RITIRO ON LINE - giugno 2024 |
Venero
la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia
persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla
presenza del Signore che vuole parlarmi.
Spirito del Padre e del Figlio, al ritmo
dei miei passi su strade tortuose,
di notte e di giorno Tu guidi il mio
andare.
Silenzioso compagno che mai mi abbandoni,
donami il coraggio della fiducia e la
forza creatrice dell’amore.
(Un minuto con Dio)
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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I SALMI INSEGNANO A PREGARE
Continua la piccola serie di Lectio suggerite dalla lettura di alcuni salmi. Per
fare ciò prendiamo liberamente spunto da alcune riflessioni di padre Ubaldo
Terrinoni, (OFM cappuccini), raccolte nel suo libro “I salmi insegnano a
pregare”.
LECTIO
Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
Salmi 42-43
(41-42)
Salmo 42 (41)
vv 2-6
2Come la cerva anela ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela a te, o Dio.
3L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:
quando verrò e vedrò il volto di Dio?
4Le lacrime sono il mio pane giorno e notte,
mentre mi dicono sempre: «Dov’è il tuo Dio?».
5Questo io ricordo e l’anima mia si strugge:
avanzavo tra la folla, la
precedevo fino alla casa di Dio,
fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa.
6Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti
in me?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui,
salvezza del mio volto e mio Dio.
Salmo 42 (41)
vv 7-12
7In me si rattrista l’anima mia; perciò di te mi
ricordo
dalla terra del Giordano e dell’Ermon, dal monte Misar.
8Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue
cascate;
tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono
passati.
9Di giorno il Signore mi dona il suo amore
e di notte il suo canto è con me, preghiera al Dio della
mia vita.
10Dirò a Dio: «Mia roccia!
Perché mi hai dimenticato?
Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?».
11Mi insultano i miei avversari quando rompono le
mie ossa,
mentre mi dicono sempre: «Dov’è il tuo Dio?».
12Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti
in me?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.
1Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa
contro gente spietata;
liberami dall’uomo perfido e perverso.
2Tu sei il Dio della mia difesa: perché mi
respingi?
Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?
3Manda la tua luce e la tua verità: siano esse a
guidarmi,
mi conducano alla tua santa montagna, alla tua dimora.
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della
Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga
del nostro Ritiro On Line: il grande
silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"
Salmi 42 e 43 – Come la cerva anela…
Premessa e
struttura letteraria
Seguendo la tradizione
giudaica notiamo che, con questo
salmo,
si
passa
al
secondo
libro
del
Salterio
(Salmi
42-72).
Questa
tradizione,
infatti,
in
analogia
ai
cinque
libri del Pentateuco,
divide il Salterio in cinque libri. L'idea
di
fondo
di
questo
secondo
libro
possiamo
renderla
con
l’immagine dell’orante che è uscito
dall’esperienza della notte
della prova, e si mette in
cammino
alle prime
luci dell’alba. È raggiunto ancora da
terribili prove, ma il suo
itinerario è costantemente rischiarato, e
questo gli infonde
serenità,
sicurezza,
coraggio e vivo desiderio di proseguire
il
cammino.
Questo salmo, inoltre, si distingue per una
singolarità: è l’unico che si apre con un
paragone,
con un
efficace confronto mediante la particella
«come»:
«come la cerva anela
/
così l’anima mia anela.
. .».
Qui
viene descritta con rapide
pennellate la tragica situazione di un levita
o di un sacerdote, che è stato mandato in esilio forse da
una
potenza
straniera
che ha
occupato
la
Palestina.
Egli si ritrova tra
gente pagana lontano dall’area sacra di Sion,
solo e isolato. Per lui le liturgie al tempio erano
tutta la sua vita; ora, privato dall’incontro celebrativo con Dio e, per di più,
angariato e deriso
da coloro in mezzo
ai
quali è confinato, vive
momenti di durissime prove, vive situazioni
che lo lacerano ulteriormente
e
gli
rendono
insopportabili gli
scherni.
