RITIRO ON LINE - gennaio 2023 |
Venero
la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia
persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla
presenza del Signore che vuole parlarmi.
(Pieve di Cadore)
Dio delle mie notti, tu rimani viaggiatore accanto a me.
In silenzio, al buio attraversiamo valli, superiamo dirupi.
La strada è la fiducia, la strada sei Tu.
(Luca Rubin - Un minuto con Dio)
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INCONTRI DI GESU’ LUNGO LE STRADE POLVEROSE DELLA PALESTINA
In parrocchia recentemente è stata proposta una serie di Lectio incentrata sugli
incontri di Gesù con alcuni “personaggi” colti nella concretezza della loro vita
quotidiana, narrati nel Vangelo di Luca. Sono dei “ritratti dal vivo”! In questi
personaggi si possono riscontrare molti
aspetti presenti anche nella vita di ciascuno di noi, nonostante la
distanza temporale. Sono spazi di
concreta umanità ma anche di svelamento della verità.
LECTIO
Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
12Disse
poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non
invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini,
perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio.
13Al
contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi;
14e
sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa
alla risurrezione dei giusti».
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"
E GLI INVITATI A PRANZO
LA CONVIVIALITA’
Il brano inizia con questa espressione: «Disse
poi a colui che l’aveva invitato».
All’inizio del capitolo 14, al v. 1, Luca annota
che Gesù entra in casa di un capo dei
farisei per pranzare. E’ un
giorno di sabato, giorno benedetto da Dio, giorno di religioso riposo.
In quel contesto conviviale la sua parola risuona di ammaestramenti,
di
richiami, di
suggerimenti spirituali.
Dopo aver arringato tutti i commensali con parole ferme e forti, smascherando la loro ambizione, Gesù ora rivolge una parola a colui che lo ha invitato. Pur essendo fariseo, uomo giusto, anche lui ha bisogno di chiarire e rivedere il suo modo di attuare l’ospitalità, verificare soprattutto le motivazioni interiori che hanno originato in lui l’atto di accogliere persone a casa sua e metterle a mensa assieme con sé. L’intervento di Gesù riguarda propriamente il suo gesto ospitale.
Questo, a uno sguardo superficiale, può sembrare segno di altruismo e di
cortesia, ma a un osservatore più acuto può nascondere
altri sentimenti meno nobili, come l’interesse e il proprio
vantaggio. E’ certo che invitare qualcuno a desinare in casa propria
comporta sacrificio,
impegno, dispendio di denaro, lavoro,
tempo. Ma non sempre tutto
questo è frutto di amore, quello chiesto da Gesù, l’amore
puro e vero. La parola del Maestro, indirizzata
al capo dei
farisei, prende
lo spunto
da un
fatto della
vita ordinaria
e suggerisce quali persone
debbano essere invitate a pranzo, ma il suo significato va al di là
dell’accaduto per far emergere i
valori di comunione, di donazione e di accoglienza contenuti e rilevati nello
stare a mensa
assieme.
L’OSPITALITÀ RICAMBIATA
Questo modo
di esprimersi di Gesù suona
abbastanza strano,
poiché non ci si sarebbe aspettato, da parte sua, una simile competenza
in questioni di etichetta sociale; infatti non è un esperto in
materia ma piuttosto è un maestro di spirito e come tale si mostra. Su
questo tono
va capito e interpretato il
suo discorso, che si radica
nelle pieghe più remote dell’animo umano. In tal modo un banale invito a
pranzo assume il merito di essere un autentico gesto di amore.
Gesù non
intende impedire
in assoluto
al fariseo
di chiamare
al banchetto
le persone del primo elenco: amici, fratelli, parenti, ricchi vicini, ma
vuole soprattutto
evidenziare l’urgenza,
l’importanza di
invitare quelli del secondo
gruppo: poveri, storpi, zoppi, ciechi. Sono questi
che non vanno esclusi, anzi devono avere il primo posto nel cuore di
chi li invita e nel tavolo da pranzo. Si tratta di uno sprone per una
conversione piena,
per attuare
un cambiamento
di mentalità,
un modo
di vivere
totalmente diverso
dalle consuetudini.
Come già accennato lo stare a mensa assieme, mangiare alla stessa tavola,
attua e significa uno stato di unione
tra persone, di condivisione
non solo del cibo,
ma anche di
sentimenti e
di interessi comuni;
mostra, da
una parte, la
generosità di chi invita e prepara,
dall’altra, la disponibilità e l’apertura di animo di chi accetta. Uno scambio
di reciproca comprensione e donazione. Ci si sente più vicini e a proprio agio,
più disposti a rivelare gli stati interiori, le inquietudini e le gioie che
attraversano la vita. A questo livello la mensa comune travalica i legami
puramente carnali o parentali o sociali per istituirne altri più intensi ed
espressivi. Nascono esigenze nuove e nuove amicizie.
Tuttavia il discorso di Gesù non si limita a questa fase, già di per sé
significativa e valida. Affronta un piano più elevato e spiritualmente
sconcertante: invitare qualcuno a pranzo in casa propria impegna tutto il cuore
in modo da essere segno ed effetto unicamente dell’amore, che si riversa
principalmente su coloro che ne hanno più bisogno e che ne sono più lontani, per
condividere con essi il medesimo cibo come fossero i più intimi familiari e
amici.
Anzitutto Gesù
propone al
fariseo una
cosa assai
sorprendente:
«
Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici
». Di solito succede il contrario. Quando
qualcuno prepara
un pranzo o una cena, le persone,
che più desidera siano presenti,
sono proprio gli amici. Con loro sta bene, si
capisce al volo. Se fosse
possibile, li vorrebbe sempre
vicini. Poiché non si può stabilire
un’amicizia con tutti, di fatto la cerchia degli amici è assai limitata ed
esclusivista nei confronti di altre persone considerate estranee.
All’interno
del gruppo vige un’atmosfera di comunione,
poiché tutti
pensano allo stesso modo, sono dello stesso
livello sociale, hanno gli
stessi gusti, sono legati da sincero affetto. L’amicizia si consolida e si
intensifica da continue relazioni, costanti scambi, assidui ritrovi. Di fatto è
un vero piacere stare insieme. Al pranzo, dove Gesù è ospite, il fariseo aveva
invitato molte persone del suo ceto, tra le quali anche alcuni scribi, come si
afferma al v. 3, cioè dottori della legge.
Il Maestro prosegue facendo una seconda proposta: «
non invitare… i tuoi fratelli
». L’appellativo «fratelli» va inteso in senso letterale di fratelli carnali. E’
noto quanto sia forte il rapporto tra individui legati da un vincolo di carne,
di sangue e di affetto, da cui si forma il nucleo basilare della famiglia.
L’unione si accresce nei momenti di gioia comune e nei momenti difficili. Amano,
ovviamente, ritrovarsi, risentirsi, rivedersi. Nelle feste più importanti, e non
solo, è uso radunarsi tra fratelli per trascorrere insieme un po’ di tempo in
felice convivenza.
Gesù non si ferma, ma presenta un terzo obiettivo: «
non invitare… i tuoi parenti
», cioè le persone della stessa discendenza. La cerchia si allarga dai fratelli
ai parenti, ai cugini, zii, nipoti, nonni, cognati. La parentela genera un
continuo scambio di relazioni, di affetti, di interessi e aiuti reciproci, che
sorgono e si sviluppano nell’arco dell’intera vita, dall’infanzia alla
vecchiaia.
Espone infine una quarta direttiva: «non
invitare… i ricchi vicini».
Di sicuro il capo dei farisei, che aveva ospitato il Maestro, era una persona
facoltosa. A quella stessa mensa aveva invitato altre persone alla sua pari.
