RITIRO ON LINE                                                                                                   
luglio
2011  

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

Spirito di Dio, ti chiedo sapienza
eppure mi ritrovo sempre a fare le scelte peggiori.
Ti chiedo intelligenza,
eppure continuo a non capire
e a farmi mille domande alle quali non trovo risposta.
Ti chiedo consiglio
eppure inciampo di fronte ad ogni ostacolo.
Ti chiedo fortezza
eppure ogni giorno mi infrango sulle mie debolezze.
Ti chiedo scienza
eppure non so vedere il senso delle cose.
Ti chiedo il dono della pietà
eppure mi sorprendo insensibile e crudele.
Ti chiedo di aumentare la mia fede
eppure non riesco a trovare il tempo per pregare.
Ti ho invocato per essere migliore e Tu non sei venuto.
Dove sei, Spirito di Dio quando ho bisogno di Te?

Mi sono scordato della tua presenza
ma tu eri con me.
Tu hai alimentato il mio amore e la mia gioia,
i miei tentativi di fare la pace e il mio cammino verso il Padre.
Vieni Spirito Santo.
Precedimi e rincorrimi.
Resta con me.

(da “Hai un momento, Dio?”)

 Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

 

ASCOLTARE:  si comincia dall'ascolto,  per poi osservare e infine discernere. Ascoltare: un gesto complesso, così come si configura attraverso le pagine bibliche, che dona occhi nuovi per vedere la realtà, che offre nuove potenzialità e possibilità di azione; Agar ci insegna che la persona ascoltata è capace di vedere la vita in un deserto di morte.

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO   Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.   

Voci nel deserto: l'ascolto per il compimento di una promessa (Gen 21, 14-21)

 

 

14Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre d’acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Ella se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. 15Tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora depose il fanciullo sotto un cespuglio 16e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco, perché diceva: «Non voglio veder morire il fanciullo!». Sedutasi di fronte, alzò la voce e pianse. 17Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: «Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. 18Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione». 19Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e diede da bere al fanciullo. 20E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco. 21Egli abitò nel deserto di Paran e sua madre gli prese una moglie della terra d’Egitto.

 

Parola di Dio.

 

 

 

 

 

 

 

MEDITAZIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !   Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.

Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

 

Il dramma di Agar

 

Durante la festa per lo svezzamento di Isacco, la madre Sara, moglie di Abramo, si accorge che Ismaele, figlio del marito e della schiava Agar, fratello maggiore di Isacco da parte di padre, sta giocando insieme a lui.

Improvvisamente la moglie del patriarca è turbata, investita da gelosia: non riesce a entrare nella dinamica di fraternità che lega Isacco e Ismaele.

 

Nonostante che la legislazione non consentisse al figlio della schiava di poter avere parte all'eredità del padre, tuttavia ella teme che proprio l'eccessiva familiarità tra i due possa portare a un superamento della legge: in futuro, chissà, il figlio di Agar avrebbe potuto dividere l'eredità con Isacco. Ecco che si­nistri sospetti e timori si impadroniscono di Sara, la quale chiede ad Abramo l'allontanamento della schiava e di Ismaele. Di fronte al disappunto del padre, il Signore stesso conferma in qualche modo la richiesta della donna: «Ascolta la voce di Sara in tutto quello che ti dice» (Gen 21, 12). È in Isacco, infatti, che sarà prolungata la discendenza di Abramo, erede delle promesse, ma il Signore assicura: «Ma io farò diventare una nazione anche il figlio della schiava, perché è tua discendenza» (Gen 21, 13).

 

Abramo allora prese il pane e un otre d'acqua e li diede ad Agar, offrendole così un sostentamento per il cammino, e caricò tutto sulle sue spalle.