Non potendone più e non avendo altri punti di
sfogo, si
rivolge a Dio e gli indirizza un accorato lamento
che, poi,
lentamente,
modula in una
supplica personale. L’immagine
della
cerva
lascia
intravedere un’ansia
vitale:
Dio
è
sentito e ansiosamente ricercato come
l’assetato cerca l’acqua, “ha sete di Dio”. Acqua che è vita dell’animale
in un
paesaggio arido. La ricerca di Dio si colora
di un istinto primario,
fondamentale, di
conservazione.
L’anima
del
poema, divorata da una sete “animale” di Dio,
sua acqua, sua
vita.
I due salmi 42-43 costituiscono un’unica
preghiera, una
sola composizione poetica.
Infatti,
in entrambi è unico il
tema: la
nostalgia del tempio.
Inoltre, lo stesso ritornello
divide con precisa
simmetria
le tre parti del salmo.
Anche lo stile è identico in
tutte e tre le parti
della composizione.
Infine, si rileva che se il
salmo 43 fosse separato,
sarebbe
l’unico,
in
tutto il
Salterio,
a essere
privo di un accenno al compositore, al coro e
allo strumento
con
cui
bisognerebbe
eseguirlo.
In
base al triplice ricorso del ritornello, si
rileva chiaramente che il
salmo
si
divide
in
tre strofe, le quali corrispondono a tre diversi
momenti dello spirito del salmista:
- unaterribile e insostenibile situazione presente,
-
e un
futuro
carico di
speranza
per il
ritorno
in
Sion,
là
dove
sono
il
suo cuore
e
tutti i
suoi
desideri.
Quindi,
la
struttura
della
composizione
è
la
seguente:
42,2-6: ricordo
di
un
passato
felice;
42,7-12:
il
presente
di prova,
che causa
abbattimento;
43,1-5: un
futuro
luminoso,
atteso
e
sperato.
La
prima e
la
terza
strofa
si
richiamano
ai
solenni
momenti
liturgici
al
tempio
con
varie
precisazioni
delle
celebrazioni: casa di Dio, gioia, festa, monte
santo, dimora, altare, lode, giubilo. La
seconda strofa invece propone l’esperienza
amara dell’orante; si riferisce al paesaggio che lo
circonda, e che avverte come simbolo del suo
stato d’animo
fortemente angosciato: si abbatte, ha i
brividi per l’enorme abisso, per il fragore delle cascate e
per la
potenza dei flutti. In questa poderosa composizione
si coglie una progressione
tematica
che
tocca
il
vertice
nella
terza
strofa,
dove
il salmista,
pur restando
ancora
lontano,
ritrova
se stesso
e
il
suo
giusto
rapporto
con
Dio.
Lo stesso vale per il triplice ritornello. Si
ripete sempre
identico nell’espressione letteraria, ed è un
soliloquio, un
dialogo
interiore, in
cui
l’orante
tribolato
si
rivolge
alla
propria
anima per infondersi
coraggio.
Non
è affatto frequente nella Bibbia il ricorso al
soliloquio; lo si ritrova nel salmo 116,7: «Ritorna,
anima mia, al tuo riposo, perché il
Signore
ti ha
beneficato».
Anche nella triplice ripetizione
del
ritornello si
avverte
un
crescendo
di
tensione
che
culmina nella fiducia e nella speranza.
«All’inizio
è una
voce
triste e accorata; al centro è quasi una
protesta striata di
sdegno e
amarezza;
e
alla fine è quasi
un
grido di
speranza
nonostante tutto»
(G.
Ravasi).
Questo autentico capolavoro letterario si apre con la
suggestiva
immagine della cerva che, in una giornata di forte
calura, dopo una corsa estenuante anela alle
sorgenti di una fonte
purissima.
L’ansimare della
timida
ed
elegante
bestiola verso le fresche acque per l’ardente
sete, esprime
efficacemente l’intenso e bruciante desiderio
dell’orante di
tornare
a Sion, nel tempio,
per bearsi ancora della presenza di Dio. Il
desiderio di Dio è come una sete divorante che
solo Dio può placare. Dio è vita, acqua viva,
gioia, riposo,
speranza,
centro
di
gravità,
primo
e ultimo
traguardo.
La
corsa frusciante
della cerva verso l’acqua e il forte
anelito di Dio da parte del salmista sono resi
nel testo originale con uno specifico verbo che
suggerisce l’idea di un desiderio vivissimo,
di
una
brama
ardente,
che
è anche
accompagnata
da un
lamento
sommesso
e straziante
rivolto
a Dio.
Il
nome
di
Dio
in
tutto
il
salmo
echeggia
ben
22
volte.
È «un’invocazione che ha momenti di alta
tensione nel ricorrere dei pronomi personali
o possessivi («mio Dio»,
«tuo
Dio»)
e dei titoli che esaltano il Dio
vivente,
salvezza del volto, Dio protettore e difesa, Dio
della gioia e dell’allegria»
(G.
Ravasi).
L’uomo, ogni uomo, porta in petto un cuore che
è fatto
per
«l’infinito»,
come
conferma
anche
il
biblico
e
inquieto Qoelet: «Dio ha messo
l’infinito nel cuore degli uomini, senza però che gli uomini possano trovare la
ragione di ciò che
egli compie dal principio alla fine»
(Qo
3,11).
Ed è per questo che
qualunque
bene
finito
non
potrà
mai
sostituirsi
all’«Infinito». E s. Agostino aggiunge che il nostro
cuore si
sentirà inquieto e sconvolto finché non si aprirà ad
accogliere Dio e a riposare in
lui. Ogni uomo è pellegrino dell’Assoluto! Ed
è questa sete bruciante di Dio che viene gridata
anche
dall’autore del
salmo
63:
«O
Dio,
tu
sei
il
mio
Dio,
dall’aurora ti
cerco,
ha
sete
di
te
l’anima
mia, desidera
te la
mia
carne, in
terra
arida, assetata,
senz'acqua!»
(Sal
63,2).
Sì,
la
sete di Dio è ardente, ma ora non v’è
risposta; il lamento è flebile e, ora, il cielo è chiuso in un
inspiegabile
silenzio. E così il
salmista è costretto
a sfogarsi in
un
amaro
pianto: «le
lacrime sono il mio pane giorno e notte»
(v. 4). Non
ha altro alimento
al
di fuori del pane dell’afflizione. In
quella
terra
straniera
e inospitale,
c’è
per
lui
soltanto
solitudine
e umiliazione; e là spunta sovente anche la
derisione e il sarcasmo con
una
domanda
maligna
e imbarazzante,
una
do-
manda
senza
risposta:
«Dov’è il
tuo Dio?». Come
a dire: «Se
il
tuo Dio
ci fosse,
si
farebbe
presente...».
Dunque,
sei
un
povero illuso nel voler
credere
in
un Dio che non esiste.
E
così,
purtroppo,
questa
domanda
aggiunge
dolore
a
dolore.
Per
di più,
il
lamento
si
popola
di ricordi struggenti:
ricorda quando
viveva all’ombra
della casa di Dio ed era
felice di essere coinvolto nelle sontuose
liturgie, o quando,
in occasione delle tre particolari «feste del
pellegrinaggio»,
egli non vedeva l’ora di arrivare al tempio,
per cui non si collocava
a
metà
o
tra
gli
ultimi
della
folla
festante,
era invece sempre tra i primi (v. 5).
È
proprio così che egli ci
lascia intuire che Dio
è il
tutto
della
sua
vita,
che è l’unico
e costante
punto di riferimento
del suo cammino
interiore
e
che
è
il
motivo
della
sua
gioia
intima
e
della
sua
pace: «salvezza
del
mio
volto
e
mio
Dio»
(v.
6).
Chiude questa prima parte il ritornello (v. 6): un
soliloquio, o meglio, un dialogo interiore, in cui il povero e tribolato orante
ha un momento di ripresa, avverte un sollievo,
vive
una
confusa
impressione. Ora,
nonostante
l’amara
realtà in cui è immerso, egli si rianima al
riaccendersi improvviso della speranza. Coglie dentro di sé la certezza che quei
giorni
belli
delle
festose
liturgie
torneranno
ancora.
b) 42,7-12
il presente
di prova
terribile
Il momento di sollievo è subito scomparso e fa
ripiombare il
salmista
nell’abituale
stato di
abbattimento.
Anzi,
lo scenario del paesaggio circostante gli
suggerisce l’immagine per descrivere
la
sua
insostenibile
situazione. Nella
strofa
precedente ha
guardato
dentro
di
sé, ora
volge lo
sguardo
attorno.
E purtroppo lo spettacolo della natura circostante
costituisce
per lui
un ulteriore motivo di tristezza
e di smarrimento. Nel
v. 7 ci fa
conoscere il
luogo preciso
nel quale è stato confinato dal re invasore;
si trova nell’estremo nord della Palestina,
quasi alle pendici del maestoso
monte Ermon,
che
raggiunge
l’altezza
di
ben
2.814
metri,
nell’inverno
perennemente
ammantato
di
neve.
Ebbene, il fenomeno delle valanghe
di neve, che precipitano
a
valle
fragorosamente con il
disgelo
primaverile,
gli
suggerisce
l’idea di altre «valanghe»
di prove che egli avverte nel suo intimo. Ha
l’impressione di essere schiacciato
e
travolto
dall’incalzare
delle
avversità.
Le
tribolazioni
si
susseguono su
di
lui
come
flutti
di
morte,
come
un
torrente
impetuoso
che
tutto
travolge
e
distrugge:
«Un
abisso chiama l’abisso
al
fragore
delle
tue
cascate; tutti i
tuoi flutti e le tue
onde
sopra
di me
sono passati»
(v.
8).
Alle invocazioni
di vissuta
intimità (Dio è «mia difesa»),
il
salmista fa seguire con audacia
due
«perchè»
di aperto
rimprovero rivolti a Dio: «Perché mi hai dimenticato? Perché triste me ne
vado oppresso dal nemico?» (v. 10).
Merita
di rilevare qui che il verbo «dimenticare» nella letteratura
biblica assume sovente una sinistra
connotazione, in quanto allude al morto («Nessuno tra i morti ti
ricorda. Chi
negli inferi canta le tue lodi?»
Sal
6,6; 88,11-13; Is 38,18).
L’orante vuol dire che la serie
interminabile di prove lo fa sentire come già morto e sepolto. Per di più, gli
brucia
«dentro»
e
lo martella la
domanda
raggelante che
il
pagano gli rivolge sovente, «tutto il giorno»;
egli sta sempre
in
agguato
con
domande
pesanti:
«Dov’è
il
tuo
Dio?»
(v.
11).
c)
43, 1-5
il futuro
ricco di speranza
In questa
terza fase di esperienza
d’esilio,
il
salmista
esordisce
con una richiesta audace: si appella al tribunale supremo
di
Dio:
«Fammi
giustizia,
o
Dio,
difendi
la
mia causa».
Avanza
una
richiesta
coraggiosa,
perché
egli
resta
aperto
alla fiducia in
un intervento dall’Alto. La conferma si ha anche
dai
vari
verbi
all’imperativo:
«fammi»,
‹difendimi»,
«liberami»,
«manda»,
«mi
portino...».
Si
rivolge
a
Dio
come
giudice,
perché
egli
si
faccia
presente
e
ristabilisca
l’equità.
Anche
in altri
salmi
ci
si
imbatte
in
questa
richiesta:
«Signore,
fammi
giustizia»
(Sal
26,1);
«Signore,
accusa
chi
mi
accusa»
(Sal
35,1);
«il
Signore
mandi
dal
cielo
a
salvarmi»
(Sal
57,4).
