RITIRO ON LINE
dicembre - 2009  

 

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.

Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.

 

Ti amo, Signore, mia forza,

Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore,

mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;

mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.

Invoco il Signore, degno di lode.

Nell’angoscia invocai il Signore,

nell’angoscia gridai al mio Dio:

dal suo tempio ascoltò la mia voce,

a lui, ai suoi orecchi, giunse il mio grido.

Stese la mano dall’alto e mi prese,

mi sollevò dalle grandi acque.

Signore, tu dai luce alla mia lampada;

il mio Dio rischiara le mie tenebre.

La via di Dio è perfetta,

la parola del Signore è purificata nel fuoco;

egli è scudo per chi in lui si rifugia.

Infatti, chi è Dio, se non il Signore?

O chi è roccia, se non il nostro Dio?

Tu mi hai dato il tuo scudo di salvezza,

la tua destra mi ha sostenuto,

mi hai esaudito e mi hai fatto crescere.

Hai spianato la via ai miei passi,

i miei piedi non hanno vacillato.

Viva il Signore e benedetta la mia roccia,

sia esaltato il Dio della mia salvezza.

Per questo, Signore, ti loderò tra le genti

e canterò inni al tuo nome.

(dal salmo 18)

 

 Veni, Sancte Spiritus

Veni, per Mariam.

 

 

LECTIO     Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano dal Vangelo di Luca  (Lc 1, 39-45)

 

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

 Parola di Dio.

 

MEDITATIO            Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: “Il Grande Silenzio”! Il protagonista è lo Spirito Santo.

Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.

Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarsi plasmare dal suo stesso "cuore".

 

Entrare in profondità

Bisogna che, entrando nella lettura e nella meditazione di questo breve brano della Scrittura, ci lasciamo condurre e guidare da Maria, seguendo i suoi passi veloci, il suo movimento d'amore. Anche noi, insieme a lei, dobbiamo alzarci, uscire dalle nostre cose di sempre, dai nostri ritmi, dalle nostre misure ormai note e ben calcolate. Questa lectio è un viaggio verso la montagna, verso la terra di Giuda, che è terra di lode, di canto. Dunque è una salita, un'ascesa, ma anche un ingresso: dalla città alla casa, dalla folla all'intimità. Maria esce e corre verso Elisabetta: due donne che si cercano e si incontrano, per dare vita alla vita. Due donne e due grembi. Non vuoti, non sterili, non solitari, né chiusi: grembi abitati, parlanti, esultanti, già partecipi dell'esistenza.

E’ verso questo punto intimo, questo centro vitale, che noi dobbiamo puntare l'attenzione. Il testo stesso ci fa luce, attraverso i termini che sceglie: bambino, grembo, frutto del grembo e poi ancora bambino, grembo. Siamo condotti presso il santuario della vita, che è il grembo della donna. E la Scrittura non rimane muta, né sta ferma, ma si anima, qui, davanti a noi e ci coinvolge nel movimento vivace di Giovanni, dentro il grembo di sua madre. Siamo invitati alla danza. In apertura del Nuovo Testamento l'anziana Elisabetta ci lancia la proposta: tocca a noi muoverci, entrare nei passi di danza di tutti coloro che già prima di noi, oppure oggi, con noi, seguono il Signore, il Salvatore del mondo.

Guardiamo al grande movimento che anima questa scena: Maria si alzò, andò in fretta, entra, saluta;  Giovanni sussulta esultando, cioè danza pieno di gioia nel grembo di sua madre; Elisabetta è colmata di Spirito Santo che soffia dentro di lei e la fa esclamare a gran voce.

Non restiamo fermi, allora, ma apriamoci alla venuta del Signore verso di noi, a casa nostra; appena entrerà, anche il nostro grembo, la nostra vita intima, comincerà a danzare, a vivere di nuovo...

 

Il contesto

 

Siamo nel primo capitolo del Vangelo di Luca, che prepara i racconti della nascita e dell'infanzia di Gesù. Questo brano, posto al centro del capitolo, ne costituisce il cuore, il punto chiave: racchiuso tra le due annunciazioni - a Zaccaria e a Maria - e i loro canti di lode e di fede, il Magnificat e il Benedictus, esso diventa rivelazione del mistero che si sta realizzando. Giovanni danza nel grembo di Elisabetta per accogliere la venuta del Messia, lo saluta ancor prima di incontrarlo faccia a faccia. Nella forza esultante di questa danza, alimentata dal soffio dello Spi­rito Santo, Maria è riconosciuta madre del Signore, colei che ha creduto e ha fatto spazio alla promessa di Dio.

