Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Signore, il tuo amore è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi,
la tua giustizia è come le più alte montagne,
il tuo giudizio come l’abisso profondo:
uomini e bestie tu salvi, Signore.
Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
|
Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali,
si saziano dell’abbondanza della tua casa:
tu li disseti al torrente delle tue delizie.
È in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la luce.
(dal Salmo 36 (35)) |
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
“Nessuno è talmente avanzato nella conoscenza delle scritture da non poter ulteriormente progredire…poiché esse, anche quando sono spiegate in diverse maniere, conservano sempre occulti segreti” (san Gregorio Magno)
Proseguiamo la serie di lectio tratte da episodi del Vangelo di Matteo, nei
quali il filone comune è la fede: fede povera, fede vacillante, fede messa alla
prova, ma anche fede grande e fede vissuta nel quotidiano.
Queste riflessioni sono liberamente tratte da alcune lectio di padre Innocenzo
Gargano, monaco camaldolese.
Buona
meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
(Matteo
11,25-30)
« 25 In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai
rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27 Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se
non
il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio
vorrà rivelarlo.
28 Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile
di
cuore, e troverete ristoro per la vostra vita.
30
Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero ».
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
IL GIUBILEO DI GESU’
«
Ti rendo lode, o Padre
»
E’ necessario distinguere
le singole parti di questa pagina di Matteo:
-
una prima parte consiste nei due versetti iniziali;
-
la parte centrale, v. 27, riguarda la reciproca conoscenza del Padre e del
Figlio;
-
la terza ed ultima parte, è tutta incentrata su una serie di inviti proposti da
Gesù.
La prima parte è caratterizzata dalla
Berakah (la benedizione) di Gesù, «
Ti rendo lode
(“ti benedico”),
o Padre
» (v. 25), che costituisce l'inizio di ogni preghiera
ebraica, nella cui
tradizione non si benedicono mai i doni, ma Colui che li concede.
La seconda parte rivela
un rapporto reciproco, tra il Padre ed il Figlio, di una intensità
straordinaria. Tutto si articola intorno al verbo della “conoscenza”, una
conoscenza approfondita che comporta intimità, e che per questo diventa una
sorta di fonte alla quale si può attingere, per ricevere a nostra volta una
conoscenza analoga, che potrebbe essere più appropriatamente definita
“sapienza”. Quella stessa sapienza che nell 'ultima parte l'evangelista ci
invita implicitamente a contemplare nella persona di Gesù.
Sapienza e Torah
Il filo conduttore delle
tre parti lo possiamo riscontrare nell'ambito semantico di sapienza-conoscenza.
Non dobbiamo dimenticare il peso che hanno questi due vocaboli all'interno della
tradizione ebraica. La sapienza è cantata nel libro dei Proverbi. Se prendiamo
il cap. 8 di questo libro biblico, possiamo verificare facilmente come la
contemplazione del credente israelita venga innalzata dalla sua straordinaria
intuizione sulle caratteristiche della sapienza di Dio. I Padri della Chiesa
fecero coincidere tutto ciò che la riflessione ebraica aveva detto a proposito
della sapienza
con gli attributi divini riconosciuti al Figlio identificato come
Sapienza personificata del Padre.
La tradizione ebraica,
avendo identificato la sapienza con la Torah, concludeva da parte sua che è
sapiente colui che si lascia ammaestrare dalla Legge stessa. È sufficiente
ricordare il Sal 1 per scoprire come il pio israelita distingua tra lo stolto ed
il sapiente in un contesto, in questo caso, del genere sapienziale delle
beatitudini:
«
Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei
peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore
trova la sua gioia, la sua legge
medita giorno e notte.
» (vv. 1-2).
Nel Sal 119 (118), il più
lungo del salterio, ci sono presentati gli innumerevoli titoli che si possono
dare alla Torah, ed anche in questo caso il testo comincia con una
beatitudine:
«
Beato chi è integro nella sua via e cammina nella legge del Signore. Beato chi
custodisce i suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore.
» (vv. 1-2).
Dunque la sapienza è
identificata con la legge del Signore, ed è sapiente colui che si mette
umilmente alla scuola della sapienza, meditando giorno e notte la legge del
Signore.
Sappiamo, inoltre, quali
sono i frutti di una simile adesione alla sapienza: sarà come albero piantato
lungo corsi d'acqua che darà frutto a suo tempo, perché la legge del Signore
sarà luce ai suoi passi.
