RITIRO ON LINE - febbraio 2023 |
Venero
la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia
persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla
presenza del Signore che vuole parlarmi.
(S. Agnese - cappellina - Olginate - Lecco)
Se ci capita di pensare
è perché in quel momento
(Chiara
Bertoglio
- Un minuto con Dio)
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INCONTRI DI GESU’ LUNGO LE STRADE POLVEROSE DELLA PALESTINA
In parrocchia recentemente è stata proposta una serie
di Lectio incentrata sugli incontri di Gesù con alcuni “personaggi” colti nella
concretezza della loro vita quotidiana, narrati nel Vangelo di Luca. Sono dei
“ritratti dal vivo”! In questi personaggi si possono riscontrare molti
aspetti presenti anche nella vita di ciascuno
di noi, nonostante la distanza temporale.
Sono spazi di concreta umanità ma anche di
svelamento della verità.
LECTIO
Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
Lc
15,11-32
11Disse
ancora: «Un uomo aveva due figli.
12Il
più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi
spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze.
13Pochi
giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un
paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.
14Quando
ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli
cominciò a trovarsi nel bisogno.
15Allora
andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo
mandò nei suoi campi a pascolare i porci.
16Avrebbe
voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava
nulla.
17Allora
ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e
io qui muoio di fame!
18Mi
alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e
davanti a te;
19non
sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi
salariati”.
20Si
alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse
incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
21Il
figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più
degno di essere chiamato tuo figlio”.
22Ma
il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo
indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi.
23Prendete
il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa,
24perché
questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato
ritrovato”. E cominciarono a far festa.
25Il
figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì
la musica e le danze;
26chiamò
uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo.
27Quello
gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello
grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”.
28Egli
si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo.
29Ma
egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai
disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa
con i miei amici.
30Ma
ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le
prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”.
31Gli
rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo;
32ma
bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è
tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della
Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga
del nostro Ritiro On Line: il grande
silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"
E IL LORO PADRE
La parabola rivela particolarmente lo stato nuovo del
cristiano quale
figlio, un
testo che dovrebbe essere la fonte di tutta la vita cristiana.
Non è solo la rivelazione della misericordia di Dio, come normalmente viene
intesa, ma è la pagina forse più luminosa della realtà della casa del Padre in
cui gli uomini vivono e si sentono figli; è la rivelazione dell’esistere come
figli e di conoscere Dio come Padre.
In essa si scopre il rapporto intimo tra gli uni e l’altro per vivere la gioia e
la bellezza dei figli che si ritrovano nella casa paterna e condividono l’amore
del Padre e la sua ricchezza, nonostante la loro povertà e infedeltà.
LE
TRE
PARABOLE
E’ un testo ricchissimo di spunti. Preparata da altre due brevi parabole, quelle
della pecorella smarrita e della dracma perduta, dove si evidenzia la festa per
il ritrovamento del peccatore convertito, questa del figlio prodigo riprende il
tema dell’esultanza e dell’accoglienza del padre per il ritorno del figlio più
giovane.
Inoltre essa si protrae nell’analisi dell’atteggiamento di opposizione e di
stizza del figlio più anziano nei riguardi del padre.
Ogni personaggio della parabola possiede una propria configurazione che lo
definisce e lo caratterizza in modo personale e distinto.
L’ANIMO
FILIALE
DEL
PRODIGO
Il figlio minore si sente veramente figlio e come tale agisce. Per questo chiede
con decisione e con forza la sua parte di eredità, poiché il figlio lo può fare,
proprio perché è figlio, compartecipe dei beni del padre.
Egli parte dalla casa paterna perché si sente figlio libero e non servo. Il
servo o il garzone non si allontana mai dal proprio lavoro e dal padrone, se non
per trovare una condizione più favorevole e un altro capo a cui sottomettersi
devotamente.
Il figlio più giovane ormai si sente autonomo, vuole percorrere la sua strada di
indipendenza e vivere in piena libertà la sua vita, come ogni figlio che
raggiunge l’età matura. Non si separa dal padre perché si sente oppresso o
schiacciato dall’ambiente familiare. La lontananza dal genitore non
necessariamente provoca la perdita di comunione con lui né è causata da una
ribellione contro la sua persona.
IMMATURO
Nella sua esperienza di autonomia, il figlio disgraziatamente non sa organizzare
la vita da uomo libero, si dimostra immaturo; sperpera ogni cosa ricevuta in
eredità dal padre, comportandosi in modo da perdere la possibilità di salvezza,
e finisce nella miseria; è costretto a vivere non più nel decoro e nella dignità
del figlio, ma come garzone, umiliato e asservito, mancante delle più elementari
necessità per mantenersi decentemente.
IL
MASSIMO
DELL’IGNOMINIA
L’unico lavoro che riesce ad ottenere è quello di pascolare i porci.
Nell’ambiente giudaico non esisteva cosa più vergognosa di pascolare i porci, di
stare continuamente a contatto con questi animali impuri. Viene a crearsi una
situazione paradossale per il giovane figlio: da una parte desidera, affamato
come si trova, nutrirsi del cibo destinato ai porci, dall’altra nessuno si cura
di procurarglielo quasi non fosse degno neanche di quel miserabile alimento.
Niente di più avvilente sotto tutti i punti di vista: fisico, sociale e morale.
COMINCIA
LA
RISALITA
Ma proprio quello stato di estrema miseria e di intima mortificazione
costituisce un’occasione di scuotere e risvegliare il suo animo, di ritrovare la
sua dimensione filiale che gli suscita un fremito di speranza. Allora si ravvede
e si rende conto che è meglio tornare dal padre senza tante pretese, ma almeno
per stare presso di lui come salariato. «Allora
ritornò in se»
coincide con il risentire il calore della casa del padre, dove si vive bene,
infatti «
anche i salariati hanno pane in abbondanza».
Decide così: «
andrò da mio padre
» non per sfruttare la bontà paterna, poiché non pretende di essere trattato
come figlio, ma è disposto a mettersi a disposizione del genitore per servirlo
in modo responsabile come uno dei suoi dipendenti.
Sarà il padre ad accoglierlo non come garzone, ma a trattarlo come figlio.
L’amore paterno, come si vedrà, supera di gran lunga le aspettative del giovane.
Di fronte al padre egli sinceramente si riconosce infedele, colpito dall’amore
del padre offeso dalla sua ingratitudine. Il figlio ne sente tutto il rimorso e
il dispiacere e ne soffre profondamente. E’ deciso quindi a confessarsi
sinceramente al padre, in tutta verità: «Ho
peccato verso il cielo e davanti a te!
», senza simulazioni o sottintesi. Non cerca giustificazioni per ridurre la sua
colpa, riversandola magari sugli amici o sulle circostanze. É leale e non si
vergogna di essere un disgraziato, perché sa che il padre lo comprende. É
convinto che il genitore lo accoglierà, nonostante la sua infedeltà e la sua
sfacciataggine, poiché il cuore del padre va al di là di ogni cattiveria del
figlio.
Il figlio minore perciò vive del sentimento filiale, anche nell’esperienza
dell’errore; è toccato profondamente dal suo essere figlio amato dal padre e
facente parte della stessa casa.
LO
SPIRITO
SERVILE
DEL
MAGGIORE
In contrapposizione all’atteggiamento del minore, il figlio maggiore non si
rende conto di essere figlio vero, manifestando una profonda durezza di cuore.
Quando nella casa si inizia la festa, egli si trova al lavoro «nei
campi».
Mentre sta ritornando ed è vicino a casa, egli si arrabbia, «e
non voleva entrare»,
dopo che ha sentito i suoni, e chiede informazioni a un servo. Anche il
particolare è significativo: chiama un servo per sapere cosa succede e non
affronta direttamente il padre. Questo perché non sente sua la casa paterna,
quasi fosse un estraneo timoroso di entrare.
CHIEDE
INFORMAZIONI
ALLA
SERVITU’
Rivolgendosi a un servo per sapere ciò che sta succedendo in casa, egli riceve
notizie in conformità al cuore e alla mente del servo, il quale sottolinea
soprattutto il particolare del vitello grasso ammazzato. Le notizie riportate
sono vere, ma incomplete, perché il salariato non riesce a vedere e scoprire
l’animo di un padre di fronte al ritorno del figlio. Comprende soltanto il fatto
materiale di mangiare un vitello grasso e di sfamarsi a sazietà.
Il figlio anziano poi, rispondendo al genitore, non lo chiama con il nome di
padre, come aveva fatto ripetutamente il fratello più giovane. Si rivolge con
l’espressione: «Ecco»,
cioè “vedi”. Espressione piena di freddezza e di distacco. Egli invita il padre
a considerare e “vedere” la sua situazione, facendo valere i propri diritti,
come se il padre non si accorgesse di lui, non lo “vedesse” e amasse solo
l’altro.
TI
“SERVO”
DA
ANNI
Afferma poi esplicitamente di essere un servo quando dice: «Ti
servo da tanti anni»,
come uno che lavora, anche assiduamente, per il salario o per la stima del
padrone, non già nell’amore di figlio. Da qui la ragione della sua gelosia,
sentimento proprio di colui che non ama il fratello e non si sente amato dal
padre. In effetti non ha capito niente del cuore di suo padre e della comunione
di vita nella famiglia.
«Tutto
ciò che è mio, è tuo
», gli dice il padre, quasi per invitarlo a non temere né ad agitarsi, ma a
sentirsi parte viva della casa, a condividere lo stesso bene, che appartiene
ugualmente al genitore e ai figli. Non vede nel proprio lavoro l’opera
determinata dall’interesse comune per il bene di tutti, ma un peso impostogli
come a uno schiavo. Si è infatti sempre attenuto agli ordini del padre, visti e
sopportati come norme esteriori, non come un aspetto essenziale della comunione
familiare. Vorrebbe cercare la felicità in piccole ricompense e nelle feste con
gli amici, mangiando con essi un capretto. Ma di fatto non gusta neanche di
queste cose, per paura di farne richiesta al padre e, forse, di averne una
risposta negativa, come se quelle cose non gli appartenessero. Non ha percepito
l’intesa col padre come fonte di gioia e di libertà.
D’altra parte egli si ritiene fedele, diversamente dal fratello, che giudica
indegno dell’amore e dell’accoglienza paterna. Non condivide minimamente la
misericordia del padre, anzi la considera ingiusta o almeno ingenua, addirittura
vuole insinuare nell’animo paterno un senso di repulsione per l’altro figlio.
VISUALE
LIMITATA
Il
maggiore
non
è
un
figlio,
sebbene
stia
nella
casa
del
padre
e
compia scrupolosamente tutti i doveri quotidiani. Non vibra dell’affetto
filiale, ne resta fuori, amareggiato e solo. La sua visuale è limitata, vedendo
il comportamento paterno solo sul piano dei beni esteriori, poiché ha fatto
ammazzare il vitello grasso, mentre a lui non ha dato mai un capretto.
Non riesce a intuire le vibrazioni del cuore del padre. Si nota così una strana
compresenza in lui di due impulsi contrastanti: per un aspetto si comporta e
vive con sentimenti di servo, per altro pretende di essere considerato come
figlio. Però di fatto non prende né i vantaggi del figlio né quelli del servo.
Per questa ragione non si degna di entrare in casa per mangiare, in quanto come
figlio non condivide la comunione e come servo non approfitta di questa ottima
occasione.
BRAVI
SERVI, MA
NON
FIGLI
In questo modo Gesù smaschera l’atteggiamento farisaico dei suoi ascoltatori,
non solo contemporanei, ma di tutti i tempi. I discepoli, in effetti, possono
cadere nel medesimo comportamento del primogenito: essere fedeli e bravi servi,
ma non figli aperti all’amore. Pur vivendo continuamente nella casa del Padre,
se non ne condividono sinceramente tutte le dimensioni dell’amore, che alle
volte rasentano la paradossalità, restano schiavi della paura, chiusi in se
stessi, nella gelosia verso gli altri, nelle tensioni e nella insicurezza del
cuore.
LA
FIGURA
AMOROSA
DEL
PADRE
Meravigliosa e sconvolgente è la persona del padre. La può accogliere solo chi è
povero e si lascia amare, altrimenti diventa impossibile. Non sempre l’uomo è in
grado di intendere i gesti del padre, il suo intenerirsi, il correre incontro a
quello scapestrato, stringerlo al collo e baciarlo. Spesso l’uomo è incapace di
accettare quelle braccia spalancate in un gesto smisurato di perdono e di
resistere alla tentazione per ridurne l’ampiezza. Da qui l’esigenza di capire
come solo quell’amore sconfinato, al di là di ogni misura e di ogni regola,
possa portare con sé la forza e la dolcezza di guarire ogni male, di redimere
ogni scelleratezza, di ridare vita e felicità.
…CON
IL
FIGLIO
MINORE
Nei riguardi del figlio minore, il padre non fa resistenza alla richiesta
dell’eredità, ma lo lascia andare senza lamentele, cedendogli la parte dei suoi
beni.
Un benpensante si aspetterebbe forse qualche ammonimento, qualche parola per
dissuaderlo, anche con la forza dell’autorità paterna; invece, quasi fosse un
debole, il padre acconsente subito e asseconda i desideri del figlio. L’amore
vero si arrende davanti alla libertà, preferisce non imporsi dal di fuori, ma
confidare nella potenza del cuore e rispettare le movenze intime di ciascuno.
Dopo le amare esperienze, quando il figlio ritorna,
lo vede da lontano. Il sentimento che prova non è di rancore o di collera, ma di
sincera
compassione
per il figlio, finito in così grande penuria.
Il termine «compassione»
è utilizzato da Luca in altri due passi significativi: quando Gesù sente
compassione vedendo la vedova di Nain, che porta alla sepoltura il suo unico
figlio morto; quando la medesima compassione viene provata dal samaritano di
fronte all’uomo incappato nei briganti e lasciato mezzo morto.
Si tratta sempre di un compatimento per situazioni di morte, ma capace di
ridonare vita e risurrezione. Anche in questa parabola il figlio «era
morto ed è tornato in vita».
L’amore e l’accoglienza del padre ridonano vita al giovane che aveva perduto la
sua realtá filiale ed era come morto
lontano
dalla
famiglia.
AMORE
SMISURATO
Gli corre incontro. Per una persona di una certa dignità è inconcepibile
mettersi a correre, ma per il padre, mosso dall’amore, ogni distanza deve essere
superata al più presto. Gli si getta al collo e lo bacia, come se nulla fosse
accaduto, senza un rimprovero, pur giusto e doveroso, senza un gesto di
rammarico o parola dura. É pronto ad ascoltare la confessione della colpa da
parte del figlio, senza sospettare se sia sincera o dettata da comodo
opportunismo.
Rivela la grandezza smisurata dell’amore che si chiama misericordia, la quale
supera ogni reticenza e ingratitudine umana; non guarda alla corrispondenza
dell’altro né ai propri interessi, ma ama semplicemente e totalmente, perché
quello che conta e che vale è l’amore, non i risultati apparenti o le
soddisfazioni personali. Guarda il momento presente, l’evento meraviglioso che
si attua: il figlio era come morto, ora è ritornato in vita. E’ tutto proteso ad
assaporare la certezza che suo figlio è di nuovo con lui e può di nuovo vivere
felice.
SUPERIORE
ALLE
ASPETTATIVE
DEL
GIOVANE
Nella contentezza di aver ritrovato il figlio, il padre non gli lascia il tempo
di esprimere tutto quello che il giovane aveva pensato di dire. Ascolta le
parole che esprimono il sincero riconoscimento della colpa, ma non gli consente
di pronunciare l’ultima parte della dichiarazione: «Trattami
come uno dei tuoi salariati».