Causa sempre piacere e onore ospitare gente di questo calibro sociale e
culturale. Il testo precisa che i ricchi sono «vicini»,
cioè a portata di mano, sempre abbordabili per chiedere e ricevere favori.
Ci si domanda per quale motivo Gesù dia raccomandazioni inusuali come queste,
esortazioni che suonano molto strane. Egli lo dice chiaramente:
Gesù vuole mettere in guardia proprio su un amore interessato, che nel momento
in cui dona pensa in realtà di ricevere. Non è un amore gratuito, totalmente
aperto e sincero. Per questa ragione può accadere che nel gesto, apparentemente
magnanimo, di chi distribuisce inviti a pranzo, si nasconda una vena sottile di
interesse personale, come quando la scelta degli invitati è suggerita solo da
motivi di obbligo o di tornaconto.
L’insegnamento a questo punto, partendo da una situazione concreta di un
convito, si allarga su
un orizzonte
più vasto, fa
intravedere quale sia l’amore vero, o,
per lo meno, elimina quei condizionamenti umani che hanno il potere di legare
l’animo e di impedire l’espansione autentica dell’amore. Il discorso si eleva,
si amplia, si libra nello spazio
della purezza e della totalità di chi vuole amare solamente per amore, senza
profitti o vantaggi di alcun genere. E’ l’amore
rivelato e portato da Gesù.
L’OSPITALITA’ CHE AMA
Dice: «
quando offri un banchetto invita poveri…».
Nella parte precedente si accennava ai ricchi vicini, ora
ai poveri, persone che non
contano, non hanno un nome, non sono famosi, non possiedono alcunché e sono
destinati ai margini.
Mangiare assieme a loro implica condividerne la vita e l’amicizia, sentirli
accanto come partecipi del medesimo spirito e uniti da comuni intenti. Con essi
si familiarizza e si gioisce consumando il medesimo cibo, per instaurare un
rapporto di vera comunione.
I
poveri sono
specificati come storpi,
zoppi, ciechi,
per indicare
in concreto gli individui socialmente più segregati e privi di alcuni
elementi fondamentali per la
vita. Queste persone pertanto non possono
ricambiare l’invito,
poiché non
ne hanno
i mezzi
materiali. L’amore che ha spinto a chiamarli, deve
essere pienamente gratuito, senza l’attesa di un vantaggio o di una
restituzione.
Con il suo suggerimento Gesù si pone al di sopra delle più radicate abitudini
umane. Consiglia di dare senza sperare di riavere, di invitare senza attendere
un contro-invito. In altre parole insegna ad amare come lui ama. Egli ha
preparato per gli uomini il banchetto della sua carne e del suo sangue, affinché
fossero saziati e rigenerati dalla sua grazia. Lo ha fatto gratuitamente,
donando tutto se stesso.
LA RICOMPENSA
ESCATOLOGICA
Questo amore sollecita a non rimanere
reclusi entro schemi terreni, imbevuti di egoismo, ma spinge a
considerare fratelli e amici coloro che umanamente
non lo sono, anzi sembrano i
piú lontani.
Conduce a
ritrovarsi tra
gli ultimi,
felice in
mezzo ad essi. Quando Gesú capovolge la prima lista di «
amici, fratelli, parenti e ricchi vicini
», con la seconda, fatta di «
poveri, storpi, zoppi e ciechi
», fa intendere che i secondi prendono il posto dei primi,
per essere considerati veri fratelli, amici intimi,
parenti cari, persone per le quali si ha un’attenzione particolare. Le
medesime cortesie e premure che si
usano quando si invita in casa un
ricco o un familiare, devono essere applicate, con la stessa dedizione,
nei confronti di un povero, che diventa il fratello, l’amico più caro, il
parente piú stretto. L’amore vero costruisce legami ben piú forti e
robusti di
quelli stabiliti
dalla carne.
