RITIRO ON LINE                                                                                                   
marzo 2017

                                                                                                                                                                                                                                                

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

Signore, il tuo amore è nel cielo,

la tua fedeltà fino alle nubi,

la tua giustizia è come le più alte montagne,

il tuo giudizio come l’abisso profondo:

uomini e bestie tu salvi, Signore.

Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!

 

 

Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali,

si saziano dell’abbondanza della tua casa:

tu li disseti al torrente delle tue delizie.

È in te la sorgente della vita,

alla tua luce vediamo la luce.

(dal Salmo 36 (35))

 

 

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

 

Nessuno è talmente avanzato nella conoscenza delle scritture da non poter ulteriormente progredire…poiché esse, anche quando sono spiegate in diverse maniere, conservano sempre occulti segreti” (san Gregorio Magno)

 

Proseguiamo la serie di lectio tratte da episodi del Vangelo di Matteo, nei quali il filone comune è la fede: fede povera, fede vacillante, fede messa alla prova, ma anche fede grande e fede vissuta nel quotidiano.

Queste riflessioni sono liberamente tratte da alcune lectio di padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese.

 Buona meditazione e buona preghiera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.  (Matteo 11,25-30)

« 25 In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai

 rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27 Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se

 non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28 Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile

 

 di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero ».

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !  Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

 

IL GIUBILEO DI GESU’

« Ti rendo lode, o Padre »  (Matteo 11,25-30)

 

E’ necessario distinguere le singole parti di questa pagina di Matteo:

-              una prima parte consiste nei due versetti iniziali;

-              la parte centrale, v. 27, riguarda la reciproca conoscenza del Padre e del Figlio;

-              la terza ed ultima parte, è tutta incentrata su una serie di inviti proposti da Gesù.

La prima parte è caratterizzata dalla Berakah (la benedizione) di Gesù, « Ti rendo lode (“ti benedico”), o Padre » (v. 25), che costituisce l'inizio di ogni preghiera  ebraica,  nella cui tradizione non si benedicono mai i doni, ma Colui che li concede.

La seconda parte rivela un rapporto reciproco, tra il Padre ed il Figlio, di una intensità straordinaria. Tutto si articola intorno al verbo della “conoscenza”, una conoscenza approfondita che comporta intimità, e che per questo diventa una sorta di fonte alla quale si può attingere, per ricevere a nostra volta una conoscenza analoga, che potrebbe essere più appropriatamente definita “sapienza”. Quella stessa sapienza che nell 'ultima parte l'evangelista ci invita implicitamente a contemplare nella persona di Gesù.

 

Sapienza e Torah

Il filo conduttore delle tre parti lo possiamo riscontrare nell'ambito semantico di sapienza-conoscenza. Non dobbiamo dimenticare il peso che hanno questi due vocaboli all'interno della tradizione ebraica. La sapienza è cantata nel libro dei Proverbi. Se prendiamo il cap. 8 di questo libro biblico, possiamo verificare facilmente come la contemplazione del credente israelita venga innalzata dalla sua straordinaria intuizione sulle caratteristiche della sapienza di Dio. I Padri della Chiesa fecero coincidere tutto ciò che la riflessione ebraica aveva detto a proposito della  sapienza  con gli attributi divini riconosciuti al Figlio identificato come Sapienza personificata  del Padre.

La tradizione ebraica, avendo identificato la sapienza con la Torah, concludeva da parte sua che è sapiente colui che si lascia ammaestrare dalla Legge stessa. È sufficiente ricordare il Sal 1 per scoprire come il pio israelita distingua tra lo stolto ed il sapiente in un contesto, in questo caso, del genere sapienziale delle beatitudini:

« Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia,  la sua legge medita giorno e notte. »  (vv. 1-2).

 

Nel Sal 119 (118), il più lungo del salterio, ci sono presentati gli innumerevoli titoli che si possono dare alla Torah, ed anche in questo caso il testo comincia con una  beatitudine:

« Beato chi è integro nella sua via e cammina nella legge del Signore. Beato chi custodisce i suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore. » (vv. 1-2).

 

Dunque la sapienza è identificata con la legge del Signore, ed è sapiente colui che si mette umilmente alla scuola della sapienza, meditando giorno e notte la legge del  Signore.