Senza dubbio si tratta della posizione più comoda per portare un peso, tuttavia ci sembra significativa l'immagine di una madre che porta sulle sue spalle la possibilità di vita per sé e per il figlio. Ciò che è stato posizionato sulla schiena non si può stringere; l'occhio non lo raggiunge, non lo si può guardare e tenere sotto controllo continuamente, condizione che evoca una disponibilità totale al dono. La vita possibile, sulle spalle di Agar, simbo­leggiata da acqua e pane, è una vita destinata a essere totalmente donata.

 

Abramo ascolta, dunque, la voce del Signore; questo ascolto da senso e trasforma un evento, provocato all'inizio dalla gelosia di Sara: quello che effettivamente è una separazione, una lacerazione, si cambia in una possibilità di vita, in una nuova occasione di fraternità. La relazione spontanea tra Isacco e Ismaele è interrotta, ma ambedue i giovani sono "discendenza" di Abramo, benché una discendenza divisa in due popoli distinti. Ecco che la relazione fraterna da spontanea e quasi inconscia diventerà un'opportunità da recuperare, una sfida, una decisione consapevole di comunione nella diversità. L'ascolto della voce del Signore apre questo nuovo momento di senso.

 

Il figlio e la madre

 

Agar parte, coraggiosamente cammina, ma si smarrisce per il deserto di Bersabea; ella prosegue finché tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare, procede finché ha risorse da donare. Ma nel deserto le risorse si consumano più velocemente che altrove e, di fronte alla fine imminente, la madre abbandona il figlio sotto un cespuglio. Un particolare di scarsa rilevanza, forse, se non si considera il fatto che, curiosamente, la stessa parola ebraica che significa “cespuglio”, "arbusto", può voler dire anche "afflizione", "tristezza dell'animo". La madre abbandona il figlio alle tristezze, alle afflizioni, lo getta sotto tormentosi pensieri.

 

E si allontana da lui: si sedette di fronte e si allontanò... perché diceva: «Non voglio veder morire il fanciullo». Agar lascia Ismaele e si distanzia, stabilendo tra loro una lontananza tale da impedirle la vista, uno spazio che evoca solitudine incolmabile, un'estensione che pare infinita, benché limi­tata, in cui regna solo la morte.

 

Quando si fu seduta di fronte, ecco che la donna alzò la voce e pianse. È probabilmente istintivo che la persona non vista, e che a sua volta non vede, pensi anche di non essere udita; forse proprio grazie alla lontananza che le faceva pensare di non essere sentita dal figlio, la madre da sfogo al suo dolore, levando un grido di disperazione e facendo scorrere le lacrime. Agar non vuole vedere il frutto del suo grembo che muore e non vuole essere intesa mentre libera la sua angoscia; la distanza tra lei e Ismaele evoca lo spazio della disperazione, quello spazio in cui non c'è ascolto, ma solo isolamento e dramma, un dramma che ciascuno dei due vive da solo.

 

In questo tormento, la madre non solo non riesce a sostenere la vista del ragazzo, ma neanche è in grado di sopportare la voce del suo lamento: secondo il testo greco dei “Settanta”, infatti, non è Agar che piange, ma piuttosto il fanciullo abbandonato.

 

L'ascolto delle voci

 

Ma ecco che misteriosamente, nonostante che Agar si sia distanziata da Ismaele, nonostante la solitudine mortale, la voce della madre e la voce del figlio si fondono: Dio udì la voce del fanciullo. Seguendo il testo ebraico, la madre «alzò la voce e pianse»; proprio nel pianto della donna il Signore ascolta la voce del figlio: nella voce di Agar c'è il pianto di Ismaele, che sale a Dio per bocca della madre.

 

Quando ogni possibilità di aiuto sembra svanire, quando il dramma dell'altro è sconfinato e coperto da una distanza che pare incolmabile, è sempre possibile levare la voce per far salire fino a Dio il grido dei piccoli; è sempre possibile piangere per dar voce al dolore dei figli che non hanno più lacrime. Quando l'ascolto dell'altro è difficoltoso, quasi impossibile, lo spazio del non ascolto può essere trasformato da luogo di autodifesa in spazio di compassione.

Agar gridando ha fatto suo il dolore del figlio, con quella forma di ascolto che è la più perfetta e che spalanca le porte all'ascolto da parte di Dio.

 

II Signore intende dunque la voce del ragazzo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo. Alternanza singolare: la madre invoca, Dio ascolta la voce del figlio, e infine la madre stessa è chiamata. Ad Agar si chiede adesso di prestare attenzione al messaggero divino: ancora una volta l'ascolto da parte di Dio passa attraverso l'ascolto da parte dell'uomo. Il Signore non provvede direttamente a Ismaele, ma domanda che qualcun altro, Agar, sia disponibile ad udire la sua parola, e ascoltando provveda a se stessa e al figlio. La vita di ambedue dipende ora dall'ascolto della madre.

 

Ma prima di descrivere la "donna che ascolta", il testo tratteggia i lineamenti di una "donna ascoltata"; l'angelo di Dio le si rivolge dicendo: Che hai, Agar? Non temere. Dio non ha prestato orecchio solo alla voce del ragazzo, ma anche a quella della madre; il messaggero celeste, infatti, manifesta di aver compreso il cuore della donna, il suo dramma e il suo sgomento, dicendole: Non temere. «Non temere» è insieme consolazione e invito a uscire dalla paura, una paura che, pur non essendo stata esplicitamente espressa, è stata percepita da Colui che sa ascoltare.

 

Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. dove la madre ha lasciato il figlio, sotto i cespugli, sotto le tristezze, nel luogo della desolazione, la voce del figlio è stata udita. Colui che ha ascoltato è "sceso", in qualche modo, fin là dove si trova il giovane; l'ascolto ha annullato la distanza con il ragazzo, abbandonato nell'afflizione.

 

 

L'appello e la promessa

 

Così il Signore si rivolge ad Agar: Alzati! Il primo invito rivolto alla donna è quello di alzarsi e di sollevarsi dal luogo di afflizione in cui si trova; ma contemporaneamente si tratta di un appello ad andare verso quel figlio da cui si era distanziata stretta dalla morsa del dolore.

 

«Alzati» è l'invito per una missione e la missione è rivolgersi verso l'altro, verso il fratello, la cui voce è stata ascoltata dal Signore.

 

Agar, la donna che ha recepito l'esortazione divina, è chiamata a rivelare a Ismaele che la sua voce è stata ascoltata; attraverso i gesti della madre, egli comprenderà che Dio ha teso l'orecchio verso di lui. Soffermiamoci, dunque, su questi gesti, i quali ci consentono di comprendere, per immagini, cosa significhi ascoltare ed essere ascoltato.

 

Prendi (solleva) il fanciullo: si tratta dell'azione contraria a quella che la madre aveva fatto in precedenza, quando, nell'eccesso della propria angoscia, aveva abbandonato  il ragazzo sotto un arbusto; adesso ella è chiamata a raccoglierlo e sollevarlo. Sembra quasi di udire sullo sfondo le parole del salmista: «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto» (Sal 27, 10); egli porge l'orecchio al grido e rialza il giovane, sollevandolo da terra attraverso le braccia di Agar, attraverso le braccia della donna che ascolta la voce del Signore.

 

Tienilo per mano: Agar è chiamata ad accostare e stringere la sua mano a quella di Ismaele; quella mano che aveva abbandonato il ragazzo adesso deve tornare, in qualche modo, a stringere ciò che ha lasciato andare. E’ un gesto potente, un'azione con cui la mano forte della madre afferra quella debole del figlio per trasmettergli coraggio, sicurezza, per liberarlo dal timore.

 

La mano rappresenta anche la possibilità di operare, di agire: ecco allora che afferrare la mano dell'altro significa non solo rinvigorire, ma anche donare all'altro una nuova opportunità di azione.

 

A questi gesti è legata una promessa da parte del Signore: perché io ne farò una grande nazione. I gesti di Agar saranno portati a compimento dal Signore, il quale farà crescere il ragazzo e lo renderà un grande popolo. Ascoltando la voce di Dio e accostandosi a Ismaele, Agar può far sì che la promessa su di lui si compia; la donna che ascolta e agisce in conseguenza di ciò che ha ascoltato diventa così mediatrice della promessa divina.

 

Ad occhi aperti

 

Allora Dio le aprì gli occhi. Agar, la madre ascoltata da Dio e che, a sua volta, ascolta la voce del messaggero celeste, acquista una nuova visione; i suoi occhi vengono aperti ed ella vide un pozzo d'acqua. La lingua ebraica ci suggerisce una notazione: Bersabea è una parola composta da due termini che significano "pozzo" e "giuramento" (Bersabea è «il pozzo del giuramento»). Giocando un po' con le parole, potremmo dire che dentro Bersabea c'è un pozzo: e adesso Agar vede proprio un "pozzo".  II testo ci aveva parlato di Bersabea come di quel deserto in cui la donna insieme a Ismaele si era smarrita vagando, quel deserto in cui aveva finito l'acqua, in cui non era riuscita a vedere il pozzo sotto il peso della sofferenza e della disperazione. Ora ad Agar, la donna ascoltata da Dio e la donna che ascolta Dio, si aprono gli occhi ed ella scorge una riserva d'acqua laddove prima c'era solo morte.

 

È il pozzo che le permette di riempire l'otre, lentamente ma inesorabilmente esauritosi; questo pozzo, questa nuova visione della realtà, le consente di accostarsi a Ismaele per dissetarlo: andò a riempire l'otre e diede da bere al fanciullo. Il suo recipiente, che era rimasto vuoto, adesso può essere riempito e utilizzato per portare la vita.

 

Agar, donna ascoltata che ascolta a sua volta, offre una duplice immagine di senso: ascoltando si riceve una nuova visione della realtà, delle risorse che possono sostenere e garantire la vita. D'altra parte essere ascoltati conduce a vedere la possibilità di vita nello stesso luogo in cui prima si percepiva solo morte.

 

Il compimento della promessa

 

Ecco che per Ismaele la promessa si compie; vediamo come il testo ci mostra, sempre attraverso immagini, il risultato a cui conduce l'ascolto.

Si dice, innanzi tutto, che Dio fu con il fanciullo, strappato così dalla condizione di solitudine e di abbandono; il Signore, che aveva ascoltato la voce del giovane, adesso è con lui.

 

Egli poi crebbe, abitò nel deserto e divenne un tiratore d'arco. Ismaele, il ragazzo ascoltato, riesce ad abitare nel deserto, è in grado di porre la sua dimora in quella terra «dove nessuno può stabilirsi» (Ger 2, 6), in una «terra di serpenti e di scorpioni» (Dt 8, 15). Egli può adesso abitare in quella terra che avrebbe provocato la sua morte.

 

Il testo ci informa, inoltre, che non solamente crebbe, ma divenne un tiratore d'arco: la precisazione è suggestiva se consideriamo che essa rimanda alla disperazione della madre allontanatasi da lui alla distanza di un tiro d’arco (v. 16). Ismaele adesso è in grado di superare quella distanza che lo separava dalla madre, è in grado di raggiungere la madre, segno e fonte della vita. Oramai il giovane ha gli strumenti per non morire nella solitudine, avendo imparato a riavvicinarsi all'altro.

 

Infine, si precisa che abitò nel deserto di Paran: non è un deserto qualunque; è piuttosto il luogo da cui, secondo Nm 13, 1-3, Mosè invia gli israeliti per la ricognizione della terra promessa. Nel momento del ritorno(Nm 13, 25-26), esso diventa il luogo della scelta di Israele, in cui la libertà del popolo si mostra in tutte le sue drammatiche conseguenze: entrare o non entrare nella terra? Nel deserto di Paran, Israele sceglierà di non entrare, rifiutando l'adempimento della promessa del Signore (Nm 14, 1-4).

