Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Mi
scorri dentro.
E da dietro la porta della mia anima
sussurri parole che guariscono.
Sul palmo chiaro della tua mano
leggo il mio nome.
E in te
mi riposo.
Mi scorri dentro,
per essermi già vicino ogni volta che ti cerco.
Mi scorri dentro per rendermi limpida
come l’acqua di fonte.
Mi scorri dentro come il sangue
per darmi vita in abbondanza.
Sei in me.
In Te soltanto io sono.
(da
“Hai un momento, Dio?”)
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
LA COMUNITA’: spazio in cui ci collochiamo e destinatario delle nostre azioni, dei nostri progetti.
Il testo familiare di Luca, mostrando diverse tipologie di comunità, ci rivela come quest'ultima sia definita dalla qualità della relazione.
LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.
«Chi è il mio prossimo?»: fisionomia e sembianze della comunità (Lc 10,29-37)
29Ma quello (il dottore della Legge), volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Parola di Dio.
MEDITAZIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.
Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".
Il mio prossimo, ovvero il mio concetto di comunità
La scelta del testo di Lc 10,29-37 per parlare di comunità può sembrare, a prima vista, un po' azzardata e quanto meno insolita; forse è vero, ma la parola di Dio, come un interlocutore paziente, risponde alle nostre domande, talvolta anche temerarie, qualora abbiamo il desiderio di interrogarla.
Il contesto in cui è inserito il racconto di Luca ci trasporta immediatamente all'interno di una comunità. L'uomo che parla con Gesù è un dottore della Legge, lo stesso che poco prima si era alzato per mettere il Maestro alla prova, interrogandolo su cosa era necessario fare per avere la vita eterna. Il successivo dialogo tra i due si snoda nell'ambito della Legge, dei comandamenti, in particolare l'amore di Dio e l'amore del prossimo. La comunità cui il testo fa riferimento è, dunque, quella dell'Alleanza, la comunità degli israeliti legati al Signore dal vincolo di un patto reciproco.
Volendo giustificarsi. Sono stati offerti diversi chiarimenti per questa motivazione: forse il dottore della Legge vuol far capire che la sua domanda merita un approfondimento o magari non dare l'impressione di mettere Gesù alla prova; può darsi che desideri semplicemente avere l'ultima parola, dal momento che non accetta lezioni da nessuno. Per la nostra interpretazione vorremmo piuttosto partire dall'idea di giustizia, cui è legata la parola "giustificarsi".
Il dottore della Legge, esortato da Gesù a mettere in pratica i comandamenti, ci tiene a mostrare la sua giustizia.
Va in cerca di una autoconferma della propria personale giustizia. Con l'intento di ottenere questo, pone una domanda che in realtà risulta essere solo un pretesto, dal momento che egli conosce - o meglio crede di conoscere - già la risposta: chi è mio prossimo? Il concetto di prossimo rimanda a quel contesto di alleanza che sta sullo sfondo di tutto il passo; in particolare, viene chiesto a Gesù di delimitare la nozione di prossimo proprio all'interno della comunità del Patto.
In sintesi: il dottore della Legge è parte integrante di una comunità, al cui interno occupa una posizione di rilievo e di fronte alla quale vuole mostrare la sua giustizia
(ricordiamo che il Signore stava insegnando ai discepoli, si suppone dunque un uditorio abbastanza allargato; in precedenza si fa menzione del ritorno dei settantadue dalla missione).
La comunità dell'Alleanza diventa il luogo in cui si mostrano le proprie credenziali, per essere riconosciuti più vicini a Dio di altri, più meritevoli di giustificazione, di stima. E lo si può fare perché essa è un "territorio" di valori condivisi, dei quali è possibile servirsi per ottenere un plauso personale.
Comunità che prende
La prima comunità che il testo raffigura è la comunità dei briganti, in cui si imbatte per caso un viandante.
Spesso la Scrittura, in particolare la letteratura sapienziale e profetica, ci descrive la connivenza nel male attraverso l'immagine di persone che si accordano, formando una vera e propria comunità, ai danni di un innocente.
