Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Mi fermo. Do uno sguardo alla mia giornata, ai segni
di resurrezione e ai momenti di mediocrità. Santo Spirito, donami una consapevolezza
nuova.
(da
"Apri il cuore - Preghiere" di Romena)
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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SCEGLIERE DI RISPONDERE.
Continuiamo a pregare seguendo alcune lectio liberamente tratte da riflessioni
di don Giuseppe Pulcinelli, sacerdote della Chiesa di Roma.
Buona meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
(Marco
10,17-30)
17Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò:
«Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18Gesù gli disse: «Perché mi chiami
buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere
adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». 20Egli allora gli disse:
«Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo
amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e
vieni! Seguimi!». 22Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti
beni.
23Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono
ricchezze, entrare nel regno di Dio!». 24I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse
loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 25È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago,
che un ricco entri nel regno di Dio». 26Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?».
27Ma
Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio!
Perché tutto è possibile a Dio».
28Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». 29Gesù gli rispose: «In
verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per
causa mia e per causa del Vangelo, 30che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e
sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel
tempo che verrà.
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.
Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona
più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito
Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
«SE NE ANDÒ VIA TRISTE»:
una vocazione mancata a causa della ricchezza
Gesù, mentre andava per la strada…
Il brano dell'incontro tra un tale e Gesù «mentre
andava per la strada» è riportato dai tre vangeli sinottici, con
Matteo (19,16-22) e Luca (18,18-23)
che attingono alla versione di Marco (10,17-22), anche con varianti
significative.
Il racconto prende l'avvio con Gesù che si trova in viaggio dalla Galilea alla
Giudea (Mc10,1), verso Gerusalemme, dove lo attende un destino di morte (Mc8,31;
9,31).
L'incontro avviene sulla strada: c'è un uomo che corre verso di lui, uno che
rimane anonimo, di cui non apprenderemo molto dal punto di vista biografico
[ per Matteo è un “giovane” (Mt 19,20.22), mentre Luca ci dice che è un
“notabile” (Lc18,18) e Marco dice
semplicemente “un tale” (Mc10,17) ] , ma sappiamo comunque che è un ebreo pio,
osservante della Legge; solo alla fine sapremo anche che è molto ricco.
Evidentemente non vuole perdere l'occasione di parlare con Gesù. Ciò presuppone
che abbia già sentito parlare di lui; forse ha
assistito alla scena precedente con la benedizione dei bambini e
l'insegnamento su come accogliere il regno di Dio: (Mc10,13-16)
e che sia rimasto affascinato da questo maestro straordinario; lo stima
come uomo di Dio e vuole incontrarlo a tutti i costi. Per questo corre da lui;
addirittura gli si getta davanti, inginocchiandosi come avevano fatto i malati,
gli indemoniati o chi implorava la
guarigione per un familiare. Questa
volta - si badi bene, l'unica in tutti i vangeli
- c'è uno che si inginocchia
davanti a Gesù non per cercare la
guarigione fisica, né per un aiuto materiale: quest'uomo non ha bisogno di
nessuna di
queste cose.
Cosa chiede
Va da Gesù per ricevere qualcosa di più importante, qualcosa che egli ha
posto in cima ai suoi pensieri e desideri. Da questa postura sottomessa
si rivolge a Gesù chiamandolo «maestro
buono». Di certo, con tale qualifica positiva l'uomo fa appello
alla bontà di Gesù perché sia disponibile anche
nei suoi confronti a
occuparsi di lui e della sua
richiesta. Un appellativo che però Gesù respinge, prendendo spunto per
un insegnamento: «Perché
mi chiami buono?
nessuno è
buono se non Dio solo» (Mc10,18). «Dio
solo » era il centro della
professione di fede giudaica dello Shema' Yi sra'el (De6,4-5), tanto più dello
stesso ebreo Gesù (Mc12,28-34). Così egli risponde rettificando l'affermazione
di quell'uomo: soltanto Dio è
buono, essendo lui solo la fonte della bontà e poiché solo in lui c'è salvezza,
mentre gli uomini non sono mai totalmente buoni, anzi sono cattivi, malati di
egoismo e di superbia.