 

Il deserto di Paran, dunque, come territorio simbolico, come spazio da dove la terra di Canaan può essere raggiunta; luogo di espressione della propria libertà rispetto al compimento della promessa, una libertà vissuta, una libertà messa drammaticamente alla prova.

 

Conclusione

 

Nelle estensioni impervie della desolazione, negli spazi di uno smarrimento che pare illimitato, si levano voci senza eco. Aprire gli occhi all'improvviso e scorgere un pozzo, sempre presente, ma fino a questo momento nascosto; imparare con perizia l'arte di vivere persino dove sembra impraticabile, dove ogni ingegno e risorsa chiede di essere impiegata al meglio: questo è il miracolo dell'ascolto.

 

 

 

 

Per la riflessione

 

Un nuovo significato: ascoltare per donare una nuova opportunità di significato agli "strappi" della vita, alle lacerazioni.

 

La distanza:  talvolta il dolore è così intenso e profondo che l'ascolto è quasi impossibile, intollerabile. Si cerca allora uno spazio, quello del non ascolto, uno spazio che può tenere al riparo, pur rimanendo di fronte all'altro. Mi fermo a considerare i miei spazi di non ascolto.

 

La compassione: l'ascolto come evento di compassione, quella di una madre che si fa carico della voce del figlio.

 

II segreto del cuore: ascoltare come percepire le inquietudini segrete, il silenzio carico di tormento dell'altro.

 

Là dove si trova: ascoltare come raggiungere l'altro "là dove si trova", piuttosto che attendere che egli giunga dove sono io, o dove io desidero.

 

Alzati!: prima di ascoltare e per ascoltare è necessario alzarsi dalla propria prostrazione; se mi cullo nel mio dolore posso correre il rischio di  ostacolare  l'ascolto possibile.

 

Prendi! Solleva!: l'ascolto consente di sollevare il fratello dal suo abbattimento; nella relazione di ascolto, riesco a far percepire all'altro che egli può essere risollevato?

 

Tienilo per mano!: ascoltare come stringere la mano dell'altro, afferrarlo, donargli coraggio e possibilità di azione; la relazione di ascolto chiede un coinvolgimento attivo.

 

Uno sguardo nuovo: ascoltare per far cambiare lo sguardo sulla realtà, per aprire orizzonti di speranza, affinchè si possa vedere una riserva d'acqua in luoghi aridi e deserti.

 

L'otre vuoto: può rappresentare le risorse atrofizzate, ormai inutilizzabili; ascoltare per rivalorizzare queste risorse, perché l'altro possa riempire da solo il proprio otre, attingendo a quel pozzo che ha scoperto nel deserto.

 

La crescita: mi fermo a considerare come l'ascolto non sia una relazione sbrigativa, ma piuttosto un "essere con" l'altro, che fa crescere l'altro, donandogli possibilità e strumenti per superare le situazioni di crisi, per raggiungere da solo soluzioni. Al contrario, un ascolto "malato", affrettato o paternalistico, crea dipendenza.

 

 

 

ORATIO    Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

O Gesù, spesso sono tentato

di chiudere gli occhi per non vedere

i drammi che accadono attorno a me.

A volte vorrei tapparmi gli orecchi

per non udire le invocazioni d’aiuto;

vorrei chiudermi nel perimetro ristretto della mia vita

e considerare solo le zone dei miei affanni.

o so che il cammino della storia comprende

anche “l’angoscia di popoli in ansia”

e che la strada della liberazione è piena

di ambiguità, di fallimenti, di dure lotte.

Solo la vigilanza e la preghiera

mi mantengono fedele a te, o Gesù,

e mi permettono di non essere spazzato via

dalla quotidianità e

dall’attesa inutile di ciò che non può salvare.

Se non levo il capo

come potrò vederti arrivare?

(don Canio Calitri)

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.

 È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,

nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria

per tutti i secoli dei secoli. AMEN

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!

 

(spunti da un percorso formativo della Caritas Italiana)