RITIRO ON LINE - dicembre 2022 |
Venero
la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia
persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla
presenza del Signore che vuole parlarmi.
Hai cura della mia vita, mi segui passo dopo passo, discreto e silenzioso Dio.
Raccogli ogni mio sorriso, custodisci desideri e sospiri,
spazzi via l’inutile e mi conduci alla pienezza del tuo Amore.
(Luca Rubin - Un minuto con Dio)
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INCONTRI DI GESU’ LUNGO LE STRADE POLVEROSE DELLA PALESTINA
In parrocchia recentemente è stata proposta una serie di Lectio incentrata sugli
incontri di Gesù con alcuni “personaggi” colti nella concretezza della loro vita
quotidiana, narrati nel Vangelo di Luca. Sono dei “ritratti dal vivo”! In questi
personaggi si possono riscontrare molti
aspetti presenti anche nella vita di ciascuno di noi, nonostante la
distanza temporale. Sono spazi di
concreta umanità ma anche di svelamento della verità.
LECTIO
Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
19
C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.23
Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.27
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"
Il denaro, la ricchezza, la povertà, la vita terrena e l’aldilà
La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro è posta al termine del
capitolo 16 del vangelo di Luca, che si apre con la parabola del fattore
infedele (vv. 1-9) e prosegue con l’esortazione di Gesù a far buon uso delle
ricchezze (vv. 10-13).
Il tema del denaro o della ricchezza riaffiora ripetutamente in Luca. Già nel
capitolo 12 viene esposta una parabola, dove si racconta del ricco stolto, che
pensa di potersi godere la vita per lunghi anni; a tale scopo progetta la
costruzione di nuovi fabbricati per raccogliervi il grano, ma che non riuscirà a
realizzare poiché nella stessa notte morirà (vv. 18-21).
La parabola del ricco epulone riprende per un verso i medesimi concetti, sebbene
contenga tratti più drammatici e prospettive più ampie, soprattutto getta luce
sulla vita dopo la morte. Il brano si articola in tre parti, di cui la prima e
la terza mostrano situazioni della vita terrena, mentre la seconda, con evidente
contraccolpo, apre uno squarcio sulla vita oltre la morte.
Due modi di vivere su questa terra
La scena iniziale presenta uno spaccato che fa vedere condizioni di vita umana,
come un flash su circostanze esistenziali di ingiustizia, di casi assurdi in cui
alcuni hanno la fortuna di star bene mentre altri sono nella miseria.
I due personaggi del racconto, un ricco crapulone e un povero mendicante, sono
messi uno di fronte all’altro, in palese contrasto. Il modo di vivere dell’uno é
descritto nel versetto iniziale, indicando la sontuosità degli abiti e la
abbondanza dei piaceri quotidiani. Al secondo sono dedicati i due versetti
seguenti, dove l’evangelista si dilunga nell’esposizione del miserevole stato
del mendicante, adagiato all’ingresso della casa del ricco, pieno di ferite e
affamato al punto di raccogliere a mala pena gli scarti caduti dalla mensa,
mentre i cani lambiscono le sue piaghe. Questa ridondanza di particolari sembra
voglia richiamare l’attenzione e suscitare compassione verso l’infelice
accattone.
Posto all’inizio del racconto, esso denota una certa ironia, poiché la
concretezza delle cose sembra dire esattamente il contrario. Ci si chiede, in
effetti, come Dio possa aiutare questo poveraccio dal momento che lo lascia
vivere in quel modo pietoso. In seguito si vedrà che Lazzaro riceve «soccorso»
solo da Dio, mentre dagli uomini non ha altro che disprezzo e nessuna pietà.
Ma chi era il ricco?
Il fatto che il ricco resti nell’anonimato può suscitare sorpresa, poiché su
questa terra gli uomini che hanno un nome e sono conosciuti da tutti sono
proprio i danarosi, i potenti, personaggi illustri e influenti. Di essi si
pronuncia il nome con rispetto e sempre se ne parla.
Forse il protagonista rimane anonimo perché a posto del suo nome potremmo,
chissà, scrivere il nostro nome… quello di ciascuno di noi… perché se scaviamo
nella coscienza e nei ricordi sicuramente riusciamo a ricordare almeno
un’occasione nella quale “ce ne siamo fregati” della situazione di fratelli in
difficoltà…
Il nome del povero chi lo ricorda?
Nessuno conosce e proferisce il nome di un poveraccio, considerato soltanto come
un numero, privo di interesse e attrazione. All’opposto succede presso Dio, dove
anche il più povero e il più dimenticato, porta un nome, rappresenta una persona
che ha la sua dignità e merita ogni considerazione.
Lazzaro «stava
(giaceva)
alla sua porta coperto di piaghe».
Alla porta del ricco. I due individui non sono lontani uno dall’altro nella
dimensione spaziale; si vedono, si conoscono per necessità di cose. Il ricco,
uscendo di casa, si imbatte inevitabilmente con il povero e non può non
scorgerlo. Ne conosce il nome, come apparirà più avanti. Pertanto non può
ritenerlo un estraneo né un falso povero, che voglia ingannare e vivere da
parassita.
«I
poveri li avrete sempre con voi»,
dice Gesù prima di morire, quasi per voler sottolineare l’immancabile presenza
dei bisognosi in tutte le epoche e in tutti i luoghi. Essi sono prossimi a
chiunque li sappia riconoscere e amare concretamente. Non occorre ricercarli
altrove, in posti remoti della terra: essi sono vicini, più di quanto si pensi,
purché ci si accorga di loro e si vada loro incontro.
Scopri le differenze
Il ricco «indossava
vestiti di porpora e di lino finissimo
» / il povero «coperto
di piaghe».
Il ricco si riveste con abbigliamento di prima qualità, sfoggia eleganza e
lusso, indossa vestiti di lino finissimo e abiti ricamati di porpora.
Il povero, al contrario, ha il corpo coperto con piaghe. Avvolto da ferite
rappresenta l’emblema dell’impurità rituale e dell’emarginazione sociale in
Israele. Una specie di lebbroso, con le caratteristiche dell’immondo e del
contagioso.
L’uno «
ogni giorno si dava a lauti banchetti
» / l’altro era «
bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco
».
Per il patrimonio che possiede, il ricco può concedersi ogni giorno i cibi più
succulenti, impiega la sua ricchezza unicamente per ottenere una vita
splendida. Il senso dell’esistenza si riduce per lui nel piacere di vivere
egoisticamente.
Il povero, malconcio e cosparso di piaghe, non é capace di reggersi in piedi e
tanto meno di girovagare per mendicare il proprio sostentamento; giace
accasciato alla porta del ricco, esausto e impotente a fare qualsiasi cosa. Ha
fame e vorrebbe rifocillarsi con i resti della tavola del ricco.
Il quadro raffigura una situazione drammatica con l’aggiunta finale della
presenza dei cani: «ma
erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe».
Il povero ha il giaciglio tra la sporcizia della strada, con la sola compagnia
dei cani randagi, che come lui vivono di rifiuti. Nella mentalità ebraica i cani
appartenevano agli animali impuri. Proprio questi vengono a dargli un po’ di
sollievo.
Il ricco, chiuso in sé, soddisfatto dai piaceri, il vero impuro, non ha alcuna
attenzione per il povero. Sorprendente ma costante assurdità della vita.
Seconda parte
La parabola non ha qui il suo termine. Se si concludesse a questo punto, sarebbe
solo un esempio in negativo di come non ci si deve comportare, nel senso che non
si deve seguire il modo di fare del ricco. Per contro, bisogna aiutare i poveri,
portar loro soccorso, rimuovere l’ingiustizia sociale.