Un uomo in ricerca
Lo sconosciuto esprime dunque la sua richiesta:
«Che
cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?»
(Mc10,1 7). Interessante notare che egli non formula una domanda generica ma
esprime una finalità individuale e pratica: «Cosa devo
fare io...?». Non è una
questione di tipo scolastico, ma tocca la sfera personale di colui che si sente
implicato. Per cui egli si aspetta una risposta altrettanto personalizzata, il
che presuppone che chi domanda sia disposto a fornire altri particolari di sé,
come farà soltanto dopo. Insomma, va da Gesù con entusiasmo e con la convinzione
che questo maestro conosca la volontà di Dio e gliela voglia trasmettere. Egli
desidera ardentemente la vita eterna, e mostra una grande disponibilità a darsi
da fare per ottenerla.
La vita eterna è un sinonimo della salvezza, che per un ebreo era legata
all'appartenenza al popolo dell'alleanza e all'osservanza della Legge .
Dietro
la domanda del pio ebreo possiamo intravedere senz'altro l'universale domanda di
ogni essere umano sul senso della propria vita, su ciò che è durevole e per cui
valga la pena impegnarsi; su ciò che significa la vera vita, quella capace di
superare l'angoscia della morte, il male, la sofferenza. L'uomo sente la
limitatezza dell'esistenza come
un'assurdità, una contraddizione di ciò che prova nel suo intimo quando vive le
relazioni, gli affetti, le aspirazioni più profonde del suo cuore. Quest'uomo,
come ogni essere umano, si porta dentro una grande sete di qualcosa di grande e
di bello che dia un senso pieno alla sua vita, una sete di infinito.
Ritiene che per ottenere questa vita eterna debba
fare qualcosa. È convinto che
occorra una prestazione da parte sua,
e implicitamente si dichiara pronto a effettuarla; il verbo «ereditare» tuttavia
implica anche che questa vita piena è qualcosa che non ci si può dare da soli,
ma si può soltanto ricevere, come si riceve un'eredità, in base a una relazione.
È un dono, è il dono che Dio fa a chi si riconosce
povero, mentre chi è ricco e pensa di ottenerlo dando in cambio qualcosa,
credendo di meritarlo, non lo può concepire e dunque ricevere.
I comandamenti della Legge
Gesù,
dopo avere rettificato la qualifica di «maestro
buono», gli dà la risposta su come si accede alla vita eterna,
premettendo che in realtà egli la conosce già. Si tratta infatti di osservare i
comandamenti della Legge, ben noti agli ebrei: «Non
uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non
frodare, onora tuo padre e tua madre».
Gesù ne cita cinque tra i dieci dati da Dio a Mosè (De5,16-20), più uno
extra, «non
frodare» (De24,14), che è affine al «non
rubare» (si nota quindi una certa insistenza sui beni
materiali). Da notare che il comando positivo riguardante l'onorare i genitori,
diversamente dalla successione della lista mosaica, viene spostato dopo quelli
negativi, e che tutti insieme riguardano i rapporti con il prossimo:
la vita eterna si gioca sul
comportamento tenuto verso gli altri .
A queste parole di Gesù l'uomo ribatte: «Maestro,
tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza»
(Mc10,20); e la scena potrebbe concludersi qui, con l'interlocutore
che poteva dichiararsi
d'accordo e sentirsi rassicurato da Gesù perché stava procedendo bene (come in
Mc12,28-34). Oppure Gesù avrebbe potuto far notare a quell'uomo che quelle sue
parole mostravano la sua presunzione e superbia, dal momento che, come aveva
premesso prima, solo Dio è buono mentre nessun uomo può dire di esserlo; in
effetti chi può affermare di aver sempre osservato tutti i comandamenti fin
dalla fanciullezza? Ma il racconto non prosegue in questo modo, Gesù non si
mette a fargli la morale... Anzi, da ciò che sta per
dire
- «Una cosa
sola ti manca» - sembra che dia pieno credito a quella
affermazione.
