Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Lasciami
dormire ancora un poco, Signore:
questa mattina non me la sento di svegliarmi nel mondo.
Voglio restare a galleggiare nei miei sogni,
leggero, libero, soffice.
Lasciami dormire ancora un poco, Signore,
perché il giorno è ruvido,
le ore capricciose,
le distanze scoraggianti.
Lasciami dormire ancora un poco, Signore….
Ancora cinque respiri.
Ancora un abbraccio delle coperte.
Ancora un sorso di silenzio.
Ma poi svegliami,
come tu sai!
Riempimi di luce e di speranza,
infondimi coraggio e gioia,
sostieni i miei passi a bassa pressione.
Lava dal mio volto
le stanchezze e l’abitudine,
porgimi occhiali trasparenti
per vederTi nei fratelli
e preparami una tazza
di caffè forte,
per amare
con tutta la forza dello Spirito.
Buongiorno, Dio.
Questa sarà una splendida giornata.
(da “Hai un momento, Dio?”)
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
LA COMUNITA’: spazio in cui ci collochiamo e destinatario delle nostre azioni, dei nostri progetti.
La comunità è definita dalla qualità della relazione. Una relazione non facile né tantomeno scontata: così lascia intendere Tommaso (Gv 20, 19-29). Il suo rapporto con gli altri discepoli e con il Risorto ci conduce a considerare in una luce nuova le fragilità che proprio nella comunità hanno un luogo privilegiato di manifestazione.
LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto. «Tommaso, uno dei dodici, non era con loro quando venne Gesù»: fragilità e punti di forza della comunità (Gv 20,19-29)
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Parola di Dio
MEDITAZIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.
Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".
Una comunità a porte chiuse
II testo si apre con una notazione temporale: la sera di quel giorno, il giorno in cui Maria, recatasi di buon mattino alla tomba, incontra il Risorto, il giorno in cui due tra i suoi, Pietro e il «discepolo che Gesù amava», erano usciti correndo verso la stessa meta. Adesso però è sera: tempo di condivisione e ringraziamento, ma anche momento in cui si percepisce l'abbandono e la prova. Siamo di fronte a una comunità alla sera.
Segue un altro particolare: erano chiuse le porte... per timore dei Giudei. Se un uscio aperto indica comunione possibile («Se qualcuno mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me», Ap 3, 20), la porta chiusa evoca al contrario separazione, impossibilità di condivisione («Non m’importunare, la porta è già chiusa, non posso alzarmi per darti i pani», Lc 11, 7).
Dentro i battenti serrati della stanza dove si trovano i discepoli non c'è comunione, non c'è condivisione, ognuno è solo. Le "porte" sono "chiuse", molte porte: non solo le imposte che proteggono il gruppo dall'esterno, ma anche quelle che ciascuno ha nei confronti dell'altro. Ognuno sta nel suo triste isolamento, a porte chiuse. È una descrizione radicalmente diversa rispetto ad At 1,14: «Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera».
Dopo gli avvenimenti tragici del Golgota, la porta chiusa richiama alla mente anche il sepolcro: il Vangelo di Matteo e quello di Marco parlano della porta del sepolcro, una porta chiusa con una pietra, talmente sigillata da essere quasi impossibile da aprire: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso [dalla porta] del sepolcro?» (Mc 16, 3).
Ecco che la situazione di chiusura, di isolamento, in cui si trovano i discepoli, impauriti e tremanti, contiene anche l'eco di una morte, della stessa morte di Cristo: ma proprio come nella sua morte, nel suo sepolcro, anche in questo spazio si manifesterà la vita.
In questa comunità a porte chiuse, priva di comunione, si fa presente il Maestro. Vediamo attraverso sintetiche immagini, come Gesù incontra questa comunità:
1) Gesù sta in mezzo a loro: si pone in mezzo alla loro solitudine, al loro terrore; egli non spalanca le porte, ma entra piuttosto lasciando che i battenti rimangano sprangati, mettendosi al centro di quel luogo dove ognuno stava dolorante nel suo isolamento.
