Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso.
Tendi a me il tuo orecchio.
Sii per me una roccia di rifugio,
un luogo fortificato che mi salva.
Perché mia rupe e mia fortezza tu sei,
per il tuo nome guidami e conducimi,
perché sei tu la mia difesa.
Alle tue mani affido il mio spirito;
tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele.
Esulterò e gioirò per la tua grazia,
perché hai guardato alla mia miseria,
hai conosciuto le angosce della mia vita;
hai posto i miei piedi in un luogo spazioso.
Ma io confido in te, Signore;
dico: «Tu sei il mio Dio,
i miei giorni sono nelle tue mani».
Quanto è grande la tua bontà, Signore!
(dal Salmo 31 )
Veni, Sancte Spiritus
Veni, per Mariam.
L’ITINERANZA
Proseguiamo nell’approfondimento di alcune figure bibliche che hanno particolarmente vissuto l’ “itineranza”.
LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto. (Atti 8,26-40)
26Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Alzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». 27Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etiope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, 28stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia.
29Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e accostati a quel carro». 30Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». 31Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui.
32Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:
“Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,
così egli non apre la sua bocca.
33Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, la sua discendenza chi potrà descriverla?
Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita”.
34Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». 35Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù.
36Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?». [37] 38Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. 39Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada. 40Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarea.
MEDITAZIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.
Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".
FILIPPO L’ “EVANGELISTA” – Evangelizza!
I discepoli del Maestro di Nazareth sono chiamati a seguire Gesù e sono mandati per essere continuatori della sua missione secondo lo stile del loro Signore. Ciò significa che per la missione è decisivo non solo avere attenzione per i contenuti dell’annuncio evangelico ma anche per la forma. E se Gesù ha scelto come forma del suo annuncio l’itineranza, essa in qualche modo sarà anche per i discepoli la forma della loro missione.
Perché Gesù ha scelto questa modalità per annunciare il vangelo del Regno?
Gesù è stato inviato per rivelare il Padre. E lo ha fatto con tutta la sua vita, «con gesti e parole» (Dei Verbum). Se nel vangelo di Giovanni Gesù dice: «chi vede me vede il Padre», ciò significa che la scelta di essere itinerante rivela l’itineranza di Dio. Questo vale per tutte le scelte di Gesù: la sua povertà, mitezza, umiltà, ecc. rivelano rigorosamente povertà, mitezza, umiltà, ecc. di Dio stesso.
Al contrario di Giovanni Battista il Maestro non aspetta che la gente venga da lui ma è lui a recarsi là dove la gente vive la sua vita quotidiana. Itinerare per Gesù vuol dire rendere vicino Dio. La scelta dell’itineranza ha allora questo significato: andare ovunque per arrivare a tutti, affinché nessuno si senta dimenticato o abbandonato da Dio. Questo è ciò che il Risorto continua a fare attraverso l’itineranza dei suoi discepoli. Andare ovunque, essere sempre in movimento, per Gesù vuol dire anche non farsi “catturare”. Nessun luogo, nessuna situazione e nessuna epoca potranno pretendere di possedere Gesù. Solo sulla croce sono riusciti a «inchiodarlo», e solo nel sepolcro è stato rinchiuso. Ma neppure la morte ha potuto trattenerlo! Questa libertà di Gesù è salvaguardia della trascendenza di Dio. E in questo senso la sua itineranza è di necessità anche povera: chi si sposta continuamente non ha casa e non può accumulare ricchezza, tuttavia è libero. Non libero, però, perché senza legami; bensì libero di farsi prossimo ovunque e a chiunque. Certo, l’itinerante laddove arriva è straniero, forestiero. L’itineranza del Maestro attesta dunque che Dio viene da «fuori» e chiede ospitalità con la discrezione dell’immigrato. Ma quando lo accogli ti accorgi che è lui ad ospitare te.
Anche Gesù, come tutti i grandi itineranti, ha compiuto un «esodo». E’ uscito dal Padre per venire ad abitare in mezzo a noi. In qualche modo anche lui ha dovuto abbandonare suo Padre. E dentro questo esodo ha dovuto emanciparsi dalle cattive immagini della paternità. Essendo di natura divina, cioè animato da un amore disposto a tutto per la salvezza di tutti noi, il Figlio è disceso fin nella condizione di schiavo e nella morte di croce per abitare tutti i nostri inferni e per farci uscire da essi. Per l’audacia di questo amore, il Padre lo ha esaltato. Pur avendo rischiato di smarrirsi è riuscito a restare Figlio fino in fondo, resistendo alla tentazione di farsi lui stesso Padre e Padrone con la forza e consegnando così all’umanità la redenzione: dell’uomo, figlio e fratello; e di Dio, Padre e Servo.
L’annuncio del Regno è dunque l’annuncio di un amore divino che il NT chiama “servizio”. In sintesi, l’itineranza di Gesù è un passare per diffondere benedizione, come per Abramo. Un passare per «far uscire» dalla schiavitù del male, come per Mosè e per raccogliere gli uomini in una fraternità resa finalmente possibile nella discrezione dello Spirito, come per Elia. E in questo «passare» il volto di Dio Padre, che Gesù rivela, assume tratti sorprendenti.
Trovare casa e doverla lasciare
Dal rapporto che Gesù stabilisce con la paternità di Dio deriva una conseguenza immediata. Nella comunità radunata intorno a Gesù nessuno è “padre” e nessuno è “maestro”..
Legge della fraternità è il servizio. In nome di Dio nessuno dovrà farsi più grande degli altri perché Lui solo è Maestro e Padre. Ma soprattutto perché Lui per primo è un Servo che si prende cura della vita e della fraternità tra tutti i suoi figli.
A partire da qui prende le mosse la comunità cristiana. Gli Atti degli Apostoli ci documentano questi inizi per opera dello Spirito santo. Ma insieme ci mostrano quanto sia stato difficile anche per gli apostoli capire e vivere questo ribaltamento della concezione «paterna» di Dio operata dal Figlio Gesù con la sua Pasqua. Che anche le origini della chiesa siano problematiche non deve stupire. Noi normalmente pensiamo della chiesa (con qualche ragione) che il momento originario sia il più puro, e che ad esso abbia poi fatto seguito lo svilimento e la corruzione dell’ideale iniziale. Ma molte volte è piuttosto vero il contrario. Se queste origini segnano l’avvio di una itineranza (facendo uscire dal vecchio per inoltrarsi nel nuovo) e se essa è davvero la condizione per conoscere se stessi, gli altri e Dio, non deve affatto stupire che si sia arrivati per gradi, e anche attraverso momenti di «erranza», a comprendere la novità di vita del vangelo.
Il momento nel quale Filippo compare nel racconto degli Atti è un momento di lite all’interno della comunità di Gerusalemme (Atti 6,1-7)
C’è un malcontento che oppone due fazioni e l’opposizione è segnata non marginalmente dall’elemento etnico. Tutti sono ebrei, ma una parte viene dalla diaspora (ellenisti) e l’altra è originaria della Palestina (ebrei). Nella conversione al cristianesimo essi hanno portato all’interno della comunità la divisione tra ebrei di serie A (ebrei di Palestina) ed ebrei di serie B (ebrei ellenisti, e forse addirittura proseliti). Perciò i secondi si lamentano del privilegio che viene accordato alle vedove dei primi. Siamo di fronte a una mancanza di condivisione, e non si dice per colpa di chi. Le vedove elleniste venivano trascurate per mancanza di organizzazione? Oppure per mancanza di attenzione? Fino a poco prima sono gli stessi Apostoli a raccogliere i beni che vengono condivisi e a distribuirli secondo il bisogno di ciascuno ai membri della comunità e ai poveri. Sono forse loro stessi responsabili di questa disattenzione?
Davanti a questa situazione il meno che si può dire è che gli apostoli (i capi-padri della comunità) reagiscono in modo scadente: si può capire che si sottraggano alla gestione diretta di questo servizio ma non che lo oppongano («… noi invece…») al servizio della Parola, che si riservano in proprio. Inoltre avallano una divisione: i nomi dei prescelti per il servizio delle mense sono tutti greci, e questo lascia supporre che il gruppo degli ellenisti abbia forse assunto una sua organizzazione separata da quella degli ebrei di Palestina.
Per quanto scadente sia, però, in questo modo anche gli ellenisti «trovano casa» nella comunità di Gerusalemme. E alcuni di loro vi assumono un ruolo pubblico, un servizio (oggi diciamo un «ministero»). Tuttavia dovranno presto uscire, allontanati dalla persecuzione che scoppia in occasione del martirio di Stefano (vedi Atti 8,1-4).
E qui c’è la sorpresa: eletti per il servizio delle mense e non per quello della Parola, i primi due della lista saranno ricordati rispettivamente come il primo martire e l’«evangelista» proprio a motivo della loro predicazione del vangelo! In questa crisi che investe la comunità i primi ad adempiere al mandato missionario che il Risorto ha affidato agli Apostoli sono cristiani anonimi, probabilmente ellenisti, che forzati ad uscire e ad abbandonare la «casa» si ritrovano per «strada» e predicano il vangelo. I servitori delle mense servono ora la Parola. Lontano dai «padri» e profughi, pur nel problema di farsi accogliere per trovare casa e lavoro, essi annunciano la «buona notizia» del Figlio che ci rende figli e fratelli. E diffondono gioia…
Difficile itineranza
Tra questi profughi c’è anche Filippo.
Itinerante a causa del sangue di Stefano, l’imperativo che anima il cammino di Filippo è «predica!», «evangelizza!». E’ notevole il fatto che questo annuncio avvenga in una città della Samaria. Considerati peggio che pagani, i samaritani erano tenuti a distanza come lebbrosi dagli ebrei, soprattutto da quelli della Giudea. Anche nell’itineranza di Gesù vi era stato un incontro ravvicinato con un villaggio della Samaria…
Tuttavia il successo dell’evangelizzatore non va capitalizzato: Filippo deve passare per ordine di un angelo dalla città a una strada deserta.
Il testo che racconta l’incontro tra Filippo e l’eunuco etiope è un modello di evangelizzazione eppure all’inizio sembra che Filippo sia costretto a fare una cosa assurda. Non è uno spreco mandare su una strada vuota che si inoltra verso il deserto uno che si è dimostrato bravo nel predicare alle folle di una città? E’ talmente assurda che ci vuole l’ordine di un angelo: a Filippo non sarebbe mai venuto in mente di fare una cosa del genere. Filippo obbedisce all’iniziativa divina e incontra l’etiope. Cosa vuol dire il testo? Che la missione all’inizio sperimenta sempre un momento di «deserto» e di apparente inefficacia? Che nessuna strada è tanto deserta da non riservare almeno un incontro? Che il vangelo passa soprattutto attraverso la relazione personale, e non con una predicazione davanti alle folle? Oppure che comunque la missione è opera di Dio e noi siamo, spesso senza capire fino in fondo, semplici collaboratori dell’opera di un Altro? Forse tutte queste cose insieme.
Di fatto vediamo che l’iniziativa è divina. Prima un angelo ordina a Filippo di andare sulla strada. Poi, dopo aver dato notizia dell’eunuco etiope (probabilmente un proselito) in viaggio per tornare a casa, il testo narra che lo Spirito in persona comanda a Filippo di accostarsi al carro. Questo scomodarsi dello Spirito vuole rivelare che vedendo l’etiope Filippo avverte un confine e che non gli viene spontaneo di accostarsi a lui?
A questo punto, sentendo che costui sta leggendo il testo di Isaia, Filippo cerca di entrare in relazione. Non ha più istruzioni dall’alto e procede di propria iniziativa. L’iniziativa divina lo ha condotto fin sul limitare di un confine e lo ha invitato a superarlo. Ora sarà lui a dover capire come. «Udito che leggeva Isaia…»: questo è l’aggancio che fa apparire una prossimità possibile. I due hanno in comune qualcosa di molto importante e Filippo entra in relazione con una domanda che offre al suo interlocutore l’occasione di domandare a sua volta. Con la sua domanda Filippo dichiara di avere qualcosa da donare, cioè una comprensione più «profonda», anzi «ultima», della parola di Isaia; mentre con la sua l’etiope ammette il suo bisogno di essere guidato a questa comprensione.
Affinché l’annuncio della buona notizia di Gesù sia possibile occorre però ancora qualcosa di molto importante. Ospitato dall’eunuco Filippo sale sul carro e gli si siede accanto. Si trova così a fare un tratto di strada con lui, anzi a fare un tratto “della strada di lui”, e questa immagine dice di una partecipazione discreta e insieme profonda di Filippo alla vita dell’etiope. Per annunciare il vangelo occorre entrare nella ricerca di un altro, ma per poter arrivare a tanto occorre essere a nostra volta «per via», in ricerca, magari in un momento in cui la strada ci appare deserta. La pazienza di mettersi al passo della ricerca dell’altro da parte di Filippo, perciò, non è una strategia per piazzare il prodotto. Filippo si lascia istruire dalle domande del suo interlocutore, così che l’annuncio di Gesù riveli all’altro la risposta che attende, e insieme doni all’evangelizzatore un nuovo aspetto del vangelo che senza quella persona e la sua domanda non si sarebbe dischiuso alla sua comprensione. Chi dona il vangelo lo riceve di nuovo, e nuovo.
La buona notizia di Gesù
L’etiope sta leggendo il quarto canto del «servo di JHWH» (Isaia 53,7-8). Si parla di uno, volutamente lasciato da Isaia nell’anonimato, che ha subito una ingiusta violenza senza restituirla, neppure a parole; e la cui vita è stata brutalmente interrotta prima che potesse – almeno a prima vista – avere un seguito in una discendenza. Eppure, dice il contesto di questa citazione, egli era il servo di Dio e avrà successo. La domanda dell’eunuco («di chi parla il profeta? Di se stesso o di un altro?») chiede, se questa parola non potrebbe parlare anche di lui. E’ come se chiedesse: «Posso sperare, io che sono eunuco, che la mia esperienza di fallimento, incompiutezza, limite sia assunta nella parola di Dio?». Leggendo del servo di Dio, infatti, egli deve essersi spontaneamente identificato con la sua vicenda; ma è come se fosse trattenuto dall’ammetterlo («che bello se fosse vero; ma certamente non è così!»): ha a tal punto interiorizzato la sua mutilazione che lui stesso non può credere a quello che pure i suoi occhi correttamente intravedono nel testo di Isaia. Gli resta però la curiosità di sapere chi sia questo servo che tanto assomiglia a lui.
Filippo finalmente gli annuncia Gesù. Il testo dice che parte dal brano della Scrittura che l’etiope sta leggendo, e dunque risponde alla domanda dell’eunuco. Possiamo supporre che gli confermi che il profeta parla di un altro, e precisamente di Gesù, servo di Dio, profeta condannato ingiustamente per la sua pretesa di rivelare Dio, e morto «come un agnello senza voce». Alla violenza non ha risposto con la violenza. La sua vita è stata recisa prima di poter portare frutti abbondanti. Così almeno è parso a molti… Ma alcuni lo hanno incontrato vivo dopo la sua morte, e lo hanno raccontato ad altri. Di lì a poco ha cominciato ad apparire il frutto di questo racconto: la vita di chi incontrava questo vangelo rinasceva profondamente mutata dall’ascolto della vicenda di Gesù. Mandato a rivelare il volto paterno di Dio questo servo lo ha affrancato dalle cattive immagini che di lui si fanno gli uomini, proprio rinunciando fino alla fine a usare la forza per affermare se stesso e le prerogative del suo Signore. La morte, che doveva dimostrare che egli non veniva da Dio, è stata così la paradossale rivelazione dell’amore del Padre, amore mite, tenace, capace di superare, nella misericordia, l’abisso scavato dal peccato degli uomini e alla fine anche la morte stessa. Rimanendo fino in fondo Figlio di questo Padre e fratello dei peccatori Gesù ha reso possibile nel suo perdono l’accoglienza di tutti in questa figliolanza affinché nessuno si perda. Ed ecco che ora questo Servo ha una discendenza immensa. Immaginiamo l’epilogo: «Dunque anche tu, soprattutto tu, sei un fratello carissimo e puoi sperare. In Gesù, che tanto ha voluto assomigliare a tutti noi e specialmente a te, sei figlio di Dio. E la tua vita, che sembra miseramente fallita, è salva. La tua esistenza incompiuta, limitata e sterile è assunta nella parola di Dio che è Gesù, anzi si fa parola di Gesù. E questo perché l’importante è essere figlio, non padre. E tu sei un figlio e un fratello non perché la tua esistenza è riuscita, ma perché sei amato dal Padre. In questo amore porterai molto frutto e radunerai una moltitudine di fratelli».
A questo punto l’etiope chiede e riceve il battesimo. E subito dopo Filippo scompare, rapito dallo Spirito. Tuttavia l’eunuco riprende la sua strada pieno di gioia perché ormai è capace di camminare da solo. Lui che aveva chiesto guida e istruzione, ora ha trovato il Maestro. Quanto a Filippo, viene «portato via» anche da questo successo. L’evangelizzatore non deve capitalizzare i successi, e neppure la fraternità. Eppure vive di essi perché gli restituiscono il vangelo e sostengono la sua determinazione di annunciarlo. Riprende la sua itineranza e dopo la prova e il dono della strada deserta ritrova la città. Evangelizza tutte le città che incontra, ma finalmente attraversandole senza fermarsi.
Quello che resta è la Parola che “passa”
Che fine ha fatto Filippo? Dopo tutto quello che abbiamo detto sulla sua itineranza e del rapporto tra questa e l’evangelizzazione può sembrare strano ritrovarlo a Cesarea, sposato, con quattro figlie. Dal racconto di Atti sembra che una volta arrivato in questa città non si sia più mosso. E potremmo essere tentati di pensare, per giustificare i nostri schemi e le nostre ripartizioni di compiti e responsabilità, che la colpa di questa interruzione della sua itineranza sia stata proprio del matrimonio:
8 Ripartiti il giorno seguente, giungemmo a Cesarèa; ed entrati nella casa dell'evangelista Filippo, che era uno dei Sette, sostammo presso di lui. 9 Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia. (Atti 21)
Eppure è proprio qui che viene chiamato «evangelista», lui che era uno dei Sette servitori delle mense. E’ solo un ricordo di imprese passate? Ma se il nome di «evangelista» gli è rimasto attaccato addosso questo vuol forse dire che l’imperativo che guidava la sua predicazione itinerante continua ad orientare la sua vita. Come?
La prima cosa che ci viene detta è che la casa di Filippo è aperta all’ospitalità. In particolare egli ospita i missionari di passaggio. Questa disponibilità non testimonia forse una sensibilità, una attenzione, una partecipazione all’impresa evangelizzatrice che continua ad essere determinante nella vita di Filippo e che lo rende aperto e curioso per tutto quello che accade al di là dei confini in cui vive?
La seconda informazione riguarda le sue quattro figlie. Sono nubili e profetesse. Sono nubili perché sono profetesse? Sembrerebbe così a prima vista. Ma potrebbe anche essere che il testo ricordi che sono nubili solo per sottolineare la loro giovane età. In questo caso si aggiungerebbe sorpresa a sorpresa: non solo sono donne, ma per di più sono giovani. Nonostante questo (ricordiamoci il contesto socio-culturale) esse sono profetesse, hanno cioè il dono della Parola. E il profeta è la bocca di Dio non solo per ricordare quello che il Signore ha detto una volta, ma soprattutto per dire quale parola Egli rivolge oggi ai suoi.
Nella famiglia di Filippo la Parola è viva. «Passa» e si diffonde, anche adesso a Cesarea. Certamente la predicazione itinerante dell’«evangelista» è stata determinante per la sua vita. Ma quando si è fermato a Cesarea non è venuta meno; ha solo cambiato forma continuando a dare i suoi frutti. Del resto alcune chiamate riguardano determinati periodi della vita. Eppure quei momenti l’hanno segnata per sempre. Filippo sarà per sempre l’«evangelista».
ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Signore, la tua Parola è a portata di mano,
ogni giorno la posso leggere, meditare e pregare.
Eppure essa non trasforma la mia vita,
perché la abbandono sulle pagine della Bibbia
e non la porto con me, lungo le ore della giornata.
La tua Parola mi entusiasma e mi affascina
ma quando si tratta di esporsi in prima persona,
quando metterla in pratica costa fatica,
allora mi spavento e la nascondo.
La tua Parola è coinvolgente, Signore,
e offre una speranza nuova,
ma le preoccupazioni e le distrazioni della vita,
i frammenti di felicità “usa e getta”
strillano più forte e mi convincono
a scegliere la via più facile.
Il mio sudore non basta a dissodare una terra arida,
e le mie lacrime sono insufficienti per irrigarla.
Dissoda Tu, Signore, il terreno della mia anima,
spianane le zolle, irrigane i solchi
e fa splendere su di essa un sole caldo.
Solo così il buon seme potrà mettere radici,
e far germogliare una spiga robusta, carica di frutti.
Non per merito mio
ma per l’azione del Tuo Santo Spirito
che rende fertile anche il deserto
e gioisce di un’abbondante raccolto.
Amen.
(Patrizio Righero)
CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo
a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria
per tutti i secoli dei secoli.
AMEN
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti da sussidi delle Pontificie Opere Missionarie)