Certo
le
circostanze permangono
dure
e
difficili
per
l’esule assediato;
si trova ancora
tra
gente straniera e atea.
Tuttavia, non intende subire supinamente le
vicende. Perciò,
sostenuto
dalla fiducia
e
dal
buon
senso,
ricorre
a
motivi
forti
per
farsi
ascoltare
da
Dio.
Non
sa
spiegarsi
come
mai
la
porta
del
cuore
del
suo
Signore
resti
ermeticamente
serrata e
il
cielo
terribilmente chiuso.
Pensa
bene
allora
di
far
echeggiare il
«perchè»
dell’uomo.
Ma...,
si
sa
bene,
per lunga
esperienza,
che
sovente Dio
non dà pronte risposte
ai
«perchè»
dell’uomo.
Talvolta
egli
sceglie
di
apparire
debole
e
impotente
di
fronte
all’ invadenza del male,
del
dolore
e
della
morte.
L’esiliato allora «suggerisce» a Dio la
concreta soluzione
della sua tremenda
tribolazione:
«manda
la
tua
luce e la
tua
verità:
mi
conducano
alla
tua
santa
montagna»
(v.
3).
«La verità»
deve
guidarlo
tra
gente
spietata
e
fallace,
opponendosi alla
menzogna e all’errore;
«la luce»,
a sua volta, deve illuminarlo in
quella terra di oscurità per indicargli il giusto
cammino
fino
al
monte
Sion.
Con l’intervento efficace di questi due messaggeri
d’eccezione, certamente cambia in modo radicale l’intera situazione dell’esule.
Anzi, egli ha il presentimento della liberazione
imminente
e
perciò
può
dichiarare
la
certezza
del
ritorno con un
verbo al
futuro:
«verrò».
In
questo futuro,
avvertito
come
molto
vicino,
tutto
sarà
di nuovo
gioia
e canto. Ed egli pregusta già la festosa
processione che procede
tra
canti
di
gioia
verso
la
dimora
di
Dio:
E il ritornello conclusivo in questa terza
ripresa...? Gra zie ai dolci presentimenti di
liberazione,
esso assume
un’altra intonazione, è quasi un grido di
trionfo,
quasi un grido di speranza nonostante tutto. Ed
è
per questo che si sprigionano dalle corde della cetra
e dalle
corde del suo cuore dolcissime melodie per esaltare «il Dio
della mia gioiosa esultanza».
Così, il Dio di un passato felice
torna
a
essere
il
Dio
del
presente
e
del
futuro.
1.
Attualizzazione: pregare
il salmo
oggi
a)
«L’anima mia ha sete di Dio»
Ogni
uomo
non
solo
ha sete
di Dio,
ma
è
essenzialmente sete di Dio.
È
tutto il
suo essere che lo reclama: spirito e
fisico. Come il filo d’erba sbuca tra le zolle
di terra e si protende verso la luce e il calore del sole, così il cuore
dell’uomo
è
fatto
per
l’Infinito e
ad
esso
tende
irresistibilmente.
«Ci hai
fatti per te
—
grida s. Agostino
—,
ed è inquieto il nostro cuore finché non riposa in
te». Questo è lo struggente desiderio che
sospinge l’uomo
nella
corsa
e
nella
ricerca
quotidiana.
Solo Dio
cerca
l’uomo;
solo Dio
basta
all’uomo.
Tutto
il
resto è troppo poco.
L’uomo, dunque,
ha
ed è sete
di Dio! Anche quando si
protende verso le
creature, non
cerca
esse,
ma se stesso.
Infatti, succede immancabilmente che le
creature quando
sono desiderate, affascinano, ma quando si
possiedono,
deludono; vuol dire che non danno e non possono dare
quel
che
in
esse
si
cerca.
