RITIRO ON LINE - giugno 2024     










Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

 

Spirito del Padre e del Figlio, al ritmo dei miei passi su strade tortuose,

di notte e di giorno Tu guidi il mio andare.

Silenzioso compagno che mai mi abbandoni,

donami il coraggio della fiducia e la forza creatrice dell’amore.

      (Un minuto con Dio)

 

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

==========================================================

I SALMI INSEGNANO A PREGARE

Continua la piccola serie di Lectio suggerite dalla lettura di alcuni salmi. Per fare ciò prendiamo liberamente spunto da alcune riflessioni di padre Ubaldo Terrinoni, (OFM cappuccini), raccolte nel suo libro “I salmi insegnano a pregare”.

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.   

Salmi 42-43  (41-42)

 

Salmo 42 (41)   vv 2-6

2Come la cerva anela ai corsi d’acqua,

così l’anima mia anela a te, o Dio.

3L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:

quando verrò e vedrò il volto di Dio?

4Le lacrime sono il mio pane giorno e notte,

mentre mi dicono sempre: «Dov’è il tuo Dio?».

5Questo io ricordo e l’anima mia si strugge:

avanzavo tra la folla,  la precedevo fino alla casa di Dio,

fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa.

6Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me?

Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui,

salvezza del mio volto e mio Dio. 

 

Salmo 42 (41)   vv 7-12

7In me si rattrista l’anima mia; perciò di te mi ricordo

dalla terra del Giordano e dell’Ermon, dal monte Misar.

8Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate;

tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati.

9Di giorno il Signore mi dona il suo amore

e di notte il suo canto è con me, preghiera al Dio della mia vita.

10Dirò a Dio: «Mia roccia! Perché mi hai dimenticato?

Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?».

11Mi insultano i miei avversari quando rompono le mie ossa,

mentre mi dicono sempre: «Dov’è il tuo Dio?».

12Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me?

Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,

lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

 

 Salmo 43 (42)

1Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente spietata;

liberami dall’uomo perfido e perverso. 

2Tu sei il Dio della mia difesa: perché mi respingi?

Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?

3Manda la tua luce e la tua verità: siano esse a guidarmi,

mi conducano alla tua santa montagna, alla tua dimora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"

 

Salmi 42 e 43 – Come la cerva anela…

 

 

Premessa e struttura letteraria

Seguendo la tradizione giudaica notiamo che, con questo salmo, si passa al secondo libro del Salterio (Salmi 42-72). Questa tradizione, infatti, in analogia ai  cinque libri del Pentateuco,  divide il Salterio in cinque libri. L'idea di fondo di questo secondo libro possiamo renderla con l’immagine dell’orante che è uscito dall’esperienza della notte della prova, e si mette in cammino  alle prime  luci dell’alba. È raggiunto ancora da terribili prove, ma il suo itinerario è costantemente rischiarato, e questo gli infonde serenità,  sicurezza,  coraggio e vivo desiderio di proseguire il cammino.

Questo salmo, inoltre, si distingue per una singolarità: è l’unico che si apre con un paragone, con un efficace confronto mediante la particella «come»: «come la cerva anela / così l’anima mia anela. . .».

Qui viene descritta con rapide pennellate la tragica situazione di un levita o di un sacerdote, che è stato mandato in esilio forse da una potenza straniera che ha occupato la Palestina. Egli si ritrova tra gente pagana lontano dall’area sacra di Sion, solo e isolato. Per lui le liturgie al tempio erano tutta la sua vita; ora, privato dall’incontro celebrativo con Dio e, per di più, angariato e deriso da coloro in mezzo ai quali è confinato, vive momenti di durissime prove, vive situazioni che lo lacerano ulteriormente e gli rendono insopportabili gli scherni.

Non potendone più e non avendo altri punti di sfogo, si rivolge a Dio e gli indirizza un accorato lamento che, poi, lentamente,  modula in una  supplica personale. L’immagine della cerva lascia intravedere un’ansia vitale: Dio è sentito e ansiosamente ricercato come l’assetato cerca l’acqua, “ha sete di Dio”. Acqua che è vita dell’animale in un paesaggio arido. La ricerca di Dio si colora di un istinto primario, fondamentale, di conservazione. L’anima  del  poema, divorata da una sete “animale” di Dio, sua acqua, sua vita.

 

I due salmi 42-43 costituiscono un’unica preghiera, una sola composizione poetica. Infatti, in entrambi è unico il tema: la nostalgia del tempio. Inoltre, lo stesso ritornello divide con precisa  simmetria  le tre parti del salmo.

Anche lo stile è identico in tutte e tre le parti della composizione.  Infine, si rileva che se il  salmo 43 fosse separato, sarebbe l’unico, in tutto il Salterio, a essere privo di un accenno al compositore, al coro e allo strumento con cui bisognerebbe eseguirlo.

In base al triplice ricorso del ritornello, si rileva chiaramente che il salmo si divide in tre strofe, le quali corrispondono a tre diversi momenti dello spirito del salmista:

 - un’esperienza passata, vissuta  e richiamata  con struggente nostalgia;  

-  unaterribile e insostenibile situazione presente,

-   e un futuro carico di speranza per il ritorno in Sion, dove sono il suo cuore e tutti i suoi desideri.

 

Quindi, la struttura della composizione è la seguente:

 

42,2-6: ricordo di un passato felice;

42,7-12: il presente di prova, che causa abbattimento;

43,1-5: un futuro luminoso, atteso e sperato.

 

La prima e la terza strofa si richiamano ai solenni momenti liturgici al tempio con varie precisazioni delle celebrazioni: casa di Dio, gioia, festa, monte santo, dimora, altare, lode, giubilo. La seconda strofa invece propone l’esperienza amara dell’orante; si riferisce al paesaggio che lo circonda, e che avverte come simbolo del suo stato d’animo fortemente angosciato: si abbatte, ha i brividi per l’enorme abisso, per il fragore delle cascate e per la  potenza dei flutti. In questa poderosa composizione si coglie una progressione tematica che tocca il vertice nella terza strofa, dove il salmista,  pur restando  ancora  lontano,  ritrova  se stesso e il suo giusto rapporto con Dio.

Lo stesso vale per il triplice ritornello. Si ripete sempre identico nell’espressione letteraria, ed è un soliloquio, un dialogo interiore, in cui l’orante tribolato si rivolge alla propria anima per infondersi coraggio. Non è affatto frequente nella Bibbia il ricorso al soliloquio; lo si ritrova nel salmo 116,7: «Ritorna, anima mia, al tuo riposo, perché il Signore  ti ha  beneficato».

Anche nella triplice ripetizione del ritornello si avverte un crescendo di tensione che culmina nella fiducia e nella speranza. «All’inizio è una voce triste e accorata; al centro è quasi una protesta striata di sdegno e amarezza; e alla fine è quasi  un  grido di  speranza nonostante tutto» (G. Ravasi).

 

Commento      a) 42,1-6 ricordo di un passato felice

Questo autentico capolavoro letterario si apre con la suggestiva immagine della cerva che, in una giornata di forte calura, dopo una corsa estenuante anela alle sorgenti di una fonte purissima. L’ansimare della timida ed elegante bestiola verso le fresche acque per l’ardente sete, esprime efficacemente l’intenso e bruciante desiderio dell’orante di tornare a Sion, nel tempio,  per bearsi ancora della presenza di Dio. Il desiderio di Dio è come una sete divorante che solo Dio può placare. Dio è vita, acqua viva, gioia, riposo, speranza, centro di gravità, primo e ultimo traguardo.

La corsa frusciante della cerva verso l’acqua e il forte anelito di Dio da parte del salmista sono resi nel testo originale con uno specifico verbo che suggerisce l’idea di un desiderio vivissimo, di una brama ardente, che è anche accompagnata da un lamento  sommesso  e straziante  rivolto  a Dio. Il nome di Dio in tutto il salmo echeggia ben 22 volte.

È «un’invocazione che ha momenti di alta tensione nel ricorrere dei pronomi personali o possessivi («mio Dio», «tuo Dio») e dei titoli che esaltano il Dio vivente, salvezza del volto, Dio protettore e difesa, Dio della gioia e dell’allegria» (G. Ravasi).

L’uomo, ogni uomo, porta in petto un cuore che è fatto per «l’infinito», come conferma anche il biblico e inquieto Qoelet: «Dio ha messo l’infinito nel cuore degli uomini, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che egli compie dal principio alla fine»   (Qo 3,11).

Ed è per questo che qualunque bene finito non potrà mai sostituirsi all’«Infinito». E s. Agostino aggiunge che il nostro cuore si sentirà inquieto e sconvolto finché non si aprirà ad accogliere Dio e a riposare in lui. Ogni uomo è pellegrino dell’Assoluto! Ed è questa sete bruciante di Dio che viene gridata anche dall’autore del salmo 63:

«O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne, in terra arida, assetata, senz'acqua!» (Sal 63,2).

Sì, la sete di Dio è ardente, ma ora non v’è risposta; il lamento è flebile e, ora, il cielo è chiuso in un inspiegabile silenzio. E così il salmista è costretto a sfogarsi in un amaro pianto: «le lacrime sono il mio pane giorno e notte» (v. 4). Non ha altro alimento al di fuori del pane dell’afflizione. In quella terra straniera e inospitale, c’è per lui soltanto solitudine e umiliazione; e là spunta sovente anche la derisione e il sarcasmo con una domanda maligna e imbarazzante, una do- manda senza risposta: «Dov’è il tuo Dio?». Come a dire: «Se il tuo Dio ci fosse, si farebbe presente...». Dunque, sei un povero illuso nel voler credere in un Dio che non esiste. E così, purtroppo, questa domanda aggiunge dolore a dolore.

Per di più, il lamento si popola di ricordi struggenti: ricorda quando viveva all’ombra della casa di Dio ed era felice di essere coinvolto nelle sontuose  liturgie, o quando, in occasione delle tre particolari «feste del pellegrinaggio», egli non vedeva l’ora di arrivare al tempio, per cui non si collocava a metà o tra gli ultimi  della folla festante, era invece sempre tra i primi (v. 5).

È proprio così che egli ci lascia intuire che Dio è il  tutto  della  sua  vita,  che è l’unico e costante  punto di riferimento  del suo cammino  interiore e che è il motivo della sua gioia intima e della sua pace: «salvezza del mio volto e mio Dio» (v. 6).

Chiude questa prima parte il ritornello (v. 6): un soliloquio, o meglio, un dialogo interiore, in cui il povero e tribolato orante ha un momento di ripresa, avverte un sollievo, vive una confusa impressione. Ora, nonostante l’amara realtà in cui è immerso, egli si rianima al riaccendersi improvviso della speranza. Coglie dentro di sé la certezza che quei giorni belli delle festose liturgie torneranno ancora.

 

b)  42,7-12 il presente di prova terribile

Il momento di sollievo è subito scomparso e fa ripiombare il  salmista  nell’abituale  stato di  abbattimento.  Anzi, lo scenario del paesaggio circostante gli suggerisce l’immagine per descrivere la sua insostenibile situazione. Nella strofa precedente ha guardato dentro di sé, ora volge lo sguardo attorno.

E purtroppo lo spettacolo della natura circostante costituisce  per lui  un ulteriore motivo di tristezza e di smarrimento. Nel v. 7 ci fa  conoscere il  luogo preciso nel quale è stato confinato dal re invasore; si trova nell’estremo nord della Palestina,  quasi alle pendici del maestoso monte Ermon, che raggiunge l’altezza  di  ben  2.814 metri, nell’inverno perennemente ammantato di neve.

Ebbene, il fenomeno delle valanghe di neve, che precipitano a  valle  fragorosamente con il  disgelo  primaverile, gli suggerisce l’idea di altre «valanghe» di prove che egli avverte nel suo intimo. Ha l’impressione di essere schiacciato e travolto dall’incalzare delle avversità. Le tribolazioni si susseguono su di lui come flutti di morte, come un torrente impetuoso che tutto travolge e distrugge:   «Un abisso chiama l’abisso al fragore  delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati» (v. 8).

 È appunto in questa amara esperienza di  annientamento che l’orante avverte spontaneo e urgente il bisogno dell’aiuto di Dio. Del resto, egli non ha altri su cui contare, non gli arridono altre speranze. Gli resta soltanto Dio! Per altro, si nota che in tutto il salmo tornano accenti ed espressioni che rivelano il suo intimo e solido legame con Dio con il martellante pronome «mio»: «mio Dio», «mia difesa», «mia gioia», «mio giubilo», «Dio della mia difesa». E dunque, a Dio innalza la sua preghiera, il suo canto e il suo lamento; il riferimento orante a lui  è continuo:  di giorno e di notte (v. 9).

Alle invocazioni  di vissuta  intimità (Dio è «mia difesa»), il salmista fa seguire con audacia due «perchè» di aperto rimprovero rivolti a Dio: «Perché mi hai dimenticato? Perché triste me ne vado oppresso dal nemico?» (v. 10).

Merita di rilevare qui che il verbo «dimenticare» nella letteratura biblica assume sovente una sinistra connotazione, in quanto allude al morto («Nessuno tra i morti ti ricorda. Chi negli inferi canta le tue lodi?» Sal 6,6; 88,11-13; Is 38,18).

L’orante vuol dire che la serie interminabile di prove lo fa sentire come già morto e sepolto. Per di più, gli brucia «dentro» e lo martella la domanda raggelante che il pagano gli rivolge sovente, «tutto il giorno»; egli sta sempre in agguato con domande pesanti: «Dov’è il tuo Dio?» (v. 11).

 Anche questa seconda fase di esperienza, così tetra e densa di sconforto, viene alleviata da uno spiraglio di luce e di speranza, che gli fa interrompere, sia pure per poco, il lamento e gli fa dichiarare: «Perché  ti  rattristi,  anima mia?». In quella esperienza (v. 6), il ritornello è come l’eco della voce fioca di un perseguitato, il quale si aggrappa alla speranza di riavere tutto quello che ha dovuto forzatamente abbandonare. Qui, ora, lo stesso ritornello riproposto assume la tonalità dell’assediato che riprende coraggio e si slancia con vigore verso la speranza: «Spera in Dio: ancora potrò lodarlo» (v. 12).

 

c)   43, 1-5 il  futuro ricco di speranza

In questa terza fase di esperienza d’esilio, il salmista esordisce con una richiesta audace: si appella al tribunale supremo di Dio: «Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa».

Avanza una richiesta coraggiosa, perché egli resta  aperto alla fiducia in un intervento dall’Alto. La conferma si ha anche dai vari verbi all’imperativo: «fammi», difendimi», «liberami», «manda», «mi portino...». Si rivolge a Dio come giudice, perché egli si faccia presente e ristabilisca l’equità. Anche in altri salmi ci si imbatte in questa richiesta:

«Signore, fammi giustizia» (Sal 26,1);

«Signore, accusa chi mi accusa» (Sal 35,1);

«il Signore mandi dal cielo a salvarmi» (Sal 57,4).

Certo le circostanze permangono dure e difficili per l’esule assediato; si trova ancora tra gente straniera e atea. Tuttavia, non intende subire supinamente le vicende. Perciò, sostenuto dalla fiducia e dal buon senso, ricorre a motivi forti per farsi ascoltare da Dio. Non sa spiegarsi come mai la porta del cuore del suo Signore resti ermeticamente serrata e il cielo terribilmente chiuso. Pensa bene allora di far echeggiare il «perchè» dell’uomo.

Ma..., si sa bene, per lunga  esperienza,  che  sovente Dio  non dà pronte risposte ai «perchè» dell’uomo. Talvolta egli sceglie di apparire debole e impotente di fronte all’ invadenza del male, del dolore e della morte.

L’esiliato allora «suggerisce» a Dio la concreta soluzione della sua tremenda  tribolazione:  «manda la  tua  luce e la tua verità: mi conducano alla tua santa montagna» (v. 3).

 «Verità» e «luce» sono due attributi divini che qui, come altrove nel Salterio, sono presentati come personificati, sono due messaggeri, due membri della corte celeste;  ebbene, questi lo raggiungano in esilio e lo prendano per mano per scortarlo e ricondurlo al monte santo, al tempio, all’altare e, in definitiva, alla presenza di Dio.

«La verità» deve guidarlo tra gente spietata e fallace, opponendosi alla menzogna e all’errore; «la luce», a sua volta, deve illuminarlo in quella terra di oscurità per indicargli il giusto cammino fino al monte Sion.

Con l’intervento efficace di questi due messaggeri d’eccezione, certamente cambia in modo radicale l’intera situazione dell’esule. Anzi, egli ha il presentimento della liberazione imminente e perciò può dichiarare la certezza del ritorno con un verbo al futuro: «verrò». In questo futuro, avvertito come molto vicino, tutto sarà di nuovo gioia e canto. Ed egli pregusta già la festosa processione che procede tra canti di gioia verso la dimora di Dio: «Verrò all’altare di Dio, a Dio, mia gioiosa esultanza. A te canterò con la cetra, Dio, Dio mio» (v. 4).

E il ritornello conclusivo in questa terza ripresa...? Gra zie ai dolci presentimenti di liberazione, esso assume un’altra intonazione, è quasi un grido di trionfo, quasi un grido di speranza nonostante tutto. Ed è per questo che si sprigionano dalle corde della cetra e dalle corde del suo cuore dolcissime melodie per esaltare «il Dio della mia gioiosa esultanza».  Così, il Dio di un passato felice torna a essere il Dio del presente e del futuro.

 

 

1.        Attualizzazione: pregare il salmo oggi       

a)   «L’anima mia ha sete di Dio»

Ogni uomo non solo ha sete di Dio, ma è essenzialmente sete di Dio. È tutto il suo essere che lo reclama: spirito e fisico. Come il filo d’erba sbuca tra le zolle di terra e si protende verso la luce e il calore del sole, così il cuore dell’uomo è fatto per l’Infinito e ad esso tende irresistibilmente.

«Ci hai fatti per te grida s. Agostino —, ed è inquieto il nostro cuore finché non riposa in te». Questo è lo struggente desiderio che sospinge l’uomo nella corsa e nella ricerca quotidiana.

Solo Dio cerca l’uomo; solo Dio basta all’uomo. Tutto il resto è troppo poco.

L’uomo, dunque, ha ed è sete di Dio! Anche quando si protende verso le creature, non cerca esse, ma se stesso. Infatti, succede immancabilmente che le creature quando sono desiderate, affascinano, ma quando si possiedono, deludono; vuol dire che non danno e non possono dare quel che in esse si cerca. «Non basta all’uomo trovare una qualche bellezza, egli vuole la bellezza perfetta: non un qualche amore, ma l’amore sommo; non un giorno di felicità, ma la felicità perenne» (G. Albanese).

 Perché questo cercare sempre oltre? Perché  l’Infinito che l’uomo brama, è il Perfetto,  l’Assoluto:  è Dio! L’uomo è  in perenne pellegrinaggio verso l’Assoluto. Dio è il tesoro verso cui gravita il suo cuore, è la vetta su cui l’uomo è diretto.

L’esperienza elementare quotidiana ci ricorda che tutto ciò che circonda l’uomo è posto sotto il segno della provvisorietà. Tutti i valori terreni gli sfuggono, non può trattenerli; sono come l’acqua  che filtra  tra le dita,  senza  che  la si possa trattenere.  E,  dunque,  se le realtà terrene passano e noi con esse passiamo —, sarà bene orientare il cuore verso le realtà eterne.  L’apostolo Paolo ci apre il cuore alla speranza quando scrive: «Anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno» (2Cor 4,16).

 

E il peccatore? Qual è la sua sorte? Anche lui cerca Dio, però la sua follia sta nel cercarlo in direzioni sbagliate, sta nel confonderlo con le creature. Resta tuttavia chiaro che l’uomo può giungere a offendere Dio, ma non a fare a meno di lui; può dichiarare di non volerne sapere, ma non può liberarsi della sete di lui.

«L’inesausta sete di Dio scrive madre Anna Maria Cànopi è anche in coloro che corrono su altre vie in cerca di altre acque. Tutte le forme di sete, infatti, si riducono alla sete di una sola realtà, di un solo bene. Anche l’alcolizzato, il drogato e chi si è tuffato nel vizio, nella ricerca spasmodica del denaro e del piacere, anche costoro hanno sete di Dio, perché hanno sete di vita».

 

 

b)   “Dov’è il tuo Dio?”

 Abbiamo riconosciuto come i nemici dell’orante gli rivolgono con insistenza una domanda ironica e si fanno beffe della sua fede e del suo dolore: «mi dicono sempre: “Dov’è il tuo Dio?”» (v. 11). Paradossalmente lo sghignazzare di questi atei rende più acuta la nostalgia di Dio e, nello stesso tempo, anche più amara l’esperienza della solitudine e dello smarrimento interiore del salmista. Non c’è dubbio che è molto duro sentirsi rivolgere questa imbarazzante domanda  da chi non crede, proprio nel  momento in cui la vita si popola di presenze e manca Dio. Egli risulta il grande assente! Non parla, non agisce, non guarda, non si fa presente...

Ed è così che le verità di fede, che hanno nutrito e sostenuto il cammino interiore, non splendono più come un tempo; anzi, risultano  come  sfocate,  appannate,  ininfluenti. Per di più,  nel momento della tribolazione  non si  dispone di risposte chiare e sicure ai molti problemi del vivere quotidiano e non si ha neppure la forza di accettare di vivere senza comprendere. Sembra che Dio faccia il sordo alle invocazioni per situazioni al limite dell’impossibile e per sofferenze intime che tormentano e umiliano. Forse egli, attraverso la sete e l’arsura, mira a purificare e far maturare l’orante, perché approdi finalmente alla sua volontà e all’abbandono fiducioso in lui. Inoltre, spesso il credente vive un terribile stridente contrasto:  

- da una parte c’è il giusto, cioè la persona devota che va sotto la sferza della prova, si nutre ogni giorno di lacrime come di pane e si ritrova in una solitudine raggelante, che lo fa sentire come abbandonato da tutti e in balia di se stesso;

 - dall’altra c’è il cattivo, l’iniquo, che prospera negli affari, sta in buona salute,  vive  giorni  felici senza amare sorprese e, per giunta, schernisce il credente che, povero e tribolato sotto il peso della prova, continua a recitare il suo «credo» con la vita.

 

Certo, per colui che vuole restare fedele al vangelo è ancora il momento dell’amore a Dio, nonostante lo spirare risoluto del vento della prova. L’esperienza del credere coinvolge  sempre  tutto l’uomo:

-          la  sua  mente per riflettere e ragionare,

-          il suo cuore per amare e per godere,

-          il suo spirito per elevarsi nella contemplazione,

-          il suo corpo per captare sensazioni  e messaggi e individuare  così le tracce della presenza di Dio nella sua vita.

 L’esperienza del credere non è mai un fatto concluso, e passa necessariamente attraverso prove, tribolazioni, solitudini e… scherni,  perché il credente  si ritrovi più purificato  e più spiritualmente e umanamente maturo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

Dio del cielo e della terra, delle stelle e dei fiori,

tu desideri una sola cosa, per essa crei e ricrei il mondo:

tu desideri essere uno con noi, in una comunione profonda,

in una relazione che trasforma.

Che io mai mi sottragga a questo tuo desiderio, anzi,

che questo sia il mio desiderio, il senso di tutta la mia vita.

 (Un minuto con Dio)

 

 

 

CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente, 

nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti

i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.   Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!  Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!                                                                   

                            ==========================================================