Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
"Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto" (Sal 27) Anch'io ti rivolgo questa invocazione e tu mi hai risposto manifestandomi il tuo volto misericordioso e offrendomi la tua amicizia. Non sei un Dio lontano, astratto: sei un Dio comunione che liberamente si dona e chiede anche a noi di donarci. |
Tu sei il volto luminoso
del Padre che ama sempre i suoi figli. In te posso ritrovare il filo perduto dell'amicizia originaria e sperimentare la riconciliazione con Dio e con i fratelli. (don Canio Calitri) |
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“Nessuno è
talmente avanzato nella conoscenza delle scritture da non poter ulteriormente
progredire…poiché esse, anche quando sono spiegate in diverse maniere,
conservano sempre occulti segreti”
(san Gregorio Magno)
Proseguiamo la serie di lectio tratte da episodi del Vangelo di Matteo, nei
quali il filone comune è la fede: fede povera, fede vacillante, fede messa alla
prova, ma anche fede grande e fede vissuta nel quotidiano.
Queste
riflessioni sono liberamente tratte da alcune lectio di padre Innocenzo Gargano,
monaco camaldolese.
Buona
meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
« 31Quando
il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà
sul trono della sua gloria. 32Davanti
a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come
il pastore separa le pecore dalle capre,
33e
porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
34Allora
il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre
mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del
mondo, 35perché
ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da
bere, ero straniero e mi avete accolto,
36nudo
e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a
trovarmi”. 37Allora
i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti
abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?
38Quando
mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo
vestito? 39Quando
mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.
40E
il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno
solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
41Poi
dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti,
nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli,
42perché
ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato
da bere, 43ero
straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in
carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi
allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o
straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”.
45Allora
egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a
uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
46E
se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna ».
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
LE OPERE DELL’AMORE
«
“Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare,
o assetato e ti abbiamo dato da bere?
»
(Mt 25,31-46)
Quale l'esatto contesto?
Questo testo, vero
capolavoro dell'evangelista Matteo, corrisponde alla parte conclusiva dei cinque
grandi discorsi di Gesù, attraverso i quali si esprime una profonda coincidenza
con i primi cinque libri del Primo Testamento. Da questo momento in poi si apre
l'ultima parte del Vangelo secondo Matteo che comprende il racconto della
passione e l'annuncio della risurrezione di Cristo.
Non è facile comprendere
l'esatto contesto nel quale è articolato questo discorso conclusivo; vi sono
diverse ipotesi possibili.
Potrebbe essere la
risposta dell'evangelista
all'interrogativo dei membri della comunità nei confronti degli altri
popoli, ovvero di tutte quelle genti che non avrebbero avuto la possibilità di
incontrarsi direttamente con il vangelo predicato dagli apostoli. Attraverso
questo discorso, dunque, l'evangelista affermerebbe
che gli altri popoli si
incontreranno comunque con Cristo, ma passando attraverso la mediazione di tutti
coloro che sono poveri e bisognosi. Quindi anche i popoli che non fossero stati
raggiunti dalla predicazione del Vangelo avrebbero avuto una via particolare e
specifica per entrare in relazione con Colui nel quale, unico, è la salvezza.
Questa è una prima ipotesi.
La seconda ipotesi
identifica i poveri con i portatori del Vangelo. In questo caso la pagina assume
un'altra colorazione: le genti, tutte le genti, sarebbero state giudicate in
base al tipo di accoglienza riservata ai fratelli miei più piccoli (v. 40),
identificati con i portatori del vangelo. In questo caso tutti i poveri e i
bisognosi cui si fa riferimento, sarebbero identificabili con la
Chiesa nel suo insieme. Il mondo sarebbe stato giudicato insomma in base
all'accoglienza o al rifiuto che avrebbe dato agli inviati dal Signore. Questa
seconda ipotesi corrisponde ad un altro interrogativo, presente all'interno
della comunità, che nasceva dalla constatazione del fatto che non tutti
accoglievano gli inviati del Signore, mostrando di rifiutare, in tal modo, il
dono e i portatori del dono nello stesso tempo.
Una terza ipotesi
considera la pagina come diretta a tutti indistintamente, non solo a tutte le
genti che si trovano al di fuori di Israele, ma semplicemente a tutti, dentro o
fuori della Chiesa e del popolo eletto. In questa visione apocalittica tutti
indistintamente sarebbero stati chiamati a rispondere della loro fede
manifestata nella concretezza delle opere:
«
Non coloro
che dicono: Signore, Signore, ma coloro che fanno la volontà del Padre
» (Mt 7,21).
In tal modo sarebbe
sottolineata l'importanza di armonizzare la mente col cuore, per far coincidere
l'interiore adesione al Vangelo con l'esplicitazione esteriore manifestata
dall'agire.
Questa ipotesi collega
l'evangelista Matteo ad una precisa tradizione di Israele, in cui venivano
distinti due atteggiamenti concreti nel proprio rapporto con Dio: l'uno chiamato
atteggiamento del patto e l'altro dell'alleanza. Nella
tradizione che privilegia il patto
la benedizione di Israele è strettamente collegata ad una corrispondenza alla
proposta del Signore, che si esplicita attraverso azioni concrete:
«
Io ti ho
posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque
la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio,
obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la
tua longevità, per poter così abitare sulla terra che il Signore ha giurato di
dare ai tuoi padri, Abramo, Isacco e Giacobbe » (Dt 30,19b-20).
In
questa prima
tradizione la
benedizione di Dio è strettamente collegata all'impegno dell' uomo, in
base al quale Dio successivamente realizza la sua promessa.
La
tradizione dell'alleanza, invece,
che nel Nuovo Testamento è sottolineata soprattutto da Paolo, non collega la
benedizione di Dio e la salvezza dell'uomo alla risposta di quest'ultimo, ma
solo alla fedeltà di Dio alla parola data. Dio si impegna a benedire il popolo,
senza sottomettere la benedizione all'osservanza della Legge, ma solamente alla
Sua fedeltà alla parola data. Dio si impegna a rimanere fedele malgrado la
possibile infedeltà umana.
Il Sal 89 (88) esprime
molto bene questa diversa ottica del rapporto tra Dio e l'essere umano, non
legato alla risposta più o meno adeguata dell'essere umano stesso:
«
20Un
tempo parlasti in visione ai tuoi fedeli, dicendo:
«Ho portato aiuto a un prode, ho esaltato un eletto tra il mio popolo.
21Ho
trovato Davide, mio servo, con il mio santo olio l’ho consacrato;
22la
mia mano è il suo sostegno, il mio braccio è la sua forza.
23Su
di lui non trionferà il nemico né l’opprimerà l’uomo perverso.
24Annienterò
davanti a lui i suoi nemici e colpirò quelli che lo odiano.
25La
mia fedeltà e il mio amore saranno con lui e nel mio nome s’innalzerà la sua
fronte.
29Gli
conserverò sempre il mio amore, la mia alleanza gli sarà fedele.
30Stabilirò
per sempre la sua discendenza, il suo trono come i giorni del cielo.
31Se
i suoi figli abbandoneranno la mia legge e non seguiranno i miei decreti,
32se
violeranno i miei statuti e non osserveranno i miei comandi,
33punirò
con la verga la loro ribellione e con flagelli la loro colpa.
34Ma
non annullerò il mio amore e alla mia fedeltà non verrò mai meno.
35Non
profanerò la mia alleanza, non muterò la mia promessa.
36Sulla
mia santità ho giurato una volta per sempre: certo non mentirò a Davide.
»
(vv. 20-25.29-36).
In questa seconda
prospettiva la benedizione non è dunque legata alla risposta più o meno adeguata
dell'uomo, ma semplicemente alla fedeltà di Dio a se stesso.
Matteo sottolinea la
prima impostazione, ma non bisogna dimenticare che i Vangeli devono essere letti
nella loro integrità, perché sono tetramorfi. Non è corretto estrapolare dal
Nuovo Testamento un Vangelo soltanto per farne una sorta di manifesto
programmatico. Si rischierebbe infatti in questo modo di essere unilaterali
nella comprensione del Vangelo e di ridurlo a puro proclama moralistico-sociale.
I gesti della misericordia
Entrando più
profondamente nella comprensione del testo, dovremmo considerarlo come rivolto
alla comunità nel suo insieme, all'interno della quale ormai tutti i popoli si
sono ritrovati. In quel “raduno di tutti i popoli” (v. 32), non bisognerebbe
riconoscere soltanto i pagani, ma tutti coloro che si ritrovano all'interno
della comunità cristiana. Hanno ricevuto in dono la bella notizia, e adesso
cercano di vivere ciò che sono. In realtà siamo messi di fronte a quelle
attività che
nella tradizione
cattolica sono definite «
opere di misericordia corporale », e che esprimono la riconoscenza del credente
per il dono di una presenza reale del Signore nei poveri e genericamente nel
prossimo.
All'interno
di queste « opere di
misericordia » si concretizza ciò che è celebrato nella liturgia eucaristica.
L'impegno per gli altri fa rivivere infatti ciò che il Signore stesso ha
vissuto:
«
Il Signore
Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso
grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in
memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice,
dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni
volta che ne bevete, in memoria di me ».
(l Cor 11,23-25).
Il comando suppone
ovviamente la ripetizione del gesto
rituale, così in ogni caso l'ha recepito la Chiesa fin dalle prime generazioni,
tuttavia esso non si riduce tutto al rito di prendere il pane e spezzarlo, nella
convinzione che quel pane sia anche il corpo del Signore, ma consiste anche
nello spezzare se stessi come lui si è spezzato per noi quando ha detto: Questo
è il mio corpo dato per voi, questo è il mio sangue versato per voi. È un
misteriosissimo scambio. Nel momento in cui il credente si dà ai bisognosi è il
Signore stesso che si offre con lui, mentre nel medesimo tempo riconosce in
coloro ai quali egli si rivolge la presenza del Signore che gli chiede il dono
del suo amore. Uno scambio
di presenza:
mentre noi
ci diamo agli altri, siamo per gli altri la presenza di Gesù che spezza
il Suo corpo e versa il Suo sangue, ma nello stesso tempo, all'interno di questo
gesto, scopriamo che lui di fatto si lascia amare e ritrovare in coloro che
hanno bisogno di noi. Una reciprocità di presenza e di testimonianza, vissuta
tutta all'interno di uno sguardo di
fede che crea stupore:
«
Signore,
quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e
ti abbiamo dato da bere? » (v. 37). «
Ogni volta
che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli
» (v. 40).
Dunque questo è il primo
invito: la vita quotidiana del credente si svolge all'interno di una presenza
data e ricevuta nello stesso tempo; nel momento in cui noi diamo testimonianza
della Sua presenza in noi, riceviamo la testimonianza della Sua presenza in
coloro ai quali ci siamo legati attraverso l'amore.
Si rivelerà nel trono della sua gloria
Entriamo nelle singole
parti di questo testo, che è costruito in maniera tale da essere facilmente
memorizzato. È il capolavoro di Matteo: si tratta di un testo che può essere
immediatamente riproposto perché gli elementi nuovi sono minimali e si
richiamano in modo molto elementare fra loro, basta aggiungere un «non» e si
ripete tutto: prima una affermazione positiva, poi
una negativa ed una conclusione. Dal punto di vista retorico è una pagina
bellissima.
L'inizio risponde a una
domanda: Che cosa succederà alla fine dei tempi? Il contesto pertanto è
apocalittico, riguarda gli ultimi tempi, ma d'altra parte sappiamo che questi,
nella visione sinottica, sono già presenti. Quindi la risposta non si riferisce
solo agli ultimi tempi che dovranno arrivare alla fine della storia, ma anche
agli ultimi tempi che sono già iniziati, la frase iniziale si potrebbe dunque
tradurre così:
«
Quando viene
il Figlio dell 'uomo nella sua gloria con tutti i suoi angeli si siede sul trono
della sua gloria » (v. 31) .
Del termine « gloria » è
molto difficile renderne una spiegazione del tutto semplice; noi siamo abituati
ad identificarla con l'onore, con l'apoteosi di un imperatore che è esaltato
perché è diventato il pantocrator, il reggitore di tutto, il padrone della vita
e della morte. Certamente questa visione è presente nel testo, poiché si tratta
di un modo molto esplicito di riconoscere la signoria del Figlio dell'uomo, al
quale Dio ha concesso di giudicare il mondo. Davanti al Figlio dell'uomo sono
aperti i libri sui quali è scritto il comportamento umano e in base ad essi
amministrerà la sua giustizia. Dunque certamente la visione apocalittica è il
giusto contesto nel quale porre questa pagina, quasi come un invito a prepararsi
adeguatamente per comparire al cospetto di Colui che è il giudice definitivo.
Un giudice accompagnato
poi dalla sua corte, composta dai suoi messaggeri che portano continuamente
davanti al trono del Figlio dell'uomo il comportamento di tutti gli uomini,
collegandolo continuamente con il giudizio di Dio. Gli angeli sono probabilmente
gli stessi di cui Matteo aveva parlato nel cap. 18, quando a proposito dei
piccoli che non devono essere scandalizzati aveva detto che «
i loro angeli
sono sempre davanti al volto di Dio ». In ogni caso si tratta di
esseri che permettono la verifica davanti al trono di Dio di ciò che è stato
definito sulla terra.
Giudicati alla luce della croce
La gloria, in ogni caso,
non è solo questo, ma anche qualcosa di molto più profondo. Essa richiama una
sorta di « autogiudizio » che noi stessi compiamo nel confrontarci con la sua
gloria. Ma a questo punto si tratta della gloria di colui che è stato
crocifisso, di colui che ha tanto amato il mondo da dare la propria vita per
quella del mondo. E allora questo trono di gloria si rivela essere niente altro
che la croce di Cristo di fronte alla quale ogni essere umano misura il proprio
limite, il proprio fallimento e la propria risposta al
Signore.
Ricorrendo a Luca si
potrebbe scoprire che le folle venute da Gerusalemme verso il Golgota furono
poste di fronte allo spettacolo di Cristo crocifisso e che, alla vista di un
simile evento epifanico della gloria di Dio, ritornano a casa battendosi il
petto (Lc 23,48). Il trono della gloria una volta identificato con la croce di
Cristo, diventerebbe allora luce che fa riconoscere il limite creaturale
convincendo l'essere umano del proprio peccato.
Lasciandoci aiutare da
Marco potremmo vedere infine nel Figlio dell'uomo innalzato nella sua gloria,
colui nel quale il centurione riconosce, senza alcun dubbio ormai, come il
Figlio di Dio. I quattro Vangeli uniti insieme mettono così in luce il nostro
cuore, il nostro segreto personale, così che il Figlio dell'uomo non dovrà fare
altro che mettere tutti
di fronte alla
constatazione della scelta già compiuta da ciascuno:
«
Saranno
riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli distinguerà gli uni dagli altri,
come il pastore separa le pecore dai capri » (v. 32).
Il suo giudizio non è
altro che una constatazione. Ciascuno già sente dentro di sé il luogo al quale
appartiene perché è stato posto di fronte alla croce gloriosa di Cristo e ha
dovuto ammettere la propria personale verità. Allora Colui che si è presentato
come giudice, si manifesta adesso come pastore, distinguendo tra coloro che
appartengono alla destra e coloro che appartengono alla sinistra. Nel contesto
della cultura ebraica ciò significa per i primi essere fra coloro che sono dalla
parte della benedizione, della forza, della benevolenza; e per i secondi fra
coloro che sono dalla parte della
condanna e
della discriminazione
negativa.
Infine il Figlio
dell'uomo, che si è rivelato come giudice e come pastore, si rivela anche come
re. In realtà il testo ci pone di fronte ad una progressiva comprensione
dell'identità del Figlio dell'uomo, il quale rivela infine la propria dignità di
re verso coloro che sono stati posti alla sua destra, e perciò stesso sono
entrati in un rapporto di con-naturalità, di consanguineità con colui che si era
manifestato sul trono della gloria:
«
Allora il re
dirà a quelli che stanno alla sua destra: venite benedetti dal Padre mio,
ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dall 'origine del mondo
» (v. 34).
Fin dall'origine del
mondo Dio ha pensato che coloro i quali confrontandosi con il Figlio dell'uomo
intronizzato nella sua gloria avessero avvertito una connaturalità con lui,
avrebbero ricevuto in dono la sua stessa dignità regale. Proprio questo è il
premio: essere messi a parte della stessa dignità di Colui che prima si è
manifestato come Figlio dell'uomo, poi come giudice, poi come pastore nella
linea di Davide, e finalmente in modo esplicito si è rivelato nella piena
dignità di un re. Quella stessa dignità straordinaria che ricevono ora coloro
che si sono connaturati a lui.
Rivestiti di dignità regale
La seconda Lettera di
Pietro, proprio all 'inizio, mostra che in tutto questo è racchiuso il dono più
grande che possa augurarsi una creatura: essere partecipe della natura divina.
«
La sua potenza divina ci ha donato tutto quello che è necessario per una vita
vissuta santamente, grazie alla conoscenza di colui che ci ha chiamati con la
sua potenza e gloria. Con questo egli ci ha donato i beni grandissimi e preziosi
a noi promessi, affinché per loro mezzo diventiate partecipi della natura
divina, sfuggendo alla corruzione, che è nel mondo a causa della concupiscenza.
»
(2Pt 1,3-4).
Questa affermazione
riveste una grandissima importanza nel contesto mediterraneo in cui è stata
prodotta quella pagina
della seconda Lettera di Pietro, e che ha origini remotissime: presente
nella cultura greca fin dal tempo di Anassagora è poi rintracciabile in Platone,
in Socrate e successivamente in tutti i grandi Padri che trovano un culmine
nello Pseudo-Dionigi l'areopagita verso la metà del V secolo: essere partecipi
della natura divina, quindi condividere la stessa dignità, la stessa regalità
che è propria di chi è figlio di un re. Dio ci ha creati perché fossimo elevati
alla sua stessa dignità, basta pensare al bellissimo prologo della Lettera agli
Efesini:
«
In lui ci ha
scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo
cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera
di Gesù Cristo, secondo il beneplacito
della sua volontà
» (Ef 1,4).
È proprio questa
benedizione, ciò di cui parla Matteo. Il commento più appropriato alla pagina di
Matteo si trova infatti proprio nel prologo della Lettera agli Efesini. Dobbiamo
ricordare che Matteo rientra in modo esplicito nell'ottica del patto, ma questa
deve poi essere integrata con quella di Paolo, che parla piuttosto di alleanza e
non di patto.
In ogni caso questi sono
i modi concreti attraverso i quali le nazioni sono invitate a scoprire la
propria strada, per essere poi rese partecipi della stessa dignità di Dio: avere
occhi per vedere chi ha fame, chi ha sete, chi è nudo, chi è pellegrino, chi è
ammalato e chi è in carcere, scoprendo in filigrana in tutti costoro la presenza
di Cristo stesso.
Quando?
La reazione dei
destinatari indica la difficoltà di compiere questo cammino:
«
Quando ti
abbiamo visto affamato e ti abbiamo
dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto
forestiero e ti abbiamo ospitato
o nudo e
ti abbiamo vestito?
» (v. 37).
La risposta rimanda con
semplicità al quotidiano cammino del credente, quasi Matteo volesse parlare alla
nostra società secolarizzata, dove non si ha tempo per approfondire tutto questo
e quel poco tempo che abbiamo lo vogliamo vivere nella pratica concreta, nei
fatti, negli interventi specifici. Potrebbe essere la pagina dell'uomo secolare
oppure, come diceva Karl Rahner, del cristiano anonimo.
Dunque ci sono strade che
sono nascoste alla nostra consapevolezza esplicita, e che tuttavia non meno
delle altre, delle quali abbiamo consapevolezza esplicita, conducono di fatto al
Signore. Sono strade che hanno bisogno di concretizzazioni specifiche, non sono
astratte, ma ben precise ed estremamente concrete, legate alla ferialità, alla
quotidianità, che poi è la strada comune a tutti. Il riferimento infatti è
universale. Non tutti forse hanno la possibilità di riflettere su ciò che fanno,
ma nessuno agisce senza una convinzione profonda, più o meno avvertita, più o
meno esplicita. Se c'è una sintonizzazione, una connaturalità, questa suppone
qualcosa che può anche sfuggire
alla nostra riflessione, ma che non per
questo è meno vera.
«
Rispondendo
il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose ad
uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me » (v.
40).
Questa risposta è il
tesoro che tutti sono invitati a portare con sé come viatico per il seguito
della propria vita. È un invito a rivivere nella propria esistenza la
spoliazione che il Figlio dell' uomo ha mostrato quando, non considerando come
un tesoro geloso la sua regalità, svuotò se stesso, si annientò, sottomettendosi
nella forma dell'uomo e nella forma di servo all'obbedienza fino alla morte di
croce. Questo è ciò che è indicato da Matteo:
« renditi consanguineo
dei tuoi fratelli fino in fondo, condividendo la loro situazione
di gente senza potere, che non serve a nessuno, che agli occhi del mondo
non vale nulla. Quando vi sarete svuotati anche voi, adeguandovi ai minimi,
allora sappiate che vi siete assimilati a me ».
È dunque una strada molto
esigente. Matteo non propone semplici pratiche o comportamenti etici che si
possono addizionare e dalla cui somma possiamo poi ricavarne un premio. È
esattamente il contrario, è l'invito a svuotarsi, impoverirsi, annichilirsi,
annientarsi, perché là dove finalmente ci identifichiamo con gli ultimi, là
scopriamo Colui che si è fatto ultimo: «
Chi vuole esser il primo fra di voi si faccia
l'ultimo di tutti ».
Dunque la strada per
essere elevati alla stessa dignità del Figlio del re non è diversa dalla strada
che ci ha indicato lui, e che indica il modo concreto di scendere questi gradini
nelle « opere di misericordia ». Questi sono i gradini che siamo invitati a
discendere, per poterci incontrare con colui che ci ha già preceduti in questa
strada di abbassamento e di umiliazione. Non dunque opere meritorie, ma invito a
seguire la strada indicata da lui. L'unica strada per ascendere fino al trono
della sua gloria è la strada che discende fino al massimo dell'umiliazione e
dell'annientamento, che fu la strada percorsa da Gesù Cristo.
L'urgenza di decidersi
Di fronte a tutto questo,
coloro che non si sono lasciati affatto scomodare nella loro posizione,
dall'esempio dato da lui, né hanno ritenuto opportuno incamminarsi
sulla strada indicata da lui
e discendere in questa scala per la quale è disceso lui fino agli inferi, è
ovvio che rimangano fuori da ciò che può essere raggiunto soltanto attraverso
quella strada.
Non vi siete lasciati
provocare dalla proposta del Figlio di Dio, che ha condiviso la situazione umana
fino alla morte, e allora non avete neppure potuto trovare la strada che risale
verso di lui, verso la dignità dei figli di Dio. Vi ritrovate nella lontananza
da me, perché l'avete scelta. Ricordiamo ciò che è stato detto all'inizio: il
giudizio è un autogiudizio, perché deriva dal confronto con questo trono di
gloria identificato con la croce e di fronte al quale ciascuno
rivela la
propria verità personale. Tutti coloro che non hanno voluto coinvolgersi
nel cammino di abbassamento che era stato il Suo cammino, si ritrovano nella
lontananza, in compagnia di colui che ha scelto volontariamente di essere
lontano da Dio: il diavolo e i suoi angeli:
«
E se ne
andranno, questi al supplizio eterno, ed i giusti alla vita eterna
» (v. 46).
È molto misterioso il
significato di questi due termini (“supplizio eterno” e “vita eterna”).
Certamente esso si riferisce ad una diversa qualità che emerge dalla distanza
esistente tra coloro che sono stati elevati alla dignità regale nella
figliolanza e coloro che invece sono stati lasciati nella loro situazione
creaturale di persone legate ai parametri e quindi anche ai limiti, creaturali.
Ovviamente chi è lontano
da questa dignità regale che è propria dei figli di Dio, sente tutto questo come
una lacerazione interiore. Soffrono perché si rendono conto di aver perduto
l'occasione di incamminarsi sulla strada che li avrebbe condotti ad essere
partecipi della natura divina, e si sono ritrovati soli con se stessi.
La distanza diventa
allora una divaricazione insuperabile e dunque una qualità. Che poi tutto questo
sia stato interpretato anche come «
eternità » in senso temporale è solo una deduzione. In realtà si tratta di una
scelta qualitativa, di fronte alla quale è posta ogni
creatura.
Dunque noi abbiamo qui in
questa vita, con tutti i rapporti che essa impone, l'occasione unica e propizia
per decidere se vogliamo seguire Gesù fino alla sua umiliazione e così essere
ammessi a partecipare della natura divina. Ma se vogliamo possiamo anche
ignorare completamente tutto ciò che è proposto attraverso il Vangelo, per
vivere chiusi all'interno del nostro egoismo. Le conseguenze, però in questo
secondo caso, si rivelano estremamente serie. Una grossa
responsabilità per tutti e per ciascuno di noi.
…ma, per nostra fortuna, il Signore nel Salmo 89 che abbiamo letto più sopra, ha
anche detto:
«
Ma non annullerò il mio amore e alla mia fedeltà non verrò mai meno.
»
!
…una possibilità, nonostante tutto, potrà esserci anche per noi…
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Gesù, il tuo è regno di giustizia,
di amore e di pace,
è il mondo nuovo dove non ci sarà più
né fame, né sete,
dove non ci sarà più la malattia
e nessuno sarà straniero
o stretto dai lacci della schiavitù. |
Fa, o Gesù, che io ti riconosca e ti serva
nel povero e nel debole,
nella persona sola
e nell’anziano abbandonato,
nel parente scomodo
e nell’ammalato insofferente.
Signore, ti prego,
mostrami la tua misericordia. (don Canio Calitri) |
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi impegno
a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò
che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!