Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Tu sei qui, Gesù, vicino
a me, a noi;
non sei un Dio lontano,
non sei lontano alle nostre vicende umane,
sei solidale con noi
in modo impensabile,
perché sei il Dio-con-noi. |
Hai preso la nostra
stessa carne umana
per farci partecipi
della tua vita e della tua pace.
Ogni giorno, fosse pure il più duro,
è carico della tua presenza.
Grazie, Gesù! |
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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“Le donne sono quelle del Vangelo di Luca;
la gioia è quella che scaturisce dal loro incontro con Gesù”
Proseguiamo la preghiera suggerita da alcune lectio tratte da episodi del
Vangelo di Luca, nelle quali il filone comune è la GIOIA DELLE DONNE CHE
INCONTRANO GESU’.
Oggi lasciamoci toccare da Anna, dalla sua particolare capacità di profetare, di
essere testimone, di essere dispensatrice di speranza,…
Queste riflessioni sono liberamente tratte da alcune lectio di don Davide
Caldirola, della Chiesa di Milano.
Buona meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
(Luca
2,36-38)
36C’era
anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto
avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio,
37era
poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal
tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
38Sopraggiunta
in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti
aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
Anna: la fedeltà nell’attesa
(Luca 2, 36-38)
La parola spezzata
La prima cosa che Luca ci dice di questa donna anziana è che si tratta di una
profetessa:
“C’era anche una profetessa, Anna”. Eppure Anna non ci lascerà
nessun oracolo diretto: di lei non viene riportata nemmeno una parola. La cosa
forse ci lascia stupiti. Il profeta è uno che parla: parla «davanti a», «in nome
di», «a favore di»,... La parola è la sua arma, il suo attrezzo di lavoro. E se
per caso (o per volere di Dio) - come ad esempio capita a Ezechiele - diviene
muto, esprime attraverso i gesti l'oracolo che deve annunciare al popolo. Anche
in questo Anna ci delude: nessun segno clamoroso, nessuna azione di rilievo da
ricordare. In che cosa consiste, allora, la sua profezia?
Forse è provando a rispondere a questo interrogativo che troviamo la gioia da
raccogliere dalla sua testimonianza per la nostra vita.
La profezia della preghiera
Anna esprime anzitutto la profezia della preghiera: ”servendo
Dio notte e giorno con… preghiere.”. La forza del suo oracolo sta
nella sua instancabile capacità di pregare. Spesso ci capita di vedere persone
che cercano la preghiera come un rifugio, come una scappatoia che permette di
dimenticare i problemi della vita, come un'anestesia a buon mercato. Anna ci
ricorda che la preghiera ha bisogno della profezia e la profezia della
preghiera.
La preghiera senza profezia (cioè che non nasce da un profondo ascolto della
parola) è una preghiera che chiude, che non fa respirare, che ottunde i sensi e
la mente. Può scadere in devozionalismo.
La profezia senza preghiera è
profezia falsa, autoreferenziale. Non è più parlare «in nome di Dio» ma «al
posto suo», sostituendosi a lui. È annuncio di sé e non di Dio.
La profezia del digiuno
In secondo luogo Anna esprime la profezia del digiuni:
“servendo Dio
notte e giorno con digiuni”. È figura del popolo di Israele che
nel deserto patisce la fame, che soltanto Dio può nutrire, e non è ancora
entrato nella terra promessa. Per questo vive la vita come una continua attesa.
Non è il digiuno dell'asceta, ma del profeta: è segno che induce a riflettere.
Anna col suo digiuno dichiara una mancanza, un'assenza che chiede di essere
colmata, un'attesa che cerca
pienezza e compimento.
La profezia del tempio
Ancora: Anna esprime la profezia del tempio.
“Non si
allontanava mai dal tempio”. Rimane nel tempio, si è affezionata
alle sue pietre; il tempio è diventato la sua casa.
«Ai tuoi
servi sono care le pietre di Sion, li muove a pietà la sua rovina».
Ella è fedele a una casa che Dio ha voluto per sé in mezzo al popolo; è fedele
anche alle rovine di questa casa, non tanto dal punto di vista strutturale,
quanto da quello spirituale («una
spelonca di ladri», lo definirà
Gesù). Accetta di portare addosso le fatiche della fede vissuta in comune, la
pesantezza delle mediazioni istituzionali. Ama il tempio al di là della pochezza
degli uomini che lo frequentano e lo gestiscono (e in 84 anni ne avrà viste di
cose... ). Ci fa pensare alle nostre fatiche ecclesiali, e ci invita a
rileggerle alla luce di questa sua profezia.
La profezia della lode
Ma nello stesso tempo, Anna esprime la profezia della lode:
“si mise
anche lei a lodare Dio”. La sua profezia è il canto. Non ha da
comunicare notizie: vuole soltanto coinvolgere nella gioia. Il suo compito non è
di chiarire o di informare, ma di suscitare il desiderio del ringraziamento. Non
si educa solo attraverso le parole, le spiegazioni, i contenuti...: per aprire
il cuore alla fede si educa anche attraverso la semplicità della preghiera e del
canto. Non tutto va spiegato: la fede non è una sequenza di didascalie, ma un
inno di lode.