2) Gesù incontra la comunità mostrando le proprie ferite: egli si presenta debole con i deboli; in particolare mostra le proprie mani, che rappresentano la facoltà di agire, il potere. E il proprio fianco, da dove la lancia è entrata per giungere fino a colpire il cuore.
Riconosciuto proprio grazie alle sue ferite, Gesù porta la gioia: egli ricrea la comunità con il soffio dello Spirito, spinge la comunità a uscire, la invia; in una parola dona la resurrezione.
Tommaso: il "gemello" solo
Ma da una comunità con queste caratteristiche, e forse proprio a causa di esse, uno dei dodici si dissocia: è Tommaso, chiamato Didimo, che significa "gemello". Didimo è il fratello, più precisamente il fratello simile, che porta nel suo stesso essere l'impronta della comunione, l'anelito alla relazione.
Paradossalmente, Tommaso non capisce di essere né fratello, né simile nei confronti di questa comunità, cosicché egli, destinato per sua natura alla comunione, non si trova accanto ai fratelli; infatti non era con loro. Didimo non condivide il loro rimanere nello stesso luogo, il loro rifugiarsi dietro le porte chiuse; non condivide il loro limite, la loro debolezza, la loro paura. È il temerario: quando aveva percepito la possibilità di un pericolo per Gesù, nella Giudea, dove questi stava per recarsi dall'amico Lazzaro ormai morto, Tommaso si era dichiarato pronto a morire con lui, assieme agli altri («Andiamo anche noi a morire con lui!», Gv 11, 16).; egli ama sinceramente il Maestro e vuole seguirlo («Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?», Gv 14, 5). Proprio per questo viene fuori da quella stanza chiusa e angusta, mostrando di non aver timore a uscire; ma in questo modo taglia il rapporto con la comunità, non accettandone la fragilità.
Si chiude così nella solitudine e rimane nella morte. Infatti, non era con i discepoli quando venne Gesù, quando cioè oltre le porte sbarrate irrompono la vita e la pace. Didimo è ormai lontano da questa vita, non avendo accolto la debolezza e il limite dei fratelli.
Una comunità di uomini insicuri, fragili, proprio questa ha visto il Signore e lo annuncia a Tommaso, ripetutamente: Gli dicevano... «Abbiamo visto il Signore!».
Alcune osservazioni: innanzi tutto, si riesce a vedere il Signore solo nella comunità, accettando di rimanere in mezzo al limite e alla debolezza. Chi non accoglie tutto questo, non vede il Signore, perché il Signore sta in mezzo a questa pochezza, debole con i deboli, mostrando apertamente le sue ferite.
Di fatto "vedere il Signore" riassume tutta l'esperienza della comunità, un'esperienza di vita nuova segnata, come il momento della creazione, dal soffio dello Spirito, un'esperienza di passaggio dalla tristezza alla gioia («gioirono al vedere il Signore», v. 20), di movimento dalla chiusura alla missione («Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi», v. 21), di trasformazione dal nonsenso di morte all'esistenza piena. Ecco che dicendo «Abbiamo visto il Signore!», i discepoli proclamano la loro radicale metamorfosi.
Infine, chi ha visto il Signore e lo proclama, è colui che, consapevole del dono di rivelazione ricevuto, chiede di essere ascoltato e creduto; egli possiede l'autorità della testimonianza. Adesso, proprio quella comunità di uomini esitanti, in preda al terrore, afferma: «Abbiamo visto il Signore!», domandando fiducia e assumendo l'ardire autorevole del testimone.
Di fronte a tutto ciò, il rifiuto di Tommaso: io non credo. Per l'apostolo è impossibile che una tale comunità abbia fatto una tale esperienza di cambiamento, è inimmaginabile che il titubante, il fragile sia rivestito di autorità. Non è ammissibile che la testimonianza del Signore possa giungere da coloro da cui sdegnosamente si era separato; è inconcepibile che costoro siano rivestiti di autorevolezza; è difficile pensare che proprio quegli uomini insicuri, troppo codardi per uscire dal loro rifugio, possano diventare apostoli e inviati.