Vale la pena ricordare il primo discorso contenuto nel libro dei Proverbi che mostra la straordinaria capacità di aggregazione che gli uomini hanno per compiere il male; si tratta di una comunità a tutti gli effetti, che cerca di attirare al suo interno più adepti possibili. L'idea che sta alla base di questo gruppo è quella della solidarietà, della condivisione. Anche la comunione e la chiarezza di intenti è formidabile, con l'unico obiettivo di mostrare la propria forza, fare sfoggio della propria abilità.
La comunità, dunque, è anche qui luogo di condivisione, di comunione, ma a quale scopo?
Lo spogliarono (gli portarono via tutto), lo percossero a sangue. L'unanimità e la rapidità con cui questa comunità agisce è, potremmo dire, "ammirevole".
Prima di tutto spogliarono l'uomo solo: non si tratta semplicemente di un portar via. Lo spogliamento mette in primo piano l'immagine di una veste sottratta; nella Scrittura il vestito è un elemento di importanza fondamentale: esso indica il modo di rapportarsi agli altri.
Il verbo usato qui dall'evangelista Luca per indicare il gesto con cui i briganti sottraggono i panni al malcapitato, è impiegato in Matteo e Marco per indicare lo spogliamento di Gesù durante la sua passione: egli viene denudato, privato delle sue vesti, per essere avvolto di porpora e schernito. Il Figlio dell'uomo, svestito e scoperto a forza, è ormai in balia degli altri, facile preda di scherno e insulti.
L’uomo spogliato è, in una parola, colui che è reso inerme e incapace di rapportarsi all'altro per quello che egli è.
Non siamo dunque di fronte semplicemente a un denudamento fisico: talvolta la comunità diventa il luogo dell'azzeramento delle capacità e potenzialità dell'altro, del singolo che con essa si confronta. È un processo di inglobamento, mediante il quale si rende l'altro impossibilitato a essere se stesso, incapace di reagire.
Chiaramente, non potendo opporsi in alcun modo, il viandante (l'altro) è percosso a sangue. Gesto non necessario, segno di una violenza totalmente gratuita. Se l'obiettivo dei briganti era rapinare, perché continuare a percuotere chi è totalmente indifeso? È l'esibizione della propria forza; è il fascino del crimine, della violenza, quello di manifestare, di provare fin dove è possibile esercitare senza alcun fastidioso intralcio la propria "vitalità". Tutto questo diventa esaltazione di un'abilità e, addirittura, luogo di compiacimento. E’ come se si esercitasse un potere sulle cose e sulle persone in negativo: invece di dare la vita, esso si soddisfa nel dispensare gratuitamente morte.
Una volta portato a termine il progetto comune di rapina e di dimostrazione di una superiorità violenta, l'altro non è più interessante e viene abbandonato, quasi senza vita: se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.
Quest'uomo, immagine di Cristo, spogliato e caricato di piaghe da una comunità, paradossalmente diventerà luogo di guarigione della comunità stessa, luogo di creazione di una nuova comunità. Ma non ancora...
Comunità che passa
Sulla scena irrompono due personaggi, che compaiono separatamente l'uno dall'altro, ma che fanno parte di una stessa comunità, al cui interno ricoprono ruoli simili, essendo due addetti al culto. La loro comunità si costituisce intorno al Dio dell'Alleanza e a un insieme di norme comuni che regolano il Patto. Il sacerdote e il levita sono in grandiosa sintonia, al punto tale che, indipendentemente l'uno dall'altro, a distanza di tempo, agiscono allo stesso identico modo.
Un sacerdote... quando lo vide; un levita... vide. Ci troviamo di fronte all'occhio come mediazione; nella relazione con l'altro esso presenta un gran "vantaggio": consente di relazionarsi pur non compromettendosi, non lasciandosi coinvolgere, in una parola non entrando realmente in relazione. Allo stesso tempo permette di tenere sotto controllo la situazione, perché l'occhio è uno strumento di valutazione a distanza.
La distanza mantenuta diventa spazio in cui è possibile attrezzarsi per la difesa; se nel caso dei briganti siamo di fronte a una comunità che aggredisce il singolo, adesso invece la comunità si sente minacciata dal singolo, messa in pericolo nelle sue certezze, nelle sue consuetudini, in ciò che ritiene giusto e ingiusto. La comunità si sente minacciata nella sua integrità di fronte a Dio, nella sua giustizia e purità.
Ci sono varie opinioni per spiegare la motivazione di questo atteggiamento del sacerdote e del levita: la possibile infrazione di una norma di purità è una di queste. Essi, probabilmente, hanno creduto il viandante morto o in agonia e per non contaminarsi non si sono avvicinati. Di nuovo il paradosso: un precetto deputato a manifestare la vita, in questo caso significa potenzialmente la morte di qualcuno.
Il sacerdote è, infatti, il mediatore dell'esistenza che viene da Dio, colui che porta vita, perdono e benedizione divina laddove è presente il peccato e la morte (pensiamo ad esempio alla funzione delle pratiche cultuali per il perdono delle colpe, per l'espiazione).
II levita, nella distribuzione della terra, non avrà parte né eredità con i suoi fratelli (cioè non gli sarà assegnata alcuna porzione di terra e mangerà dei sacrifici offerti al Signore), perché il Signore è la sua eredità. La vita del levita è Dio stesso, ed egli, con la sua presenza in mezzo al popolo, è chiamato a rivelare a tutti che l'origine ultima di ogni esistenza, di ogni nutrimento e dono, è il Signore.
A chi è destinato a essere segno della vita (sacerdote e levita) si chiede, simbolicamente, di non avere contatto con la morte; il senso del comando è evidentemente quello di significare vita e benedizione.
Ed ecco l'incongruenza: questa prescrizione, simbolo di una congiunzione indissolubile con l'esistenza divina, diventa portatrice di morte; lo sventurato viandante non sarebbe probabilmente sopravvissuto se non fosse sopraggiunto un terzo uomo.
Il legame con Dio, gli strumenti e i segni che indicano questo legame, si trasformano paradossalmente in un pretesto per non lasciarsi coinvolgere. La motivazione ufficiale è la minaccia che viene da chi è assolutamente inerme e, con la sua vita simile alla morte - era, infatti, "mezzo morto" -, mette in discussione la comunità.
La valutazione che il levita e il sacerdote fanno è molto semplice e rapida e provoca una reazione immediata, quasi istintiva: passò oltre: «passò oltre, sul lato opposto della strada». Non potendo qualificare l'aggressione proveniente da chi è mezzo morto esplicitamente come tale, non potendosi difendere di fronte alla "provocazione" sfoderando le armi della discussione, della condanna, ecc., si passa oltre, mantenendo uno spazio tra la comunità e l'altro, lo spazio della difesa.
Siccome poi l'altro è sulla stessa strada e l'incontro è reso inesorabile dalla traiettoria del cammino, si cambia percorso, spostandosi sul lato opposto, il lato libero, quello che consente di transitare indisturbati. C'è anche qui un tacito accordo e una singolare identità e simultaneità nelle azioni del sacerdote e del levita; non ci sono ripensamenti o obiezioni: bisogna salvaguardare la comunità, a qualunque costo.
Com-unità e com-passione
Ecco l'imprevisto nel racconto di Gesù, la sorpresa che senz'altro l'uditorio non si aspettava. Da questo elemento inatteso nasce una nuova visione della comunità.
Un samaritano che era in viaggio. Eretico, scismatico, straniero su quella terra, non a casa sua, di passaggio: ecco uno che vive la condizione del precario, del forestiero, non solo rispetto agli abitanti della terra promessa, ma estraneo soprattutto alla comunità dell'Alleanza, almeno secondo la visione che la comunità dell'Alleanza ha di se stessa!
Il samaritano in questo momento è sulla strada per Gerico da solo, estraneo a tutti, non appartenendo alla comunità che possiede quella terra.
Passandogli accanto (lo) vide. L'occhio del samaritano è disposto a guardare a distanza ravvicinata; passa accanto e, da vicino, lo vede. Non c'è valutazione previa, non c'è difesa perché egli, da straniero, non ha niente da difendere su quella terra.
Ne ebbe compassione. La compassione nella Scrittura comporta un essere toccato nel profondo; potremmo dire che è un affare di viscere: una delle parole che significa la compassione indica in ebraico proprio le viscere, il ventre.
La compassione è legata alla salvezza del misero: «Ero misero ed egli mi ha salvato». Questa salvezza si manifesta in varie forme, ad esempio con il dono del cibo: Gesù ha compassione per le folle e si preoccupa del loro nutrimento; e provvedere il cibo per una persona, darle da mangiare, significa dire attraverso un gesto: «voglio che tu viva». La compassione conduce quindi al dono della vita, come nel caso della resurrezione del figlio della vedova di Nain, accompagna la consolazione, via di uscita da una spirale di morte.
Sarebbe però quanto meno parziale, intendere la compassione solo come un sentimento di affetto benevolo, anche se profondo. La Scrittura ci mostra che essa è chiaramente identificabile come un'azione di giustizia: «II Signore si alza per aver compassione di voi, poiché Adonai è un Dio di giustizia».
Nella relazione con l'altro, la compassione è ciò che lo promuove come persona, lo fa esistere, lo fa vivere; ricordiamo che i briganti lasciano il malcapitato mezzo morto, per il sacerdote e il levita è forse addirittura già morto. La compassione del samaritano vede, invece, in quell'uomo esanime la vita che impone di fermarsi e prendersi cura.
Ed ecco il primo gesto: Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino. La compassione è quella relazione che costituisce il principio di una comunità e in virtù della quale la comunità è possibile. La comunità è incontro con l'altro ferito: accostarsi alle ferite del fratello per lenirle o guarirle è il primo passo per costruire comunità.
Gli fasciò le ferite. A quest'uomo, nudo, spogliato delle vesti, della sua individualità, della sua capacità di relazione, il samaritano dona con le sue bende quasi una nuova veste. La compassione consente di restituire al fratello l'identità proprio nel luogo della sua distruzione, nella piaga, in quella carne viva che adesso viene rivestita dalle fasciature.
Dopo aver accostato le ferite dell'altro ci si fa carico di lui in quel viaggio che forse avevamo pensato di percorrere da soli e senz'altro più speditamente: lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo.
Farsi carico dell'altro è fare comunità, accettando di dilatare i tempi, fare soste e digressioni impreviste, mettendo da parte il nostro progetto per portare il fratello.
Poi si prese cura di lui, accettando ancora una dilatazione del tempo (il giorno seguente... al mio ritorno), il cambiamento di progetti, ma al centro delle relazioni nella comunità c'è l'altro. Si assiste a una separazione che contiene, però, la promessa di un ritorno; ecco un rapporto che dura nel tempo, che va oltre lo spazio, oltre il tempo.
La relazione non si interrompe, ma si protrae, superando il momento e il luogo presente: questo è comunità! Non soltanto: il viandante straniero coinvolge un altro in questa "comunità a due" generata dalla compassione. Il samaritano consegna due denari all'albergatore (che alla lettera sarebbe «colui che accoglie tutti») e chiede che egli abbia, nei confronti di chi ormai è per lui fratello, lo stesso atteggiamento che egli ha avuto: Abbi cura di lui.
L'albergatore non avrà cura perché pagato, dal momento che egli sa in anticipo che quasi sicuramente spenderà di più rispetto ai due denari che riceve. Anche se il samaritano promette che salderà il debito al suo ritorno, il riguardo e l'attenzione dell'albergatore saranno in qualche modo gratuite (chissà se tornerà davvero?).
La comunità fondata sulla compassione attiva delle dinamiche al suo interno affinchè la cura e la compassione reciproca diventino la cifra distintiva della relazione: anche se l'albergatore non ha incontrato il ferito sulla strada, anche se non lo ha fasciato, caricato e trasportato, nondimeno egli è coinvolto nella stessa compassione.
Il rovesciamento della comunità
Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo? Con un'abilità straordinaria, senza mai menzionare direttamente la comunità, Gesù ne abbatte i limiti e ne rovescia le prospettive. Il punto di partenza era quello di individuare all'interno della comunità dell'Alleanza il "mio prossimo", quello cioè presso di me, nei confronti del quale ho un dovere di "assistenza" in quanto membri ambedue della stessa comunità.
Gesù ribalta la prospettiva: se prima il prossimo era colui che dentro la comunità si trovava nel bisogno, e nei confronti del quale la comunità ha un dovere di assistenza, adesso il prossimo è fuori dalla comunità ed è colui che ha compassione, non colui che la riceve.
La comunità è evidentemente dilatata, proiettata quasi al di fuori, all'esterno, anche perché il prossimo diventa l'iniziatore, il portatore di un altro tipo di comunità: quella fondata sulla compassione, una comunità che si prende cura, che si coinvolge, che si fa carico dell'altro; una comunità che accetta le ferite dell'altro, le cura, accogliendo e aprendosi ai tempi e ai modi dell'altro.
Il prossimo è chi è capace di sentire compassione e fare comunità con l'altro. Il dottore della Legge chiede di sapere chi è il prossimo all'interno della comunità: Gesù indica che il prossimo è chi fa comunità. Il concetto di comunità è dunque spalancato verso l'esterno, rimane un concetto allargato, aperto all'incontro, dilatato dagli imprevisti della compassione.
Questo allora l'appello conclusivo: anche tu fa' così, non solo "abbi compassione" ma "fa' comunità", cioè unità-con chi è oggetto di compassione.
In una parola: è necessario lasciarsi dilatare dalla compassione; e se quest'ultima è un affare di viscere, lasciarsi dilatare le viscere dalla compassione è lo stesso lasciarsi dilatare del grembo della donna nel momento in cui dona la vita. Proprio la compassione può ridonare la vita, la dignità, l'identità a chi ne era stato privato con la violenza e la sopraffazione.
Conclusione
È legittimo, a questo punto, chiederci quale sia il significato di compassione e comunità, passione con e unità con; ambedue sono un appello, una chiamata profetica rivolta al mondo. Il senso di com-passione e com-unità ce lo rivela Gesù stesso nell'ultima cena, nel momento in cui nella com-passione più alta dà la vita alla comunità, non solo morendo per lei, ma anche costituendola e donandogli il senso del suo esistere: «Non prego solo per questi, ma prego anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola; perché tutti siano una sola cosa... perché il mondo creda che tu, Padre, mi hai mandato» (Gv 17, 20-21).
Per la riflessione
Comunità: mi fermo a riflettere sul mio concetto di comunità, lasciando che emerga ogni mia idea, ogni mia precomprensione... Può accadere che i valori della comunità diventino solo pretesto per mostrare la mia giustizia… Gesù con il suo racconto entra dentro la comunità per mostrarne le piaghe e poterla sanare, in qualche modo ribaltandola e rovesciandone l'identità.
Comunità che prende: la raffigurazione è volutamente estrema, ma quante volte la comunità diventa luogo di spogliamento dell'altro? Luogo dove l'altro è reso inerme, incapace di relazioni, impossibilitato a porsi come interlocutore, come persona? E, rovesciando i ruoli, quanto mi sento spogliato dalla comunità?
Identità violata e distrutta: la comunità, che dovrebbe essere luogo di promozione dell'alterità, diventa talvolta luogo di rifiuto e violazione di questa stessa alterità. La forza di essere un gruppo, la presenza di valori e obiettivi comuni invece di arricchire, talvolta spogliano il singolo.
Comunità intorno a Dio: se forse è più difficile riconoscermi con la comunità dei briganti, è invece più immediata l'identificazione con la comunità raccolta intorno a Dio, la comunità della nuova Alleanza.
Comunità sulla difensiva: spesso come comunità si ha la netta percezione di essere minacciati, non tanto, o meglio non solo, in modo eclatante e con gesti violenti. La minaccia è l'intimidazione tacita di una presenza, di un singolo scomodo, che mette in questione senza parlare, che con il suo giacere mezzo morto, potrebbe scardinare le fondamenta della comunità. Cerco di dare un volto a questa "minaccia" e di percepire la sensazione vaga di pericolo e paura che inizia a diffondersi.
Comunità che si scosta: c'è bisogno di uno spazio difensivo per non essere interpellati; posso essere addirittura disposto a deviare il cammino per non fermarmi, ad allungare e rimandare il raggiungimento di una meta per rimanere attaccato a come sono, privandomi del gusto buono di sapere come sarei potuto essere. Sono momenti di crisi (nel senso proprio di "giudizio", "discernimento"), nodi cruciali nello sviluppo di una comunità che accadono perché siamo in cammino.
Com-unità: fare "unità con", in virtù di una relazione di compassione, intesa come evento di giustizia, non semplice sentimento.
Com-unità e ferite: fare "unità con" significa prima di tutto accostarsi alle ferite dell'altro, pulirle, medicarle; questo presuppone che esse siano sporche, fetide. Mi fermo a pensare: forse le ferite dell'altro suscitano in me repulsione? Forse la comunità tende a coprire, nascondere, occultare le piaghe per non vederle? Posso scoprire che la ferita, il patire dell'altro, è il primo luogo dove posso sentire compassione.
Com-unità che si fa carico: fare "unità con", "patire con", implica un caricarsi dell'altro. Qual è la mia oggettiva disponibilità nei confronti delle differenze portate dal fratello? Cosa provoca in me la necessità di allungare i tempi, cambiare i progetti?
Com-unità che coinvolge: la compassione è in grado di coinvolgere anche chi potrebbe tranquillamente rimanere estraneo. Essere coinvolti per poter coinvolgere... Provocare alla compassione.
ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
"Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?"
ti ha chiesto il dottore della legge.
È vero, ti vuole mettere alla prova,
nelle sue parole c'è un pizzico di cattiveria
però, Gesù, quest'uomo pone una domanda seria.
Io invece vivo così assorto
dalle preoccupazioni e dagli interessi quotidiani
che non penso affatto che la vita continui dopo la morte.
Tu mi inviti ad avere un cuore buono,
ad interessarmi del prossimo.
Mi ricordi che l'amore non è una realtà nascosta
in qualche anfratto del cuore,
ma è dimenticarsi, è spendersi,
è disturbarsi, è dare del proprio,
è capovolgere i programmi.
Il tuo amore, o Gesù, non è fatto di parole,
ma di scelte e decisioni concrete:
hai avuto compassione di me.
Ti sei fatto uomo per essermi vicino,
hai curato le mie ferite con l'olio della tua Parola
e con il vino del tuo Santo Spirito.
Mi hai donato tutto e non ti sei tirato indietro
neanche di fronte alla sofferenza.
Com'è differente il tuo cuore dal mio!
Il mio amore è ambizioso,
è sempre bacato, incompleto, superficiale;
attende la ricompensa
e si scandalizza di fronte all'ingratitudine.
Perdonami, Gesù.
Come vorrei che fosse impressa nel mio cuore
la preghiera scolpita sulla porta del caravan serraglio,
che si trova sulla via tra Gerusalemme e Gerico:
"Amico che leggi, anche se sacerdoti e leviti
passano oltre la tua angoscia,
sappi che Cristo è il buon Samaritano,
avrà sempre compassione di te, e,
nell'ora della tua morte, ti porterà alla locanda eterna".
(don Canio Calitri)
CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria
per tutti i secoli dei secoli. AMEN
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti da un percorso formativo della Caritas Italiana)
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Maria, donna di parte
(tratto da: don Tonino Bello – “Maria, donna dei nostri giorni”)
No, non fu neutrale. Basta leggere il Magnificat per rendersi conto che Maria si è schierata. Ha preso posizione, cioè. Dalla parte dei poveri, naturalmente. Degli umiliati e offesi di tutti i tempi. Dei discriminati dalla cattiveria umana e degli esclusi dalla forza del destino. Di tutti coloro, insomma, che non contano nulla davanti agli occhi della storia.
Maria ha fatto una precisa scelta di campo. Si è messa dalla parte dei vinti. Ha deciso di giocare con la squadra che perde. Ha scelto di agitare come bandiera gli stracci dei miserabili e non di impugnare i lucidi gagliardetti dei dominatori.
Si è arruolata, per così dire, nell'esercito dei poveri. Ma senza roteare le armi contro i ricchi. Bensì, invitandoli alla diserzione.
Ha esaltato, così, la misericordia di Dio. E ci ha rivelato che è partigiano anche lui, visto che prende le difese degli umili e disperde i superbi nei pensieri del loro cuore; stende il suo braccio a favore dei deboli e fa rotolare i violenti dai loro piedistalli con le ossa in frantumi; ricolma di beni gli affamati e si diverte a rimandare i possidenti con un pugno di mosche in mano e con un palmo di naso in fronte.
Qualcuno forse troverà discriminatorio questo discorso, e si chiederà come possa conciliarsi la collocazione di Maria dalla parte dei poveri con l'universalità del suo amore e con la sua riconosciuta tenerezza per i peccatori, di cui i superbi, i prepotenti e i senza cuore sono la razza più inquietante.
La risposta non è semplice. Ma diventa chiara se si riflette che Maria non è come certe madri che, per amor di quieto vivere, danno ragione a tutti e, pur di non creare problemi, finiscono con l'assecondare i soprusi dei figli più discoli. No. Lei prende posizione. Senza ambiguità e senza mezze misure. La parte, però, su cui sceglie di attestarsi non è il fortilizio delle rivendicazioni di classe, e neppure la trincea degli interessi di un gruppo. Ma è il terreno, l'unico, dove lei spera che un giorno, ricomposti i conflitti, tutti i suoi figli, ex oppressi ed ex oppressori, ridiventati fratelli, possano trovare finalmente la loro liberazione.
Santa Maria, donna di parte, come siamo distanti dalla tua logica! Tu ti sei fidata di Dio e, come lui, hai scommesso tutto sui poveri, affiancandoti a loro e facendo della povertà l'indicatore più chiaro del tuo abbandono totale in lui, il quale «ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti; ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti; ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono». Noi, invece, andiamo più sul sicuro. Non ce la sentiamo di rischiare. Ci vogliamo garantire dagli imprevisti. Sarà pure giusto lo stile aleatorio del Signore, ma intanto preferiamo la praticità terra terra dei nostri programmi. Sicché, pur declamando con la bocca i paradossi di Dio, continuiamo a fare assegnamento sulla forza e sul prestigio, sul denaro e sull'astuzia, sul successo e sul potere.
Quando ci decideremo, sul tuo esempio, a fare scelte umanamente perdenti, nella convinzione che, solo passando dalla tua sponda, potremo redimerci e redimere?
Santa Maria, donna di parte, tienici lontani dalla tentazione di servire a due padroni. Obbligaci a uscire allo scoperto. Non farci essere così incauti da voler sperimentare impossibili conciliazioni degli opposti. Preservaci dal sacrilegio di legittimare, per un malinteso senso dell'universalità cristiana, le violenze consumate a danno degli oppressi. Quando, per non dispiacere ai potenti o per paura di alienarcene i favori, pratichiamo sconti sul prezzo della verità, coprici il volto di rossore.
Liberaci dall'indifferenza di fronte alle ingiustizie e a chi le compie. Ma donaci la tolleranza. Che è un'attitudine sperimentabile solo se si sta dalla parte dove ti sei messa tu.
Santa Maria, donna di parte, noi ti preghiamo per le nostre comunità che, a differenza di te, fanno ancora tanta fatica ad allinearsi coraggiosamente con i poveri. In teoria esse dichiarano l'«opzione preferenziale» in loro favore. Ma in pratica rimangono spesso sedotte dalle manovre accaparratrici dei potenti. Nelle formulazioni dei loro progetti pastorali decidono di «partire dagli ultimi». Ma nei percorsi concreti dei loro itinerari si mantengono prudenzialmente al coperto, andando a braccetto con i primi.
Aiutaci ad uscire dalla pavida neutralità. Dacci la fierezza di riscoprirci coscienza critica delle strutture di peccato che schiacciano gli indifesi e respingono a quote subumane i due terzi del mondo. Ispiraci accenti di fiducia.
E mettici sulle labbra le cadenze eversive del Magnificat, di cui, talvolta, sembra che abbiamo smarrito gli accordi. Solo così potremo dare testimonianza viva di verità e di libertà, di giustizia e di pace. E gli uomini si apriranno ancora una volta alla speranza di un mondo nuovo. Come avvenne quel giorno di duemila anni fa. Sui monti di Giuda.