la riguarda. Rut ha lasciato la casa di sua madre e non vuole ritornare sui suoi passi perché probabilmente quell’esodo ha rappresentato per lei una emancipazione importante. E questa emancipazione la vediamo all’opera: nessuno potrà più decidere al suo posto a chi legarsi e perché.
Adesso Noemi è la madre di Rut. O forse sarebbe più giusto dire, trattandosi di un’alleanza, che Noemi è ora la madre-sorella di Rut; e Rut è la figlia-sorella di Noemi. Questa relazione può essere assunta con serenità. E’ assai impegnativa, ma sostanzialmente alla pari. Può comportare anche rinunce grandissime, ma nessuna sarà per l’altra la vita e la salvezza. Semmai insieme si aiuteranno a vivere e a cercare la salvezza che può venire solo da un Altro. Questo fanno le sorelle e i fratelli, senza bugie, senza illusioni e senza ricatti.
Rut la straniera.
A Betlemme le nostre trovano il pane, ma la vita è dura per due donne sole e perciò povere. Di fatto l’impegno che Rut ha preso con Noemi la porta a fare la serva per garantire a entrambe la sopravvivenza.
Per fortuna la legislazione ebraica (non sappiamo quanto rispettata, ma a giudicare dalle invettive dei profeti e dalle preoccupazioni dello stesso Booz assai poco) chiedeva che nel momento della mietitura si avesse attenzione per i poveri evitando di tagliare tutte le spighe e anzi lasciandone cadere alcune perché fossero raccolte da chi non aveva nulla. Così Rut si ritrova al seguito dei mietitori a spigolare. Inevitabile che attiri l’attenzione: è straniera. Ma di solito si tratta di una attenzione sospettosa, quando non francamente ostile. Oppure di un’attenzione molesta: è una donna ancora giovane, senza difesa; e si trova a lavorare in mezzo a giovani uomini. Qui invece il padrone del campo ha per lei delicatezze che né lei né noi ci aspetteremmo (Rut2,4-10).
La domanda finale di Rut a Booz esprime insieme la fatica dello straniero e la sua sorpresa per un’accoglienza insperata. Si tratta di una accoglienza della persona e non solo della sua utilità per la società.
«Trovare grazia» nell’AT vuol dire essere trovati belli, interessanti, preziosi per se stessi, al di là delle categorie con le quali ci cataloghiamo a vicenda (stranieri, nemici, malati, peccatori, donna/uomo, ricchi/poveri, ecc.) e che tutti sperimentiamo essere barriere il più delle volte insuperabili. Anche Rut pensa di non poter essere vista che come una straniera. Perciò è stupita (e forse anche un po’ sospettosa) perché Booz fa mostra di vedere nella moabita una persona, una «figlia», e se ne prende cura. Cosa ha visto di bello in lei?
La bellezza che Booz ha visto e apprezza in Rut (Rut 2,11-12) è niente meno che la bellezza che dovrebbe brillare al centro dell’esperienza del popolo eletto: Rut ha lasciato padre, madre e patria (come Abramo) e lo ha fatto per amore della sua suocera. Questo attaccamento l’ha condotta da straniera presso un popolo straniero. Ora si è umilmente piegata a fare la serva per garantire la sopravvivenza a Noemi e a se stessa. In lei brilla un «segreto» che la rende «giusta». E Booz le svela quale sia questo segreto: una così non può che essere gradita al Signore, Dio di Israele, ed è sotto la sua protezione come e anche più di qualsiasi altro ebreo. Rut vive nella comunione con il Dio delle vedove, degli orfani e dei forestieri senza saperlo. Ora, presso Israele, può venire a conoscere Colui che già aveva incontrato senza saperlo.
Ci troviamo qui davanti a una «figura» già vista altrove nella Bibbia: lo straniero viene a volte incontrato come realizzatore della volontà di Dio pur senza conoscere e possedere tutto quello che invece hanno i «credenti». E’ perciò uno che ha trovato grazia agli occhi di Dio e che ora deve essere visto come un fratello/sorella esemplare. Il problema per i «credenti» sarà allora quello di controllare il risentimento (“come può uno/una così essere come noi e meglio di noi?”) per non perdere l’occasione di un riconoscimento che allarga la fraternità e rivela un aspetto del volto Dio che non potrebbe essere rivelato altrimenti. In questo riconoscimento consiste la giustizia di Booz. La giustizia del credente non sta solo nella sua santità personale ma nella capacità di riconoscere e additare ad altri la giustizia che vede «fuori» – anche là dove secondo i nostri schemi morali, religiosi, culturali, ecc. non dovrebbe essere – attestando così la grandezza di un Dio che supera ogni confine in nome della vita. Straniero per tutti, anche per chi lo «conosce» dall’infanzia, Dio è prossimo a tutti e si rivela tra coloro che si accolgono nella diversità. In questa esperienza di una radicale fraternità degli umani brilla il volto del Dio datore di vita: egli è Padre di tutti, ha cura della vita di tutti.