La chiamata a lasciare tutto e a seguire Gesù
Dopo averlo ascoltato, «Gesù,
fissando lo sguardo su di lui, lo amò». Non che finora non
l'avesse guardato in volto, soltanto che ora si sofferma su di lui fissandolo
con maggior intensità, negli occhi , come se quella risposta spontanea,
convinta, che implicitamente persiste nel domandare, abbia risvegliato un
sentimento nuovo in Gesù.
Quest'uomo ha tutto ciò che una
persona può desiderare: non solo la
ricchezza materiale (come si
apprenderà subito dopo) ma, essendo fedele ai comandamenti, ha soprattutto una
grande onestà e rettitudine morale; è davvero un giusto davanti alla Legge. Di
fronte al mondo appare benedetto da Dio in tutto: i beni, la salute,
l'intelligenza, la virtù. In più, le sue parole rivelano il desiderio di
progredire sempre più verso il bene. Ha tutto per essere felice... ma il suo
cuore è inquieto, sperimenta un certo vuoto, intuisce che c'è qualcos'altro,
vuole di più: cerca la vera sapienza.
E adesso è Gesù a essere affascinato da lui, come è sempre affascinato da chi
cerca la verità, la sapienza, la vera vita: «Gesù,
fissando lo sguardo su di lui, lo amò». Già prima lo aveva
guardato con la consueta attenzione amorevole con cui guarda le persone che
incontra; ora però prova un nuovo sentimento di amore. Gesù è preso da un grande
affetto per quest'uomo, lo ammira, lo stima (un entusiasmo analogo Gesù lo prova
di fronte a Natanaele: «Ecco
davvero un Israelita in cui non c'è falsità»: Gv 1,47) . Forse ha
vissuto anche lui nella sua umanità questa fase giovanile di ricerca e di
inquietudine di chi vuole fare
sempre la volontà di Dio. Perciò
fissa lo sguardo su di lui, e prima di indicargli la strada per la felicità,
prima di dirgli ciò che ancora gli manca, lo abbraccia con il suo amore, quasi a
comunicargli il coraggio di cui avrà bisogno per cogliere l'attimo fuggente e
assumersi il rischio: fissatolo,
lo amò.
La vocazione
Qui c'è il mistero della vocazione, di ognuno/a che si sente chiamato/a a
seguire il Signore: il percepire questo sguardo personale di amore su di sé, il
sentirsi amati, stimati, prediletti. È un'esperienza decisiva, necessaria; anzi,
indispensabile in ogni autentica vocazione: prima di essere un invito pressante,
o un precetto, essa è infatti stupore di fronte a un amore inatteso, sorpresa di
vedere la gioia nel volto di colui che invita a entrare in questa relazione di
amicizia.
L’amore è esigente
Ma l'amore, ogni vero amore, è anche esigente, chiede molto, chiede tutto:
«Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!»
(Mc10,21).
Ciò che gli manca non è in ordine alla salvezza o alla vita eterna, non
appartiene infatti ai comandamenti, ma è qualcosa di nuovo che quell'uomo non ha
ancora vissuto né conosciuto, e che è contenuto in quello sguardo tutto speciale
che ha sentito rivolto su di sé: lì c'è l'energia per compiere qualsiasi cosa,
anche la più rischiosa e gravosa. Non si tratta più di osservare una legge, ma
di amare e seguire una persona; quell'amore lo chiama a essere discepolo
seguendo Gesù, ovunque vada, condividendo la sua vita e la sua causa.
«Vieni!
Seguimi!».
Questo è l'invito dell'amore più grande, che rende possibile la scelta decisiva
verso la pienezza... e scegliere vuol dire decidersi tra due possibilità, che
Gesù in questo caso mostra come incompatibili tra loro: per seguirlo occorre
liberarsi dal legame con le ricchezze, le sicurezze materiali e la propria
giustizia. Occorre fare discernimento, riconoscere i propri attacca menti e
capire che cosa riempie di più il cuore. Per chi si lascia coinvolgere da questo
amore, quella cosa che manca, la rinuncia da compiere, in fondo si rivela essere
poca cosa, perché ognuno si può rendere facilmente conto che «c'è
più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Per cui la gioia
pregustata è più che sufficiente a far compiere il grande passo, lasciare tutto
il resto e seguire l'amore.
