RITIRO ON LINE                                                                                                   
febbraio 2018

                                                                                                                                                                                                                                                

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

Donami sempre il tuo aiuto, Signore,
 
perché sappia riconoscere
che nulla fermerà la tua bontà

e
il tuo amore disarmante e disarmato.
 

 Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

 

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Se tuo fratello commetterà una colpa

 La lectio di questo mese è liberamente tratta da una catechesi di padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese, inserita negli “INCONTRI CELIMONTANI 2017-2018”  sul tema

“IL CARCERE E LA GIUSTIZIA: REDENZIONE E RICONCILIAZIONE?”

Buona meditazione e buona preghiera.

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.  (Matteo 18,15-17)

 

15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !  Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

La correzione fraterna      (Matteo 18, 15-17)

 

Nel Capitolo 18 del Vangelo di Matteo l’Evangelista cerca di rispondere all’insieme dei problemi che nascono in una comunità con riferimento all’insegnamento e alla proposta vitale di Gesù di Nazareth.

Nei versetti 15-35 c’è un approfondimento a proposito di un problema particolare: «Se tuo fratello commetterà una colpa» (Mt 18,15), sempre con riferimento all’insegnamento e alla vita di Gesù!

Sono pagine che conosciamo tutti. Il quadro che ci presenta Matteo è comunque un quadro molto più complesso di quanto può apparire ad una lettura superficiale. Intanto bisognerebbe tener conto di tutto ciò che lo ha preceduto e soprattutto della conclusione: «il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Mt 18,14).

 

Guadagnare il fratello

E in realtà il tema fondamentale di tutto il brano di questa lectio concerne il “recupero”, o meglio ancora il “guadagno”, che deve cercare di ottenere la comunità quando è posta di fronte alla “perdita” di uno qualsiasi dei suoi membri. Infatti: «se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello» (cfr. Mt 18,15b), cioè lo avrai reintegrato ai novantanove che erano rimasti nella comunità.

Guadagnando tuo fratello hai permesso che si realizzasse nella comunità la volontà del Padre, che non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli. E i piccoli sono i piccoli fragili dal punto di vista morale. Chi ha peccato è un fratello che non ha centrato l’obiettivo.

 Il comportamento da tenere con un fratello che “commeterà una colpa contro di te” comporta, secondo le indicazioni di Matteo, tre fasi successive.

  

Dagli una mano

La prima fase comporta un coinvolgimento personale: dagli una mano, ammoniscilo, ma con delicatezza tra te e lui soltanto “va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello”. Se sarai riuscito a convincerlo, avrai recuperato, guadagnato il tuo fratello. Agire con delicatezza significa dirgli: “Guarda, non hai centrato il bersaglio; forse anch’io mi ritrovo in situazioni analoghe in tante altre situazioni, ma questo caso riguarda te personalmente: non hai centrato il bersaglio. Non potremmo ri-fare il tentativo di tirare di nuovo l’arco e tentare di far cogliere l’obiettivo alla freccia”?

 

Al mio insuccesso, chiedo aiuto

Può succedere, purtroppo, (“se non ascolterà) che, nonostante tutta la carità, tutta la delicatezza, non riusciamo a portare il fratello a centrare l’obiettivo  e quindi ad essere di nuovo reintegrato nella comunità, realizzando così la volontà del Padre. Quel “non ascolterà” non è un’occasione per colpevolizzare ma piuttosto è una presa d’atto della propria incapacità a convincere il fratello!

È una contestazione delicatissima che mette colui che ha avvertito la colpa di un fratello, in condizioni di constatare non solo la colpa dell’altro ma anche la propria limitatezza. Da qui l’ovvia necessità di chiedere aiuto:

«prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni » (Mt 18,16).

Il Deuteronomio ne parlava già con riferimento ai processi che si facevano all’interno di Israele. Ma qui questa esigenza è fondata sulla necessità di rispondere alla volontà del Padre “che non vuole che si perda neppure uno” di coloro che sbagliano. I due-tre testimoni sono importanti, perché sappiamo che i testimoni possono determinare la morte o la vita di chi è accusato.

Dovrebbe essere chiaro comunque, da ciò che abbiamo già detto, che la volontà del Padre è che non si perda neppure uno.

 

Coinvolgo la comunità

Il testo prosegue: «Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità» (Mt 18,17a).

Dunque neppure con l’aiuto di testimoni si raggiunge lo scopo della reintegrazione di chi ha sbagliato all’interno della comunità. Un fallimento bruciante non soltanto di chi si è mosso per primo, ma anche di chi è stato coinvolto con la sua testimonianza a mettere in grado chi ha sbagliato di recuperare l’amore.

Apparentemente sembra che venga evidenziata la colpa di chi ha peccato, dal momento che non solo si è negato al fratello che lo ha accostato con estrema carità, ma si è negato anche ai testimoni che si sono aggiunti al suggerimento del fratello. Ma se si trattasse solo di questo saremmo ancora alle prese con un processo giuridico.

Sappiamo però che il diritto non riesce a entrare nell’intenzione profonda di chi ha commesso una colpa, perché giudica de externis. «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio» (Gv 19,7).

Così accadde a Gesù il quale, con simile criterio giuridico, fu condannato a morte e finì crocifisso. Se noi utilizziamo lo stesso criterio che non vede, non tocca la delicatezza, l’amore, la condiscendenza, la compassione del Padre, e ci comportiamo seguendo unicamente la legge in quanto tale, non dimentichiamoci che la legge uccide, ma non dà la forza di cambiare. La legge in sé stessa può anzi perfino irrigidire nel peccato, perché mette di fronte alla colpa, al peccato, ma non ha la forza di liberare nessuno se non fa spazio allo spirito della legge che si identifica con la volontà del Padre, il quale non vuole che neppure uno dei suoi figli si perda.