La profezia del racconto
Infine Anna ci regala la profezia del racconto:
parla del bambino a tutti coloro che le si avvicinano.
“E parlava
del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”.
Non sappiamo cos'abbia detto di preciso: sappiamo solo che aveva il
desiderio di parlarne.
Non di parlare di
sé che aveva avuto la gioia di vederlo, ma di lui. Non è preoccupata di
apparire, di guadagnarsi una
posizione di prestigio, di vantarsi della fortuna che le era capitata.
Raccontando del bambino distoglie l'attenzione da
sé per centrarla su di lui,
e permette a chi l'ascolta
di cogliere l'essenziale. Quando annunciamo la parola non parliamo di
noi, ma di un Altro.
Dalla mensa della parola, briciole di gioia: la capacità di invecchiare
La prima gioia che ci regala Anna la profetessa è legata alla capacità di
invecchiare:
“Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo
matrimonio, 37era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro
anni.”. Come già per Simeone, che la precede nella narrazione di
Luca, anche per Anna l'età avanzata non significa una fine mortificante ma un
compimento. È l'immagine della persona capace di invecchiare, capace di maturare
una saggezza, un'intuizione, un discernimento che sono tipici degli anziani che
hanno conservato la saggezza. La sua è una vecchiaia gioiosa, lontana da
qualunque forma di malcontento o di tristezza o di rimpianto: piuttosto propensa
agli accenti dello stupore e della lode.
«Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno
vegeti e rigogliosi», dice il salmo.
Frutto di grazia
Questa capacità di invecchiare, come ben sappiamo, non è solo legata a un'azione
o a un'ascesi personale, ma è frutto di una grazia. Non dipende solo da noi, dal
modo con cui ci prendiamo cura del nostro corpo, della nostra mente, del nostro
cuore. Le circostanze della vita ci pongono spesso di fronte a persone
straordinarie che invecchiano malamente entrando nel tunnel senza fondo della
demenza, o di malattie fortemente invalidanti che distruggono la memoria,
deformano il corpo, trasformano il carattere, cancellano i sentimenti.
Quello di invecchiare
bene è un dono da chiedere,
e da cominciare a chiedere presto, senza aspettare. A rigore, ogni giorno
della nostra
vita ci fa più vecchi.
E bisogna cominciare per tempo a prendere coscienza dei cambiamenti del nostro
corpo, dei limiti delle nostre possibilità, delle fatiche che possiamo sostenere
e ci fanno crescere e dei pesi che al contrario ci schiacciano e ci distruggono.
Invecchiare bene significa anche imparare a non pretendere troppo da sé, a non
credersi indispensabili, a lasciare il passo a un altro quando è il momento.
Non è forse vero che la bellezza del viso dei vecchi risiede in quel misterioso
reticolato di rughe, ciascuna delle quali racconta un avvenimento, un dolore,
una nascita, una storia? Si rimane incantati - a volte - di fronte alla
lucentezza dei volti dei vecchi segnati dal passaggio del tempo, dal tremore
della malattia, dallo sguardo sempre un po' umido per la commozione.
Anche la tradizione monastica riserva una particolare attenzione
al vecchio «bello», che ha trovato negli anni il suo posto davanti a Dio
e ai fratelli, che non si è inasprito, che si è quasi trasfigurato col passare
del tempo e degli anni. C'è gioia anche nell'invecchiare. E c'è tanta grazia di
Dio da chiedere con umiltà perché questo possa avvenire.
Nelle nostre comunità
Anche nelle nostre comunità certamente ci sono persone che hanno dimostrato la
loro libertà nel tirarsi da parte. Uomini e donne che erano stati un autentico
pilastro della parrocchia, che poi negli anni hanno gradatamente perso le forze
e le energie sufficienti per continuare a recitare
un ruolo «attivo» in
parrocchia, e con grande libertà hanno fatto semplicemente quello che fanno
molti altri fedeli anziani come loro: la messa quotidiana, il gruppo «Terza
età», le celebrazioni e i momenti comunitari più rilevanti. Mai una lamentela,
una recriminazione, un rimpianto per ciò che non possono più dare o fare. Il
cuore contento, semplicemente felici di esserci ancora, così come il Signore
vuole.
Non è di tutti la grandezza di tirarsi da parte. È segno raro di
una qualità umana superiore,
quasi di santità.
Un esercizio di speranza
Un secondo aspetto della profezia di Anna: a leggere il testo di Luca in maniera
distratta, parrebbe che l'unico giorno di felicità della vita di Anna sia
questo, nel quale finalmente incontra il Signore. Non sembra però questa
un'interpretazione corretta. Certamente la gioia di
Anna è anche quella di chi sa attendere. È una donna
che ha trasformato ogni
giorno della sua esistenza in un
esercizio di speranza.
Gli studiosi dei vangeli ci aiutano a identificare almeno tre caratteristiche di
questa attesa.
Speranza nella redenzione
È anzitutto l'attesa della
redenzione e del riscatto:
“a quanti aspettavano la redenzione”.
A differenza di Simeone che attende la consolazione di Israele, Anna attende la
redenzione. La figura del redentore/riscattatore nell'Antico Testamento è quella
di colui che si prende cura di chi non ha nessun difensore, dell'orfano, della
vedova, di chi ha perso ogni diritto. Non è strano, quindi, che Anna accentui
questo tipo di attesa. La sente viva proprio a partire dalla sua vedovanza, dal
suo essere donna sola, senza casa, senza appoggi, senza nessuno che si prenda
cura di lei:
“era poi rimasta vedova”. È
l'attesa del povero, di chi non ha nulla se non una smisurata fiducia. È
l'attesa purificata da qualsiasi forma di vendetta. In ultima analisi è l'attesa
di chi ha imparato a non confidare nell'uomo perché sa che la liberazione e il
riscatto possono venire solo da Dio.
Speranza di un popolo
In secondo luogo è l'attesa a nome di un popolo sfiduciato:
“a quanti
aspettavano”. Da sempre il popolo di Israele ha attraversato
stagioni di distanza e di sfiducia collettiva. Le vicende storiche ne hanno
raffreddato la fede, l'hanno allontanato dal culto del vero Dio, l'hanno fatto
precipitare in una condizione miserevole. Ma non sono mai mancate, in ogni
epoca, figure che ne hanno sostenuto la speranza, che hanno ridestato e
risvegliato i cuori, che hanno mescolato nelle loro parole giudizio e
consolazione, compassione e rimprovero.
Queste figure sono i profeti. Ritorna ancora una volta la dimensione profetica
di Anna: profeta è colui che tiene viva l'attesa, che suscita la speranza, che
ravviva l'amore,
spesso pagando di persona
con una vita ai margini, segnata dal dolore, dalla sofferenza, da una condizione
a volte perfino drammatica e tragica.
Speranza vigilante di chi “rimane”
Infine è un'attesa vigilante. Anna «sopraggiunge» al momento giusto:
“Sopraggiunta
in quel momento”. La lunga attesa non l'ha sfibrata, non l'ha
stancata. Ne ha affinato i sensi, le ha dato una percezione più profonda del
kairòs, del momento decisivo, dell'istante della rivelazione della grazia. Non
perde l'occasione propizia. È come la vergine prudente che ha portato olio e
lampada, e risponde, e apre alla voce dello sposo. La sua attesa non si è
“appesantita in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita” (come dice Luca
nel capitolo 21). Non si è lasciata prendere dall'ansia. È fondamentalmente
«rimasta»: rimasta nel tempio, rimasta in preghiera, rimasta nel digiuno e nella
fiducia, rimasta .fedele alla propria condizione di vita. È un inno alla forza
del rimanere.
La fecondità possibile
Un accenno veloce, per concludere, a un'altra gioia possibile: quella che fa
riferimento a una «vedovanza feconda»:
“era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro
anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno”.
La lunga vedovanza, sicuramente non semplice da accogliere e segnata dal dolore
della prematura separazione, non ha inasprito Anna. Ne ha fatto un segno
profetico. A suo modo entra a far parte delle donne sterili ricordate dalla
Bibbia che partoriscono per intervento miracoloso. Non si tratta di una
generazione fisica, quanto di una capacità generativa legata allo sguardo, alla
freschezza del pensiero e della mente, alla qualità umana che resta integra col
passare del tempo. Anna non entra nella lunga vedovanza come si affronta una
sfortuna, ma attraverso passaggi sicuramente difficili e dolorosi la fa
diventare occasione di grazia e ci permette di rileggere attraverso la sua
figura la fecondità possibile del nostro stato di vita.
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ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Gesù, tu che sei stato atteso nel tempio
dai santi vecchi Simeone e Anna e hai conosciuto la gioia del loro sorriso mentre ti stringevano fra le braccia,
concedimi il dono di saper accogliere con amore e rispetto le persone anziane.
Come è stato per Simeone e Anna, fà che l’avanzare degli anni non mi renda
succube della nostalgia del passato
ma sempre sia pieno di serenità
e saggezza e goda della consolazione
dello Spirito.
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Donami la grazia di trascorrere
il tempo che ancora vorrai donarmi
a servire e a lodare Dio
nella preghiera.
Aiutami ad accogliere tutti i fratelli, con quella misericordia che si fa
tenerezza, bontà generosa e umiltà.
Rendimi ricco di mansuetudine
e di pazienza,
pronto a comprendere e compatire.
(don Canio Calitri) |
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi impegno
a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò
che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da alcune lectio di don Davide Caldirola, della
Chiesa di Milano)