Sappiamo, inoltre, quali sono i frutti di una simile adesione alla sapienza: sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua che darà frutto a suo tempo, perché la legge del Signore  sarà luce ai suoi passi.

Questo è il tesoro che Israele ha ricevuto da Dio, un tesoro non posto nell'alto  del cielo o nell' abisso del mare, dove sarebbe impossibile raggiungerlo, ma piantato nel  cuore.

Nel libro dei Proverbi, cap. 8, la Sapienza canta:

« Io, la sapienza, abito con la prudenza e possiedo scienza e riflessione. Temere il Signore è odiare il male: io detesto la superbia e l’arroganza, la cattiva condotta e la bocca perversa. A me appartengono consiglio e successo, mia è l’intelligenza, mia è la potenza. Per mezzo mio regnano i re e i principi promulgano giusti decreti; per mezzo mio i capi comandano e i grandi governano con giustizia. Io amo coloro che mi amano, e quelli che mi cercano mi trovano. »

(vv. 12-17).

 

Poi prosegue:

« Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua; prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io fui generata. » (vv. 22-25).

 

Del tutto naturale il passaggio al prologo di Giovanni, in cui la Sapienza é identificata con il Logos. Ma anche in questo caso emerge  in primo  luogo  la  sua  intimità  con Dio:

« In principio era il Verbo (il Logos), e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. » (Gv  1,1).

 

Infatti:

« Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. »  (Gv 1,18).

Dunque abbiamo il passaggio dalla Sapienza, contemplata dal pio israelita nel Primo Testamento, alla contemplazione della Sapienza resa presente in un individuo concreto, il figlio di Maria, sul cui volto possiamo vedere risplendere la luce stessa di Dio.

 

Nella tenda della carne

La Parola del Padre si dispiega sul mondo ma non si impone al mondo. Rimane una proposta. Non si trasforma mai in una imposizione. È il mistero della libertà. La luce splende nelle tenebre e tuttavia queste hanno  la possibilità  di accoglierla o rifiutarla. Paradossalmente anche questo fa parte, della bella notizia del  Vangelo.

Chi però accoglie il Vangelo nella libertà, acquista una dignità straordinaria: diventa addirittura figlio di Dio. Anche questo fa parte della bella notizia del Vangelo. Ed è una proposta per tutti che, appunto perché così universale, sconvolge i grandi di questo mondo.

 

Ritorniamo alla Berakah di Gesù (Mt 11):

« Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. » (vv. 25-26).

In  apparenza   è  una  ingiustizia   colossale. Eppure fa parte della bella  notizia  del NT:

« A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. »  (Gv   1,12-13).

 

Per questo « il Verbo divenne carne e pose la sua tenda in mezzo agli uomini ». Scese dal cielo per mettere la sua casa in mezzo alle case della gente, così come la gente era, senza sceglierla.

Ci sconcerta moltissimo questo atteggiamento del NT. Noi siamo stati educati alla religiosità onesta dell'uomo giusto che segue tutte le regole per raggiungere la sua meta senza tener conto di altro. Ma il prologo del Vangelo secondo Giovanni non smette di ripeterci: « E il Verbo divenne carne e pose la sua tenda in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria, la gloria della grazia della verità » (cfr. Gv 1,14) (forse bisognerebbe  tradurre proprio così). Il che invita a concludere che la Parola vuole rivelare al mondo ciò che da sempre, fin dall'eternità, custodisce dentro di sé e che si può sintetizzare in un vocabolo solo: amore. E noi sappiamo benissimo  tutti che l'amore non  si fa  condizionare da niente. Anzi!

Qui  sta la  grande, la  bella  notizia: « Dio è amore ».

Questa è la gloria, questo è il vanto, questo è quanto dovremmo scoprire nella Parola fatta carne e che l'evangelista Giovanni indica come la riprova concreta del progetto concepito da Dio prima ancora della creazione del mondo, quando dichiara con solennità:

« Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna » (Gv 3,16).

È il grande mistero dell'incarnazione. Dio mette suo figlio a nostra disposizione nella sua fragilità, nella debolezza di un bambino, e nella lievità di una parola di cui noi possiamo disporre, fare e disfare come vogliamo, perché possiamo accoglierla o rifiutarla a nostro piacimento senza che lui intervenga con alcun tipo di obbligo o  prescrizione.