Questo è il tesoro che
Israele ha ricevuto da Dio, un tesoro non posto nell'alto
del cielo o nell' abisso del mare, dove sarebbe impossibile raggiungerlo,
ma piantato nel cuore.
Nel libro dei Proverbi,
cap. 8, la Sapienza canta:
« Io, la sapienza, abito con la prudenza e possiedo scienza e riflessione. Temere il Signore è odiare il male: io detesto la superbia e l’arroganza, la cattiva condotta e la bocca perversa. A me appartengono consiglio e successo, mia è l’intelligenza, mia è la potenza. Per mezzo mio regnano i re e i principi promulgano giusti decreti; per mezzo mio i capi comandano e i grandi governano con giustizia. Io amo coloro che mi amano, e quelli che mi cercano mi trovano. »
(vv. 12-17).
Poi prosegue:
«
Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera,
all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi
della terra. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora
non vi erano le sorgenti cariche d’acqua; prima che fossero fissate le basi dei
monti, prima delle colline, io fui generata.
» (vv. 22-25).
Del tutto naturale il
passaggio al prologo di Giovanni, in cui la Sapienza é identificata con il
Logos. Ma anche in questo caso emerge
in primo luogo
la sua
intimità con Dio:
«
In principio era il Verbo
(il Logos),
e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
» (Gv 1,1).
Infatti:
«
Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del
Padre, è lui che lo ha rivelato.
» (Gv 1,18).
Dunque abbiamo il
passaggio dalla Sapienza, contemplata dal pio israelita nel Primo Testamento,
alla contemplazione della Sapienza resa presente in un individuo concreto, il
figlio di Maria, sul cui volto possiamo vedere risplendere la luce stessa di
Dio.
Nella tenda della carne
La Parola del Padre si
dispiega sul mondo ma non si impone al mondo. Rimane una proposta. Non si
trasforma mai in una imposizione. È il mistero della libertà. La luce splende
nelle tenebre e tuttavia queste hanno
la possibilità di
accoglierla o rifiutarla. Paradossalmente anche questo fa parte, della bella
notizia del Vangelo.
Chi però accoglie il
Vangelo nella libertà, acquista una dignità straordinaria: diventa addirittura
figlio di Dio. Anche questo fa parte della bella notizia del Vangelo. Ed è una
proposta per tutti che, appunto perché così universale, sconvolge i grandi di
questo mondo.
Ritorniamo alla Berakah
di Gesù (Mt 11):
«
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto
queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre,
perché così hai deciso nella tua benevolenza.
» (vv. 25-26).
In
apparenza è
una ingiustizia
colossale. Eppure fa parte della bella
notizia del NT:
«
A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a
quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né
da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
» (Gv
1,12-13).
Per questo «
il Verbo divenne carne e pose la sua tenda in mezzo agli uomini
». Scese dal cielo per mettere la sua casa in mezzo alle case della gente, così
come la gente era, senza sceglierla.
Ci sconcerta moltissimo questo atteggiamento del NT. Noi siamo stati educati
alla religiosità onesta dell'uomo giusto che segue tutte le regole per
raggiungere la sua meta senza tener conto di altro. Ma il prologo del Vangelo
secondo Giovanni non smette di ripeterci: «
E il Verbo divenne carne e pose la sua tenda in mezzo a noi e noi vedemmo la sua
gloria, la gloria della grazia della verità
» (cfr. Gv 1,14) (forse bisognerebbe
tradurre proprio così). Il che invita a concludere che la Parola vuole
rivelare al mondo ciò che da sempre, fin dall'eternità, custodisce dentro di sé
e che si può sintetizzare in un vocabolo solo: amore. E noi sappiamo benissimo
tutti che l'amore non si fa
condizionare da niente. Anzi!
Qui
sta la grande, la
bella notizia: « Dio è amore
».
Questa è la gloria,
questo è il vanto, questo è quanto dovremmo scoprire nella Parola fatta carne e
che l'evangelista Giovanni indica come la riprova concreta del progetto
concepito da Dio prima ancora della creazione del mondo, quando dichiara con
solennità:
«
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque
crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna
» (Gv 3,16).
È il grande mistero
dell'incarnazione. Dio mette suo figlio a nostra disposizione nella sua
fragilità, nella debolezza di un bambino, e nella lievità di una parola di cui
noi possiamo disporre, fare e disfare come vogliamo, perché possiamo accoglierla
o rifiutarla a nostro piacimento senza che lui intervenga con alcun tipo di
obbligo o prescrizione.
Si è fidato di noi. E
cosa si attende in risposta di questo? Niente! Vuole solo provare la gioia di
dare, amare per la gioia di amare, e se si aspetta qualcosa da noi, forse essa
può coincidere, anzi coincide di fatto, con un atteggiamento
altrettanto gratuito qual è quello dell'amore dato a fondo perduto per la
semplice gioia di amare e nulla più.
Ecco perché non servono
più riferimenti legali o normativi. Si potrebbe mai pensare che l'Amore possa
misurarsi o misurare qualcuno o qualche cosa? Lui non si è misurato. Si è dato
completamente. Tutto. È ovvio che si aspetti altrettanto dall'umanità. Ecco
perché quando, per esempio a Natale, si celebra un evento così colmo di
gratuità, le mani dei cristiani che contemplano il mistero dell'incarnazione, si
fanno bucate e si aprono al dono senza che sappia la sinistra ciò che fa la mano
destra. Un vero credente nell'incarnazione del Figlio stesso di Dio non può non
vivere di amore. Confrontandosi con un amore senza misura, come è stato l'amore
di Dio, che si è messo nelle nostre mani piccolo piccolo come bambino indifeso,
fragile, debolissimo come potrebbe l'uomo non sentirsi provocato
a rispondere con lo stesso
amore?
Gesù: la Berakah di Dio
Matteo ci aveva messi di
fronte all'interrogativo di Giovanni Battista che aveva mandato i suoi discepoli
a domandare a Gesù:
«
Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?
» (Mt 11,3).
La risposta di Gesù era
stata in apparenza misteriosa, ma in realtà molto chiara; egli infatti aveva
richiamato il segno dell 'autenticità del Figlio mandato dal Padre, mostrando:
«I
ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i
sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è
colui che non trova in me motivo di scandalo!»
(Mt 11,5-7).
Lo scandalo dei
benpensanti e dei « sapienti secondo il mondo » nasce dal fatto che la sapienza
vive in compagnia dei ciechi, degli storpi, dei lebbrosi e persino dei morti,
trovando il suo spazio ideale nella compagnia dei poveri. Chi considera assurdo
che Dio, nella sua onnipotenza e maestà,
si possa immedesimare con le situazioni negative dell'essere umano, che
Dio possa addirittura scendere nel regno dei morti per
passare attraverso ogni
esperienza di umiliazione e di limite, costui è infatti impossibilitato a
riconoscere le opere della sapienza proclamata
da Gesù di Nazareth.
Il seguito del testo
aveva insistito su questo principio quando, facendo riferimento a Giovanni
Battista lo aveva contrapposto a coloro che vivono nel lusso delle regge,
rivestiti di morbide vesti (v. 8). Nella stessa linea l 'evangelista aveva fatto
riferimento ai bambini che giocano in piazza, e che nella loro spontaneità si
meravigliano dell 'atteggiamento dei propri compagni, perché alle diverse
proposte di
divertimento questi
non davano mai la risposta che si aspettavano.
Tutto questo insieme di
realtà costituisce il mondo dei piccoli, dei poveri, dei semplici, in cui la
sapienza trova di preferenza il suo
spazio. Infatti proprio questi poveri, segnati dalla sofferenza e dalla
piccolezza a tutti i livelli sono l'ambito privilegiato in cui la Sapienza
gode di porre la sua casa.
Tutto questo ci aiuta a comprendere
il perché di questa
« esplosione » di esultanza nella Berakah
di Gesù. Precedentemente
aveva detto:
«
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È
venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e
un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”. Ma la sapienza è stata
riconosciuta giusta per le opere che essa compie».
(Mt 11,18-19).
Anche i pubblicani e i
peccatori vanno aggiunti dunque a quella lunga schiera di persone limitate,
all'interno delle quali la Sapienza gode di piantare la sua tenda. Tutto questo
è certamente assurdo per l'uomo
religioso, per
chi immagina un Dio che
rimane confinato nell'inaccessibile palazzo della sua trascendenza, chiuso nella
sua perfezione, nella sua autocompiacenza e non può neppure lontanamente
immaginare l'inaudito di un Figlio di Dio che pone la sua tenda in mezzo alle
creature umane.