 

I personaggi

 

La prima a entrare in scena è Maria, che si alza, in una risurrezione d'amore, di cura per l'altro che la spinge in una corsa affrettata verso Elisabetta, sua parente anziana. Il testo di Luca ci offre proprio il verbo della risurrezione, che indica un alzarsi pieno, deciso, solido. Maria, ben diritta, mossa dallo Spirito del Signore, lascia dietro a sé ogni cosa e decide di partire. Si mette in cammino e sale verso la montagna. Poi entra e saluta. Un avvicinamento progressivo che non teme le distanze, le differenze, le fatiche, le incognite; non c'è nulla che possa fermarla. Per questo è così gioiosa, traboccante, fino al canto, alla lode più piena, quella che sgorga dall'anima (Lc 1,46).

Elisabetta, invece, sta in casa; da cinque mesi è nascosta così, dopo aver scoperto il dono di Dio nel suo grembo (Lc 1,25). Maria viene a scovarla, a tirarla fuori dalla sua chiusura, da quella meraviglia sconvolgente che l'ha paralizzata. E lei, anziana, che già ha camminato molto nella vita, non si sottrae alla gioia contagiosa di questo incontro così misterioso. Elisabetta apre la sua casa, la sua vita, la sua persona... il suo stesso grembo. Non si nasconde più, ormai, perché sa di essere conosciuta fino in fondo, fino a quel punto unico e irraggiungibile che nasconde il segreto della sua vita; sa che Dio la guarda e la visita. Per questo non pone barriere, ostacoli, misure. Per due volte il brano sottolinea che lei ascolta (vv. 41 e 44); parte di qui la sua apertura agli eventi della vita che la raggiungono in maniera così inaspettata. Prima di tutto apre l'orecchio, apre il cuore, il grembo. E accoglie. Per questo non fatica a comprendere che lì, davanti a lei, c'è Dio, il Dio di Israele. E si lascia colmare, riempire dalla presenza dello Spirito. Come accolse il figlio Giovanni dentro il suo grembo, così accoglie Maria nella sua casa e ancora accoglie lo Spirito nel cuore. Dunque non è passiva, Elisabetta; anzi, opera fortemente insieme alla grazia e si lascia coinvolgere nella danza della salvezza che ha preso inizio proprio dentro di lei. Muove i suoi passi, unendoli a quelli di Giovanni, di Maria e di Gesù.

Approfondimento del testo

«Salutò Elisabetta» (v 40). Il saluto scambiato tra Maria ed Elisabetta non è sicuramente vuoto, formale, superficiale, ma porta in sé tutta la carica, tutta la preparazione che vediamo nelle decisioni, nei gesti, nei movimenti di Maria. Il suo saluto nasce e cresce pian piano, nella forza serena dell'alzarsi, del mettersi in viaggio, dell'affrettarsi, dell'entrare in casa. È, dunque, un saluto pieno, davvero pregnante, come sono Maria stessa ed Elisabetta. Un avvicinarsi di grembi, di vite, di respiri, che diventa benedizione.

«II bambino sussultò» (v 41). Un saluto tale da provocare una gioia incontenibile, anzi, l'esultanza di una vera e propria danza. Il verbo che troviamo in queste parole di Elisabetta, infatti, significa «saltare», «balzare», «saltellare». Giovanni, dunque, compie una sorta di danza nel grembo di sua madre e con essa vuole esprimere tutta la gioia traboccante per l'arrivo del Messia, il Signore. Questo particolare ricorda molto la danza del re Davide davanti all'arca di Dio (2Sam 6,14), cioè davanti alla sua presenza in mezzo al popolo. Maria ci appare, allora, come la nuova arca, colei che porta in sé la salvezza di Israele e di tutte le genti.

«Nel grembo»  (v 41). Ci troviamo davanti alla parola chiave di questo brano, che ritorna ben tre volte. È questo il centro, il cuore, il luogo dell'incontro con Dio, luogo della gioia e della trasformazione. Ovviamente, siamo invitati a entrare, come già Maria entrò in casa di Elisabetta, e così facendo entrò nella sua vita, nella sua intimità. Ora davanti a noi sta, spalancato, il grembo di Dio, la sua vita... Il termine greco richiama i significati di «cavità», «vuoto». Ma il grembo non è un luogo vuoto, privo di presenza e compagnia; potremmo dire, anzi, che è la vita stessa abitata, fatta accoglienza, accettazione. E’ il luogo dell'essere, in cui la persona, ognuno di noi, vive veramente. Infatti l'evangelista Giovanni ci dice, usando la medesima parola, che dal grembo del credente zampillerà acqua viva (Gv 7,38). A guardare bene, il primo contatto fra queste due donne avviene a livello del grembo, avviene proprio lì, in quei loro spazi segreti, intimi, vitali, che custodiscono il tesoro più prezioso che è stato loro dato: un figlio.

«Elisabetta fu colmata di Spirito Santo»  (v 41). Elisabetta fu colmata, fu riempita, fu visitata dallo Spirito del Signore; non solo fu da lui toccata, sfiorata all'esterno, in un passaggio frettoloso e impercettibile, ma fu riempita, abitata da una presenza sempre più consistente, sempre più piena. Questa passività è una vera benedizione. Davanti a Dio, infatti, dovremmo essere sempre così.

«Esclamò a gran voce» (v 42). Elisabetta a questo punto non può che esplodere in un canto di gioia traboccante. Il testo ci offre un verbo abbastanza raro, che appare solo qui nel Nuovo Testamento e cinque volte nell'Antico e che significa, alla lettera, «alzare la voce», cioè «esclamare», «acclamare», «lodare». Esso compare sempre in un contesto liturgico particolare: nel momento in cui Israele trasporta l'arca dell'alleanza, luogo santissimo della presenza di Dio. Quando lui viene in mezzo a noi, non si può che lodarlo, alzando la voce, presi da grandissima gioia. Elisabetta vive proprio questa esperienza, perché riconosce Maria come arca della nuova alleanza, presenza viva di Dio in Cristo Gesù.

«A che cosa devo...?» (v 43). Il canto e la danza di Elisabetta si erano aperti con la proclamazione estasiata di due benedizioni consecutive rivolte a Maria: «Benedetta tu... e benedetto il frutto del tuo grembo!» e ora proseguono con un'esclamazione piena di stupore e di meraviglia. Questo: «A che cosa devo...?» può essere tradotto: «Cosa ho fatto per meritare tale grazia?». Il dono di Dio viene solo dall'alto, da quel cielo ormai aperto, spalancato per noi, che non si stanca di offrirci la presenza di Dio, in molti modi.

 

 

La Parola m’interpella:

 Ci siamo messi in viaggio con Maria, abbiamo camminato accanto a lei, condividendo la fatica della salita verso la montagna; siamo entrati in città e nella casa di Zaccaria. Abbiamo preso parte al saluto festoso di queste due donne, siamo entrati nella benedizione reciproca che si sono scambiate. E qui ci è stato indicato il luogo santo dell'incontro con Dio; ci è stata aperta la strada verso il grembo, quello nostro. È ora di scendere, di passare nelle profondità, anche noi ad ascoltare, con le orecchie dell'anima ben aperte. E’ il momento di nascere ancora, fra le braccia di Dio, in questa visita d'amore, di salvezza, di perdono, di riconciliazione, di guarigione, di illuminazione... Da dove ci è venuta tanta grazia, tanta misericordia?

 

Domandiamoci:

Nel testo originale greco la prima parola di questo brano è: «Alzatasi», riferita a Maria. Dopo l'incontro con Dio lei non sta ferma, non si chiude in se stessa, non dimentica la vita, ma sente la spinta ad alzarsi, a risorgere, a uscire fuori e a mettersi in viaggio. E tutto questo non con pigrizia, o mollezza, o disinteresse, ma con impegno, sollecitudine, premura, diligenza, in una parola: con amore.    

Se guardiamo a noi, anche nei momenti migliori, di maggior entusiasmo, come siamo?

Come ci muoviamo davanti alle sollecitazioni di Dio, o dei fratelli e sorelle che condividono con noi l'avventura della vita?

Ce la facciamo ad alzarci, a risorgere dalle nostre pigrizie e abitudini, dalle nostre misure comode per metterci in cammino verso l'altro?

Magari anche solo in senso spirituale, si apre davanti a noi il viaggio verso la montagna...

Maria entra in casa di Elisabetta. Una casa aperta, accogliente, dove c'è spazio per chi arriva. E' importantissimo, questo, perché non si tratta solo della casa in senso fisico. Ma è la nostra vita, i sentimenti, i sogni, i progetti a essere chiamati in causa.

Guardiamoci dentro: quanto siamo chiusi, barricati, protetti, distanziati?

Quanta paura abbiamo di aprirci all'altro, magari anche nei rapporti più importanti, nelle amicizie, nell'amore?

Il nostro cuore è libero abbastanza per accogliere, per abbracciare? Se il Signore bussa, saremo pronti ad aprire?

Guardiamo a Elisabetta: ha accolto Giovanni nel suo grembo, Maria nella sua casa, lo Spirito Santo nella sua vita, nella sua persona. E' una donna riempita, colma, proprio come vorremmo essere tutti noi, sempre alla ricerca di soddisfazione, appagamento, pienezza. Ma è solo il Signore che può davvero ricolmarci, farci sentire felici.

Mi fermo un attimo, cerco il mio cuore, scendo in profondità dentro di me: cos'è che mi manca di più?

Di cosa vorrei essere colmato?

E se trovo qualche vuoto in me, qualche carenza forte, dolorosa, cosa ne faccio? a chi la presento? verso chi mi apro?

"A che cosa devo?". Domanda bellissima, che rivela una chiara consapevolezza di sé. Elisabetta sa di aver ricevuto una visita, un dono grande e non si sente degna. Riconosce la bontà di Dio verso di lei e non sa come ricambiare.

Nella nostra esperienza di vita, c'è stato mai qualche momento in cui abbiamo pronunciato queste parole, pieni di stupore e di gratitudine?

Abbiamo mai sentito la presenza, l'amore del Signore in noi attraverso persone, eventi che ci hanno riempiti di gioia?

E nella preghiera, o magari nel momento della comunione a Messa, ci è mai venuto da dire queste parole?

 

 

ORATIO    Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

Maria, rendi il mio amore sorridente,

perché sia ancor più ricco di amore!

Fa in modo che il mio sorriso,

possa esprimere la più pura bontà!

Insegnami a dimenticare con un sorriso

le mie preoccupazioni e le mie pene,

per prestare attenzione soltanto alle gioie degli altri.

Il mio volto sorridente renda i miei contatti col prossimo

più cordiali e più caldi di fraternità.

Conservami il sorriso nelle ore dolorose,

perché anche in quei momenti

io possa continuare a donarmi al prossimo.

Aiutami a custodire in fondo al cuore quella gioia di amare

che si manifesta attraverso il sorriso.

Insegnami, Maria, a servire il Signore,

con gioia, sorridendo, a qualunque costo.

 Amen

 

 

 

CONTEMPLATIO   Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarsi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.

 È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

O Signore, Signore nostro,

quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!

Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza,

con la bocca di bambini e di lattanti:

hai posto una difesa contro i tuoi avversari,

per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,

la luna e le stelle che tu hai fissato,

che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,

il figlio dell’uomo, perché te ne curi?

Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,

di gloria e di onore lo hai coronato.

Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,

tutto hai posto sotto i suoi piedi:

tutte le greggi e gli armenti

e anche le bestie della campagna,

gli uccelli del cielo e i pesci del mare,

ogni essere che percorre le vie dei mari.

O Signore, Signore nostro,

quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!

(salmo 8)

 Per Cristo, con Cristo e in Cristo

a te, Dio Padre Onnipotente,

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria

per tutti i secoli dei secoli.

AMEN

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questo brano, quello che mi ha colpito di più nella meditatio, che ho ripetuto nell’oratio, che ho vissuto come adorazione e preghiera silenziosa nella contemplatio e adesso vivo nell’actio.

 Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

 Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

 

Arrivederci!

 

 (spunti da una Lectio di suor Maria Anastasia)