Per questo motivo Tommaso ha necessità di sperimentare che la debolezza, il limite, la ferita possono portare e donare la vita, invece di essere considerate disprezzabili. Egli afferma così il suo desiderio, il suo bisogno di toccare, mettere le mani nelle ferite del Salvatore, come per verificare se esse siano ancora aperte, se tali piaghe siano reali.
Misteriosamente, questo segno di incredulità di Tommaso si trasforma in un anelito di comunione più profonda attraverso le stesse ferite: di fatto egli chiede di poter mettere la sua mano, cioè la sua possibilità di agire, la sua potenza, dentro l'impotenza di Cristo, significata dalle lacerazioni della sua carne. Ecco che Didimo, mosso dal desiderio, quasi inconsapevolmente, in virtù del suo grande amore per il Maestro, accoglie pian piano quella debolezza che aveva con decisione rifiutato.
Il gemello insieme agli altri
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa; non c'è più paura, bensì comunione: infatti era con loro anche Tommaso. Evidentemente si è creato lo spazio di un'accettazione reciproca: Tommaso da parte sua accoglie la debolezza della comunità e decide di rimanere dentro, con loro; quest'ultima, dal canto suo, riceve Tommaso, tenendo con sé colui che si era separato, rifiutando la testimonianza del Risorto.
L'opposizione del "gemello", non respinta ma accolta dalla comunità, fa sì che il Signore venga ancora (venne Gesù) e si mostri di nuovo a tutti, così da portare a compimento con una beatitudine il suo incontro con i discepoli. Un fratello diverso, non coeso con gli altri, che può apparire un ulteriore punto di debolezza all'interno della comunità, ne diventa punto di forza: infatti, proprio in virtù del rifiuto di Didimo il Signore può tornare in mezzo ai suoi. È la resistenza di Tommaso che costringe Gesù a tornare; il Risorto rinnova la sua presenza appositamente laddove è stato rifiutato e proprio perché è stato rifiutato.
In questa seconda visita c'è qualcosa di nuovo: se prima, infatti, il Cristo aveva semplicemente mostrato le sue ferite, adesso egli offre la possibilità di toccarle, donando a Tommaso l'opportunità di palpare la debolezza che salva, di entrare dentro le piaghe. Gesù, invitando il discepolo a mettere la mano nel posto dei chiodi, afferma di fatto che quelle ferite sono sempre aperte, rivelando così che la vita e la salvezza provengono proprio da piaghe squarciate, non fasciate e guarite, e nemmeno da cicatrici chiuse. Le ferite aperte sono fonte di vita, così aperte che si possono ancora trapassare.
Gesù in qualche modo si reca da Tommaso disponibile a farsi trapassare un'altra volta, a lasciare che quelle mani e quel cuore vengano ancora attraversati, questa volta non da chiodi o lance, ma dalla mano di un fratello.
Ed egli rivolge a Didimo un invito: «Non essere incredulo, ma credente». Come si diventa increduli? Separandoci dalla comunità, nella solitudine, laddove attecchisce e si sviluppa un atteggiamento di sfiducia. Al contrario, si diventa credente rimanendo accanto ai fratelli, stando insieme alla comunità nella sua debolezza e nel suo limite, senza sterili separazioni da essa.
Chi era da solo, separato dagli insicuri, dai limitati, colui che rifiutando la comunità non voleva appartenere ad altri che a se stesso, dichiara adesso la propria appartenenza proprio al ferito, al debole per eccellenza: Mio Signore e mio Dio! Solo passando attraverso l'accoglienza del limite, delle ferite dei fratelli e della comunità, l'appartenenza a Dio è possibile; allora si aprono gli occhi e il cuore al riconoscimento: «il Signore mio e il Dio mio!».
Comunità e fiducia
Alla fine, una comunità di uomini limitati e insicuri si svela come il luogo della fiducia, il luogo dove è possibile credere anche senza vedere: Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto.
È nella comunità che tutto questo può accadere, nel momento in cui vivo la fiducia nei confronti del fratello fragile, nel momento in cui credo che il piccolo possa aver visto il Signore, che colui che è chiuso nella propria morte, nella propria paura, proprio costui possa averlo contemplato e possa testimoniarlo.