Si ha l’impressione che lo voglia bruscamente interrompere, per dar sfogo alla
premura di non inserirlo tra la servitù, ma di riprenderlo immediatamente come
figlio. Si manifesta un amore superiore alle aspettative del giovane, il quale
prevedeva e si accontentava di essere annoverato tra i salariati.
NUOVA
CREATURA
Il padre ordina ai servi di rivestirlo. Lo adorna degli abiti nuovi, perché
divenga nuova creatura, acquisti nuovamente la fisionomia del figlio e torni a
far parte della famiglia. E’ la generosità dell’amore, che rinnova e purifica
anche le cose peggiori, trasforma e vivifica anche ciò che è freddo e morto.
L’amore vince su tutto e tutto redime.
Infine fa festa nella gioia di chi ama e gode solo nel godere dell’altro e nel
vederlo felice. La gioia del figlio è la sua gioia e deve essere la gioia di
tutti.
FIGLIO!
Il padre dimostra uguale disponibilità anche verso il figlio maggiore da cui
viene giudicato e rimproverato. A un modo usuale di pensare sembrano giuste le
rimostranze di questo figlio, sempre fedele e ligio ai propri doveri, che
tuttavia non conosce il cuore del padre, non ne percepisce i palpiti più
sottili, né tantomeno ne condivide lo spirito. Eppure il padre esce a pregarlo
con l’umiltà e la pazienza dell’amore, che non condanna, ma fa ogni tentativo.
A lui, che ha parlato del suo dovere di servo, il genitore si rivolge con
l’espressione tenera di «figlio»,
come per ricordargli il suo stato filiale e invitarlo alla confidenza. E
aggiunge: «Tu
sei sempre con me».
Sono parole molto eloquenti per evidenziare la costante unione che intercorre
tra padre e figlio, quale valore supremo e insostituibile per vivere nella pace
e nell’esultanza. «Tutto
ciò che è mio, è tuo»,
prosegue, per rimarcare la fusione nell’amore che non riserva niente per sé, ma
tutto diventa donazione agli altri. Il figlio deve rendersi conto che può
disporre di tutto quello che possiede il padre come fosse suo, poiché l’affetto
paterno non conosce altro scopo che quello di comunicare tutti i suoi averi al
figlio. Poi lo invita a fare festa per il fratello ritrovato, superando ogni
pregiudizio, poiché l’amore è aperto e universale.
TUO
FRATELLO
Gli fa intendere che non è rientrato soltanto suo figlio, quasi che la festa
fosse esclusiva del genitore, ma è ritornato «tuo
fratello»,
precisa giustamente il padre. Ciò significa anzitutto che il maggiore non deve
sentirsi servo e quindi escluso dalla festa familiare.
Il padre tende a conquistare il cuore di questo figlio e vorrebbe comunicargli
il proprio spirito, renderlo partecipe del medesimo amore. Ma non è impresa
facile da conseguire. L’uomo è portato a vivere da servo più che da figlio,
sebbene ricerchi ansiosamente l’amore e la libertà, con uno strano paradosso:
quando il vero amore gli è donato gratuitamente e totalmente, egli tende a
chiudersi e a rifiutarlo.
ESSERE
FIGLIO
La verità è che solo se l’uomo accoglie la dimensione
vera dell’amore ed entra semplicemente in essa, può vivere la realtà cristiana
dell’essere figlio di Dio; altrimenti
rischia di restarne fuori, portando nel profondo di se stesso l’amarezza di un
amore non vissuto, pur se desiderato.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Signore che chiami,
mi coinvolgi nella tua vita,
la vita di Dio che diventa mia,
e ogni istante può colorarsi
di cielo e di infinito.
Mi inviti e mi sproni
ad aprire le mani
per poter accogliere
e scaldare altre mani,
altri cuori.
|
Mi chiami, mi chiami,
mi chiami ancora:
tutto è ricamo d’amore,
tutto è dono della vita
perché il mondo creda
e ti incontri finalmente,
Signore e Salvatore.
(Luca Rubin – Un minuto con Dio) |
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci
precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo
mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre
Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti
i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi
impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita.
Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al
momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(tratto
da Lectio sul Vangelo di Luca proposte in parrocchia)
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