  

Occorre “un fuoco aggiuntivo”

Quindi anche l’incapacità di questi due o tre testimoni chiamati in aiuto può essere paragonata a quella del primo fratello, che aveva incontrato da cuore a cuore l’altro, cercando di reinserirlo nella comunità e aveva ammesso di aver bisogno di un fuoco aggiuntivo per sciogliere il ghiaccio in cui era imprigionato il cuore del suo fratello.

Da qui la necessità di coinvolgere l’assemblea, la comunità. Coinvolgere tutti significa mettersi d’accordo con amore per riuscire a scaldare il cuore del fratello. Un pezzo di ghiaccio si scioglie soltanto di fronte al calore, non di fronte alla spada; anzi, resiste di fronte alla spada, e la fa andare in frantumi. L’unica strada è l’amore.

Finché si resta all’interno della legge non c’è possibilità di scardinare il peccatore abbarbicato al suo banco, come Matteo il pubblicano.

 

Chi è “IL” pagano?

Il testo prosegue: «se non ascolterà neanche la comunità, (allora) sia per te come il pagano e il pubblicano» (Mt 18,17).

La traduzione italiana ‘CEI 2008’ è fedele al testo Greco che dice: “il” pagano, “il” pubblicano. Ed è proprio su questa presenza dell’articolo che si deve porre attenzione. Nel suo Vangelo Matteo ha già raccontato del pagano che sollecitava l’intervento di Gesù in favore del suo figlio. E sappiamo che Gesù restò in quel caso a bocca aperta dichiarando: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! » (Mt 8,10). 

Il pubblicano è poi chiaramente Matteo stesso, così legato, così radicato, così avvinghiato al suo banco di interessi, che c’era voluto lo sguardo di Gesù, e l’invito esplicito di Gesù: “Segui me!” (cfr. Mt 9,9) per scardinarlo e liberarlo dalla sua prigione. Eventi che permetteranno a Gesù di confrontare con parole durissime i ricchi che avevano strappato l’obiezione dei discepoli: « Allora, chi può essere salvato?» (Mt 19,25), ma aprendo un varco impensabile per i criteri umani: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile» (Mt 19,26).

 

Cosa è mancato?

Allora dobbiamo concludere che al primo, al secondo gruppetto e all’insieme della comunità è mancata quella apertura all’onnipotenza della benevolenza, della misericordia e del calore d’amore, che invece era presente nella parola di Gesù.

(un’interpretazione, questa, assolutamente diversa da quella che è stata inserita nel Codice di Diritto Canonico, che parla delle tre istanze del processo passate perfino nel processo civile, che distinguono tra Assise, Appello, Cassazione, ma che prescindono dall’onnipotenza dell’amore di Dio).

 

Il nostro limite, la nostra speranza

E’ ovvio dunque concludere che se la comunità ammette la sua incapacità, a chi si può affidare se non all’onnipotenza di Dio? Ma questo significa apertura ad oltranza alla speranza, non condanna a morte! E significa anche, per la Chiesa, ammissione del proprio limite, ammettendo che perfino in essa può essere presente il peccato di una mancanza di amore che soltanto il riferimento alla misericordia del Padre può completare.

Il peccato è, anche, presenza nella comunità di questo limite che spesso si traduce in incapacità a sciogliere il ghiaccio del cuore del fratello, per reinserirlo nella comunità. E tuttavia questo non comporta mai perdita della speranza, perché ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio.

Si può aggiungere che ci sono qui le fondamenta di una continuità dell’amicizia, di una continuità della relazione col fratello “peccatore”,  perché Gesù è venuto non per i giusti ma per i peccatori.

Tutto si gioca sulla permanenza della speranza, ma anche sulla constatazione che, per quanto noi, in quanto Chiesa, crediamo di essere una socìetas  perfetta, non lo siamo. Una bella notizia per noi! Gregorio di Nissa diceva: “Sapete in cosa consiste la perfezione? Nell’essere profondamente convinti di non poterla raggiungere mai”.

 

Peccato e peccatore; legge e cuore; oggetto e persona

Forse Matteo ci sta proprio suggerendo una consapevolezza di questo tipo, che ci permette perciò di distinguere tra peccato e peccatore, che è una distinzione fondamentale. È chiaro infatti che se tu scrivi “La legge è uguale per tutti” non te ne importa nulla del peccatore, ma ti importa semplicemente esprimere un giudizio di condanna o di assoluzione, basato sui fatti, perché i fatti sono la verità processuale. Il che non significa però ignorare che il cuore e l’intenzione di una persona umana sono conosciuti unicamente da Dio.

Tutto questo ha delle conseguenze serissime, perché se uno, di fronte alla verità dei fatti, viene condannato, viene trattato ineluttabilmente come un oggetto. Non è più, di fatto, una persona capace di cambiare vita. Lo possiamo negare a parole ma lo dicono appunto i fatti.

 

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ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

Concedimi, Signore, la grazia

di saper accogliere tutti,

così come sono,

con i loro pregi e le loro limitazioni,

senza giudicarli se sbagliano,

pronto al perdono quando peccano,

disposto ad andare loro incontro

se si allontanano dal tuo vangelo

smarrendosi tra le nebbie

di vite tribolate.

 Donami, ti prego,

un cuore e uno spirito nuovo

che mi rendano sensibile

alle necessità e alle debolezze

dei fratelli.

(don Canio Calitri)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.  È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,  

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!  

 

(spunti liberamente tratti da una lectio di padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese)