Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Padre, mi conosci per nome. Prima ancora che io pensi a te, attendi la mia amicizia,
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mi aspetti con amore, mi vieni incontro a braccia aperte. |
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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IL VOLTO DI DIO – IL VOLTO DELL’UOMO
La lectio di oggi è tratta da una meditazione che don Massimo Grilli, docente
alla Pontificia Università Gregoriana, propose ad un Convegno Nazionale delle
Caritas Diocesane.
Buona meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti. (Genesi
3,8-13)
8Poi (Adamo ed Eva) udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino.
9
Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». 10Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
Il Volto come verità del sé -
Adamo, dove sei?
L’immagine del Volto
« tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare
vivo»
Un midrash racconta, però, che prima
di morire sul monte Nebo, Mosè ricevette un bacio da Dio. E così, colui che non
aveva potuto guardare il Volto di Dio, muore quando Dio lo bacia. È una bella
metafora del mistero della vita e di Dio
stesso.
Ma il Volto non connota soltanto Dio
e la sua ricerca: il Volto è anche metafora dell’uomo nella sua più alta
espressione. Si dice comunemente che l’uomo “ha un volto”, ma sarebbe meglio
dire che l’uomo “è un Volto”. In effetti, il Volto - come del resto il Nome -
concerne l’identità della persona, perché la definisce, la rivela, la mette in
relazione. Cosa saremmo senza un Volto?
Devono essere molto fortunati quei territori, quelle parrocchie… che non sono
definiti da una costellazione di individui anonimi, spesso concorrenti, ma che
vengono percepiti, invece, come un insieme di
“Volti”!
Adamo, dove sei? Il Volto come verità del sé
Una bella pagina di Dietrich Bonhoeffer, il testimone della chiesa confessante
nei campi di concentramento nazisti, può costituire un buon punto di partenza
per una profonda riflessione sul Volto come verità di sé:
Chi sono?
si domanda Bonhoeffer,
Mi dicono spesso che dalla mia cella esco sciolto, allegro, sicuro come un
signore nel suo castello..
Chi sono? Mi dicono che con i miei sorveglianti parlo libero, amichevole e
chiaro, come fossi io a comandare.
Mi dicono anche che i giorni della disgrazia sopporto indifferente, sorridente e
fiero come uno abituato a vincere.
Sono veramente quello che gli altri dicono di me? Oppure soltanto quello che io
so di essere?
Inquieto, nostalgico, malato, come un uccello in gabbia,
lottando per un soffio di vita, come se qualcuno mi serrasse la gola,
assetato di colori, di fiori, di voci d’uccelli, bramoso di buone parole, di
calore umano, tremante di rabbia dinanzi all’arbitrio e all’ingiuria più
meschina,
roso dall’attesa di grandi cose, anelando impotente amici infinitamente lontani,
stanco e vuoto per pregare, per pensare, per creare, esausto e disposto a
prendere congedo da tutto?
Chi sono? Questo o quello? Oggi sono questo e domani un altro? L’uno e l’altro
contemporaneamente?
Un ipocrita dinanzi agli uomini e
davanti a me stesso un disprezzabile, compassionevole rottame?...
Chi sono? L’interrogativo solitario si prende gioco di me. Chiunque io sia, tu
mi conosci, sono tuo, o Dio!
Come Bonhoeffer, anche noi siamo chiamati a partire proprio da questa domanda
che Dio rivolge ad Adamo:
Adamo
chi sei?
Adamo dove sei? È la domanda sul Volto
come verità del sé. Proviamo a comprenderne il senso, come credenti, come
appartenenti alla Chiesa di Cristo, come operatori di giustizia all’interno
della Caritas.
La domanda come invito a non nascondersi, a riconoscersi per ciò che si è: il Volto dell’Altro
Nel racconto più antico della creazione, l’ingresso dell’uomo nello scenario
dell’universo viene descritto con
queste
parole: “Allora
il Signore Dio plasmò l’uomo
(adam)
con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo
divenne un essere vivente.”
(Gn
2,7).
Ecco il volto dell’uomo! Il testo ci dice anzitutto che l’uomo è
’adam,
e dunque “argilla, polvere” (’adam ha la
stessa radice di ’adamah = terra ). Questo significa che il nostro orizzonte
è costituito dalla fragilità,
dal
limite.
Riconciliarci con questa verità essenziale è principio di saggezza, perché la
presunzione acceca e solo chi ha il senso della fragilità rincomincia sempre
daccapo, con fiducia. Avere il senso della fragilità significa essere
consapevoli che l’essere umano è sempre frammentario e frammentato, condizionato
dalla parzialità nelle sue visuali e nei suoi progetti, nelle sue formulazioni e
nei suoi giudizi. Il nostro primo dovere è di non fuggire di fronte alla
realtà e di non voltare le spalle
alla caducità che contrassegna le nostre intenzioni e le nostre opere. Questo ci
rende umili e discreti nel confronto quotidiano con altri progetti e altri
uomini che operano in strutture
diverse.
La domanda però ha un’altra funzione. Per introdurla, vorrei citare una pagina
di Martin Buber ne Il cammino dell’uomo.
Buber parte dalla domanda che Dio pose ad Adamo nel giardino di Eden:
“Adamo, dove
sei?”. Ed ecco il suo commento:
“Adamo si
nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla responsabilità della
propria vita. Così si nasconde ogni uomo… Proprio nascondendosi così e
persistendo sempre in questo nascondimento… l’uomo scivola sempre, e sempre più
profondamente, nella falsità. Si crea in tal modo una nuova situazione che, di
giorno in giorno e di nascondimento in nascondimento, diventa sempre più
problematica… Ed è proprio in questa situazione che lo coglie la domanda di Dio:
vuole turbare l’uomo, distruggere il suo congegno di nascondimento, fargli
vedere dove lo ha condotto una strada sbagliata… A questo punto tutto dipende
dal fatto che l’uomo si ponga o no la domanda.
Di fronte a questa domanda non possiamo e non dobbiamo fuggire. Ogni uomo e ogni
associazione, ogni comunità e ogni chiesa è nella situazione di Adamo. Non
possiamo sfuggire alla responsabilità della vita e delle scelte che ci sono
richieste. Non possiamo sfuggire, anche se siamo costituiti essenzialmente dalla
precarietà e dalla nudità. Fuggendo, si rischia di trasformare l’esistenza in
“un congegno di nascondimento”
(Buber), che di giorno in giorno diventa sempre più problematico.
La domanda di Dio “dove
sei?” viene a distruggere questo congegno, e a mostrare la strada
da percorrere.
Ecco, dunque, delineato l’imprescindibile punto di
partenza, non solo a livello personale, ma anche a livello comunitario: chi
siamo e dove siamo in un mondo che cambia, nelle parrocchie che non sono più le
stesse, tra i poveri della terra che crescono in proporzione della nostra
ingordigia? Chi siamo e dove siamo come Caritas, nel cammino di fedeltà a Dio e
di fedeltà all’uomo? Dove siamo nel
vortice di una vita che si presenta con i suoi successi e insuccessi, dominata
dalla colpa, avvolta dalla crisi, nei suoi sentieri di tenebra, eppure, redenta
e resa feconda, salvata e riempita di grazia? Dove siamo?
La domanda di Dio come invito a riconciliarsi con se stessi: il Volto della
comunione di vita
In fondo, la conversione di cui si parla nella Bibbia significa proprio questo.
In ebraico conversione si dice
teshuvah, che vuol dire
ritorno; un termine caro ai profeti,
che vedevano nel ritorno alla fedeltà,
alla propria vocazione il segreto di ogni autentica trasformazione del
mondo. Il conflitto con gli altri ha sempre radici in se stessi e questo
significa che solo ritornando in se stessi, alla propria vocazione, là dove Dio
ci ha posto, che possiamo ritrovare il senso di responsabilità l’uno di fronte
all’altro, senza le alienanti accuse dell’uno contro l’altro (cf. invece, Adamo
ed Eva…).
Un racconto rabbinico riferisce che Rabbi Mendel chiese a bruciapelo ai
discepoli: dove abita Dio? I
discepoli si meravigliarono: che cosa
avete, rabbi? Il mondo non è forse pieno della sua gloria? E il Rabbi
riprese: Dio abita dove lo si lascia
entrare.
Oso aggiungere: lo si può lasciare entrare solo lì dove siamo veramente. Voglio
dire che la nostra vita con le sue crisi e le sue disobbedienze è lì sotto gli
occhi dell’Onnipotente: non abbiamo bisogno di nasconderla, ma di trasfigurarla;
o meglio, di metterla nelle mani di Colui
che può strapparla alla morte. Ritrovare la centralità di Dio negli
impegni quotidiani significa ritrovare il senso; un compito non solo necessario,
ma indispensabile. Proiettati come siamo alle opere socialmente utili,
all’impegno politico, alla costruzione di una
città a misura d’uomo -
valori sublimi,
intendiamoci – talvolta dimentichiamo che solo
la ricerca
del Volto dà senso a ciò che facciamo e agli abissi di tenebra e di
vuoto, di inconsistenza e di abbandono, che ogni vita comporta.
Forse potrà sembrare poco opportuno che a uomini e donne immerse nel mondo degli
impegni e delle responsabilità si venga a parlare della centralità di Dio. Ma io
penso che qui si gioca il futuro di ciascuno: dei singoli e delle comunità,
della Chiesa e della Caritas.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Anche nel mio cuore,
o Signore,
hai nascosto il tesoro
del tuo Volto.
Donami la forza di togliere
le barriere che lo coprono,
anche se questo richiede
sacrificio, volontà, pazienza
e sganciamento di tutto ciò
che finora ho valutato prezioso,
anche se non lo era affatto.
Aiutami,
Signore, a trovarti, perché sono sicuro che, sotto la scorza, che sono
io, ci sei Tu,
Dio del mondo e degli anni miei.
(A. Dini)
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei
secoli. Amen
ACTIO
Mi impegno
a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita! Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(tratto da una lectio di don Massimo Grilli
– Convegno Nazionale Caritas Diocesane)