Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Donami un cuore puro,
che io possa vederti;
e un cuore umile,
che io possa sentirti; |
e un cuore amante,
che io possa servirti;
e un cuore di fede,
che io possa dimorare in te. (Dag Hammarskjold) |
“Le donne sono quelle del Vangelo di Luca;
la gioia è quella che scaturisce dal loro incontro con Gesù”
Iniziamo alcune lectio tratte da episodi del Vangelo di Luca, nelle quali il
filone comune è la GIOIA DELLE DONNE CHE INCONTRANO GESU’.
Siamo ancora, per poco, nel “Tempo di Pasqua” e le donne che si recano al
sepolcro convinte di trovare un cadavere, offrono lo spunto di riflessione e di
preghiera di questo mese.
Queste
riflessioni sono liberamente tratte da alcune lectio di don Davide Caldirola,
della Chiesa di Milano.
Buona
meditazione e buona preghiera.
"Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al
sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la
pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del
Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due
uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il
volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui
che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in
Galilea e diceva: "Bisogna che il Figlio dell'uomo sia consegnato in mano ai
peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno"».
Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono
tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e
Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste
cose agli apostoli. Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non
credevano ad esse.
Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E
tornò indietro, pieno di stupore per l'accaduto".
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in
noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che
sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno
di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare
in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
(Luca 24,1-12)
La parola spezzata
La gioia della risurrezione è quella più difficile. Basta leggere tutti i
racconti che riguardano le apparizioni di Gesù dopo la Pasqua per rendersene
conto. La prima reazione dei discepoli o delle donne è spesso quella della
paura, del timore; altre volte invece gli evangelisti ci descrivono il
disorientamento, il turbamento, un senso di sorpresa che conduce verso lo
smarrimento più che nella direzione dell'esultanza. «Troppo bello per essere
vero!». Forse questa «frase fatta» ci avvicina al mistero di una notizia -
quella della Pasqua - che dovrebbe riempire il cuore di gioia ma che lascia,
almeno in prima battuta, increduli e perplessi.
Non è solo lo stupore a far sì che l'annuncio di Pasqua sia il più difficile da
raccogliere per provare gioia nel cuore. C'è un altro motivo, molto più
profondo: la parola della risurrezione fa riferimento in modo imprescindibile a
tutto quanto sta prima. È parola che deve per sua natura richiamare alla memoria
tutte le vicende di tradimento, di rinnegamento, di sofferenza, di dolore, di
sconfitte, di morte che hanno segnato gli ultimi giorni terreni della vita di
Gesù. Dire che il Signore è risorto significa ricordare ai suoi amici che prima
ha dovuto patire e morire sulla croce. È un capitolo - questo - che non si
riapre né si rilegge molto volentieri, perché si mescolano in esso una
sofferenza profonda legata alla sorte dell'Amico e un senso di grande fallimento
personale da parte del discepolo, che si trova costretto a riconoscere di non
essere stato all'altezza della situazione proprio nel momento decisivo. Davvero
la gioia della Pasqua non è facile, non è una felicità a buon mercato.
Ci addentriamo nella bellezza e nella complessità del testo di Luca seguendo le
azioni che compiono le donne protagoniste
del brano.
Si recano
“Il
primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro,
portando con sé gli aromi che avevano preparato”.
Anzitutto esse si recano al sepolcro portando gli aromi. Consideriamo insieme
queste due azioni, strettamente connesse tra loro. In esse il gesto di pietà e
di tenerezza va di pari passo con un grande investimento di fiducia. Pietà e
tenerezza, anzitutto: vorrebbero toccare e onorare il corpo dell'amato,
vorrebbero dire che il loro affetto non è stato spento neppure dalla morte. Lo
vorrebbero fare seguendo la loro tradizione e nello stesso tempo recuperando
quanto non era stato permesso loro di compiere al momento della deposizione
dalla croce. Ma questo gesto di pietà che vuole prolungare il tempo dell'affetto
ha bisogno di una grande fiducia:
quella che permette
di riprendere a vivere dopo un'esperienza devastante, traumatica, e
quella - concretissima - legata
alla speranza di riuscire a rimuovere la pietra che grava sul sepolcro, compito
questo assolutamente al di là delle
loro forze fisiche.
A tutto questo va aggiunta la considerazione che il recarsi al sepolcro da parte
delle donne indica soprattutto il desiderio di non chiudere troppo in fretta la
loro storia con Gesù. Non fanno come i discepoli di Emmaus che girano le spalle
a Gerusalemme per fuggire: conservano la forza di chi sa rimanere, di chi non
vuole né archiviare né rimuovere un capitolo tragico della propria vita senza
averlo riletto ed esplorato a fondo.
