Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Donami un cuore puro,
che io possa vederti;
e un cuore umile,
che io possa sentirti; |
e un cuore amante,
che io possa servirti;
e un cuore di fede,
che io possa dimorare in te. |
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
“Le donne sono quelle del Vangelo di Luca;
la gioia è quella che scaturisce dal loro incontro con Gesù”
Proseguiamo la preghiera suggerita da alcune lectio tratte da episodi del
Vangelo di Luca, nelle quali il filone comune è la GIOIA DELLE DONNE CHE
INCONTRANO GESU’.
Oggi lasciamoci toccare da Elisabetta e da suo marito Zaccaria, dalla loro
capacità di superare la fase della “delusione umana” per i progetti di vita che
non decollano, e dalla loro docilità nel “restituire” a Dio il dono da Lui
ricevuto.
Queste riflessioni sono liberamente tratte da alcune lectio di don Davide
Caldirola, della Chiesa di Milano.
Buona meditazione e buona preghiera.
LECTIO
Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che
mi vengono proposti.
(Luca
1,5-25)
5Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva in
moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. 6Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano
irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. 7Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e
tutti
e due erano avanti negli anni.
8Avvenne che, mentre Zaccaria svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua
classe, 9gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare
l’offerta dell’incenso. 10Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora dell’incenso. 11Apparve a lui
un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. 12Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da
timore. 13Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti
darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. 14Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita,
15perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo
fin dal seno di sua madre 16e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. 17Egli camminerà innanzi a lui con
lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e
preparare al Signore un popolo ben disposto». 18Zaccaria disse all’angelo: «Come potrò mai conoscere questo?
Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». 19L’angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio
e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. 20Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare
fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro
tempo».
21Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. 22Quando poi uscì
e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione.
Faceva loro dei cenni e restava muto.
23Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. 24Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne
nascosta per cinque mesi e diceva: 25«Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di
togliere la mia vergogna fra gli uomini».
MEDITATIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
Elisabetta, la fecondità inaspettata
(Luca 1, 5-25)
Partiamo dal nome. Elisabetta significa «Dio è uno su cui si può giurare»,
oppure «Dio è la mia fortuna, la mia sazietà».
In realtà Elisabetta, nel momento in cui ci viene presentata, sta vivendo
l'esperienza di un Dio che non mantiene le promesse, e che non è così affidabile
come sembra. Questa donna non vede compiute in sé le promesse di sazietà e di
fortuna racchiuse nel proprio nome, e forse non se la sente più di giurare su
questo Dio che l'ha resa sterile,
incapace di regalare al mondo un figlio. È una donna che ha molto, ma a cui
manca la cosa più importante. E di sicuro non è felice.
Lei stessa definirà «vergognosa» la propria condizione. Questo Dio in cui crede pare averle girato le spalle.
Guardiamo da vicino questa coppia di vecchi. Sono «giusti davanti a Dio». Pregano, credono, possono stare con fierezza alla sua presenza. Zaccaria è un sacerdote del tempio, un personaggio di una certa importanza, sicuramente conosciuto, probabilmente stimato nel piccolo villaggio dove abita. Il suo «stare davanti a Dio» con la moglie Elisabetta forse evoca perfino un tratto pio, devoto, una religiosità non formale, alla quale si aggiunge una vita «irreprensibile», che esprime nella fedeltà e nella carità delle scelte quotidiane una fede pratica, viva, coerente. I «precetti» di cui parla Luca, che a noi possono sembrare soltanto norme esteriori, in realtà sono l'ossatura, lo scheletro portante della fede del pio giudeo. Gesù stesso dirà di non volerne cancellare neppure uno, di non voler togliere dalla loro scrittura neppure un segno. Qualcuno potrebbe dire che c'è una traccia di paura o di perfezionismo in questa irreprensibilità, quasi un eccesso di scrupolo nel voler fare tutto bene. Resta il fatto, a ogni modo, che Elisabetta e Zaccaria ci sono descritti come veri e propri esempi di vita religiosa, di fede in Dio.
Non tutto va come ci aspettiamo
Ma qual
è l'esito
di questa
vita? È
la tristezza.
La loro è un'esistenza
sterile, che non genera, che non ha sbocchi. È sprecata, buttata via, senza
futuro. Cosa ci hanno
guadagnato, cos'hanno
costruito con la loro preghiera e
le loro
opere giuste?
Se ne
vanno con
vergogna, senza traccia di
fierezza o di gioia. Tristi.
Un altro esito di questa loro vita religiosa è dato dalla
chiusura dei loro orizzonti di speranza. È vero: sono stati fedeli a lungo, lo
sono tuttora. Ma ormai sono anziani, e invecchiando senza gioia avvertono tutta
la cupezza di un futuro senza sbocchi, senza nessuno a cui lasciare in eredità
il loro enorme patrimonio di fede.
L’annuncio: Dio non abbandona il suo popolo
L'apparizione nel
tempio a
Zaccaria (Lc
1,8-22) segna una prima svolta nella vita della coppia. Registriamo due
note relative a questa scena descritta da
Luca.
Un
primo
dato è
questo: anche nel
luogo più solenne e
importante del
tempio si
può non
avere fede,
non credere.
È proprio
questo che
l'angelo Gabriele
rimprovera a Zaccaria
(al pio
Zaccaria, al sacerdote
Zaccaria!):
Un secondo dato: Zaccaria capisce subito che questa nascita
non rallegrerà solo lui e la
sua famiglia («Non
temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti
darà un figlio»)
ma
«molti
si rallegreranno della sua nascita»
(v. 14).
Significa che
questo bambino
sarà come espropriato ai
suoi stessi
genitori, che
di lui
non potranno scegliere neppure
il nome:
«e
tu lo chiamerai Giovanni»
(v. 13). Non si pone l'accento, quindi, su una sorta di premio o di restituzione
che Dio, finalmente, mette in atto nei confronti di Zaccaria e di Elisabetta.
Luca accenna anche a questo,
ma preferisce
insistere su
un altro
elemento: il
bambino che nascerà
è parte
di un
progetto di
cui i
genitori sono solo
strumenti:
«sarà
colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre
16e
ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio.
17Egli
camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i
cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare
al Signore un popolo ben disposto».
Zaccaria ritorna a casa dopo la visione:
«23Compiuti
i giorni del suo servizio, tornò a casa.
24Dopo
quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì».
È il momento
del concepimento.
L'atto dell'intimità,
del dono reciproco,
dell'amore, che
i due
anziani hanno
vissuto molte volte
nella loro
esistenza, trova
la sua
pienezza. Viene quasi da dire: il suo compimento. Questo passaggio
viene definito
per Elisabetta
come «l'uscita
dal disonore», dalla vergogna. È il recupero della
dignità perduta.
25«Ecco
che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere
la mia vergogna fra gli uomini».
Gli eventi successivi descritti da Luca possiamo raccoglierli in
due grandi scene.
La prima è quella della Visitazione.
Nell'incontro con Maria,
Elisabetta prova
gioia attraverso
il fremito del
figlio che
porta in
grembo. Talvolta è così: non
siamo noi
a provare
gioia, ma è
la gioia
che si
impadronisce di
noi. La
scena ci
rivela inoltre una
varietà enorme
di sfumature
della gioia:
la bellezza del
saluto, la
felicità dell'incontro,
la serenità del tenersi
compagnia, la fioritura nella preghiera e nel
canto.
La seconda
è quella
della nascita
e della
circoncisione di Giovanni.
C'è un bel passaggio nel testo di
Luca: i vicini e gli amici
«udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia»
(vv. 57-58). Si congratulano con
Elisabetta non perché è riuscita a compiere un'impresa, ma perché il Signore le
ha fatto un dono! Questo evento «apre la bocca», dà voce alla gioia. Non solo la
gioia di Zaccaria che torna a
parlare e a cantare, ma anche quella dei tanti che discutono di
quanto è
accaduto, e
di Elisabetta
stessa che,
uscita dalla vergogna,
osa esprimersi
ad alta
voce e
afferma ciò che
deve dire
senza paura,
con determinazione:
«si
chiamerà Giovanni!»
(v. 60).
Dalla mensa della parola, briciole di gioia
Quale gioia ci regala la figura di Elisabetta?
Una
prima
indicazione
la raccogliamo
pensando alla tristezza della
vita irreprensibile di questa coppia di credenti
devoti. C'è
una gioia
che ci
consente di
uscire dalle secche
di una
religione triste.
Qualcuno di noi ha letto il Don
Chisciotte di
Cervantes. Il protagonista è spesso chiamato
dall'autore «il cavaliere dalla triste figura».
È il soprannome che un caro amico ha affibbiato - non senza un pizzico di
malizia - al proprio parroco, che pure stima moltissimo. Mi dice: «Non ci sono
dubbi sulla sua serietà, sulla sua dedizione, sulla sua intelligenza, sul suo
amore ai poveri. Ma non ride mai, e
neppure sorride. E se ci
prova è peggio. Quando in predica parla della gioia lo fa con un tono così
lugubre e un'aria così triste che ti fa venire
addosso la disperazione».
Bernanos parlava delle nostre parrocchie
descrivendole
come «divorate
dalla noia».
Non è
una questione di scarsità di
iniziative o di poca vena creativa.
È che certe volte nei
nostri ambienti
si respira
una sorta
di vivacità
triste, tale
per cui
anche le
opere più
belle vengono neutralizzate
da chi
le compie
con tratto
cupo e
afflitto, col
volto corrucciato
e preoccupato,
con la
frenesia e la tensione di chi deve raggiungere a tutti i costi un
risultato, col risentimento nei confronti di chi non collabora, mentre noi
«siamo qui
a lavorare
gratis dal
mattino alla
sera».
Elisabetta e Zaccaria, forse loro malgrado, ci insegnano a diffidare di una fede
irreprensibile che
non conosce
la gioia.
Una
seconda
«briciola
di gioia»
che ci
viene consegnata
da questo
testo è
legata alla
fecondità inaspettata. C'è
una salutare «non coincidenza» tra i tempi nostri e
quelli di
Dio. È
stato così
per Abramo,
per Mosè,
per tanti altri
amici del
Signore. Non
possiamo mai
chiudere i
conti troppo
presto con
un Dio
che fa
fiorire un grembo
sterile, che
fa sgorgare
l'acqua dalla
roccia, che promette una
discendenza infinita a un uomo giunto
quasi alla
fine dei
suoi giorni.
Possiamo contemplare con
occhio diverso
il nostro
lavoro e
i frutti
che tardano a venire, il
nostro impegno apparentemente senza
risultato, le
nostre preghiere
e le
nostre opere
che non hanno
avuto un
buon esito.
Forse Dio
ci sta
preparando qualcosa che
non osiamo
nemmeno immaginare.
Questa fecondità inattesa, però, non è per noi, per nostro vanto. Giovanni
Battista non è possesso privato di Elisabetta e Zaccaria: è subito portato via
da loro, come precisa
Luca al versetto 80 del
primo capitolo:
«Cresceva e si fortificava nello spirito in regioni deserte».
Altrove, non tra i suoi, a casa sua. Il figlio così atteso
e desiderato
non è
per loro,
e forse
proprio questo è il segno di
una fecondità autentica, non secondo le attese umane né nel suo compiersi né nel
suo crescere. Spesso chi pianta un albero non potrà sedersi alla sua ombra
o gustarne i
frutti.
Un ultimo
sentiero di
gioia.
Elisabetta parla
della sua
nuova condizione come
quella di
chi è
uscito dalla
vergogna. C'è
una felicità
che risiede
nel tornare
a guardare
la vita
a testa
alta perché
il Signore
ci ha
fatto grazia.
Elisabetta può uscire
dalla vergogna
anzitutto perché
l'ha provata. E già in questo si dimostra
figura esemplare per noi che
viviamo in un tempo senza
vergogna, dove i
vizi vengono
fatti passare
per virtù,
dove sembra che l'avidità,
l'assenza di scrupoli, il
disprezzo della legge e della
dignità delle persone, lo spreco
di risorse per mostrare la
propria superiorità siano ottimi
strumenti di affermazione anziché derive umane
di cui
avere paura. Per uscire dalla vergogna
bisogna averla
provata.
Bisogna portarne
il peso,
versarci sopra
lacrime, patirne
la zavorra.
Ma Elisabetta può uscire dalla vergogna perché sa
di essere strumento di Dio. «Così com'ero», sembra
dirci, «Dio
mi ha
presa, mi
ha trasformata
e mi
ha fatto
grazia. Da
me stessa
non potevo
nulla. È
lui che
ha fatto tutto.
E per
questo gioisco
pienamente in
lui».
Anche noi possiamo gioire perché Dio ci ha fatto uscire dalla vergogna. Come
scrive in un passaggio di rara bellezza il Salmo 66 (65) ai vv. 10-12:
O Dio, tu ci hai messi alla prova;
ci hai purificati come si purifica l'argento.
Ci hai fatto cadere in un agguato,
hai stretto i nostri fianchi in una morsa.
Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste;
siamo passati per il
fuoco e per l'acqua,
poi ci hai fatto uscire verso l'abbondanza.
«Ci hai fatto uscire verso l'abbondanza». Un'altra traduzione scrive: «Ci hai
dato sollievo». Questa abbondanza e
questo sollievo
sono la
gioia di
chi rinasce e ricomincia da
capo, perché Dio ha tolto la sua vita dalla vergogna e l'ha resa feconda oltre
ogni attesa.
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Tu che sei al di sopra di noi,
tu che sei uno di noi,
tu che sei anche in noi,
che tutti ti vedano anche in me,
che io ti prepari la strada,
che io possa render grazie
per tutto ciò che mi accadrà.
Che io non dimentichi i bisogni degli altri. |
Conservami nel tuo amore, come
vuoi che tutti dimorino nel mio.
Possa tutto il mio essere
volgersi a tua Gloria
E possa io non disperare mai.
Perché io sono sotto la tua mano
e in te è ogni forza e bontà.
|
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e
converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da alcune lectio di don Davide Caldirola, della
Chiesa di Milano)