Questo approccio ha una sua parte di verità, ma il messaggio della parabola,
nella sua integralità, non può essere ridotto a considerazioni di carattere
umanitario, economico e caritativo. La seconda parte, posta in contrasto alla
prima, proietta una luce inaspettata che fa riflettere sulla fine della vita
terrena e sulla realtà della vita eterna. Uno spaccato di grande valore, perché
segnala un’esistenza oltre la morte, dove i parametri della felicità risultano
molto differenti, anzi opposti.
Due destini diversi dopo la morte
Di fronte alla morte il ricco e il povero sono uguali. Essa colpisce entrambi.
Muore l’uno, il mendicante, come muore l’altro, il benestante.
La novità è che i loro destini sono differenti, anzi si invertono rispetto alle
loro situazioni sulla terra. La parabola si eleva dall’orizzonte terrestre a
contemplare ciò che avviene dopo la morte.
Lazzaro muore e «fu
portato dagli angeli accanto ad Abramo».
Non si dice se sia stato sepolto. É talmente misero ed emarginato che non è
degno neanche della dovuta e religiosa sepoltura…
Se questo è pensabile da un punto di vista umano, non lo è assolutamente dal
punto di vista di Dio. Se gli uomini non hanno avuto cura di lui, Dio al
contrario lo tratta con tutti gli onori: è scortato dagli spiriti celesti nel
suo viaggio verso Abramo. Si capisce che per il Signore la vita di questo
poveraccio è molto preziosa e merita ogni rispetto. Si nota un’amara
contrapposizione tra il modo di fare degli uomini che non si degnano di
accompagnarlo neanche al sepolcro, e il comportamento servizievole degli angeli
che lo portano in festa «presso
Abramo»,
cioè nell’intimità e nella partecipazione con Abramo al convito definitivo e
messianico.
Il secondo destino
Anche il ricco muore. La parabola mette subito in rilievo che è stato sepolto.
Essendo facoltoso, si può immaginare con quale solennità si sia svolta la
sepoltura, come sia stato ricoperto di onori, celebrato con discorsi
commemorativi, attorniato dalla presenza numerosa dei fratelli e dei familiari,
degli amici di signorile rango come lui, uomini altolocati e famosi.
Uno sguardo oltre la vita terrena
L’orizzonte mentale degli uomini si estende solo entro gli ambiti della vita
terrena; essi sono incapaci di elevare lo sguardo sull’aldilà, dove ora si trova
a vivere il ricco epulone. Tutti i partecipanti alla sepoltura non hanno
interesse a sapere queste cose.
Il ricco è nell’Ade, che in Palestina al tempo di Gesù era il luogo
dell’oltretomba e veniva concepito diviso in due scompartimenti: uno che
conteneva gli uomini giusti in attesa della risurrezione, l’altro che accoglieva
i malvagi sottoposti ai tormenti. Egli non è in quello riservato ai probi, ma in
quello dei malfattori, in aspettativa del giudizio finale che li avrebbe
condannati per sempre. Giusti ed empi si potevano vedere, sebbene fossero divisi
da un abisso insormontabile.
La situazione del possidente, ora, risulta totalmente cambiata: «
Stando negli inferi fra i tormenti…».
Il testo dice che quando viveva sulla terra aveva due privilegi principali:
vestiva in modo fine e lussuoso e poteva disporre di cibi saporiti e bevande a
piacere. Ora non è ricoperto da abiti raffinati, ma è circondato da fiamme e
patisce grandi tormenti: «
soffro terribilmente in questa fiamma
».
Invece di essere saziato di cibi succulenti, soffre la sete e chiede con
disperazione e con rammarico una goccia d’acqua, senza poterla ricevere.
Finalmente alza gli occhi! Ma è tardi…
Mentre è nei tormenti, il ricco «
alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui
», vede Lazzaro felice con Abramo e tutti i salvati. La loro felicità aggrava
ancor più il suo dolore. Adesso finalmente vede Lazzaro, lo riconosce e lo
chiama per nome, quel Lazzaro che sulla terra non aveva mai voluto guardare né
prendere in considerazione. É lui ora a chiedere pietà e aiuto, affinché Abramo
mandi Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnargli la lingua
arsa dal calore delle fiamme: «
“Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta
del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”
». L’abbiente, ridotto in estrema miseria, chiede che il mendicante vada in suo
soccorso, sebbene nella vita terrena non si fosse minimamente mosso per aver
pietà di quell’uomo che stava alla sua porta.
Le sorti sono completamente ribaltate. Il possessore dei beni terreni ora è
ricolmo di sofferenze eterne, mentre l’indigente, segnato da patimenti e
privazioni sulla terra, ora si trova nella pienezza della consolazione celeste.
Il dialogo tra Abramo e il ricco è toccante: da una parte i due interlocutori si
interpellano con titoli molto teneri, rispettivamente «padre» e «figlio»,
dall’altra il padre è impossibilitato a fare qualcosa di bene per il figlio.
Essi sono separati da un abisso incolmabile.
«
“Padre Abramo, abbi pietà di me… Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che,
nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo
modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
26Per
di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui
vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
»
All’epulone viene ricordato l’alto tenore di vita con cui era vissuto in terra.
In ragione della sua ricchezza poteva permettersi tutto ciò, ma non pensava che
il suo modo di vivere in questo mondo l’avrebbe condotto ad essere escluso
dalla comunione con Abramo e con Dio.
I rimproveri e i rimpianti non riguardano la mancanza di soccorso per il povero,
piuttosto l’inconsapevolezza che il possesso delle ricchezze lo avrebbe sospinto
verso il precipizio. Tutto questo corrisponde a quanto Gesù dice nel discorso
delle beatitudini, secondo la redazione di Luca: «
Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete
saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete…. Ma guai a voi, ricchi,
L’oggi storico e il domani eterno
Gesú rimarca la differenza tra le due sfere dell’oggi storico e del domani
eterno, per far intendere che l’esistenza su questa terra non abbraccia la
totalità del senso e della realtà, poiché esiste l’altra vita. Anzi bisogna
guardare la vita presente con la luce offerta dall’aldilà. Sta qui il
significato essenziale di questa seconda parte della parabola. Allora si potrà
capire che il vero bene e la vera felicità non si ottengono su questo mondo, ma
nella ricompensa riservata da Dio ai poveri e ai bisognosi. Il credente deve
sapere che la vita non si esaurisce nel breve scorcio dell’esistenza terrena, ma
nella comunione con Dio in cielo. Soprattutto deve rendersi conto che la misura
della valutazione del bene e del male cambia totalmente.
Il versetto conclusivo afferma che al momento della morte il destino di ciascuno
é definitivamente segnato: «
tra noi e voi è stato fissato un grande abisso
».
L’abisso ultraterreno evidenzia l’altro, quello che si era creato stoltamente
sulla terra. Lazzaro, pur essendo alle porte del ricco e a lui materialmente
vicinissimo, era posto egoisticamente in lontananza e non veniva aiutato. Ora il
ricco chiede soccorso e non può essere esaudito, perché tra i due sussiste un
baratro che nessuno e niente può colmare.
La parabola ha ancora qualcosa da dire, non resta sospesa sull’abisso, con
l’effetto di lasciare l’ascoltatore col fiato sospeso e in interiore angoscia.
Il discorso non resta prigioniero del fatalismo, poiché offre la possibilità di
cambiare il modo di vivere sulla terra. La situazione di Lazzaro e dell’epulone
è ormai definita per sempre, ma non quella di chi esiste ancora in questo mondo.
Per tale motivo la scena ritorna ancora sulla terra, dove esistono «i
cinque fratelli»
del ricco, che abitano nella casa del padre e vivono beatamente in conformità al
loro fratello scomparso, senza sapere cosa è a lui capitato e come la loro sorte
potrebbe essere simile alla sua.
I cinque fratelli ancora viventi
Il ricco, tormentato dal fuoco, riconosce che il genere di vita praticato sulla
terra l’ha condotto a quello stato. Perciò vorrebbe che i suoi fratelli fossero
avvertiti di cambiare vita per evitare il suo stesso miserabile destino. Chiede
ad Abramo che Lazzaro vada ad ammonirli. Lui può andare, essendo ormai libero
nella gloria della felicità.
«
“Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”
», risponde prontamente il patriarca. Egli fa intendere che non hanno bisogno di
altre delucidazioni, poiché per mezzo di Mosè e dei profeti possono conoscere la
volontà di Dio.
Attraverso la sacra Scrittura viene loro indicato chiaramente quale debba essere
l’autentico atteggiamento per conquistare la beatitudine eterna. La cosa
importante è che la parola di Dio sia ascoltata, capita, vissuta; in altri
termini, occorre che quanto essa dice sia preso sul serio, quale parola di
verità e di vita. Di quella parola i cinque fratelli devono fare tesoro.
Questa è la strada, il vero cammino per giungere alla felicità: una sincera
conversione. Anche un benestante la può intraprendere, orientando la propria
vita verso la comunione con Dio e con i fratelli. I fatti sensazionali, che
suscitano emozioni e sbigottimento, non sempre giungono a toccare il cuore e
muovere la volontà in modo consistente e duraturo fino a maturare una radicale
scelta di fede. Sono insufficienti a procurare la vera conversione. Questa si
ottiene principalmente con l’ascolto di Mosè e dei profeti, cioè di tutta la
Scrittura, la quale trasmette e rivela la verità di Dio e il suo progetto di
salvezza per gli uomini. É quanto Abramo ribadisce al ricco epulone.
Piccola “postilla”
Il ricco pensa solo a quelli che sono ricchi (i cinque fratelli) e che come lui
non hanno pietà verso i poveri. Non chiede perdono a Lazzaro, ma, come sempre,
pensa di servirsi di lui a vantaggio della sua famiglia. Lazzaro improvvisamente
è individuato dal ricco come possibile “messaggero”, ma sempre con il rango di
servo, non con il rango di fratello.
Ci vuole un cuore aperto
Per assecondare la volontà di Dio occorre un cuore pronto e aperto, non accecato
e indurito dall’attaccamento ai beni. Se un tale individuo non é capace di
interessarsi di Dio e del prossimo, ne segue che anche i miracoli e i messaggeri
dall’aldilà sarebbero inutili. L’unica cosa necessaria per avere la vita eterna
é seguire la volontà di Dio espressa nelle sacre Scritture.
Questo é il messaggio definitivo della parabola, rivolto a tutti
e quindi anche ai ricchi. Esso contiene
l’indicazione dell’unica via per ottenere la felicità piena con Dio.
La questione non é semplicemente quella di aiutare il povero, ma, più
radicalmente, quella di “diventare povero”. Sotto questa angolazione si capisce
che occorre andare in aiuto ai poveri, non solo prestando loro soccorso, ma
anche condividendo la loro povertà, partecipando al loro modo di essere,
sentendo per essi compassione. Allora i poveri non rimangono piú emarginati,
possiedono i beni in comunione con i ricchi e acquistano il senso dell’amore nel
ricevere e nel dare. In tal modo si attua uno scambio: il ricco compartecipa i
suoi beni al povero e il povero converte il ricco al suo modo di essere. In
questa reciproca donazione ambedue possono far parte del regno di Dio.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Risuona per tutto l’Avvento:
“Vieni Signore Gesù”.
E tu vieni, Signore,
tante volte, ogni giorno,
per chi ti sa vedere.
Vieni nelle persone
che vivono con noi;
incrociamo per strada,
nei colleghi, sempre uguali, |
Vieni nella fatica di ogni giorno
non ce la facciamo più;
di chi ha l'Alzheimer.
della Messa,
giorno sciupato.
silenzio
di chi ti sa adorare.
Vieni ancora, Signore,
(Chiara
Bertoglio - Un minuto con Dio) |
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci
precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo
mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre
Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti
i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi impegno a
vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il
cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica
del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di
lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(tratto
da Lectio sul Vangelo di Luca proposte in parrocchia)
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