Si è fidato di noi. E cosa si attende in risposta di questo? Niente! Vuole solo provare la gioia di dare, amare per la gioia di amare, e se si aspetta qualcosa da noi, forse essa può coincidere, anzi coincide di fatto, con un atteggiamento  altrettanto gratuito qual è quello dell'amore dato a fondo perduto per la semplice gioia di amare e nulla più.

Ecco perché non servono più riferimenti legali o normativi. Si potrebbe mai pensare che l'Amore possa misurarsi o misurare qualcuno o qualche cosa? Lui non si è misurato. Si è dato completamente. Tutto. È ovvio che si aspetti altrettanto dall'umanità. Ecco perché quando, per esempio a Natale, si celebra un evento così colmo di gratuità, le mani dei cristiani che contemplano il mistero dell'incarnazione, si fanno bucate e si aprono al dono senza che sappia la sinistra ciò che fa la mano destra. Un vero credente nell'incarnazione del Figlio stesso di Dio non può non vivere di amore. Confrontandosi con un amore senza misura, come è stato l'amore di Dio, che si è messo nelle nostre mani piccolo piccolo come bambino indifeso, fragile, debolissimo come potrebbe l'uomo non sentirsi provocato  a rispondere  con lo stesso amore?

 

Gesù: la Berakah di Dio

Matteo ci aveva messi di fronte all'interrogativo di Giovanni Battista che aveva mandato i suoi discepoli a domandare a Gesù:

« Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro? »  (Mt 11,3).

La risposta di Gesù era stata in apparenza misteriosa, ma in realtà molto chiara; egli infatti aveva richiamato il segno dell 'autenticità del Figlio mandato dal Padre, mostrando:

«I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11,5-7). 

Lo scandalo dei benpensanti e dei « sapienti secondo il mondo » nasce dal fatto che la sapienza vive in compagnia dei ciechi, degli storpi, dei lebbrosi e persino dei morti, trovando il suo spazio ideale nella compagnia dei poveri. Chi considera assurdo che Dio, nella sua onnipotenza e maestà,  si possa immedesimare con le situazioni negative dell'essere umano, che Dio possa addirittura scendere nel regno dei morti per  passare  attraverso ogni esperienza di umiliazione e di limite, costui è infatti impossibilitato a riconoscere le opere della sapienza proclamata  da Gesù di Nazareth.

Il seguito del testo aveva insistito su questo principio quando, facendo riferimento a Giovanni Battista lo aveva contrapposto a coloro che vivono nel lusso delle regge, rivestiti di morbide vesti (v. 8). Nella stessa linea l 'evangelista aveva fatto riferimento ai bambini che giocano in piazza, e che nella loro spontaneità si meravigliano dell 'atteggiamento dei propri compagni, perché alle diverse  proposte   di  divertimento   questi  non davano mai la risposta che si aspettavano.

Tutto questo insieme di realtà costituisce il mondo dei piccoli, dei poveri, dei semplici, in cui la sapienza trova di preferenza il suo  spazio. Infatti proprio questi poveri, segnati dalla sofferenza e dalla piccolezza a tutti i livelli sono l'ambito privilegiato in cui la Sapienza  gode  di porre la sua casa. Tutto  questo ci aiuta a comprendere  il perché  di questa  « esplosione » di esultanza nella Berakah  di  Gesù. Precedentemente  aveva  detto:

« È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie». (Mt 11,18-19).

Anche i pubblicani e i peccatori vanno aggiunti dunque a quella lunga schiera di persone limitate, all'interno delle quali la Sapienza gode di piantare la sua tenda. Tutto questo è certamente assurdo per l'uomo  religioso,  per  chi  immagina un Dio che rimane confinato nell'inaccessibile palazzo della sua trascendenza, chiuso nella sua perfezione, nella sua autocompiacenza e non può neppure lontanamente immaginare l'inaudito di un Figlio di Dio che pone la sua tenda in mezzo alle creature umane.

Gesù insomma pone i suoi interlocutori di fronte ad una scelta ineludibile: o accettare un Dio che, manifestandosi in questo modo, rivela le caratteristiche della sua sapienza, o rimanere irrimediabilmente tagliati fuori dallo sguardo accondiscendente di Dio.

 

Si Padre, così è piaciuto a te

Come uomo, Gesù resta meravigliato di questo modo completamente « altro » con cui si manifesta la Sapienza di Dio. Invece di provarne scandalo, come accadeva ai grandi sapienti e intelligenti secondo il mondo, Egli si sente attraversare da una straordinaria gioia, né può fare a meno di esplodere in un bellissimo inno di ringraziamento:

« Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra » (v. 25)

La parola “Padre” detta da Gesù è molto di  più del nostro “Padre“, perché oltre alla paternità esprime il tutto di « Colui che è », secondo la rivelazione sinaitica.

E arriva la motivazione che porta all'erompere della berakah:

«  perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. » (v. 25-26).

Come se fosse un gioco: ti sei divertito a capovolgere i criteri umani attingendo alla tua libertà. Non è casuale questo nostro riferimento al gioco. Abbiamo notato che poco prima l'evangelista stesso era ricorso all'immagine dei bambini che giocano in piazza. E’ dunque possibile dedurre che Dio si è divertito a nascondere tutte queste cose ai sapienti e agli intelligenti, per poi rivelarle ai piccoli, ai semplici, agli incolti, a persone senza valore, senza importanza né culturale, né morale, né economica né politica, a persone fragili da tutti i punti di vista. Proprio di queste persone ha scelto di farsi commensale, condividendo allegramente la mensa dei pubblicani e dei peccatori. Il perché di tutto questo è un mistero: perché così la benevolenza si manifestò davanti a te.

Bisogna capire cosa si celi dietro questa benevolenza di Dio del tutto gratuita. L'amore, infatti, si offre gratuitamente attingendo soltanto alla libertà dell'amore stesso, altrimenti non sarebbe più amore ma interesse. Il vero amore non si attende nulla, parte dalla libertà e raggiunge la libertà. Questo è ciò che rompe, come abbiamo già notato, tutti i criteri umani. L'amore attinge alla propria stessa fonte la gioia di amare, la soddisfazione di amare. L'amore è a se stesso premio, direbbe Agostino, e questo umilia tutti, poiché in questa logica nessuno può accampare  un  minimo  diritto  o merito. Questa assoluta gratuità ci umilia; sembra che la dignità umana non abbia alcun punto di appoggio quando è posta contro lo splendore travolgente dell'amore di Dio. Eppure proprio nella manifestazione dell'amore si esprime il massimo rispetto. Questo è il mistero della grazia di Dio, che ci ama nella libertà lasciandoci nella libertà. È questo ciò che sconvolge i piani  umani, che tentano sempre di trovare un punto fermo sul quale costruire tutto il resto. Non è mai costrizione o imposizione, né risposta ad un diritto o premio ad un merito; ma sempre amore nella libertà, che è libertà dell'amante e dell'amato nella comune condivisione  dell 'amore.

 

Kenosi: via dell'amore

« Tutto è stato dato a me dal Padre mio » (v. 27).

Questa parte della berakah, che è definita il « luogo giovanneo », permette di scendere più in profondità nella contemplazione della misteriosa kenosi del Padre che svuota se stesso per darsi interamente al Figlio. Tutto quello che il Padre ha, e tutto ciò che è, è donato al Figlio, rimanendo egli Padre e permettendo al Figlio di rimanere Figlio. In questa misteriosa donazione totale del Padre al Figlio, ci è rivelata poi la profondità infinita del dono che il Figlio fa di sé al Padre.

Nella riflessione di Giovanni ciò che ulteriormente sconvolge è che in questa donazione di sé del Figlio al Padre siamo coinvolti tutti noi, perché il Figlio si offre al Padre donandosi a noi, nel suo Spirito. Questo amante che si riversa tutto nell'amato, e che perciò manifesta l'amore, è anche colui che l'amato rivela nella completa libertà  dell'amore:

«nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo » (v.  27).

La conoscenza risiede interamente in questa donazione totale di sé all'altro, all'interno di un quadro culturale che identifica la conoscenza non soltanto con l 'esercizio della mente, ma  anche con la reciprocità dell'amore e che vede il simbolo massimamente  espressivo  di  tutto  questo nelI'unione sponsale. La conoscenza del Padre è data dunque completamente al Figlio che la può comunicare, nella sovrana libertà dell'amore, a chiunque vuole introducendo così in modo decisivo nella storia la manifestazione costantemente creativa della benevolenza  del Padre.

Questa scoperta dovrebbe aprire il cuore alla gioia, all'allegrezza. Ma non succede sempre così. In alcuni, anzi, essa può provocare addirittura gelosia, invidia, disappunto. Si sentono infatti giusti e meritevoli, e perciò accusano la volontà del Figlio e la benevolenza del Padre decisamente di ingiustizia.

 

Un giardino di frescura

La terza parte del testo di questa  lectio invita  a tener conto di questa incresciosa possibilità, invitando a liberare il cuore da simile imprigionante grettezza della mentalità umana, aprendola  alla bella notizia del Vangelo.

Gli esegeti hanno notato che l'ultima parte del nostro testo ha una coloritura del tutto femminile, perché sembra dare una sfumatura appunto femminile all'amore di Dio. Dietro al linguaggio dell'evangelista c'è infatti la visione di un grembo materno accogliente, sul quale riposa il bambino appagato in tutte le sue attese, fisiche, psichiche e spirituali:

«  Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro » (v. 28).

Io sarò il vostro ristoro,  io sarò la  vostra  pace,  la  vostra  tranquillità, la vostra « pausa », come dicesse: e io vi darò il riposo desiderato.

Lasciate tutte le altre preoccupazioni, voi che siete appesantiti da pesi eccessivi (come coloro che fanno fatiche quotidiane fisiche come i portatori di pesi). Gesù si rivolge dunque a coloro che sono quasi distrutti dalla fatica, dal peso che grava sulle loro spalle e promette loro il riposo desiderato a condizione che si lascino porre sulle spalle il suo giogo che promette essere gradito e leggero. Imparate da me, aggiunge Gesù, che « sono delicato », « dolce », « fresco ». Indica tutto ciò che di più delicato si può pensare.

Solo un animo estremamente sensibile può comprendere bene cosa si nasconda dietro questa disponibilità a ristorare. Gesù quasi vorrebbe dire: la mia gioia è tutta nella tua, sono per te un giardino di frescura, una casa ristoratrice, un abbraccio che ti solleva da tutta la stanchezza , in modo che tu possa uscire dall'incontro con me, esultante come lo sposo quando esce dalla camera nuziale. È il riferimento che nell'innologia  bizantina  si fa a proposito  di Gesù risorto nella notte pasquale. Dal sepolcro infatti Gesù è uscito come uno sposo dalla camera nuziale.

Il credente che ha incontrato Gesù ha trovato tutto ciò che desiderava e adesso, nato di nuovo, può di nuovo affrontare tutte le incertezze e gli impegni del suo quotidiano.

In questo caso anche il giogo è sinonimo di benevolenza, di amore gratuito, libero, spontaneo, generoso, un amore che nasce dalla libertà, si nutre di libertà e dona la libertà dei figli di Dio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

Anche noi alla ricerca.

Del segno certo, conferma che rassicura.

Di essere sulla strada giusta.

Nei cammini insidiosi del quotidiano.

E nei volti che quotidianamente incrociamo.

 

Cercando amore e tentando di amare.

Come fosse tra i dov/eri.

Che sono quasi domanda.

“Dove eri?”

Che rivolgi a me, uomo, e che rivolgo a Te, Dio.

“Dove eri, Dio,

quando nella mia vita succedeva che…?”

Sono così pochi i segni certi.

E i volti amabili.

 

Ma forse perché il Volto è impastato.

Di vita quotidiana, di noia e di fatica.

E spesso di sangue e sudore.

E di ghiaia della strada.

E’ questo il tuo volto.

In noi e nei fratelli.

Sfigurato, spesso irriconoscibile.

Ma che il padre trasfigurerà e renderà splendente.

 

Aiutaci a non disprezzare.

I piccoli e continui tentativi.

Di cercare quel Volto.

Riconoscerlo e ripulirlo.

E soprattutto amarlo.

(…)

(da “Strada Facendo” di Stefania Perna)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.  È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,  nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!  

 

(spunti liberamente tratti da alcune lectio di padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese)