RITIRO ON LINE                                                                                                   
luglio
2013  

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.

 

Accarezzami, o Dio,

come una madre

che si perde

negli occhi

del figlio.

 

Accarezzami, o Dio,

perché io senta

la Vita

scorrere

dalla pelle all'anima.

(da “Hai un momento, Dio?”)

 

 Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

 

 

 

DIROTTAMENTI DELLO SPIRITO

  Gesù passa per le strade nel quotidiano della vita di donne e uomini, sfiora i loro sguardi, parla al cuore, suscita interrogativi e desideri profondi, spinge a fare della vita una ricerca insonne, mai conclusa.

 

 

TOMMASO, IL NOSTRO GEMELLO

 

      

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO  Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto   (Gv 11, 14-16 ; 14,1-5 ; 20, 24-29)

 

(cap. 11)   14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». 16Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».

 

 (cap. 14)  1Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? 3Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4E del luogo dove io vado, conoscete la via».

5Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?».

 

 (cap. 20)  24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

 Parola di Dio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !   Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

 

Tommaso, il nostro gemello

Tommaso detto il Didimo, “il gemello”. Un'aggiunta che forse può significare anche "doppio".

 

Una fede dunque gemella con l'incredulità. Una fede dentro l'avventura dei giorni, che non sono sempre uguali.

 

Tre sono i passaggi nel vangelo che, anche per quanto riguarda Tommaso, segnalano un cammino. Un cammino significativo certo, ma anche tortuoso, per arrivare all'essenza della fede, condensata in quel grido: "Mio Signore e mio Dio" (Gv 20,28).

 

Non è un cammino lineare il suo; noi li abbiamo un po' mitizzati i cammini lineari. Nei vangeli è registrata una crisi della sua fede. Tommaso inizia con molta foga, poi è nello smarrimento, poi viene ripreso dal Signore Gesù e giunge a una fede pura.

 

Il coraggio

 Di questo tormentato itinerario di Tommaso troviamo un primo momento nel capitolo undicesimo del Vangelo di Giovanni. Siamo all'inizio del racconto della morte e della resurrezione di Lazzaro. "Lazzaro, il nostro amico si è addormentato - dice Gesù - ma io vado a svegliarlo" (Gv 11). Quasi una prefigurazione della sua morte e resurrezione. Dopo aver dato l'annuncio della malattia di Lazzaro, Gesù  dice ai discepoli: "Andiamo di nuovo in Giudea. E solleva la paura dei  discepoli:  Rabbi, poco fa i giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?".

 

Ebbene, davanti a un gruppo di esitanti Tommaso mostra una solidarietà totale con Gesù. Egli dà coraggio al gruppo, li vuole trascinare. È protagonista. Anche se l’orizzonte  conclusivo delle sue parole e dei suoi pensieri  rimane la morte: "Disse ai condiscepoli: Andiamo anche noi a morire con lui!'" .

È generoso Tommaso, forse anche un poco ingenuo. Certo non mette condizioni. Esorta a condividere la sorte del maestro a rischio della vita. Una solidarietà tanto eroica quanto, diremmo, disperata. Una vicenda che, nel suo immaginario si conclude nella morte e rimane nella morte: "Andiamo a morire. . “.

 

Lo smarrimento

 Ritroviamo la figura di Tommaso  al capitolo quattordicesimo del Vangelo di Giovanni (Gv 14,5-6). Siamo nel contesto dell’ultima cena e l'episodio che vede entrare in scena Tommaso segue lo sfogo e la confessione di Pietro.  Chiede Pietro: "Signore, dove vai?". "Dove io vado - sponde Gesù - tu per ora non puoi seguirmi . E Pietro:. "Darò la mia vita per te". "Darai la tua vita  per me? In  verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte" (Gv 13.36-38).

 

Poi Gesù cerca di attenuare il turbamento: "Vado a prepararvi un posto ... verrò di nuovo e vi prenderò con me ... E del luogo dove io vado, conoscete la via". Qui interviene Tommaso. Ora è nella confusione più totale. Rispose Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?" . Adesso è smarrito: non sa la strada di Gesù. E’ nell'ignoranza. Tiene uniti in sé "affermazione" e "smarrimento". Come noi. Il gemellaggio di Tommaso, il nostro gemellaggio. Una quasi inevitabile duplicità che ci abita:  adesione e smarrimento. Una spina nella nostra carne.

 

Anche noi non sappiamo dove vai. Sarebbe una pretesa per noi saperlo da noi stessi. Chi può dircelo, se non solo tu, Signore? Ebbene Tommaso non riconosce più dove va Gesù. Dalla certezza passa all'insicurezza, dalla presunzione di sapere al non sapere, dalla direzione certa allo smarrimento.

 

Il dubbio

 Terzo momento dell'avventura della fede di Tommaso, momento registrato al capitolo ventesimo del Vangelo di Giovanni (Gv 20,24-29). Per molti esegeti questa è la vera conclusione del Vangelo di Giovanni, il resto è un'aggiunta.

 

Mi affascina pensare che l'ultimo nome ricordato in questo vangelo, ultimo volto di apostolo, sia quello di Tommaso. E mi affascina anche pensare che l'ultima parola di Gesù nel Vangelo di Giovanni, l'ultima, a memoria, sia questa ultima beatitudine, che così suona nel testo greco: "Beati i non vedenti" (v. 29).

 

Probabilmente quando veniva composto questo ultimo vangelo, si facevano sempre più rari quelli che avevano avuto l'avventura di vedere il Signore Gesù. Forse a qualcuno allora sarà venuto spontaneo dire: "Beati voi che l'avete visto!" .

Forse anche a noi oggi verrebbe spontaneo dire: "Beati loro che l'hanno visto". E Gesù ancora una volta rivoluziona i nostri pensieri con quest'ultima beatitudine: "Beati i non vedenti".

 

Cerco di immaginare dove andassero gli occhi di Gesù in quel momento: da quel momento in avanti si inaugurava la “razza” di coloro che avrebbero creduto senza aver visto. Noi siamo di questa razza. Noi che non c'eravamo quando ancora lo si poteva accarezzare con gli occhi e sfiorare con le mani. 

 

Mi è caro pensare che, esaltando quella beatitudine, quella dei non vedenti, Gesù abbia attraversato con il suo sguardo i secoli futuri e sia arrivato anche a noi, qui, oggi. Sì, perché di otto giorni in otto giorni ci si continua a radunare nel suo Nome. Amo pensare che il suo sguardo sia arrivato a noi oggi. E su di noi a pronunciare la beatitudine: "Beati voi, che non pretendete visioni,  che non avete l'ossessione di trattenere o la pretesa di afferrare, beati voi, non vedenti".

 

Ma già l'apostolo Pietro dava lode ai credenti delle prime generazioni per la loro fede in Gesù. Fede nuda e messa alla prova, fede senza  visioni e vagliata con il fuoco. Scriveva: “Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede: la salvezza delle anime”. (1Pt 1,8-9).

 

Si potrebbe dire di ognuno di noi: "Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo credete in lui"?

 

I segni della vita e i segni dell’amore

 Il vangelo annota: "Tommaso, uno dei dodici chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù" (Gv 20,24). Non era con i dodici, anzi, con gli undici. Sempre più smarrito Tommaso, a un gradino ancora più basso di confusione. Siamo al culmine della vicenda, al punto più distante della sua avventura di discepolo.

 

C'è l'esclamazione: "Abbiamo visto il Signore!" sulle labbra dei condiscepoli, e c’è l’ annuncio della Maddalena. Tommaso si dissocia : 'Se non vedo ... e non metto": pone condizioni. Pone condizioni colui che era incondizionato nell' offrire la sequela: anche a costo di morte. Pensate, il più coraggioso, quello che incoraggiava gli altri!

 

Tommaso gemello di tutti coloro che non erano lì la sera del giorno della resurrezione, gemello di tutti coloro - siamo noi! - che sono nel tempo dell'assenza visibile del Signore, nel tempo della chiesa. C'è uno scandalo della resurrezione. Credere alla resurrezione è scandaloso. Tutte le testimonianze del vangelo dicono la fatica.

Tommaso vede il pericolo di una resurrezione che diventa scappatoia, quasi rifugio. Rifugio per non sostare davanti alla tragicità della croce. Siamo al punto cruciale: risorto è il crocifisso. Tommaso non vuole vedere segni e prodigi. Vuole vedere i segni della passione: credere a partire da quei segni.

 

E che cosa sfiora Tommaso se non il mistero di questa congiunzione di due realtà che sembrano incongiungibili? Gesù è risorto, è vivente e nello stesso tempo porta i segni della passione nelle mani e nel fianco. Emozionante congiunzione!

 

Questo viene a insegnare a ciascuno di noi che, se nella vita portiamo segni inequivocabili di aver amato, allora siamo dei viventi. Sono questi gli unici segni che ci segnalano come dei viventi. Anche se sono ferite, ferite per aver amato. Ma se il corpo e ancor più l'anima sono smaglianti, inconsumati, senza ferite perché non abbiamo mai amato nessuno, quella non è vigilia di resurrezione, è preludio di morte: ci segnaliamo come morti, come già morti da questa vita.

 

Ciò che ha fatto risorgere Gesù è l'amore di cui porta i segni. Più forte della morte è l'amore (Ct 8,6): questo è il messaggio della resurrezione. "Noi sappiamo - dirà Giovanni - che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte" (1 Gv 3,14). Rimane! E’ morto già da questa vita.

E non è forse vero che anche noi siamo chiamati a confessare il Risorto, quando tocchiamo le piaghe e le ferite dei sofferenti della storia?

 

E Gesù mostra di conoscere le parole dette da Tommaso ai condiscepoli. Tommaso si scopre così conosciuto con ciò che vive nel suo cuore. E lui, che aveva posto le condizioni, si apre, si arrende senza condizioni. Crede alla Parola senza toccare. Crede alla sola Parola. Ha capito che Gesù conosce ciò che vive nel suo cuore, nel cuore di ogni uomo. E rinuncia a toccare. Rinuncia a toccare, rinuncia alla pretesa di vedere e toccare.

 

Dobbiamo riconoscere che Tommaso è un po' nostro gemello, che gli siamo, chi più chi meno, gemelli anche, e forse ancor più, per la nostra pretesa di vedere e di mettere le mani. Sono due verbi, "vedere" e "mettere le mani" , che, se vissuti come pretesa, e non come attesa, sono predatori. Quasi riducessero una persona a oggetto, a una cosa che io posso afferrare. Ma ditemi un po' se quei segni dei chiodi e quel taglio nel petto di Gesù,  possono essere ridotti a cosa che vedo e afferro! O se invece, al di là di quei segni e di quel taglio, non ci sia una storia d'amore che solo posso accarezzare con gli occhi, solo sfiorare con le mie mani, davanti alla quale fermarmi come a una fessura, che mi permette di spiare, e solo spiare, che cosa arde oltre la soglia, un mistero su cui non potrò mai permettermi di mettere le mani.

 

Fermarci come davanti a una fessura: vale nei confronti di Dio, vale nei confronti di Gesù risorto, ma vale anche nei confronti di ogni creatura che abbiamo l'avventura, la grazia, di incontrare, di avvicinare.

 

Tommaso esclama: "Mio Signore e mio Dio". Qui siamo già in presenza di una preghiera della chiesa delle origini, siamo nel cuore della liturgia della chiesa. Questo e non altro è il traguardo per coloro che sono gemelli, gemelli del credere e del dubitare.

 

Dobbiamo dunque dedurre che non è il controllo che ci fa credere, la fede non sta nella dimostrazione. La fede è abbandono, è mettere il cammino in mano a uno che conosce che cosa vive nel tuo cuore.

 

È l'amore che fa vedere. È il timbro della voce di Gesù, quel suo modo di chiamarla, che permette a Maria di Magdala di riconoscere nell’uomo alla tomba, in apparenza un giardiniere, il Risorto, è il sentirsi chiamata per nome: "Maria" (Gv 20). E’ la percezione che l'altro conosce ciò che vive nel tuo cuore.

 

Nei vostri sguardi non c’era la gioia…

Ma vorrei aggiungere a questo punto una difesa di Tommaso, nostro gemello. Non sappiamo perché fosse assente quella sera, conosciamo il suo carattere impetuoso, di uno che ama tirare il gruppo. Ma quel primo giorno dopo il sabato, lui non c'era e non vide il Signore. Che cosa vide invece Tommaso? Vide i suoi compagni, i suoi amici. E non gli bastò vederli per credere che il Risorto era stato in mezzo a loro. Il motivo?

 

Certo il suo temperamento pragmatico. Ma, mi chiedo, non sarà stato anche perché quelli che gli diedero quel giorno l'annuncio proprio non ne avevano la faccia, barricati com' erano dietro le porte chiuse, dietro le loro paure? Non gli davano proprio l'impressione di averlo incontrato. Non avevano la faccia di chi si è sentito alitare sul volto il soffio dello Spirito, lo Spirito che spinge, rivoluziona, mette in cammino. Fuori dall'aria ammuffita, nella libertà, in pieno sole.

 

E noi? Siamo credibili quando diciamo che il Signore è risorto?

 

Tommaso purtroppo è diventato uno su cui spesso si fa dell'ironia. Lo si presenta quasi come la pecora nera in un gregge di pecore bianche immacolate. Tommaso l'uomo del dubbio, in un coro di inattaccabili.

Penso alla falsità di questa interpretazione, originata dal fatto che spesso si legge un vangelo staccandolo dagli altri vangeli e si leggono pagine di uno stesso vangelo staccandole dalle pagine che precedono o che seguono. Se andassimo a leggere le ultime pagine dei vangeli, Tommaso cesserebbe di fare la figura della pecora nera.

 

Il Vangelo di Marco sembra che finisse con il racconto delle donne piene di paura. Era una fine indecorosa per un vangelo. Ci fu un'aggiunta. Ma l’aggiunta - dobbiamo riconoscerlo - non ha cancellato le parole di Gesù nell'ultimo pasto.

Sentitele: "Li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto" (Mc 16,14).

E si tratta degli undici. E non di uno.

 

E che cosa dire delle ultime parole nel Vangelo secondo Matteo, le ultime parole riferite agli apostoli? "Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono" (Mt 28,17). "Essi - è scritto - dubitarono". Tutti!

 

La consegna: indottrinare o affascinare?

 

 E ultima consegna, affidata a quei dubitanti tra cui Tommaso: "Andate e fate discepoli tutti i popoli" (Mt 28,19). Vorrei sottolineare quel "fate discepoli". La traduzione della CEI che abbiamo avuto tra le mani fino a poco tempo fa si allontanava dal testo, scriveva: "Andate e ammaestrate". No, il testo greco dice: "fate discepoli". La differenza è enorme, è la differenza che corre tra l'indottrinare e l'affascinare. Si tratta di destare un fascino per Gesù, così che per fascinazione si diventi suoi discepoli.

 

E il mandato non è affidato a eroi. Non lo erano gli undici e non lo siamo noi. Né è per coloro che vogliono essere maestri. Tra l'altro lui un giorno li aveva messi in guardia dal farsi chiamare maestri…

No, il compito è affidato a un gruppo decapitato, a un gruppo di dubitanti. Gesù dunque affida il suo vangelo non ai maestri, non ai "sicuri", lontani da ogni esitazione, non ai mostri di perfezione. Ma a noi che non ci sentiamo maestri, che non siamo al riparo dai dubbi, che siamo consapevoli delle nostre fragilità, dei nostri limiti, delle nostre debolezze.

 

Gesù ha avuto rispetto per la fragilità umana, sia quella personale che quella comunitaria. Vorrei aggiungere, forse anche con una qualche dose di dolce ironia per come siamo, che a volte si insegue un mito di perfezione che può diventare devastante: dobbiamo essere chissà chi, dobbiamo fare chissà che cosa…

 

L'archetipo del radunarsi della comunità cristiana è l'ultima cena. E si pensi a quale misero fallimento rappresentava quella comunità: uno dei discepoli aveva venduto Gesù, un altro lo avrebbe rinnegato, e il resto sarebbe fuggito. Gesù fallisce nel radunarli in comunità in quell'ultima notte, perciò non dovremmo essere sorpresi se non riusciamo a fare qualcosa di meglio di quanto ha fatto lui.

 

Coraggio, allora!

 

 

 

 

ORATIO   Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e

diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano

 ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

Oggi, o Gesù, ho ascoltato la storia

di Tommaso detto Didimo, il gemello.

Sì, Tommaso è gemello di molti fratelli.

E’ anche gemello mio.

Come lui, anch'io alcune volte ti amo

al punto che vorrei seguirti fino alla morte;

altre volte, però, sono assalito dai suoi stessi dubbi,

dai suoi interrogativi, dalla sua voglia

di vedere e di toccare.

Quante volte mi sono vergognato

della mia incredulità, delle mie domande,

di tutto quello che mi trattiene

dall' abbandonarmi con fiducia nelle tue braccia!

Non riesco a vederti vivo,

non riesco a credere che tu sia presente

nelle situazioni di morte che la vita mi presenta

e che tu guidi ogni cosa verso la vera vita.

Spesso il mio amore è senza speranza.

Mi chiudo in me stesso,

non ho voglia di incontrare nessuno,

non ho voglia di condividere fragilità e paure.

Così è accaduto a Tommaso

che non ha voluto essere accanto agli altri.

La testimonianza dei suoi amici lo irrita.

Lui ti vuol vedere di persona,

toccare con mano le tue ferite;

è in gioco la sua vita, la sua vocazione!

È un bene per me che sia stato assente

così posso comprendere meglio

quale sia la natura della vera fede.

Tu, o Gesù, concedi a Tommaso

di fare l'esperienza che chiedeva,

ma all'interno della comunità,

perché tu sei presente là dove

si creano le condizioni di accoglienza.

 (don Canio Calitri)

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.

 È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo

a te, Dio Padre Onnipotente,

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.

AMEN

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!

  

(spunti liberamente tratti da una riflessione di don Angelo Casati)