RITIRO ON LINE                                                                                                   
febbraio
2011  

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.

 

Sono in silenzio,
davanti a Te,
senza parole,
rumore o suono,
per lasciare lo spazio
e il tempo
in cui Tu ti rivelerai
e il mio spirito
sarà inebriato
dalla Tua Presenza.

 (da “Hai un momento, Dio?”)

 Veni, Sancte Spiritus

Veni, per Mariam.

  

 

PREMESSA   -   La terra: interlocutore e dimora del Verbo

 

La terra è fin dal principio della storia della salvezza il destinatario della paro­la proveniente da Dio; a un certo momento essa diventa il luogo in cui questa Parola fatta carne si attenda, il luogo in cui il Verbo di Dio stabilisce la sua dimora: «La Parola si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi». Non solo la terra è interlocutore della parola divina, ma di­viene sua abitazione stabile: il Verbo di Dio, per parlare al­la terra, sceglie di stare in essa. 

 

Se la terra è anche per noi interlocutore privilegiato, può essere utile allora ripercorrere i primi passi della Pa­rola, gli anni dell'infanzia di Gesù, presentati come un per­corso attraverso varie terre, scandito dall'allontanamento dalla patria, dalla permanenza in un paese straniero, fino al ritorno e alla dimora stabile.

 

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO   Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.  (Matteo 2,13-23)

 

13Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».

14Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.

16Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. 17Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

18Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande:

Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.

19Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. 22Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITAZIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !   Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.

Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

  

 

 

IL TESTO    -   Unica certezza: una promessa

 

In primo piano un lasciare; il testo si apre con un riferimento ai Magi (essi erano appena partiti), a coloro che si sono separati dalla propria terra, attraversando altri luoghi da Oriente per cercare; infatti essi "domandavano”.

 

Questi viaggiatori si "ritirano" e il testo lascia spazio a un altro viaggio: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre,e fuggi in Egitto». L'invito rivolto a Giuseppe suona come «Svegliati!». Si tratta di un verbo evocativo nel Nuovo Testamento: è lo stesso imperativo che Gesù rivolge al paralitico che giaceva sul lettuccio; può indicare anche la resurrezione, quella di Gesù, ma anche quella della figlia di Giairo  o del figlio della vedova di Nain, cui viene indirizzato lo stesso comando rivolto a Giuseppe: «Alzati!». Si fa riferimento, dunque, a un cambiamento di stato radicale, così radicale come è il passaggio dalla morte all'esistenza.

 

In questo risveglio alla vita, Giuseppe è chiamato ad abbandonare il suo sonno e a prendere con sé il bambino e sua madre. Egli che aveva già preso con sé «Maria sua sposa», adesso è invitato di nuovo a farsi carico di colei che è diventata madre insieme con quel figlio che egli ha chiamato Gesù, cioè «Dio salva».

 

C'è un mutamento in atto, un intervento di Dio che passa attraverso la vita di un bambino, il quale racchiude il futuro di un intero popolo. Giuseppe porterà con sé nella persona del figlio questa promessa di avvenire, lasciando tutto il resto indietro.

 

Se solitamente si costruisce un futuro solido essendo ben radicati in una terra, questa volta lo si deve custodire e costruire in maniera paradossale, fuggendo dalla propria terra - per giunta quella della promessa - verso l'Egitto, luogo tremendo e attraente allo stesso tempo per Israele, luogo in cui si può aver salva la vita o trovare la morte.

 

Esso, infatti, può significare la salvezza, come per Giuseppe, il figlio di Giacobbe, e con lui per un'intera nazione, che là troverà cibo e sostentamento durante la carestia. Ma da luogo di vita, il paese viene ad assumere le sembianze della terra di prigionia, dalla quale solo il Signore potrà liberare; un luogo ambiguo, presago di morte e schiavitù, verso il quale Israele si sentirà inesorabilmente attratto, nonostante il divieto del Signore di ritornare verso quella terra, nonostante che il ritorno in Egitto significasse maledizione e morte per il popolo infedele all'Alleanza.

 

A Giuseppe adesso si comanda di fuggire proprio laggiù, laddove il Signore stesso aveva proibito di tornare; addirittura si chiede di mettere in salvo il primogenito proprio là dove il faraone aveva ordinato di sopprimere nelle acque del Nilo ogni primogenito maschio degli ebrei.

Ciò che doveva essere sicura e stabile garanzia di vita, come la terra della promessa, adesso non lo è più; si chiede, dunque, di partire, con un movimento a ritroso, dalla terra meta del cammino di Abramo fino a un luogo ambiguo, il quale offrirà garanzia di vita.

 

Non solo Giuseppe con la sua famiglia dovrà fuggire in Egitto, ma dovrà anche rimanervi (resta là): non si tratta di un viaggio temporaneo, ma di una vera e propria permanenza. Giuseppe, e con lui Gesù e Maria, dovranno soggiornare in Egitto, assumendo in questa terra che non è la loro lo statuto di stranieri, assumendo la condizione del diverso, di colui che ha bisogno di essere accolto, che in una terra non sua chiede un luogo dove poter abitare. Si tratta di un'esperienza che porta in sé anche il gusto talvolta aspro della solitudine: Giuseppe, infatti, si rifugiò in Egitto, verbo che designa altrove il ritirarsi in solitudine di Gesù lontano dalle folle.

 

Proprio questa assunzione della condizione del forestiero, con tutte le sue implicazioni e conseguenze, porterà a Giuseppe, alla sua sposa e al bambino la vita.

 

Ancora un particolare: tutto questo avviene nella notte (prese il bambino e sua madre nella notte) nel momento in cui la visibilità è impedita, nel momento dell'oscurità, quando ogni cosa rimane esistente ma indistinta, impossibile a vedersi, costituendo così una possibile minaccia. C'è però ancora un ribaltamento: adesso questa oscurità minacciosa è protezione per i fuggiaschi; perciò, fidandosi di una voce, senza opporre resistenze, essi partono.

 

Il cammino percorso dai tre non è un cammino isolato: l'evangelista ci informa attraverso la formula (perchè si compisse) che Gesù e tutta la sua famiglia stanno condividendo il destino di un popolo intero, assieme alla sua esperienza di povertà, precarietà, schiavitù. Proprio in questa condivisione sta la speranza e la certezza della promessa di vita; come Israele è stato chiamato fuori dall'Egitto, così anche Gesù.

 

Il grido dalla terra

 

La terra della promessa, donata come benedizione di vita per un intero popolo, diventa il luogo dove si consuma il dramma dell'ingiustizia originaria, della soppressione dell'alterità, di colui che con la sua presenza chiede di essere riconosciuto come simile a me, in una parola: del fratello.

Erode, il re dei giudei, è turbato dall'annuncio che esiste un altro «re dei giudei», anche se si tratta di un re bambino. In questa terra, nella terra dove Erode regna sovrano, non c'è spazio per il fratello, per chi è "altro" e allo stesso tempo simile, non c'è tolleranza alcuna per un'altra regalità. Ecco che Erode pur di non riconoscere il "fratello re", simile a lui e allo stesso tempo diverso, uccide.

 

Ma quando non c'è spazio per la regalità del fratello,  non c'è più spazio neanche per il futuro. Per eliminare ciò che era percepito come minaccia, Erode mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio, annientando e azzerando ogni avvenire possibile per quella terra.

 

Ecco che questa diventa il luogo desolato da cui sale un grido: Un grido è stato udito in Rama. Il grido che sale dalla terra è ancora una volta, il grido del sangue del fratello.

 

Rama è il luogo dove, secondo la tradizione, fu sepolta Rachele; è dunque un urlo drammatico quello che si ode in Rama: la sposa di Giacobbe muore, infatti, dando alla luce il suo ultimo figlio, Beniamino. In certo qual modo, ella pur morendo non muore, ma "dona la vita" nel senso più pieno della parola, dando alla luce un figlio. La fine della donna coincide con una nuova esistenza che si apre per il bambino. Rachele è dunque la madre che spira nel dare la vita, è colei perciò che vive nella stessa vita del figlio.

 

Ecco che la voce e il grido che si leva da Rama è quello di una madre morta che piange i suoi figli, morti anch'essi. È il dolore di chi vede uccidere coloro per cui ha offerto la vita, lo spasimo lacerante di chi vede sopprimere quell'esistenza per cui ha donato tutto; in altre parole, è la consumazione, la fine della speranza.

 

Per questo dolore non c'è consolazione: Rachele sta piangendo e rifiuta di essere consolata. Rachele non vuole essere consolata per i suoi figli, «perché non sono più».

 

Non c'è più lei, morta per dare a un figlio la vita, non c'è più il figlio, soppresso da chi, come il re, era chiamato a garantire la sua sopravvivenza.

Quando l'alterità è per paura soppressa, quando il fratello è ucciso, ecco che di fatto non solo lui non è più, ma tutti noi «non siamo più». E di fronte a questo dramma non c'è consolazione: il rifiuto della consolazione dice impotenza di fronte al dolore, l'impotenza di fronte a questo pianto senza fine.

 

Prima che la terra diventi interlocutore di azioni e parole, essa parla attraverso un grido, attraverso una voce e un pianto che chiede perentoriamente di essere ascoltato

 

Ritornare alla terra

 

Alla fine, il ritorno: il messaggero di Dio si rivolge in sogno a Giuseppe in Egitto, in quell'Egitto ormai diventato luogo di rivelazione, e dice va' nella terra d'Israele. Ed egli, sempre con il bambino e sua madre entrò nella terra  d'Israele. Entrare nella terra evoca precisamente il compimento della promessa di Dio: come per Israele, anche per Giuseppe adesso la promessa si compie, ma come?

 

Egli fa il suo ingresso nella terra non da conquistatore, come il popolo sotto la guida di Giosuè, bensì da esule, da debole, allo stesso modo di Israele dopo l'esperienza di Babilonia; egli rientra come colui che ha vissuto la lontananza, la diversità, la permanenza in un paese straniero, la fatica dell'esilio, ed essa lo ha cambiato.

 

Egli ritorna nella sua terra e in essa riesce a discernere ciò che porta la vita da ciò che conduce alla morte; significativamente, non c'è più la "notte", ma la chiarezza che intuisce un pericolo: Giuseppe ebbe paura e si ritirò nella regione della Galilea. Dopo aver fatto l'esperienza del forestiero, dopo la permanenza in Egitto, egli riesce a vedere la possibilità di vita non nella Giudea, terra degli eredi della promessa, ma piuttosto nella Galilea, la regione infedele, la «Galilea delle genti». Non si attende un messia dalla Galilea, tant'è che proprio questa provenienza sarà un ostacolo al riconoscimento di Gesù come tale. Solo dopo aver esperito l'alterità, la diversità, si può riconoscere in questa diversità un'opportunità di vita.

 

Si torna nella propria terra da fragili esuli, ma con occhi e sensibilità ormai trasformati; questo il compimento della promessa: rientrare nella propria terra da straniero, per capire che questa è un dono ricevuto gratuitamente da Dio, non gestibile secondo il proprio arbitrio e fruibile a piacimento.

 

Solo allora, proprio perché mite e debole, si torna nella propria terra da re: «Ecco il tuo re viene a te... egli è mite e cavalca sopra un asino, sopra un puledro, figlio di un'asina».

 

Dimorare nella terra

 

Adesso è possibile dimorare nella terra: Giuseppe andò ad abitare  in una città chiamata Nazaret. Ancora, come per la Galilea, sentiamo l'eco delle parole di Natanaele, «da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Eppure proprio questa terra, questo paese, diventa il luogo della dimora.

 

Cosa significhi abitare nella terra, lo rivela tra le righe la chiusura del testo: sarà chiamato Nazareno. Queste parole, presentate come adempimento di ciò che «era stato detto per mezzo dei profeti», in realtà non sono contenute in nessun oracolo profetico. Siamo di fronte evidentemente a "nuove" parole profetiche che si devono adempiere, parole non scritte, forse ancora mai sentite, ma che attendono un compimento.

 

Qual è dunque il contenuto della profezia? Gesù, il figlio di Dio, entrerà così profondamente nella sua terra, vi dimorerà così in pienezza, da essere chiamato con il nome stesso di quel luogo dove ha posto la dimora. In un certo qual modo, quella terra dove ha scelto di dimorare entra a far parte della sua identità, della sua storia, al punto tale che egli la porterà con sé nel momento della morte, fin sulla croce, laddove potrà essere pubblicamente conosciuto come il Nazareno, grazie alla scritta che Pilato vi farà apporre.

 

Questa è la logica conclusione di un percorso che ci presenta i primi anni di Gesù come un viaggio attraverso la terra, attraverso varie terre; un viaggio che significa condivisione nella carne delle esperienze di schiavitù e di liberazione, di esilio e di ritorno di un popolo intero, condivisione totale e senza riserve, fino alla morte, della condizione del suo popolo. È per questo che l'evangelista scandisce il racconto con le formule di compimento, segno che nella vicenda di Gesù si compie la parola dei profeti.

 

Conclusione

 

Perché la terra possa essere interlocutore, sulle orme del Verbo, è necessario porre in questa terra la propria dimora. Si giunge a dimorare attraverso un lungo percorso, che passa attraverso l'inatteso svelarsi di nuove possibilità di vita, attraverso l'ascolto del grido che sale dalla terra, attraverso la consapevolezza della propria precarietà e debolezza. Un percorso capace di cambiare lo sguardo e il cuore, un percorso che ci riconduce in quel paese da cui siamo partiti, per dimorare in luoghi imprevedibili.

 

 

  

 

Per la riflessione

L'appello: mi metto in ascolto? Risuona anche per me l'appello a un cambiamento di condizione, un cambiamento radicale: «Svegliati!»?

 

La fuga e la promessa: si tratta di una richiesta urgente, di un appello non procrastinabile; cosa prendo con me? L'essenziale è la promessa di salvezza, una promessa da custodire.

 

II rischio: ogni risposta porta con sé un lasciare e l'assunzione di un rischio, il rischio del ritorno a ciò che di per sé non garantisce certezze. Cosa provo quando le categorie abituali si capovolgono, quando la terra promessa non garantisce più la vita? Quando si può sopravvivere solo laddove non mi sarei mai aspettato? Quando tutto si capovolge non resta che la certezza di una promessa.

 

Rimanere in Egitto: in questo percorso mi viene chiesto di rimanere in una terra che non è la mia, assaporando anche la solitudine, un restare che chiede tempo, disponibilità.

 

Ascolta: mi fermo ad ascoltare il grido dalla terra, il grido del fratello soppresso ingiustamente, un grido che chiede di essere ascoltato. Ho bisogno di tempo per ascoltare, anche nell'impotenza; ho bisogno di tempo e cuore, affinchè non esca dalle mie labbra, come una risposta sbrigativa: «Sono forse io il custode di mio fratello?».

 

Il ritorno: dopo la separazione, ecco il ritorno nella propria terra, da esule, in debolezza: questo mi permette di scorgere il dono. Come percepisco la mia terra? Corro il rischio di identificarla con ciò che possiedo e in cui trovo sicurezza, come una proprietà, non riuscendo più a scorgere il dono?   

 

Con un nuovo sguardo: torno nella mia terra con uno sguardo diverso, che mi consente di riconoscere la vita e la possibilità di vita laddove mai l'avrei riconosciuta; riesco a lasciarmi sorprendere ancora?

 

Dimorare: «fare casa» proprio nel luogo di cui si dice «da qui può mai venire qualcosa di buono?»; lascio che questa terra mi "attraversi", entrando a far parte di me?

 

  

ORATIO    Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

Prendimi come sono

Signore,

prendimi come sono,

con i miei difetti,

con le mie mancanze;

ma fammi diventare

come tu desideri.
 

(Giovanni Paolo II)

  

 

 CONTEMPLATIO           Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.

 È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo

a te, Dio Padre Onnipotente,

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria

per tutti i secoli dei secoli.

AMEN

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

 Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!

  

(spunti da un percorso formativo della Caritas Italiana)