Trovare
“Trovarono
che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo
del Signore Gesù”.
La parola successiva su cui fermiamo la nostra attenzione è il verbo «trovare».
Le donne trovano la pietra rotolata ma non trovano il corpo di Gesù: esattamente
il contrario di quanto si aspettavano. E capiscono che nella vita le cose non
sempre vanno secondo le attese e la previsioni, che anche le certezze più sicure
possono rivelare un lato inedito e sorprendente. Il Signore si dimostra in grado
di ribaltare ancora una volta gli scenari nei quali esse si sono abituate a
vivere. Era già successo molto tempo prima, quando le aveva guarite e cambiate.
Due di loro, Maria di Magdala e Giovanna, sono ricordate al capitolo 8 tra
coloro che sono state liberate dagli spiriti cattivi:
“C’erano
con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da
infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni;
Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li
servivano con i loro beni”.
(Lc 8)
“Erano Maria
Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo”. (Lc 24)
Succede anche adesso, nel mattino di Pasqua, quando pensavano che ormai Gesù non
potesse far più nulla per loro, che avesse esaurito le possibilità di toccare di
nuovo le loro esistenze per trasformarle in un canto di esultanza. La gioia che
le donne raccolgono è dunque quella di chi si apre alla sorpresa, di chi cade
negli agguati di felicità tesi dal Maestro.
“Mentre
si domandavano che senso avesse tutto questo…”
Di fronte a questo trovare e non trovare, le donne si domandano il senso di
quanto sta loro capitando. Torna subito alla mente l'atteggiamento di Maria
nella scena dell'Annunciazione, dove la vergine, prima di tutto, si domanda il
significato del saluto dell'angelo. È lo stile di chi ha imparato a pensare, a
riflettere, a non agire soltanto di puro istinto, a lasciarsi interrogare da
quanto capita. È evidente che le donne non potranno rispondere alla loro domanda
di senso soltanto attraverso il canale dell'intelligenza e della riflessione.
Avranno bisogno di un'ulteriore rivelazione e di tutta la pazienza
necessaria per compiere i passi verso
la fede che il Signore domanderà loro di nuovo. Ma nello stesso tempo
appare chiaro che non potranno far nulla di buono se rinunceranno alla saggia
disposizione di tenere nella testa e nel cuore le domande vere, di chiedersi la
ragione e la direzione di quanto sta capitando loro. La fiducia nel Risorto si
nutre anche della tenacia della ricerca del senso degli avvenimenti e della
storia; l'adesione al vangelo non implica in alcun modo la rinuncia
all'intelligenza e alla riflessione.
Chinare il volto
“…ecco
due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite,
tenevano il volto chinato a terra”.
L'atto successivo compiuto dalle donne è quello di chinare il volto. Luca lo
identifica anzitutto come un gesto legato alla paura, ma al di là di questo
timore si intuisce facilmente che esso indica da subito un atteggiamento di
rispetto, di riverenza, quasi di adorazione nei confronti di questa presenza
sconosciuta che richiama loro l'ennesimo intervento sorprendente di Dio nella
loro vita. E ancora una volta, nonostante la paura, le donne non fuggono. Con
tutto il timore e il tremore del caso, restano alla presenza di Dio; col volto
chinato, certo, nell'atteggiamento di chi si fa piccolo perché sa di non poter
sostenere uno sguardo così, di non avere occhi e cuore sufficienti a sostenere
la bellezza del volto di Dio e dei suoi messaggeri. Ma rimangono dove sono,
sicure che non sarà il loro fuggire ma il loro restare ad aprire un senso
possibile all'incredibile vicenda nella quale sono state coinvolte.
Il ricordo
«Perché
cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi
parlò quando era ancora in Galilea e diceva: "Bisogna che il Figlio dell'uomo
sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno"».
Il passo successivo è quello legato al ricordo. Gli angeli consegnano anzitutto
questo compito alle donne: fare memoria. Se vogliono ritrovare la gioia devono
anzitutto raccogliere le parole del Maestro, quelle più oscure e difficili da
capire, quelle che avevano generato in loro ansia e turbamento, incomprensione e
paura. Ricordare significa letteralmente «riportare al cuore», alla sede della
decisione e della volontà, alla «casa interiore» dove maturano le scelte vere
della vita, dove si decide il
cammino da intraprendere. Di sicuro questo ricordo, questo riportare al cuore,
al centro, non potrà essere in alcun modo un semplice sforzo mnemonico, quanto
piuttosto il rivivere un'esperienza, il rileggere attraverso coordinate
differenti quanto si è vissuto. Non un'opera di registrazione, ma una vera e
propria rielaborazione di ciò che è
avvenuto, degli eventi vissuti che trovano nuova luce nella rivelazione del
mattino di Pasqua. Si tratta di un vero e proprio «esercizio spirituale», che in
quanto tale può compiersi solo se le donne si lasciano toccare e raggiungere
dalla grazia dello Spirito che il Signore donerà loro di lì a pochi giorni.
Il ritorno
“Ed
esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto
questo agli Undici e a tutti gli altri”.
Il ricordo, da parte sua, precede il ritorno. Luca lega strettamente al tema
dell'annuncio questo ritorno a casa: «Tornate dal sepolcro, annunciarono». È
interessante come gli angeli, secondo Luca, non abbiano investito le donne di
questo compito. Non hanno detto loro «portate la notizia agli altri» o «dite a
tutti che il Signore è risorto». Dopo aver invitato alla memoria di quanto
accaduto, escono di scena. È come se fossero le donne stesse ad assumersi in
prima persona questa missione. Non si tratta evidentemente di un abuso o di una
indebita intromissione nel piano della salvezza, quanto di una precisa presa di
coscienza e di responsabilità rispetto a ciò che hanno vissuto. Non c'è bisogno
che qualcuno lasci loro il compito dell'annuncio: è un'esigenza interiore, una
conseguenza inevitabile dell'incontro avvenuto davanti al sepolcro. Potremmo
dire che è un movimento di gioia dello spirito, uno slancio interiore del cuore.
Come ritornare senza annunciare? Come non coinvolgere i fratelli in questa
scoperta meravigliosa? Siamo di fronte - tra l'altro - a una sot tolineatura
specifica della narrazione lucana. Marco aveva raccontato il silenzio delle
donne che, tornate dal sepolcro, non dicono niente a nessuno, perché hanno
paura. Luca insiste su questo annuncio che rivela tutta la passione delle donne
per i loro fratelli e il desiderio di coinvolgerli nella loro scoperta della
gioia.
Il racconto
“Anche
le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. Anche le
altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli”.
L'annuncio diventa racconto: non più soltanto il resoconto scarno di quanto
successo, ma una vera e propria storia, una notizia che si allarga e che chiede
non soltanto di essere comunicata, ma narrata, riempita di particolari, resa
sapida dal racconto delle proprie emozioni (sarà così per i discepoli di Emmaus:
non ci ardeva forse il cuore... ), arricchita dalla commozione e della
trepidazione che crescono mentre le parole si rincorrono e si confondono, si
accavallano e si perdono, si smarriscono e si ritrovano. Poco importa se questo
racconto, almeno inizialmente, suscita incredulità e lascia perplessi:
“Quelle
parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse”.
Luca non annota alcuna reazione negativa delle donne di fronte allo scetticismo
dei discepoli, segno che la notizia di Pasqua ha già cominciato a trasformare i
loro cuori, a renderli più duttili, più semplici, più pazienti.
La gioia
L'annuncio della risurrezione avrà tempo per farsi strada, per regalare la sua
difficile gioia, per allargarsi e diffondersi nei tempi e nei modi che spetterà
solo al Signore decidere. Alle donne, testimoni della gioia, rimane il tempo
della speranza e dell'attesa, da colmare con la preghiera e la carità, da
riempire con il racconto grato e commosso di un incontro che ha cambiato la
vita, e l'ha cambiata per sempre.
C'è la gioia della Pasqua, della risurrezione, la gioia di sentirsi salvati. C'è
la gioia di sapere che la morte è vinta per
sempre, che ci attende
un futuro
luminoso di pace, di quiete, di felicità e pienezza di vita. Ma come
spesso capita, non abbiamo bisogno soltanto dei grandi orizzonti di
gioia, ma anche delle
briciole che ci sfamano nell'oggi.
Impariamo così a mescolare le gioie sperate della vita futura a quelle che
raccogliamo nell'esistenza presente, così come ci è dato di compiere. Il mattino
di Pasqua, le donne non solo ricevono l'incredibile
notizia della
risurrezione, ma
sperimentano la felicità legata all'esistenza
feriale, quotidiana.
Lasciarsi sorprendere
C'è anzitutto la gioia di chi si lascia sorprendere, di chi mantiene intatta la
capacità - tipica dei bambini - di meravigliarsi, di stupirsi, di restare
incantati e sbalorditi di fronte a ogni cosa, di rimanere a bocca aperta davanti
a un filo d'erba, o a un sasso, o all'acqua
di una fontana. Per un
adulto sorprendersi è più difficile. Tendiamo a diventare calcolatori, freddi,
pragmatici. Lo stesso sviluppo rapidissimo
della tecnologia,
che ha fatto diventare «normale» ciò che un decennio fa sembrava
fantascienza, ha mortificato in noi la capacità di
meravigliarci. È «normale»
avere in un istante notizie e
immagini che provengono
dall'altra parte del mondo, è «normale» possedere aggeggi minuscoli che
ti permettono di comunicare con l'amico lontano vedendone l'immagine in diretta.
È «normale» - purtroppo - assistere
alle tragedie dei profughi, alle immagini di guerra, ai fatti di cronaca nera,
agli scenari umilianti del malcostume diffuso. L'effetto-sorpresa è ormai legato
soltanto ai «grandi eventi», sempre più complessi e costosi e sempre meno in
grado di incidere e di lasciare tracce durature nel cuore e nella memoria delle
persone, destinati a essere immediatamente dimenticati o sostituiti dall'evento
successivo. Qualcuno ha fatto notare che funziona così anche nella Chiesa: poca
vita quotidiana e molti grandi avvenimenti che svaniscono in un istante, come
fumo...
Forse è venuto il tempo di tornare a sorprenderci, di ricordare che il Signore si presenta a noi capovolgendo calcoli e attese. Forse è questo il tempo in cui riscoprirsi «sorpresi dalla gioia» e ribadire l'idea che la felicità non è il più delle volte l'esito sperato dei nostri sforzi, ma dono che giunge dall'alto, che ci salta addosso, che ci tende un'imboscata e ci lascia senza parole e senza fiato.
La gioia del ricordo
C'è anche la gioia di ricordare. È
ben lontana, anzi è l'opposto della
propensione triste a vivere nella memoria nostalgica del passato. È la gioia di
chi non ha smarrito il senso e la bellezza di incontri e avvenimenti passati che
non potranno andare perduti, perché Dio ogni giorno li raccoglie e li riporta a
casa. Questa gioia del ricordo non è legata a cassetti ricolmi di ricordi; è una
gioia incisa nel cuore, che porta con sé il profumo della gratitudine per il
bene ricevuto e il desiderio di ringraziare. È la felicità di chi trasforma la
propria vita in Eucaristia, in un perenne rendimento di grazie, in un perenne
presente.
La gioia della missione
C'è infine la gioia di conservare nel cuore un buon racconto, e il desiderio di
regalarlo a tutti. Con parole solenni potremmo dire: la gioia della missione.
Con toni più umili ci viene soltanto da segnalare quanto sia importante per un
credente tenere nel cuore la grandezza e la bellezza della storia di Gesù, e
provare a narrarla a tutti con le parole e la vita.
Alla fine il cristiano è uno che si fida di una persona e di una storia, e che è
disposto ad affermare - a volte nel dolore, nell'inevidenza o nel dramma - che
Dio è amore, è vita, è gioia. Per farlo non ha molti mezzi a disposizione, ed è
bene che sia così: si annuncia il vangelo da poveri, se ne è servi, e non
padroni. Per farlo, dunque, ha solo la forza stessa della Parola
e del Pane, la purezza della
fede, la credibilità delle opere di bene, la compagnia buona dei fratelli. Ma
tutto questo diventa inutile se manca la gioia, una gioia che si traduce anche
in un tratto semplice, profondamente umano, capace di gustare le cose della
terra mentre si parla di quelle del cielo.
“Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita… che si manifestò a noi, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”. (1Gv 1)
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Poiché le tue parole, mio Dio,
non son fatte per rimanere inerti
nei nostri libri,
ma per possederci e per
correre il mondo in noi,
permetti che,
da quel fuoco di gioia da te acceso,
qualche scintilla
ci raggiunga e ci possegga,
ci investa e ci pervada.
Fa che,
come “fiammelle nelle stoppie”,
corriamo per le vie della città,
e fiancheggiamo le onde della folla,
contagiosi di beatitudine,
contagiosi della gioia.
(Madeleine Delbrel)
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi impegno
a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò
che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da alcune lectio di don Davide Caldirola, della Chesa
di Milano)