L’esemplarità di Rut non è dunque soltanto un espediente per istruire Israele, che ormai vive nella diaspora straniero fra stranieri, ad avere sentimenti positivi nei confronti dell’esperienza di alterità. Qui il credente deve accogliere nel suo orizzonte teologico, morale, spirituale, uno «di fuori», un «forestiero» che gli è maestro e che inevitabilmente decostruisce, dilata e a volte rivoluziona (non senza ovvie resistenze) la sua visione di sé, degli altri e soprattutto di Dio.
Nelle parole rivolte da Booz a Rut c’è questo riconoscimento. Chi ama la vita prendendosi concretamente cura di (facendo alleanza con) qualcuno si fa itinerante al seguito della vita dell’altro. Per questo abbandona padre e madre, si decentra, e trova così fraternità e paternità autentiche. L’elezione di Israele (della chiesa) è dunque messa alla prova dalla constatazione che questa «giustizia» accade anche «fuori». Messa alla prova, però, non per essere negata, bensì per venire alla piena verità di sé: l’eletto che incontra un giusto ritrova il senso profondo e la verità della sua stessa elezione. Non siamo stati scelti per distinguerci/separarci dagli altri; siamo stati eletti per riconoscere e diffondere benedizione ovunque. E chiunque mostri di essere nella benedizione, trova con sua sorpresa «grazia ai nostri occhi» perché anche se non è dei nostri è nell’alleanza; perfino senza saperlo. In questo riconoscimento e in questa accoglienza il volto di Dio viene sottratto alla chiusura e alla meschinità di chi pensa di riconoscerlo solo nella cerchia dei suoi.
Cura e dono di sé
Approfittando della benevolenza di Booz e del fatto che è parente alla lontana e dunque può essere colui che si prende la briga di onorare la legge del levirato, Noemi stende le sue trame per farlo capitolare. Rut deve sedurlo, in modo che l’uomo non possa sottrarsi alle sue responsabilità.
Anche in questo caso Rut si comporta secondo una onestà che supera quella di Noemi e che incanta Booz. Non approfitta del momento di debolezza dell’uomo come fecero le figlie di Lot o come fece Tamar. Esplicita il suo desiderio con franchezza esponendosi così ad un eventuale rifiuto.
Se ora Rut accoglie il progetto di Noemi lo fa perché esso porterebbe beneficio anche alla suocera. Certo Booz capisce tutto questo: sa che Rut non è attratta da lui perché ne è innamorata ma perché cerca protezione per sé e per la suocera. Ed è proprio questo a conquistarlo: sapendosi vecchio e apprezzando di non essere stato imbrogliato, comprende che Rut lo rispetta perché è stato buono con lei. E alla bontà riconosciuta in lei la prima volta, ora Booz aggiunge il riconoscimento di questo secondo atto di bontà. La cura per l’altro nasce dalla bontà.
Quello che resta è benedizione per tutti.
L’epilogo della storia è un’apoteosi, inserita in un quadro del tutto comune. Mossa dalla fame di pane, la vicenda si è dispiegata in un paesino della Giudea sulla spinta della sopravvivenza. L’itineranza rischiosa e servizievole della moabita che «non si stacca» approda ora alla sistemazione più comune: un matrimonio, dei figli…
Noemi ha finalmente un nuovo figlio e una nuova famiglia che si prenderà cura di lei. Rut diviene madre e suo figlio sarà il nonno di Davide, il modello del Messia di Israele. Il popolo acclama Rut, la figlia-sorella, come nuova matriarca al pari di Lia e Rachele. E di lì a qualche secolo questa moabita comparirà nella genealogia di Gesù di Nazareth. Nell’amore, cioè in Dio, c’è speranza che vi sia benedizione per tutti. Questa è la speranza del credente, insegnata dalla storia di una straniera.
ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Signore, come è bello, alla sera,
quando il sole si lascia scivolare dietro le colline,
rientrare nell’ovile della preghiera e trovarti lì,
con le tue robuste braccia spalancate
pronte ad accogliermi.
Signore, come è bello
rivedere il tuo volto quando,
dopo essermi smarrito tra rovi e boschi ostili,
mi fermo, stremato dalla fatica,
in attesa del tuo soccorso.
Signore, come è bello
sapere che di te mi posso fidare,
che, anche ad occhi chiusi,
posso seguire il richiamo della tua voce.
Signore, come è bello
e quanta pace offre la tua casa:
fresca, quando la calura del giorno ha esaurito le mie energie,
calda, quando il gelo dell’inverno ha intorpidito la mia anima.
Signore, come è bello
essere parte del tuo gregge,
parte della tua Chiesa.
Amen.
(Patrizio Righero)
CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo
a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria
per tutti i secoli dei secoli.
AMEN
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti da sussidi delle Pontificie Opere Missionarie)