Conclusione
Una comunità debole, visitata dal Cristo in debolezza; una comunità divisa, capace però di non respingere il diverso, visitata nella comunione; una comunità ferita, visitata con le ferite.
Ecco che essa diventa il luogo dove Gesù viene a compiere molti segni: «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli» (Gv 20, 30). Se i segni sono manifestazione visibile dell'intervento e della potenza del Signore, la comunità allora diventa lo spazio dove si esprime la presenza visibile di Dio. Segni di dono e di conferma, segni «perché crediate e credendo abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20, 31).
Per la riflessione
Comunità a porte chiuse: mi fermo e guardo quelle porte chiuse per paura, per timore di chi è ostile, di chi potrebbe forse uccidermi... Rinserrato dentro quei battenti, posso forse scorgere una comunità dove non c'è condivisione né comunione. È possibile stare insieme, nello stesso luogo di altri fratelli, pur rimanendo ciascuno nella propria solitudine.
In mezzo alla comunità: osservo come Gesù è andato in questa comunità, fermandosi in mezzo alla loro paura, non giudicandola o spalancando con violenza le porte. Egli ha mostrato le proprie ferite, non le ha nascoste. Ha inviato la comunità, rivelando la sua fiducia in essa.
Il rifiuto: posso vedere Tommaso come mio gemello, nel momento in cui rifiuto la debolezza, il limite della comunità. Lascio spazio ai fratelli della comunità per il cambiamento? concedo loro la possibilità di essere diversi?
Il testimone fragile: come mi pongo di fronte all'attestazione del fratello debole, di colui che nella sua debolezza afferma: «Ho visto il Signore»?
Nelle ferite del Salvatore: mi fermo su questa immagine, chiedendo insieme a Tommaso di porre il mio potere nelle ferite, nella fragilità, nel limite...
Ferite aperte: con Gesù e come Gesù, sono chiamato a tornare laddove c'è un fratello che rifiuta l'annuncio, e a tornare non nascondendo le ferite, ma lasciando che esse siano toccate, mostrandole aperte nella disponibilità che esse siano di nuovo attraversate.
Resistenze che provocano: fermo lo sguardo sulle resistenze, sulle opposizioni, che si sperimentano in comunità. Quali emozioni e quindi quali atteggiamenti nei confronti di chi rifiuta? si isola o si contrappone? Tento un diverso punto di vista: rileggo queste situazioni ricordando che possono portare a compimento la rivelazione.
ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
O Gesù, sono tante le paure che mi assalgono
e generano in me ansia ed inquietudine,
minano la fiducia in te e
devastano la serenità del mio animo.
Anche se la porta del mio cuore è chiusa,
io desidero vedere la tua luce.
Ti prego, scaccia le tenebre dal mio cuore
e illumina i nascondigli che mi sono creato.
La forza dirompente della tua Pasqua
infranga ogni chiusura e mi apra alla speranza.
Come ti sei reso presente nel cenacolo,
in mezzo ai tuoi apostoli, bloccati dalla paura,
così vieni anche nella mia vita.
La tua passione e morte
non segnano la tua scomparsa,
ma inaugurano una presenza nuova,
non più condizionata dal tempo e dallo spazio.
Tu, o Gesù, vieni anche a "porte chiuse",
perché nulla più può ostacolare il tuo
amore e la tua misericordia.
Donami l'intelligenza della fede
che mi faccia comprendere che con la risurrezione
tu sei presente continuamente nella mia vita,
anche se non ti vedo con gli occhi.
Fa', o Gesù, che sappia percepire
il tuo sguardo misericordioso sopra di me
e sentire "l'alito" della tua presenza,
con cui mi doni lo Spirito Santo.
La forza della tua risurrezione
dissolva come nebbia al sole ogni mia paura.
(don Canio Calitri)
CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria
per tutti i secoli dei secoli. AMEN
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti da un percorso formativo della Caritas Italiana)