Gesù insomma pone i suoi
interlocutori di fronte ad una scelta ineludibile: o accettare un Dio che,
manifestandosi in questo modo, rivela le caratteristiche della sua sapienza, o
rimanere irrimediabilmente tagliati fuori dallo sguardo accondiscendente di Dio.
Si Padre, così è piaciuto a te
Come uomo, Gesù resta
meravigliato di questo modo completamente « altro » con cui si manifesta la
Sapienza di Dio. Invece di provarne scandalo, come accadeva ai grandi sapienti e
intelligenti secondo il mondo, Egli si sente attraversare da una straordinaria
gioia, né può fare a meno di esplodere in un bellissimo inno di ringraziamento:
« Ti rendo
lode, Padre, Signore del cielo e della terra
» (v. 25)
La parola “Padre” detta
da Gesù è molto di più del nostro
“Padre“, perché oltre alla paternità esprime il tutto di « Colui che è »,
secondo la rivelazione sinaitica.
E arriva la motivazione
che porta all'erompere della berakah:
«
…perché
hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.
Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
» (v. 25-26).
Come se fosse un gioco:
ti sei divertito a capovolgere i criteri umani attingendo alla tua libertà. Non
è casuale questo nostro riferimento al gioco. Abbiamo notato che poco prima
l'evangelista stesso era ricorso all'immagine dei bambini che giocano in piazza.
E’ dunque possibile dedurre che Dio si è divertito a nascondere tutte queste
cose ai sapienti e agli intelligenti, per poi rivelarle ai piccoli, ai semplici,
agli incolti, a persone senza valore, senza importanza né culturale, né morale,
né economica né politica, a persone fragili da tutti i punti di vista. Proprio
di queste persone ha scelto di farsi commensale, condividendo allegramente la
mensa dei pubblicani e dei peccatori. Il perché di tutto questo è un mistero:
perché così la benevolenza si manifestò davanti a te.
Bisogna capire cosa si
celi dietro questa benevolenza di Dio del tutto gratuita. L'amore, infatti, si
offre gratuitamente attingendo soltanto alla libertà dell'amore stesso,
altrimenti non sarebbe più amore ma interesse. Il vero amore non si attende
nulla, parte dalla libertà e raggiunge la libertà. Questo è ciò che rompe, come
abbiamo già notato, tutti i criteri umani. L'amore attinge alla propria stessa
fonte la gioia di amare, la soddisfazione di amare. L'amore è a se stesso
premio, direbbe Agostino, e questo umilia tutti, poiché in questa logica nessuno
può accampare un
minimo diritto
o merito. Questa assoluta gratuità ci umilia; sembra che la dignità umana
non abbia alcun punto di appoggio quando è posta contro lo splendore travolgente
dell'amore di Dio. Eppure proprio nella manifestazione dell'amore si esprime il
massimo rispetto. Questo è il mistero della grazia di Dio, che ci ama nella
libertà lasciandoci nella libertà. È questo ciò che sconvolge i piani
umani, che tentano sempre di trovare un punto fermo sul quale costruire
tutto il resto. Non è mai costrizione o imposizione, né risposta ad un diritto o
premio ad un merito; ma sempre amore nella libertà, che è libertà dell'amante e
dell'amato nella comune condivisione
dell 'amore.
Kenosi: via dell'amore
«
Tutto è stato
dato a me dal Padre mio » (v. 27).
Questa parte della
berakah, che è definita il « luogo giovanneo », permette di scendere più in
profondità nella contemplazione della misteriosa kenosi del Padre che svuota se
stesso per darsi interamente al Figlio. Tutto quello che il Padre ha, e tutto
ciò che è, è donato al Figlio, rimanendo egli Padre e permettendo al Figlio di
rimanere Figlio. In questa misteriosa donazione totale del Padre al Figlio, ci è
rivelata poi la profondità infinita del dono che il Figlio fa di sé al Padre.
Nella riflessione di
Giovanni ciò che ulteriormente sconvolge è che in questa donazione di sé del
Figlio al Padre siamo coinvolti tutti noi, perché il Figlio si offre al Padre
donandosi a noi, nel suo Spirito. Questo amante che si riversa tutto nell'amato,
e che perciò manifesta l'amore, è anche colui che l'amato rivela nella completa
libertà dell'amore:
«…nessuno
conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e
colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo
» (v. 27).
La conoscenza risiede
interamente in questa donazione totale di sé all'altro, all'interno di un quadro
culturale che identifica la conoscenza non soltanto con l 'esercizio della
mente, ma anche con la reciprocità
dell'amore e che vede il simbolo massimamente
espressivo di
tutto questo nelI'unione
sponsale. La conoscenza del Padre è data dunque completamente al Figlio che la
può comunicare, nella sovrana libertà dell'amore, a chiunque vuole introducendo
così in modo decisivo nella storia la manifestazione costantemente creativa
della benevolenza del Padre.
Questa scoperta dovrebbe
aprire il cuore alla gioia, all'allegrezza. Ma non succede sempre così. In
alcuni, anzi, essa può provocare addirittura gelosia, invidia, disappunto. Si
sentono infatti giusti e meritevoli, e perciò accusano la volontà del Figlio e
la benevolenza del Padre decisamente di ingiustizia.
Un giardino di frescura
La terza parte del testo
di questa lectio invita
a tener conto di questa incresciosa possibilità, invitando a liberare il
cuore da simile imprigionante grettezza della mentalità umana, aprendola
alla bella notizia del Vangelo.
Gli esegeti hanno notato
che l'ultima parte del nostro testo ha una coloritura del tutto femminile,
perché sembra dare una sfumatura appunto femminile all'amore di Dio. Dietro al
linguaggio dell'evangelista c'è infatti la visione di un grembo materno
accogliente, sul quale riposa il bambino appagato in tutte le sue attese,
fisiche, psichiche e spirituali:
«
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro
» (v. 28).
Io sarò il vostro
ristoro, io sarò la
vostra pace,
la vostra
tranquillità, la vostra « pausa », come dicesse: e io vi darò il riposo
desiderato.
Lasciate tutte le altre
preoccupazioni, voi che siete appesantiti da pesi eccessivi (come coloro che
fanno fatiche quotidiane fisiche come i portatori di pesi). Gesù si rivolge
dunque a coloro che sono quasi distrutti dalla fatica, dal peso che grava sulle
loro spalle e promette loro il riposo desiderato a condizione che si lascino
porre sulle spalle il suo giogo che promette essere gradito e leggero. Imparate
da me, aggiunge Gesù, che « sono delicato », « dolce », « fresco ». Indica tutto
ciò che di più delicato si può pensare.
Solo un animo
estremamente sensibile può comprendere bene cosa si nasconda dietro questa
disponibilità a ristorare. Gesù quasi vorrebbe dire: la mia gioia è tutta nella
tua, sono per te un giardino di frescura, una casa ristoratrice, un abbraccio
che ti solleva da tutta la stanchezza , in modo che tu possa uscire
dall'incontro con me, esultante come lo sposo quando esce dalla camera nuziale.
È il riferimento che nell'innologia
bizantina si fa a proposito
di Gesù risorto nella notte pasquale. Dal sepolcro infatti Gesù è uscito
come uno sposo dalla camera nuziale.
Il credente che ha
incontrato Gesù ha trovato tutto ciò che desiderava e adesso, nato di nuovo, può
di nuovo affrontare tutte le incertezze e gli impegni del suo quotidiano.
In questo caso anche il giogo è sinonimo di benevolenza, di amore gratuito,
libero, spontaneo, generoso, un amore che nasce dalla libertà, si nutre di
libertà e dona la libertà dei figli di Dio.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Anche noi alla ricerca.
Del segno certo, conferma che rassicura.
Di essere sulla strada giusta.
Nei cammini insidiosi del quotidiano.
E nei volti che quotidianamente incrociamo.
Cercando amore e tentando di amare.
Come fosse tra i dov/eri.
Che sono quasi domanda.
“Dove eri?”
Che rivolgi a me, uomo, e che rivolgo a Te, Dio.
“Dove eri, Dio,
quando nella mia vita succedeva che…?”
Sono così pochi i segni certi.
E i volti amabili. |
Ma forse perché il Volto è impastato.
Di vita quotidiana, di noia e di fatica.
E spesso di sangue e sudore.
E di ghiaia della strada.
E’ questo il tuo volto.
In noi e nei fratelli.
Sfigurato, spesso irriconoscibile.
Ma che il padre trasfigurerà e renderà splendente.
Aiutaci a non disprezzare.
I piccoli e continui tentativi.
Di cercare quel Volto.
Riconoscerlo e ripulirlo.
E soprattutto amarlo.
(…) (da “Strada Facendo” di Stefania Perna)
|
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi impegno
a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò
che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da alcune lectio di padre Innocenzo Gargano, monaco
camaldolese)