RITIRO ON LINE - dicembre 2022     










Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

 

 

Hai cura della mia vita, mi segui passo dopo passo, discreto e silenzioso Dio.

Raccogli ogni mio sorriso, custodisci desideri e sospiri,

spazzi via l’inutile e mi conduci alla pienezza del tuo Amore.

(Luca Rubin - Un minuto con Dio)

 Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

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INCONTRI DI GESU’ LUNGO LE STRADE POLVEROSE DELLA PALESTINA

 

In parrocchia recentemente è stata proposta una serie di Lectio incentrata sugli incontri di Gesù con alcuni “personaggi” colti nella concretezza della loro vita quotidiana, narrati nel Vangelo di Luca. Sono dei “ritratti dal vivo”! In questi personaggi si possono riscontrare molti  aspetti presenti anche nella vita di ciascuno di noi, nonostante la distanza temporale.  Sono spazi di concreta umanità ma anche di svelamento della verità.

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.        Lc 16,19-31

 

19C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.

23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.

27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"

 

 GESÙ, UN MENDICANTE E UN RICCO EGOISTA

 

 

Il denaro, la ricchezza, la povertà, la vita terrena e l’aldilà

La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro è posta al termine del capitolo 16 del vangelo di Luca, che si apre con la parabola del fattore infedele (vv. 1-9) e prosegue con l’esortazione di Gesù a far buon uso delle ricchezze (vv. 10-13).

Il tema del denaro o della ricchezza riaffiora ripetutamente in Luca. Già nel capitolo 12 viene esposta una parabola, dove si racconta del ricco stolto, che pensa di potersi godere la vita per lunghi anni; a tale scopo progetta la costruzione di nuovi fabbricati per raccogliervi il grano, ma che non riuscirà a realizzare poiché nella stessa notte morirà (vv. 18-21).

La parabola del ricco epulone riprende per un verso i medesimi concetti, sebbene contenga tratti più drammatici e prospettive più ampie, soprattutto getta luce sulla vita dopo la morte. Il brano si articola in tre parti, di cui la prima e la terza mostrano situazioni della vita terrena, mentre la seconda, con evidente contraccolpo, apre uno squarcio sulla vita oltre la morte.

  

Due modi di vivere su questa terra

La scena iniziale presenta uno spaccato che fa vedere condizioni di vita umana, come un flash su circostanze esistenziali di ingiustizia, di casi assurdi in cui alcuni hanno la fortuna di star bene mentre altri sono nella miseria.

I due personaggi del racconto, un ricco crapulone e un povero mendicante, sono messi uno di fronte all’altro, in palese contrasto. Il modo di vivere dell’uno é descritto nel versetto iniziale, indicando la sontuosità degli abiti e la abbondanza dei piaceri quotidiani. Al secondo sono dedicati i due versetti seguenti, dove l’evangelista si dilunga nell’esposizione del miserevole stato del mendicante, adagiato all’ingresso della casa del ricco, pieno di ferite e affamato al punto di raccogliere a mala pena gli scarti caduti dalla mensa, mentre i cani lambiscono le sue piaghe. Questa ridondanza di particolari sembra voglia richiamare l’attenzione e suscitare compassione verso l’infelice accattone.

 «C’era un uomo ricco» / «Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta ». Del primo non si dice il nome, a differenza del secondo. É l’unica volta in cui un personaggio delle parabole lucane viene individuato con un nome. Lazzaro significa «Dio aiuta».

Posto all’inizio del racconto, esso denota una certa ironia, poiché la concretezza delle cose sembra dire esattamente il contrario. Ci si chiede, in effetti, come Dio possa aiutare questo poveraccio dal momento che lo lascia vivere in quel modo pietoso. In seguito si vedrà che Lazzaro riceve «soccorso» solo da Dio, mentre dagli uomini non ha altro che disprezzo e nessuna pietà.

 

Ma chi era il ricco?

Il fatto che il ricco resti nell’anonimato può suscitare sorpresa, poiché su questa terra gli uomini che hanno un nome e sono conosciuti da tutti sono proprio i danarosi, i potenti, personaggi illustri e influenti. Di essi si pronuncia il nome con rispetto e sempre se ne parla.