«Non
basta
all’uomo
trovare
una
qualche
bellezza, egli vuole la bellezza perfetta: non un qualche
amore,
ma
l’amore
sommo;
non
un giorno
di
felicità, ma
la
felicità perenne»
(G.
Albanese).
L’esperienza elementare quotidiana ci ricorda
che tutto
ciò che circonda l’uomo è posto sotto il segno della
provvisorietà. Tutti i valori terreni gli sfuggono, non può trattenerli; sono
come
l’acqua
che filtra
tra le dita,
senza
che
la
si possa
trattenere.
E,
dunque,
se le realtà terrene passano
—
e noi con esse passiamo
—,
sarà bene orientare il cuore
verso le
realtà eterne.
L’apostolo Paolo ci apre il cuore
alla speranza quando scrive: «Anche se il nostro
uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno
in
giorno»
(2Cor
4,16).
E il peccatore? Qual è la sua sorte? Anche lui
cerca Dio,
però la sua follia sta nel cercarlo in
direzioni sbagliate, sta
nel confonderlo con le creature. Resta
tuttavia chiaro che
l’uomo può giungere a offendere
Dio, ma non a fare a meno
di lui; può dichiarare di non volerne sapere, ma non
può
liberarsi
della
sete
di
lui.
«L’inesausta
sete
di
Dio
—
scrive
madre Anna Maria Cànopi —
è anche in
coloro
che
corrono
su
altre
vie
in
cerca
di
altre
acque.
Tutte le forme di sete, infatti, si riducono
alla sete di una sola
realtà, di un solo bene. Anche l’alcolizzato,
il drogato e chi
si
è
tuffato
nel vizio,
nella
ricerca
spasmodica
del
denaro
e
del piacere, anche
costoro hanno sete di Dio, perché hanno
sete
di
vita».
b) “Dov’è il tuo Dio?”
Ed è così che le verità di fede, che hanno
nutrito e sostenuto il cammino interiore, non splendono più come un tempo;
anzi,
risultano
come
sfocate,
appannate,
ininfluenti.
Per di più,
nel momento della tribolazione
non si
dispone
di risposte chiare e sicure ai molti problemi
del vivere quotidiano e non si ha neppure la forza di accettare di vivere
senza
comprendere. Sembra
che
Dio
faccia
il
sordo
alle
invocazioni
per situazioni al
limite
dell’impossibile e per
sofferenze intime
che tormentano
e umiliano. Forse egli,
attraverso
la
sete
e
l’arsura,
mira
a
purificare e
far
maturare l’orante, perché approdi finalmente
alla sua volontà e
all’abbandono
fiducioso in
lui. Inoltre,
spesso il
credente
vive un terribile
stridente
contrasto:
-
da una parte c’è
il giusto,
cioè la persona devota
che va sotto la sferza della prova, si nutre ogni
giorno di
lacrime come di pane e si ritrova in una solitudine
raggelante, che lo fa sentire come abbandonato da tutti e in balia
di se stesso;
Certo,
per colui
che
vuole
restare
fedele
al
vangelo
è
ancora il momento dell’amore a Dio, nonostante
lo spirare
risoluto
del
vento
della
prova.
L’esperienza del
credere
coinvolge
sempre
tutto l’uomo:
-
la
sua
mente per riflettere e ragionare,
-
il suo cuore per amare e per godere,
-
il suo spirito per elevarsi nella contemplazione,
-
il suo corpo per captare
sensazioni
e messaggi e individuare
così le tracce della presenza di Dio nella sua
vita.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Dio del cielo e della terra, delle stelle e dei fiori,
tu desideri una sola cosa, per essa crei e ricrei il mondo:
tu desideri essere uno con noi, in una comunione profonda,
in una relazione che trasforma.
Che io mai mi sottragga a questo tuo desiderio, anzi,
che questo sia il mio desiderio, il senso di tutta la mia vita.
(Un minuto con Dio)
|
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci
precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo
mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre
Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti
i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi
impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita.
Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al
momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
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