Il Maestro precisa il tempo in cui chi ama otterrà la ricompensa e segnala il
luogo dove la deve ricercare: «
alla risurrezione dei giusti
», nella vita che germoglierà dopo questa vita terrestre. In effetti la carità
autenticamente libera e gratuita non può restare impigliata neanche entro i
confini dell’esistenza storica, perché sarebbe da questi condizionata e
delimitata, non potrebbe piú avere la purezza e la gratuità totale. Essa deve
sfociare nell’infinità del tempo e dello spazio, deve cioè combaciare con
l’amore divino. Per questa ragione la carità cristiana si sorregge e si alimenta
nella fede e nella speranza: la fede
consente di riconoscere
nei poveri gli amici e i
fratelli più cari, la
speranza permette
di amarli
senza alcuna
misura né
compromesso. In tal modo essa spazia oltre la morte, nella risurrezione
dei morti, che costituisce il punto
omega, verso il quale tutto converge e
al quale
occorre mirare.
Non è
giusto neppure
che al
posto di
un calcolo
terreno di
utilità e di provvigione,
subentri un
continuo sbirciare
l’andamento dei
conti celesti; sarebbe di nuovo una delimitazione
dell’amore puro.
Con fede
e speranza l’uomo
deve guardare
al banchetto
messianico, alla mensa del Regno, come fa intendere Luca quando
parla di colui che è «
Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!
» (v. 15). Infatti i privilegiati,
che entrano alla cena e accolgono l’invito del
Regno, sono
proprio loro:
«
poveri, storpi,
ciechi, zoppi
».
LA
DIALETTICA
DELL’AMORE
Il contesto del brano analizzato può offrire aiuto. Esso viene inquadrato e
incastonato entro i vv. 1-24, del capitolo 14, che formano un’unità letteraria,
composta di quattro parti. In comune c’è una mensa attorno alla quale si trovano
molte persone e anche Gesù vi si è accomodato. Quella esaminata oggi è la terza.
Gesù prende occasione da queste circostanze conviviali per esporre le sue
riflessioni e ammaestrare i commensali. A più riprese condanna il contegno
egoistico, anche se ammantato di ospitalità e di sentimenti apparentemente
legittimi.
Il cuore di chi vuole sedere a mensa con il Signore nel suo regno dev’essere
orientato verso lo stato più umile.
L’accoglienza amorosa degli ultimi avrà come traguardo la ricompensa nella
risurrezione dei giusti, con l’ingresso nel regno di Dio.
Nel regno escatologico colui che invita a partecipare al banchetto è
unicamente Dio. Ciascun uomo è chiamato a entrarvi se si è fatto ultimo,
stando in mezzo agli ultimi con i quali ha fatto comunione e nei quali ha
riversato il suo amore.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
ECCO, IO STO ALLA PORTA
E BUSSO
Ti abbiamo invocato per tutto l'Avvento, Signore :
"vieni, Signore Gesù!".
E ora vieni,
vieni nei nostri cuori che diventano casa tua.
E se ti doniamo le chiavi di casa del nostro cuore,
ci lasciamo accogliere nel nostro stesso cuore
dalla Santa Famiglia,
divenuta nostra famiglia,
poiché la povera capanna
che noi siamo
è divenuta Casa del Signore.
|
E se siamo casa e
tempio di Cristo
siamo solo uno spazio,
un vuoto che Lui può riempire, che può cambiare,
trasformare, modificare
come piace a Lui.
Fai di noi, Signore, una "Betlemme",
una "Casa del Pane",
in cui Tu, Bambino e Dio,
Pane del Cielo,
possa abitare, risplendere,
essere adorato
e diffondere ovunque la tua Grazia.
(Chiara
Bertoglio – Un minuto con Dio) |
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci
precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo
mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre
Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti
i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi impegno a
vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il
cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica
del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di
lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(tratto
da Lectio sul Vangelo di Luca proposte in parrocchia)
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