RITIRO ON LINE - giugno 2023 |
Venero
la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia
persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla
presenza del Signore che vuole parlarmi.
Sono pigro, Signore. E so che non va bene.
Sono pigro nel lavoro e sono pigro negli impegni.
Sono pigro nelle amicizie e nelle relazioni
..…
Sono pigro anche con Te, Signore:
…………………..
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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INCONTRI DI
GESU’ LUNGO
LE STRADE
POLVEROSE DELLA
PALESTINA
In parrocchia recentemente è stata proposta una serie
di Lectio incentrata sugli incontri di Gesù con alcuni “personaggi” colti nella
concretezza della loro vita quotidiana, narrati nel Vangelo di Luca. Sono dei
“ritratti dal vivo”! In questi personaggi si possono riscontrare molti
aspetti presenti anche nella vita di ciascuno
di noi, nonostante la distanza temporale.
Sono spazi di concreta umanità ma anche di
svelamento della verità.
LECTIO
Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
Lc
18,9-14
9Disse
ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere
giusti e disprezzavano gli altri:
10«Due
uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
11Il
fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non
sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo
pubblicano.
12Digiuno
due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
13Il
pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al
cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
14Io
vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché
chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della
Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga
del nostro Ritiro On Line: il grande
silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"
GESÙ, IL FARISEO E IL PUBBLICANO
NEL TEMPIO
INQUADRIAMO IL RACCONTO
La parabola del fariseo e del pubblicano rappresenta un brano evangelico
pungente, che scuote fortemente e totalmente la vita religiosa e spirituale.
E’ indirizzata alla categoria di credenti che si sentono spinti dalla loro
giustizia e dalle loro opere a mettere la fiducia in se stessi piuttosto che in
Dio.
Facciamo una premessa, che, come una chiave di
lettura, consenta di coglierne tutti i risvolti. Ogni persona credente struttura
e imbastisce la propria interiorità stabilendo e organizzando i rapporti che la
collegano a tre punti di orientamento della sua vita:
a Dio, agli
altri e a se stessa. Sono tre relazioni
NON separate o autonome, ma si rapportano, si articolano fra loro, si integrano.
Se una delle tre non è esercitata in modo vero e giusto, ne segue che le altre
due subiscano un influsso negativo, a detrimento di una sana e armonica
configurazione interiore.
Nel caso che un individuo non stabilisca un giusto
rapporto con Dio, come quando ha paura di lui oppure si sente servo più che
figlio o lo percepisce un essere lontano e indifferente, privo di amore,
compromette non solo la sua unione con lui, ma
anche con se stesso e con gli altri, creando conflittualità e tensioni in sé e
fuori di sé.
Così è anche quando l’uomo si relaziona agli altri in modo sbagliato, dettato
dalla concorrenza, dal confronto, più che daIl’amore fraterno, finisce per
considerare se stesso con un senso di superiorità, ponendosi su di un
piedistallo ed ergendosi a giudice di tutti.
Ne deriva che la preghiera stessa si fa altezzosa e superba, non ben accetta e
gradita a Dio, ma solo appannaggio per disprezzare e condannare coloro che non
sono reputati alla pari della sua altezza spirituale.
La radice di tutti questi mali è data da un errato
concetto di sé, quando cioè l’uomo non si riconosce per quello che veramente è:
un essere misto di pregi e di difetti. Quando
esaspera
gli uni a discapito degli altri, come quando si ritiene perfetto in tutto.
Chiuso in se stesso, non riesce a instaurare nei confronti degli altri
quell’amore, quella stima, quella comprensione autentica che Dio chiede. E’
impedito di vederli nella loro singolarità, ostruito da uno sguardo annebbiato.
Egli pensa sempre a se stesso.
La cosa ancora più dannosa sta nel fatto, conseguente al suo orgoglio, di
mettere Dio al di sotto di sé e a suo servizio, non in modo palese e sfacciato,
ma nel senso di suggerire o, al limite, di imporre a lui le regole di come debba
giudicare e agire.
Questo modo di comportarsi si riscontra mirabilmente nel fariseo che si reca al
tempio a pregare, in confronto e in contrasto con il pubblicano.
ENTRAMBI
ALLA
PRESENZA DI DIO
Il racconto di due uomini che vanno a pregare non intende occuparsi solo della
preghiera e di riflesso dell’atteggiamento cultuale nei confronti di Dio. Il
tema della preghiera è certamente presente, anzi è l’aspetto principale, visto
quale strumento che permette di scandagliare le intime movenze dell’animo; esso
rappresenta il banco di prova sul quale si pone e si valuta la vera religiosità,
il sentimento più profondo dell’uomo.
Si sa che la preghiera non costituisce un’attività secondaria e marginale; in
essa tutta la persona umana si manifesta ed emerge sia nel suo modo di
rapportarsi con Dio, mostrando la sua disponibilità spirituale, sia nel modo di
relazionarsi con il prossimo che il suo inserimento nella convivenza umana.
Infine la preghiera pone l’uomo in relazione con se stesso, con i suoi
sentimenti più veri, con i pensieri che si annidano nel suo cuore.
DUE PERSONE MOLTO DIVERSE
Nella parabola sono raffigurate due persone ben definite e circostanziate dal
punto di vista sociale, morale e religioso: un fariseo e un pubblicano. E’ ovvio
che nasca il confronto tra i due. Il racconto inserisce un terzo personaggio,
quello principale: Dio, che guarda, ascolta, giudica. È lui che dà il senso
giusto all’insieme del quadro. Senza la sua presenza i due personaggi
resterebbero avvolti dal loro involucro apparente e nessuno potrebbe scoprire il
vero atteggiamento del loro spirito.
Da una parte c’è
un bravo
fariseo orante, stimato e apprezzato dalla
gente per le buone opere che compie, dall’altra
un odiato
pubblicano, un ebreo nemico del popolo,
venduto ai romani invasori, indegno di stare in quel luogo santo, il tempio.
Al termine Gesù fa intervenire Dio, che manifesta la sua misericordia e la sua
giustizia.
A questo punto i due uomini si rivelano nella loro autenticità personale, senza
più veli che la possano nascondere o camuffare.
Sia il pubblicano che il fariseo durante la loro preghiera pubblica, sono visti
e scrutati ambedue: ciascuno nella sua relazione con Dio, una persona viva, che
è lì, presente nel tempio; sono descritti separatamente, l’uno e l’altro; sono
ravvicinati l’uno con l’altro, nei gesti e nelle preghiere messe a paragone;
ognuno, il fariseo prima e il pubblicano poi, manifesta il proprio mondo
interiore, denuncia se stesso, fa vedere il proprio modo di essere e di vivere,
di considerare sé e gli altri.
INTRODUZIONE
ALLA
PARABOLA
Nel v. 9 Gesù introduce la parabola, dandone anticipatamente la spiegazione,
affinché nessuno dubiti del suo insegnamento: «
Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di
essere giusti e disprezzavano gli altri
(tutti i restanti)».
In questo versetto sono evidenziate le tre relazioni, di cui si è parlato
nell’introduzione, e che denotano il modo di porsi di alcuni nei confronti di
Dio, di se stessi e degli altri.
L’espressione «essere
giusti»
si riferisce all’osservanza della legge, esplicitazione della volontà di Dio,
che dev’essere attuata nella sua totalità. Per adempiere pienamente la legge non
è sufficiente obbedire solo ad alcune regole, osservare alcuni precetti e non
tener conto di tutti i comandamenti, dimenticandoli, manipolandoli e
occultandoli. Risulta assai facile manomettere la volontà di Dio, restringendola
o dilatandola in conformità ad un’artefatta mentalità religiosa o al modo usuale
di pensare della società, piuttosto che rispettarla nella sua integralità.
L’altra frase: «
avevano l’intima presunzione
», denuncia l’autostima o l’alta considerazione del proprio modo di comportarsi.
Si parla di quelle persone che si sentono e si dichiarano perfetti esecutori dei
comandamenti divini. Sono convinti perciò di essere nel giusto, possiedono un
elevato concetto di sé e ne sono interiormente fieri. Dio dovrà solo approvare
la loro ineccepibile condotta.
Non sospettano minimamente che ci possa essere qualcosa di non buono o di
riprovevole, di cui la loro coscienza debba rimproverarli. Non si rendono
consapevoli del loro stato di peccato e pertanto non muovono l’animo per
invocare misericordia e salvezza. Essi si considerano a posto in tutto.
D’altra parte si dice che «disprezzavano
gli altri»,
con evidente riferimento ai restanti uomini. Si nota immediatamente la disparità
di giudizio verso se stessi e verso il prossimo. Di sé hanno un’idea eccelsa,
che li pone al di sopra degli altri e si sentono autorizzati a guardare con
disprezzo i rimanenti esseri umani, posti in un gradino inferiore.
La parabola mostra, in seguito, che il fariseo non risulta poi tanto giusto
davanti a Dio; inoltre fa vedere che non ama, anzi disprezza il pubblicano e con
lui tutti gli uomini che non sono uguali a sé. La sua “rispettabile persona”, e
non Dio, diventa il metro di paragone, il punto indiscusso di riferimento per
ogni valutazione.
DOVE CI TROVIAMO
Il racconto, fin dall’inizio, specifica il luogo dove avviene il fatto e
fornisce l’identificazione dei personaggi: «Due
uomini salirono al tempio a pregare, uno era fariseo e l’altro pubblicano».
Ci si trova a Gerusalemme, la città santa, il cuore del popolo ebraico. Più
concretamente la scena è ambientata nel tempio, santuario dove abita il Signore.
É usuale che i giudei si recassero al tempio per pregare. Quì si compiva la
celebrazione sacrificale quotidiana, al mattino e alla sera.
É logico che si dovesse salire al tempio, essendo
posto più in alto rispetto all’abitato. Salgono, insieme a molti altri, questi
due individui.
Entrambi si pongono davanti a Dio e aprono il loro animo. La rispettiva
preghiera dell’uno e dell’altro evidenzia la situazione nella quale ognuno si
trova a vivere. Le parole che essi pronunciano, manifestano il loro mondo
interiore, la loro vita, quello che sono. Ne segue una descrizione incomparabile
delle loro persone, dei loro comportamenti, dei loro pensieri. Sono collocati in
posti diversi, eppure sono messi a raffronto. Difficilmente potrebbero essere
presentati con una discordanza più marcata.
LA PREGHIERA
DEL
FARISEO
La parabola si sofferma a Iungo sulla preghiera del
fariseo (vv. 11-12). Anzitutto ritrae la sua posizione fisica:
sta in piedi
nell’atrio degli israeliti, in prospettiva del santuario. Non ha paura di Dio, è
sicuro della sua giustizia, è un osservatore scrupoloso della legge. Per queste
ragioni ha il diritto di entrare e farsi avanti.
Il testo dice «stando
in piedi»,
cioè ritto ed elevato. É la classica posizione della preghiera ebraica, che
indica la dignità dell’israelita ed era stata permessa da Dio. Il fariseo «pregava
tra sé»,
continua la narrazione con l’intento di esplorare i moti del cuore. In questo
modo si fa intravedere che il fariseo, pregando, sembra rivolgere le parole a se
stesso, compiacendosi con sé e mostrando di essere soddisfatto.
Si rivela una preghiera essenzialmente egocentrica, che non esce da sé per
raggiungere Dio. Quell’uomo, profondamente ripiegato su di sé, non è capace di
guardare al di là, sebbene stia in piedi e dirimpetto al santuario.
Il suo discorso comincia con queste parole: «O
Dio, ti ringrazio»,
parole che suonano abbastanza strane. L’atto di ringraziare, infatti, presuppone
il riconoscimento del dono ricevuto, mentre il fariseo, pur intonando il
ringraziamento, di fatto non si rivolge al Signore, ma esprime con grande
sfrontatezza una solenne lode di sé. Si autocompiace di tutto ciò che ha fatto
di bene e non loda Dio, ma la sua persona, sebbene prenda lo spunto da una
fittizia gratitudine verso l’Altissimo. In lui non c’è spazio per magnificare e
riconoscere la generosità divina; non fa cenno alcuno ai doni che Dio gli ha
elargito. La sua preghiera, al contrario, contiene un elenco di ciò che egli ha
fatto.Iin questo modo pensa di ottenere meriti da Dio, con l’unica intenzione di
essere da lui apprezzato. In fondo il suo modo di pregare non esprime altro
contenuto che quello di un invito rivolto a Dio di prendere in considerazione le
proprie buone azioni.
Possedendo un animo egocentrico, vede gli altri come suoi rivali, suoi
concorrenti, non persone da amare, da assistere, da aiutare. Il rapporto che ne
consegue resta determinato dalla sua superiorità morale e spirituale.
Confrontandosi con essi, dichiara quali siano le loro cattive azioni da cui egli
valorosamente si astiene. La conclusione sconcertante della sua lunga
esposizione di meriti, che era iniziata con il ringraziamento a Dio, si riduce a
una sprezzante svalutazione del prossimo.
Lo dice espressamente: «Non
sono come gli altri uomini»;
è un fariseo, un separato dal resto. E’ fiero di appartenere a un gruppo
particolare. Egli è un pio praticante della legge, un uomo spirituale, dedito
all’ascolto della parola di Dio spiegata dagli scribi competenti.
In tale contesto si capisce come il fariseo ritenga gli altri «
ladri, ingiusti, adulteri
», rapaci, non osservanti del settimo e decimo comandamento; li consideri
ingiusti, probabilmente in riferimento all’ottavo comandamento di «non
testimoniare il falso»; li giudichi adulteri, in disaccordo con il sesto e il
nono comandamento. Dall’alto della sua santità e della sua perfezione, guarda la
massa delle persone, immerse in numerosi vizi e peccati, lui invece sta al
sicuro. Li ritiene colpevoli senza avere l’autorizzazione di farlo, poiché il
giudizio spetta solo a Dio; li ha trovati tutti peccatori senza possibilità di
giustificazione e li ha condannati senza appello.
A tutto questo aggiunge un paragone più circostanziato e concreto: dice di non
essere «neppure
come questo pubblicano».
Prende di mira il povero pubblicano e si sente superiore a lui; lo disprezza
sinceramente. Non riesce a entrare nell’animo di costui, ma lo guarda come
peccatore pubblico.
C’è una grande differenza tra un fariseo e un pubblicano; non vuole confondersi
con questa razza di grossolani peccatori; ci tiene a ribadire che non è come
quell’uomo. In realtà non lo è, non nel senso da lui inteso di essere superiore,
al contrario di non essere giustificato e salvato come il pubblicano. Senza
volerlo, dice la verità e svela la sua reale povertà interiore.
Persiste nell’enumerazione non più di ciò che non è, ma delle cose che ha fatto
e continua a fare: «
Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo
». Non dice chi è, ma è attento a tutto il male che non ha effettuato e a tutto
il bene che realizza. Fa sfoggio delle buone azioni che compie regolarmente,
riafferma la sua fedeltà agli obblighi religiosi con una autogiustificazione
compiaciuta: assolve puntualmente al dovere del digiuno e al pagamento delle
decime.
Le azioni compiute dal fariseo sono in sé buone, ma lo spirito con cui le svolge
è intriso di orgoglio e fa di quelle azioni un motivo di presunzione e di
autosufficienza. Esse diventano così un’insidia per lui, che, sicuro di sé, si
fa arrogante nei confronti degli altri e cieco verso i compiti voluti da Dio,
soprattutto insensibile alle proprie debolezze e al bisogno di essere aiutato e
salvato dal Signore.
L’ATTEGGIAMENTO DEL
PUBBLICANO
Al v. 13 l’attenzione si sposta sull’altro personaggio, il pubblicano. Costui
faceva parte di quegli ebrei che avevano accettato di lavorare per l’invasore
romano, svolgendo l’ufficio di esattori delle tasse. Avidi di lucro, servi del
potere dominante, i pubblicani riscuotevano, oltre i soldi, molta antipatia,
ostilità e disprezzo da parte della gente. Erano ladri e anche aguzzini.
Il fatto che un pubblicano osasse entrare nella casa dove abita la Presenza del
Signore, in mezzo alla santa assemblea, costituiva un affronto a Dio e a tutto
il popolo, in modo speciale alla purità del fariseo. Questi non poteva non
accorgersi di quell’individuo malsano e disprez- zato, come probabilmente
avranno fatto molti altri assieme a lui.
Il testo descrive il contegno del pubblicano:
«
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza…
». Sta in piedi, come il fariseo, però
si ferma a
distanza; percepisce la lontananza che lo
separa da Dio, non ha la forza di avvicinarsi, sa di essere indegno per stare in
quel luogo. Si pone lontano anche dagli altri fedeli, ai quali ha fatto del
male. Consapevole delle sue miserie, se ne sta umile in disparte.
In secondo luogo è detto che «non
osava nemmeno alzare gli occhi al cielo».
Con lo
sguardo abbassato in terra per la
vergogna, egli non ardisce contemplare il santuario, perché sarebbe un atto di
vicinanza e di comunione con il Signore, di cui egli è immeritevole. Si
sprofonda nella propria indegnità. Tuttavia non si tratta di un ripiegamento su
se stesso, poiché il suo cuore è diretto verso Dio per chiedere misericordia.
In segno di pentimento e di dolore
si batte il
petto, la sede dei sentimenti del suo
peccato. Questo proviene da lui solo; non si autogiustifica né incolpa gli
altri. É lui che ha sbagliato, la colpa è tutta sua. Con tali gesti esterni egli
vuole esprimere una profonda disposizione interiore alla contrizione.
Infine il pubblicano dirige al Signore una invocazione, ridotta all’essenziale:
«O
Dio, abbi pietà di me peccatore».
Con il
cuore contrito e umiliato, di più
veramente non sa dire, poiché davanti alla Presenza del Signore la parola viene
meno. Del resto egli riconosce che nel suo caso le parole a nulla gioverebbero.
Si rimette semplicemente a Dio, con la fiducia trepida che Egli scruta i cuori
degli uomini e, se vuole, tutto perdona.
Si dichiara sinceramente
«
peccatore».
Non espone un elenco di opere buone o cattive, del male fatto o del bene
schivato. Egli
confessa il suo stato di vero peccatore,
senza nascondimenti o mascheramenti o giustificazioni varie. Conosce anche la
gravità del peccato, che può essere perdonato solo da Dio, perché solo Dio gli
può concedere la riconciliazione. Il suo desiderio è quello di rappacificarsi
con Dio. Nella preghiera cerca unicamente di ritrovare la comunione con lui.
L’ASPETTO ESTERIORE E I SENTIMENTI INTERIORI
Fatto curioso: un uomo, esternamente ruvido e
moralmente senza scrupoli,
dimostra un animo sensibile nel riconoscere il
proprio peccato e disponibile al perdono divino.
Mentre l’altro, il fariseo, ineccepibile nel comportamento religioso e sociale,
nasconde una durezza
di cuore e una sicurezza di sé impressionanti.
Con il v. 14 Gesù offre una soluzione a questo enigma. Conclude severamente: «
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato,
perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato
». Con una formula solenne, pronuncia una sentenza di grande valore, non solo
per coloro che in quel momento lo ascoltavano, ma per tutti i discepoli, per gli
uomini religiosi di tutti i tempi. Egli dichiara decisamente in che modo Dio
valuti il comportamento degli uomini, diversamente da come venga giudicato dagli
uomini stessi. Questi vedono l’aspetto esteriore, Dio esamina i sentimenti
interiori. In questo modo si capisce quale debba essere l’atteggiamento umano
giusto davanti a Dio.
Il contenuto della sentenza è anzitutto di assoluzione piena per uno dei due
personaggi: il pubblicano discende dal tempio e torna a casa giustificato. Il
Signore è propizio a lui peccatore sinceramene pentito e lo rende giusto,
riammettendolo nella divina amicizia. Ne esce un uomo trasformato, santo,
purificato, restituito alla vita di fede. La preghiera del misero è stata
ascoltata da Dio, che dona a lui la totale salvezza.
NON C’E’ CONDANNA MA SOLO SILENZIO
Per quanto concerne il fariseo, Gesù non fa alcuna dichiarazione, non pronuncia
neppure una condanna esplicita, neanche una risposta. Sottolinea soltanto la
differenza di costui dal pubblicano. Si ha l’impressione che Dio sia impotente a
dire o a fare qualcosa per il fariseo. Quest’uomo si allontana dal tempio e
rientra a casa senza aver incontrato e voluto incontrare il Signore. Pensando
orgogliosamente di essere giusto, compie effettivamente un atto di ingiustizia
verso Dio, verso se stesso e verso il prossimo.
Gesù conclude affermando
che
se uno si insuperbisce, ossia si vanta in modo vanaglorioso, Dio lo umilierà.
All’opposto, se uno si umilia, Dio lo esalterà.
Ciò che conta è la verità di Dio e la sua giustizia, non il pensiero e il
giudizio degli uomini.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
……..
Sono pigro anche con Te, Signore:
Ti vengo a trovare di rado,
e le mie preghiere
suonano stanche e ripetitive.
Sono pigro, in tutto.
Per natura, per negligenza forse,
e
per la mia pesantissima fragilità.
Ma ti assicuro, Padre,
che non lo faccio apposta:
io non vorrei essere così.
|
A questa pigrizia dilagante
oppongo, di tanto in tanto,
qualche slancio
di autentico affetto
e di sincera devozione.
Forse non basta.
Forse è poco.
Ma è questa la sola cosa
di cui sono capace.
E so che per Te conta.
Anche se è poco. Anche se è niente.
(Eric Pearlman – Un minuto con Dio) |
(Eric Pearlman – Un minuto con Dio)
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci
precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo
mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre
Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti
i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi
impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita.
Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al
momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(tratto
da Lectio sul Vangelo di Luca proposte in parrocchia)
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