Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Manda la tua luce e
la tua verità:
siano esse a guidarmi,
mi conducano alla tua
santa montagna,
alla tua dimora.
Verrò all’altare di Dio,a
Dio,
mia gioiosa esultanza.
A
te canterò sulla cetra,
Dio, Dio mio.
Spera in Dio:
ancora
potrò lodarlo,lui,
salvezza del mio volto
e mio Dio.
(dal Salmo 43)
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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Le ore del giorno scorrono rapide. Impossibile fermarle.
Il credente però le può «redimere».
Continuano le lectio liberamente tratte da alcune riflessioni di don Davide
Caldirola, sacerdote della Chiesa di Milano.
Buona meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.
(Marco
1,21-28)
21
Andarono a Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad
insegnare.
22
Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha
autorità e non come gli scribi.
23
Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise
a gridare:
24
«Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei:
il santo di Dio».
25
E Gesù lo sgridò: «Taci! Esci da quell'uomo ».
26
E lo spirito immondo,
straziandolo e gridando
forte, uscì da lui.
27
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai
questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti
immondi e gli obbediscono!».
28
La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea.
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
“Una giornata speciale: l’ora delle opere
(Marco 1,21-28)
La
giornata di Gesù
Le
ore del giorno di Gesù sono segnate dal suo agire potente, dalla forza che
promana dalla sua vita, dai suoi sguardi, dai suoi gesti. Gesù «lavora», si dà
da fare; non alla maniera scomposta di chi si agita, ma con la serenità tipica
di chi sa ciò che vuole, di chi sa dove vuole arrivare. Dopo i lunghi anni di
silenzio e di vita operosa a Nazaret, in cui insegna un «Vangelo» fatto di
prossimità alla vita della gente comune, lo contempliamo all'inizio della sua
«vita pubblica» .
Il Vangelo
di Marco subito nel primo capitolo ci offre un compendio della giornata-tipo di
Gesù. L'evangelista descrive nella cornice temporale di un giorno soltanto, un
sabato, le opere e le parole di salvezza che accompagnano tutto il periodo in
cui Gesù è «passato beneficando e salvando» davanti a Dio e agli uomini. C'è un
tempo per agire: Gesù lo sa bene, e conferma con i segni la ricchezza, la
novità, l'autorevolezza del suo annuncio.
Contemplare
i giorni di Gesù significa, per noi,
scoprire l'importanza dell'ora delle opere, di un agire efficace e
concreto, di segni che dicono nella loro forza e nella loro immediatezza tutto
il desiderio di stare nel mondo chinandosi sulle sue fatiche, sulle sue
sofferenze, vegliando sui suoi cambiamenti e sulla sua crescita. Attraverso le
nostre azioni scopriamo la pienezza della giornata che ci è dato di vivere, ed
esprimiamo la nostra fede e la nostra passione per il Vangelo.
Il primo
“segno”
Ci fermiamo
soltanto sul primo grande segno: la guarigione dell'indemoniato nella sinagoga.
È il primo miracolo che Marco ci racconta, e la scelta non è casuale. Tutta
l'opera di Gesù è opera che si contrappone senza paura al male, che lo snida dai
suoi rifugi, che lo fronteggia per distruggerlo. Gesù è colui che libera dal
male l'umanità. Questa è l'opera di Gesù anche nei confronti delle nostre vite
malate e fragili: con la sua forza
combatte il nostro
male, lo guarisce e ci
salva.
Il primo
miracolo di Gesù avviene nella sinagoga di Cafarnao: «
Andarono a
Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare
». La sinagoga è il luogo dell'insegnamento, dove si trasmettono i valori che
consentono di interpretare il senso della vita e dell'impegno degli uomini in
questo mondo. La sinagoga è anche il luogo dell'istruzione nel suo aspetto più
ufficiale; è il luogo dell'ascolto della Parola e della preghiera. I Vangeli ci
presentano spesso Gesù nella sinagoga: diversi miracoli sono da lui compiuti
proprio in questo luogo sacro.
Eppure spesso è proprio questo luogo quello in cui assistiamo ai conflitti più
accesi tra Gesù e i suoi oppositori... È come se il Signore si trovasse più a
suo agio in contesti «laici», come la tavola o la strada.
Ma c’è una
verità più profonda e sottile in questo rapporto che potremmo definire
conflittuale tra Gesù e la sinagoga: proprio nel luogo dell'insegnamento e della
trasmissione della fede e dei valori della vita, emerge fino in fondo la carica
dirompente e lacerante del Vangelo di Gesù. Nella sinagoga si rivela tutta la
sua autorevolezza, tutta la sua autorità.
Questo
insegnamento autorevole e forte di Gesù viene sottolineato con vigore all'inizio
e alla fine del miracolo descritto in Mc 1,21-28. «Insegnava
come uno che ha autorità», premurandosi di aggiungere subito
dopo: «Non
come gli scribi». Il medesimo concetto è ribadito più avanti
sotto forma di domanda: «Che
è mai questo? Una nuova dottrina insegnata con autorità».
Annotiamo alcune riflessioni, così come il testo ce le consegna.
C’è
insegnamento e “insegnamento”
Anzitutto il
testo ribadisce una cosa tanto nota quanto, purtroppo, vera. Esiste un
insegnamento privo di qualunque autorità. C'è un modo di proporre la Parola, di
insegnare la dottrina, di trasmettere le tradizioni e le usanze, di dettare
norme e leggi morali che non esercita alcuna forma di autorità, e quindi nessun
frutto di conversione e cambiamento, in coloro che ascoltano. Depositari di
questa dottrina che non convince, che non trasforma e non cambia il cuore,
sembrano essere proprio gli scribi, custodi di questa sapienza di vita, uomini
sicuramente ligi alla loro fede, che occupano posizioni di rilievo e di
prestigio nel panorama religioso dell'epoca. La loro indubbia preparazione e
competenza e l'ufficialità del ruolo che rivestono non li mettono al riparo dal
rischio di essere talvolta incapaci di trasmettere la forza e la grazia di una
fede che libera e salva. Il loro non pare essere un problema di ortodossia,
quanto di ortoprassi. La loro parola non convince perché è la loro vita ad
essere grigia, spenta, senza calore.
Sempre nuove
domande
C'è un
secondo tratto che il testo evidenzia con forza. L'insegnamento di Gesù non
spegne le domande, ma le suscita. «Che
è mai questo?» si chiede la gente. E la domanda apre lo spazio di
un ulteriore ascolto, di un'ulteriore ricerca.
La Parola
di Gesù apre uno spazio ulteriore di ricerca e di fede. Da subito
l'insegnamento del Signore non si configura come una didattica sterile,
destinata a risolvere il dramma della ricerca di fede dell'uomo con poche parole
sicure, determinate, incontrovertibili, che non lasciano spazio ad alcun dubbio
e ad alcun percorso. Mentre prova a rispondere alla fatica della vita dell'uomo,
la parola del Signore invita a farsi nuove domande, ad affrontare nuovi
interrogativi. Gesù non propone un catechismo universale che sciolga ogni
dubbio: propone un cammino concreto di liberazione dal male, che reca in sé non
poche fatiche e non pochi ostacoli.
Se guardiamo
più da vicino questo insegnamento del Signore, troviamo altre caratteristiche
inquietanti e vincenti, nel contempo, di questo modo di porsi di Gesù.
Lo stupore
di cui parla Marco, generato dalle parole di Gesù, indica una ferita che si apre
nel cuore di coloro che ascoltano. È come se i presenti nella sinagoga
avvertissero un colpo al cuore, uno strappo, un urto, uno sconvolgimento
interiore, un rimescolamento profondo delle viscere. Coloro che si trovano nella
sinagoga subiscono un impatto fortissimo dalle parole di Gesù, e si sentono
aperti dentro, feriti. Capiscono che Gesù insegna con la sua stessa presenza,
col suo vissuto. Proprio quello che manca agli scribi, proprio quello che non
trovano nelle prediche che ascoltano ogni sabato nella sinagoga. Le parole degli
scribi, normalmente, passano sopra le loro teste e i loro cuori, e non
trasformano minimamente la loro esistenza.
Tutto questo
risulta tanto più vero quanto più notiamo l'assoluto silenzio di Marco nel
rivelarci «cosa» Gesù abbia detto quel sabato nella sinagoga di Cafarnao. Marco
non ci consegna né gli appunti, né l'indice della predica di Gesù. Non ci dice
nemmeno che testo della Scrittura abbia commentato. Forse non è così importante,
visto che è Lui la Parola, è Lui il compimento e la pienezza della Scrittura
stessa. Questo stile di insegnamento ci dà modo, allora, di spostare la nostra
attenzione dalle parole del Signore alla figura dell'assemblea che le ascolta,
in particolare all'uomo che diventa il protagonista di questo racconto di Marco,
del primo miracolo operato da Gesù.
Un semplice
fedele che nasconde un segreto
Chi è
quest'uomo? Di lui non conosciamo neppure il nome. Posso essere io quell'uomo
che porta dentro di sé uno spirito cattivo, che patisce nell'intimo una malattia
oscura, misteriosa, apparentemente inguaribile perché non ancora diagnosticata,
perché ancora nascosta, ma che si lascia
interpellare e mettere in
questione.
In effetti,
quest'uomo è un semplice fedele. È uno dei tanti che quel sabato mattina è
uscito di casa e ha preso posto nella sinagoga, come probabilmente ha fatto
moltissime altre volte. Niente in lui lascia pensare che si porti un demonio
dentro. Se avesse avuto comportamenti strani, o se avesse creato disordini, o se
si fosse messo a urlare e gridare, l'avrebbero già buttato fuori. Niente di
tutto questo. Sta lì, seduto in mezzo a tutti gli altri, col suo demone nel
cuore. E nessuno se ne accorge. Forse nemmeno lui lo sa. Forse il suo essere lì,
come tutti i sabati, nella sinagoga, è un modo per scappare, per sfuggire al
male che si porta dentro, per non prenderne coscienza, per convincersi che in
fondo è come tutti gli altri: ordinato, pulito, regolare, né più bravo né più
cattivo. È un modo per ricacciare nel profondo del cuore il disagio della
propria vita senza mai avere il coraggio di affrontarlo, di combatterlo, se
possibile di superarlo. Niente di meglio che un po' di religione e qualche buona
parola per convincersi che tutto sta andando bene, che non ci sono problemi, che
si può andare avanti benissimo così. L'uomo che si porta nel cuore un demonio si
sente religiosamente a posto e socialmente accolto, legittimato ad andare avanti
così. Si sente completamente a suo agio. Ma intanto sta morendo dentro.
«Allora
un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a
gridare
».
È a questo
punto che entra in scena l'insegnamento autorevole e lacerante del Signore, la
sua parola e la sua presenza che feriscono e sorprendono. Niente nel testo ci
lascia supporre che Gesù si sia rivolto a quest'uomo in maniera particolare, o
che l'abbia preso di mira. Eppure le sue parole snidano il male che quest'uomo
si porta dentro, lo fanno uscire allo scoperto, lo costringono a gridare, ad
esporsi, a rivelare quello che è veramente, non quello che pensa di essere, o
che vuol far credere di essere. L'insegnamento di Gesù stana e fa uscire allo
scoperto il male che l'uomo si porta dentro, la sua empietà nascosta che non
viene mai a galla nella normalità della vita. In un attimo il castello di
menzogne con cui quest'uomo ha
tenuto in piedi la sua vita viene
spazzato via. Si trova suo malgrado esposto alla vista di tutti, nella sacralità
dell'assemblea del sabato, a riconoscere la sua miseria, la sua povertà.
Da qui
prende inizio la sua storia di salvezza. Quest'uomo, che si sente “scoperto” e
“smascherato”, si ribella, si mette a gridare: «Che
c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il
santo di Dio». La miseria in cui è caduto gli fa leggere come
estrema minaccia la possibilità di salvezza che gli viene offerta. È questa
l'ultima, terribile menzogna con cui il demonio cerca di incatenarlo. La
presenza di Gesù viene letta come una rovina, come un disastro. E in effetti lo
è: è un'autentica catastrofe che viene a sconvolgere gli equilibri falsi su cui
la vita di quest'uomo si è sempre fondata. La sua apparente rettitudine morale,
la sua religiosità pia, non reggono alla prova del Vangelo.
C'è molto
della nostra
umanità in questo grido
dell'uomo indemoniato. Non è più lui a parlare: sono tutte le sue paure, le sue
angosce, le sue ansie che ha lungamente nascosto e che finalmente escono allo
scoperto. Ci sono tutti i suoi istinti, i suoi impulsi negativi di cui non ha
mai voluto prendere coscienza, con cui non ha mai voluto fare i conti, ci sono
tutte le sue difficoltà e i suoi limiti comunicativi, ci sono tutti i suoi
fallimenti non rielaborati e non accettati... C'è tutto il suo mondo interiore,
profondo, che improvvisamente esplode.
Come
quest'uomo, anche noi avvertiamo la minaccia di essere smascherati nel nostro
male profondo, temiamo che appaiano allo scoperto i nostri mali e le nostre
ingiustizie. Ci pare troppo costoso,
troppo impegnativo
fare seriamente i conti col nostro lato oscuro, proporci di cambiare
seriamente (e non soltanto attraverso deboli propositi), dare un nome preciso al
nostro male.
Eppure
proprio quest'uomo, l'unico in tutta la sinagoga, capisce chi è Gesù. Mentre
tutti gli altri si chiedono cosa succede, cosa è mai questo, chi sarà mai
quest'uomo, all'indemoniato non manca la chiarezza della risposta: «Io
so chi tu sei: il santo di Dio». L'uomo posseduto dal demonio
coglie la santità di Gesù, la sua differenza rispetto a qualunque altro rabbi,
la forza di un
Non sarà
l'unica volta in cui nei Vangeli troviamo accenni a questa «fede dei demoni», a
questo sguardo singolarmente acuto e profondo nel cogliere la divinità di Gesù
proprio in coloro che appaiono posseduti dalle forze del male. Forse in questo
modo i Vangeli ci vogliono suggerire che l'abisso del male è il punto
prospettico migliore per cogliere da vicino la forza della misericordia e della
compassione di Dio. Chi sembra il più lontano è in realtà il più vicino alla
salvezza che il Signore è venuto a portare.
Al grido
dell'indemoniato fa seguito un altro grido, quello di Gesù. «
E Gesù lo
sgridò». Spesso Gesù viene presentato così quando affronta il
demonio: capace di sgridare, di pronunciare una parola forte, di affrontare il
male con forza. Marco non ci dice nulla a proposito dei contenuti
dell'insegnamento di Gesù, ma ci riporta le parole che rivolge al demonio
presente nell'uomo: «Taci!
Esci da quell'uomo ». Queste
parole sono il suo insegnamento, la sua predica da raccogliere. Vanno rilette
con grande attenzione, senza fretta.
«Taci».
Il demonio viene anzitutto invitato al silenzio, viene messo a tacere. Non
sorprende questo comando del Signore. Gesù impone il silenzio. Il demonio si
presenta spesso proprio come l'accusatore, il menzognero, l'ingannatore, colui
che ruba e nasconde la parola vera per irretire e ingannare con la bugia, con la
falsità. L'esorcismo allora avviene anzitutto attraverso la consegna di un
silenzio in cui si impara a spogliarsi delle parole non vere che trasformano la
vita
in
un castello di illusioni, che ingannano noi stessi e gli altri, che confondono e
deformano la coscienza.
Il principio
della guarigione è il silenzio: lo stesso silenzio che mette a nudo l'inutilità
e la confusione di troppe
nostre parole, lo stesso silenzio che Gesù custodirà nella Passione di fronte ai
suoi accusatori. Non a caso il silenzio ci viene raccomandato durante gli
esercizi spirituali, nei momenti di ritiro, nelle celebrazioni penitenziali,
durante l'assemblea eucaristica. Non si tratta soltanto di un accorgimento utile
per raccogliersi, per ritrovare la concentrazione e la calma. È più radicalmente
l'espressione di una convinzione e di un desiderio profondo: quello di ritrovare
la verità di noi stessi, di consegnarci interamente ad una parola che non sia di
vanità o di menzogna, che dolorosamente possa raggiungerci, e cambiarci.
Gesù dicendo
«Taci»
ribadisce al demonio di essere Lui, il Signore, la Parola vera, la Parola del
Padre. Di fronte alla Parola si impara a tacere, in un mutismo che diventa
preghiera e lode. C'è bisogno di silenzio che permetta a Gesù di agire
attraverso la sua parola, di esprimere una diagnosi vera riguardo alle nostre
malattie, di curarle, di condurle a piena guarigione.
Subito la
parola del Vangelo di Marco ci pone di fronte a un altro imperativo: «Esci»…
« E lo
spirito immondo,
straziandolo e gridando
forte, uscì da lui ».
Uscire è
verbo forte nella Scrittura. Anche in questo caso non indica soltanto la
scomparsa dello spirito immondo dal cuore dell'uomo, ma sottolinea come per
quell'uomo prenda inizio un nuovo viaggio, un nuovo esodo. Quest'uomo deve
ripercorrere tutto l'itinerario di salvezza che prima di lui ha compiuto il
popolo di Israele. Deve riconoscere la propria schiavitù, vivere la sua Pasqua,
attraversare il mare e il deserto, patire la fame e la sete. Il suo grido «Sei
venuto a rovinarci» somiglia molto al lamento degli Israeliti che
rimpiangono le cipolle dell'Egitto. Tutto il contesto umano nel quale quest'uomo
era ben inserito si trasforma e viene smantellato dalla presenza del Signore.
Nel comando
«Da
quell'uomo» c'è la persuasione di Gesù nell'indicare la presenza
del demonio come «estraneo», come inquilino abusivo nell'esistenza dell'uomo che
è entrato nella sinagoga. Il demonio si è indebitamente appropriato di un luogo
- il cuore dell'uomo - che non è suo, perché proprietà solo del Signore. Viene
scacciato, mandato via, perché sorpreso là dove non si sarebbe dovuto trovare.
In questo senso viene ribadito, anzitutto, che colui che è entrato nella
sinagoga è un uomo: persona creata, scelta, amata dal Signore. Non si qualifica
come «un indemoniato», ma come «un uomo». Non si vede in lui solo il male che lo
incatena, quanto piuttosto la sua umanità profonda, per quanto sfigurata e
imbrigliata dall'ostile
presenza
del maligno. Gesù non ha davanti a sé un problema, un caso clinico, o un mostro:
ha davanti a sé un uomo. «Esci
da lui», dice al demonio. La parola del Signore è detta al
demonio che ne ha preso possesso: una vera e propria «cacciata» che permetta
all'uomo di ritrovare la dignità e la bellezza che erano andate perdute.
«Straziandolo
e gridando forte».
Non si esce dalla spirale del male senza pagare un prezzo, senza esserne
profondamente scossi. Noi pensiamo e speriamo di potercela cavare con poche
ferite; in realtà non è così: le resistenze sono molte, e il male «fa male».
Anche nei Vangeli molto spesso la guarigione dal male, in particolare quando è
in atto un esorcismo, avviene con grida, urla, in mezzo a scene terrificanti.
Anche qui il demonio abbandona l'uomo che è nella sinagoga «straziandolo
e gridando forte». L'uomo che si è liberato dalla prigionia del
proprio cuore non l'ha fatto senza dolore: questo vale anche per noi, per ogni
nostro cambiamento o progresso nella vita dello Spirito, dove tutto è grazia, ma
tutto costa fatica...
Torniamo
alla cornice del racconto, rappresentata dallo stupore e dalla domanda della
folla riguardo alla «dottrina», all'insegnamento di Gesù. Qual è la forza e la
novità di questa Parola?
La dottrina
di Gesù si configura come sostegno nella lotta contro il male e come liberazione
da esso. È parola che snida la forza ostile presente nel cuore di ogni uomo e,
rivelandone la menzogna, la scaccia.
Il Maestro
Gesù non viene a proporre un nuovo codice, una nuova legislazione. Viene a dire
che l'uomo è fatto per essere libero, viene a sostenere fattivamente questa
libertà, impegnandosi in prima persona a smascherarne le caricature, a
denunciarne le truffe e i malintesi.
Gesù appare
preoccupato di sostenere il cammino di chi vive ogni giorno nel mondo: un
mondo dove il male c'è, si
fa strada, si annida nel cuore dell'uomo devastandolo dall'interno,
garantendogli una vita apparentemente normale, serena, sicura, ma in realtà
segnandolo di ombre, di paure, di angosce, di tristezze, di inganni che rovinano
la vita. Il suo insegnamento e la sua autorevolezza sono quelli di chi fa capire
che Dio vuole la vita dei suoi figli, vuole la loro felicità. Dio spende la sua
parola perché l'uomo possa di nuovo sentirsi liberato e gioioso, non più schiavo
del male, dei propri fantasmi, dei propri peccati, dei propri vizi.
Pensiamo al
nostro agire nel mondo da credenti come all'agire di chi prova faticosamente e
dolorosamente a liberare dal male le persone che incontra, a guarire le ferite,
a dare un po' di fiato alla vita. Parliamo della paziente opera di risanamento
interiore che avviene nella vita quotidiana. Un'opera che compiamo anzitutto su
noi stessi, prendendo coscienza del nostro male, delle nostre fragilità, e
imparando ad affrontarle con grande serenità e fiducia.
A volte,
contemplando le persone che ci sono vicine, abbiamo l'impressione di un campo
arido, infecondo, di un mondo indifferente, che non aspetta di essere raccolto
dallo Spirito.
Occorre
credere il contrario: ci sono frutti da raccogliere anche in una folla
apparentemente chiusa, ci sono ferite da curare anche nelle persone
apparentemente serene, tranquille, senza problemi. Dobbiamo leggere nelle
persone che incontriamo non ciò che è ostile, ma ciò che è vero: la sofferenza,
lo smarrimento, i bisogni inespressi, le potenzialità ...
(Luca Ferullo Art)
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ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso;
difendimi per la tua giustizia.
Tendi a me il tuo orecchio,
vieni presto a liberarmi.
Sii per me una roccia di rifugio,
un luogo fortificato che mi salva.
Perché mia rupe e mia fortezza
tu sei,
per il tuo nome guidami
e conducimi.
Scioglimi dal laccio che mi
hanno teso,
perché sei tu la mia difesa.
Alle
tue mani affido il
mio spirito;
tu mi hai riscattato, Signore,
Dio fedele.
Esulterò e gioirò per la
tua grazia,
perché hai guardato alla
mia miseria,
hai conosciuto le angosce della
mia vita;
non mi hai consegnato nelle mani
del nemico,
hai posto i miei piedi in un
luogo spazioso.
(dal Salmo 31)
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei
secoli. Amen
ACTIO
Mi impegno
a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il
cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego
con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da una lectio di don Davide Caldirola, della Chiesa
di Milano)
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