Forse il protagonista rimane anonimo perché a posto del suo nome potremmo, chissà, scrivere il nostro nome… quello di ciascuno di noi… perché se scaviamo nella coscienza e nei ricordi sicuramente riusciamo a ricordare almeno un’occasione nella quale “ce ne siamo fregati” della situazione di fratelli in difficoltà…

 

Il nome del povero chi lo ricorda?

Nessuno conosce e proferisce il nome di un poveraccio, considerato soltanto come un numero, privo di interesse e attrazione. All’opposto succede presso Dio, dove anche il più povero e il più dimenticato, porta un nome, rappresenta una persona che ha la sua dignità e merita ogni considerazione.

Lazzaro «stava (giaceva) alla sua porta coperto di piaghe». Alla porta del ricco. I due individui non sono lontani uno dall’altro nella dimensione spaziale; si vedono, si conoscono per necessità di cose. Il ricco, uscendo di casa, si imbatte inevitabilmente con il povero e non può non scorgerlo. Ne conosce il nome, come apparirà più avanti. Pertanto non può ritenerlo un estraneo né un falso povero, che voglia ingannare e vivere da parassita.

«I poveri li avrete sempre con voi», dice Gesù prima di morire, quasi per voler sottolineare l’immancabile presenza dei bisognosi in tutte le epoche e in tutti i luoghi. Essi sono prossimi a chiunque li sappia riconoscere e amare concretamente. Non occorre ricercarli altrove, in posti remoti della terra: essi sono vicini, più di quanto si pensi, purché ci si accorga di loro e si vada loro incontro.

 

Scopri le differenze

Il ricco «indossava vestiti di porpora e di lino finissimo » / il povero «coperto di piaghe». Il ricco si riveste con abbigliamento di prima qualità, sfoggia eleganza e lusso, indossa vestiti di lino finissimo e abiti ricamati di porpora.

Il povero, al contrario, ha il corpo coperto con piaghe. Avvolto da ferite rappresenta l’emblema dell’impurità rituale e dell’emarginazione sociale in Israele. Una specie di lebbroso, con le caratteristiche dell’immondo e del contagioso.

L’uno « ogni giorno si dava a lauti banchetti » / l’altro era « bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco ».

Per il patrimonio che possiede, il ricco può concedersi ogni giorno i cibi più succulenti, impiega la sua ricchezza unicamente per ottenere una vita

splendida. Il senso dell’esistenza si riduce per lui nel piacere di vivere egoisticamente.

Il povero, malconcio e cosparso di piaghe, non é capace di reggersi in piedi e tanto meno di girovagare per mendicare il proprio sostentamento; giace accasciato alla porta del ricco, esausto e impotente a fare qualsiasi cosa. Ha fame e vorrebbe rifocillarsi con i resti della tavola del ricco.

Il quadro raffigura una situazione drammatica con l’aggiunta finale della presenza dei cani:  «ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe». Il povero ha il giaciglio tra la sporcizia della strada, con la sola compagnia dei cani randagi, che come lui vivono di rifiuti. Nella mentalità ebraica i cani appartenevano agli animali impuri. Proprio questi vengono a dargli un po’ di sollievo.

Il ricco, chiuso in sé, soddisfatto dai piaceri, il vero impuro, non ha alcuna attenzione per il povero. Sorprendente ma costante assurdità della vita.

 

Seconda parte

La parabola non ha qui il suo termine. Se si concludesse a questo punto, sarebbe solo un esempio in negativo di come non ci si deve comportare, nel senso che non si deve seguire il modo di fare del ricco. Per contro, bisogna aiutare i poveri, portar loro soccorso, rimuovere l’ingiustizia sociale.

Questo approccio ha una sua parte di verità, ma il messaggio della parabola, nella sua integralità, non può essere ridotto a considerazioni di carattere umanitario, economico e caritativo. La seconda parte, posta in contrasto alla prima, proietta una luce inaspettata che fa riflettere sulla fine della vita terrena e sulla realtà della vita eterna. Uno spaccato di grande valore, perché segnala un’esistenza oltre la morte, dove i parametri della felicità risultano molto differenti, anzi opposti.

 

Due destini diversi dopo la morte

Di fronte alla morte il ricco e il povero sono uguali. Essa colpisce entrambi. Muore l’uno, il mendicante, come muore l’altro, il benestante.

La novità è che i loro destini sono differenti, anzi si invertono rispetto alle loro situazioni sulla terra. La parabola si eleva dall’orizzonte terrestre a contemplare ciò che avviene dopo la morte.

Lazzaro muore e «fu portato dagli angeli accanto ad Abramo». Non si dice se sia stato sepolto. É talmente misero ed emarginato che non è degno neanche della dovuta e religiosa sepoltura…

Se questo è pensabile da un punto di vista umano, non lo è assolutamente dal punto di vista di Dio. Se gli uomini non hanno avuto cura di lui, Dio al contrario lo tratta con tutti gli onori: è scortato dagli spiriti celesti nel suo viaggio verso Abramo. Si capisce che per il Signore la vita di questo poveraccio è molto preziosa e merita ogni rispetto. Si nota un’amara contrapposizione tra il modo di fare degli uomini che non si degnano di accompagnarlo neanche al sepolcro, e il comportamento servizievole degli angeli che lo portano in festa «presso Abramo», cioè nell’intimità e nella partecipazione con Abramo al convito definitivo e messianico.

 

Il secondo destino

Anche il ricco muore. La parabola mette subito in rilievo che è stato sepolto. Essendo facoltoso, si può immaginare con quale solennità si sia svolta la sepoltura, come sia stato ricoperto di onori, celebrato con discorsi commemorativi, attorniato dalla presenza numerosa dei fratelli e dei familiari, degli amici di signorile rango come lui, uomini altolocati e famosi.

 

Uno sguardo oltre la vita terrena

L’orizzonte mentale degli uomini si estende solo entro gli ambiti della vita terrena; essi sono incapaci di elevare lo sguardo sull’aldilà, dove ora si trova a vivere il ricco epulone. Tutti i partecipanti alla sepoltura non hanno interesse a sapere queste cose.

Il ricco è nell’Ade, che in Palestina al tempo di Gesù era il luogo dell’oltretomba e veniva concepito diviso in due scompartimenti: uno che conteneva gli uomini giusti in attesa della risurrezione, l’altro che accoglieva i malvagi sottoposti ai tormenti. Egli non è in quello riservato ai probi, ma in quello dei malfattori, in aspettativa del giudizio finale che li avrebbe condannati per sempre. Giusti ed empi si potevano vedere, sebbene fossero divisi da un abisso insormontabile.

La situazione del possidente, ora, risulta totalmente cambiata: « Stando negli inferi fra i tormenti…». Il testo dice che quando viveva sulla terra aveva due privilegi principali: vestiva in modo fine e lussuoso e poteva disporre di cibi saporiti e bevande a piacere. Ora non è ricoperto da abiti raffinati, ma è circondato da fiamme e patisce grandi tormenti: « soffro terribilmente in questa fiamma ».

Invece di essere saziato di cibi succulenti, soffre la sete e chiede con disperazione e con rammarico una goccia d’acqua, senza poterla ricevere.

 

Finalmente alza gli occhi! Ma è tardi…

Mentre è nei tormenti, il ricco « alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui », vede Lazzaro felice con Abramo e tutti i salvati. La loro felicità aggrava ancor più il suo dolore. Adesso finalmente vede Lazzaro, lo riconosce e lo chiama per nome, quel Lazzaro che sulla terra non aveva mai voluto guardare né prendere in considerazione. É lui ora a chiedere pietà e aiuto, affinché Abramo mandi Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnargli la lingua arsa dal calore delle fiamme: « “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma” ». L’abbiente, ridotto in estrema miseria, chiede che il mendicante vada in suo soccorso, sebbene nella vita terrena non si fosse minimamente mosso per aver pietà di quell’uomo che stava alla sua porta.

Le sorti sono completamente ribaltate. Il possessore dei beni terreni ora è ricolmo di sofferenze eterne, mentre l’indigente, segnato da patimenti e privazioni sulla terra, ora si trova nella pienezza della consolazione celeste.

Il dialogo tra Abramo e il ricco è toccante: da una parte i due interlocutori si interpellano con titoli molto teneri, rispettivamente «padre» e «figlio», dall’altra il padre è impossibilitato a fare qualcosa di bene per il figlio. Essi sono separati da un abisso incolmabile.

« “Padre Abramo, abbi pietà di me… Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. »

All’epulone viene ricordato l’alto tenore di vita con cui era vissuto in terra. In ragione della sua ricchezza poteva permettersi tutto ciò, ma non pensava che il suo modo di vivere in questo mondo l’avrebbe condotto ad essere escluso  dalla comunione con Abramo e con Dio.

I rimproveri e i rimpianti non riguardano la mancanza di soccorso per il povero, piuttosto l’inconsapevolezza che il possesso delle ricchezze lo avrebbe sospinto verso il precipizio. Tutto questo corrisponde a quanto Gesù dice nel discorso delle beatitudini, secondo la redazione di Luca: « Beati voi, poveri,

perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete…. Ma guai a voi, ricchi,  perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi,  perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. »   (cf. 6,20-26).

 

L’oggi storico e il domani eterno

Gesú rimarca la differenza tra le due sfere dell’oggi storico e del domani eterno, per far intendere che l’esistenza su questa terra non abbraccia la totalità del senso e della realtà, poiché esiste l’altra vita. Anzi bisogna guardare la vita presente con la luce offerta dall’aldilà. Sta qui il significato essenziale di questa seconda parte della parabola. Allora si potrà capire che il vero bene e la vera felicità non si ottengono su questo mondo, ma nella ricompensa riservata da Dio ai poveri e ai bisognosi. Il credente deve sapere che la vita non si esaurisce nel breve scorcio dell’esistenza terrena, ma nella comunione con Dio in cielo. Soprattutto deve rendersi conto che la misura della valutazione del bene e del male cambia totalmente.

Il versetto conclusivo afferma che al momento della morte il destino di ciascuno é definitivamente segnato: « tra noi e voi è stato fissato un grande abisso ».

L’abisso ultraterreno evidenzia l’altro, quello che si era creato stoltamente sulla terra. Lazzaro, pur essendo alle porte del ricco e a lui materialmente vicinissimo, era posto egoisticamente in lontananza e non veniva aiutato. Ora il ricco chiede soccorso e non può essere esaudito, perché tra i due sussiste un baratro che nessuno e niente può colmare.

La parabola ha ancora qualcosa da dire, non resta sospesa sull’abisso, con l’effetto di lasciare l’ascoltatore col fiato sospeso e in interiore angoscia.

Il discorso non resta prigioniero del fatalismo, poiché offre la possibilità di cambiare il modo di vivere sulla terra. La situazione di Lazzaro e dell’epulone è ormai definita per sempre, ma non quella di chi esiste ancora in questo mondo. Per tale motivo la scena ritorna ancora sulla terra, dove esistono «i cinque fratelli» del ricco, che abitano nella casa del padre e vivono beatamente in conformità al loro fratello scomparso, senza sapere cosa è a lui capitato e come la loro sorte potrebbe essere simile alla sua.

 

I cinque fratelli ancora viventi

Il ricco, tormentato dal fuoco, riconosce che il genere di vita praticato sulla terra l’ha condotto a quello stato. Perciò vorrebbe che i suoi fratelli fossero avvertiti di cambiare vita per evitare il suo stesso miserabile destino. Chiede ad Abramo che Lazzaro vada ad ammonirli. Lui può andare, essendo ormai libero nella gloria della felicità.

« “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro” », risponde prontamente il patriarca. Egli fa intendere che non hanno bisogno di altre delucidazioni, poiché per mezzo di Mosè e dei profeti possono conoscere la volontà di Dio.

Attraverso la sacra Scrittura viene loro indicato chiaramente quale debba essere l’autentico atteggiamento per conquistare la beatitudine eterna. La cosa importante è che la parola di Dio sia ascoltata, capita, vissuta; in altri termini, occorre che quanto essa dice sia preso sul serio, quale parola di verità e di vita. Di quella parola i cinque fratelli devono fare tesoro.

Questa è la strada, il vero cammino per giungere alla felicità: una sincera conversione. Anche un benestante la può intraprendere, orientando la propria vita verso la comunione con Dio e con i fratelli. I fatti sensazionali, che suscitano emozioni e sbigottimento, non sempre giungono a toccare il cuore e muovere la volontà in modo consistente e duraturo fino a maturare una radicale scelta di fede. Sono insufficienti a procurare la vera conversione. Questa si ottiene principalmente con l’ascolto di Mosè e dei profeti, cioè di tutta la Scrittura, la quale trasmette e rivela la verità di Dio e il suo progetto di salvezza per gli uomini. É quanto Abramo ribadisce al ricco epulone.

 

Piccola “postilla”

Il ricco pensa solo a quelli che sono ricchi (i cinque fratelli) e che come lui non hanno pietà verso i poveri. Non chiede perdono a Lazzaro, ma, come sempre, pensa di servirsi di lui a vantaggio della sua famiglia. Lazzaro improvvisamente è individuato dal ricco come possibile “messaggero”, ma sempre con il rango di servo, non con il rango di fratello.

 

Ci vuole un cuore aperto

Per assecondare la volontà di Dio occorre un cuore pronto e aperto, non accecato e indurito dall’attaccamento ai beni. Se un tale individuo non é capace di interessarsi di Dio e del prossimo, ne segue che anche i miracoli e i messaggeri dall’aldilà sarebbero inutili. L’unica cosa necessaria per avere la vita eterna é seguire la volontà di Dio espressa nelle sacre Scritture.

Questo é il messaggio definitivo della parabola, rivolto a tutti  e quindi anche ai ricchi. Esso contiene l’indicazione dell’unica via per ottenere la felicità piena con Dio.

La questione non é semplicemente quella di aiutare il povero, ma, più radicalmente, quella di “diventare povero”. Sotto questa angolazione si capisce che occorre andare in aiuto ai poveri, non solo prestando loro soccorso, ma anche condividendo la loro povertà, partecipando al loro modo di essere, sentendo per essi compassione. Allora i poveri non rimangono piú emarginati, possiedono i beni in comunione con i ricchi e acquistano il senso dell’amore nel ricevere e nel dare. In tal modo si attua uno scambio: il ricco compartecipa i suoi beni al povero e il povero converte il ricco al suo modo di essere. In questa reciproca donazione ambedue possono far parte del regno di Dio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

  

Risuona per tutto l’Avvento:

“Vieni Signore Gesù”.

E tu vieni, Signore,

tante volte, ogni giorno,

per chi ti sa vedere.

Vieni nelle persone

che vivono con noi;
negli sconosciuti che

incrociamo per strada,

nei colleghi, sempre uguali,
ma presenti per noi.
Vieni in un sorriso che un bambino ci rivolge dal suo passeggino,
e nella signora anziana
che ci mette tre ore ad attraversare
quando noi abbiamo il verde.
 

Vieni nella fatica di ogni giorno
e nei momenti in cui

non ce la facciamo più;
negli occhi radiosi degli sposi
e nello sguardo spento

di chi ha l'Alzheimer.
Vieni nel mistero insondabile

della Messa,
nella povertà di un

giorno sciupato.
Vieni dovunque, in ogni momento, in chiunque e nel

 silenzio di chi ti sa adorare.

Vieni ancora, Signore,
ma soprattutto
insegnaci ad aprirti la porta
quando bussi delicatamente.

 

 (Chiara Bertoglio - Un minuto con Dio)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente, 

nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti

i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.   Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!  Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!                                                                            

(tratto da Lectio sul Vangelo di Luca proposte in parrocchia)

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