Il nostro testo narra in modo straordinario la storia di una chiamata, e i tre
evangelisti la presentano come lezione esemplare. Come aveva fatto con altri che
avevano ascoltato il suo invito, con Simone e Andrea, con Giacomo e Giovanni
(Mc1,16-20), con Levi (Mc2,14), Gesù chiama qualcuno a lasciare tutto e a
seguirlo, per diventare suo discepolo. Tutto fa pensare che anche nel nostro
caso c'è da attendersi una risposta positiva... ma questa volta qualcosa non
funziona, sembra che Gesù chieda troppo.
Chiamato alla radicalità
In realtà la radicalità dell'indicazione di Gesù non è un'esagerazione senza
fondamento: lo She ma' Yisra'el che era stato evocato dalla prima risposta di
Gesù, in cui al pio ebreo si comanda di amare Dio con tutte le forze,
implicitamente conteneva la disponibilità a rinunciare anche ai propri averi
destinandoli a chi ne ha bisogno.
Forse l'uomo virtuoso voleva soltanto essere tranquillizzato. Magari si
aspettava che Gesù gli dicesse: «Va bene così, fai già tanto, non hai bisogno
d'altro, stai tranquillo, sei a posto; se vuoi, fai un po' più di elemosina...».
No, nessuna rassicurazione. Gesù non solo non lo rasserena; anzi, con il suo
amore lo mette in crisi, lo spinge
a osare, a fare il grande salto: «Una
cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e
avrai un tesoro in cielo; e
vieni! Seguimi!». «Vuoi di più, vuoi tutto? Allora lascia tutto
il resto, sbarazzati di ciò che possiedi e che ti possiede, e allora avrai il
più grande tesoro in cielo e già sulla terra proverai l'ebbrezza dell'amore
donato e ricevuto» (poco più avanti Gesù promette cento volte tanto anche nei
beni necessari per la sussistenza: Mc10,30).
«Preferii
la sapienza a scettri e troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto»
(Sap7,8). E’ questa la scelta a cui viene chiamato l'uomo che incontra Gesù e il
regno di Dio, come colui che trova un tesoro in un campo, o colui che è sempre
stato alla ricerca di perle di valore (Mt13,44-45).
Se ne andò rattristato
C'erano tutte le premesse: l'entusiasmo dell'uomo che sembrava pendere dalle
labbra di Gesù, l'affetto che questi gli aveva dimostrato, tutto lasciava
presagire una risposta positiva.
«Ma
a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva
infatti molti beni»
(Mc10,22). Invece di rimanere a fissare il volto radioso di Gesù aprendosi
all'energia che viene dall'amore, la sua faccia si rabbuia , come quando una
nuvola nera copre il sole. Non regge lo sguardo d'amore di Gesù, abbassa gli
occhi, rimanendo chiuso in se stesso, attaccato a ciò che ha, alle sue
sicurezze.
Non è riuscito a fare il salto: i soldi non fanno la felicità; anzi, possono
diventare la causa della tristezza, possono far perdere per sempre l'occasione
più grande della vita. Egli abbandona l'impresa, costa troppo, se ne va
afflitto. Proprio questa afflizione è il segno che l'invito di Gesù aveva
toccato il suo cuore, che egli almeno per qualche istante aveva intuito e quasi
pregustato la gioia di seguire il Maestro; ma poi la paura di perdere le
sicurezze umane lo aveva bloccato. Le ricchezze non sono in sé cattive; lo
diventano perché l'uomo tende a farne un idolo che va a occupare il posto che
spetta solo a Dio. Non a caso Gesù in un'altra occasione aveva messo in guardia
dal mettere la propria fiducia e sicurezza nella ricchezza materiale, perché
bisogna scegliere da che parte stare: «non
potete servire Dio e la ricchezza»
(Mt 6,24; Lc16,13; Mc 4,19). Quell'uomo ha fatto la sua scelta, si allontana, se
ne va via triste. Gesù non cerca di fermarlo, rispetta la sua libertà.
L'accenno alla tristezza, in questo finale negativo, lascia tuttavia aperto uno
spiraglio di speranza, una possibilità di cambiamento, di ripensamento: il
ricordo doloroso di questo invito rifiutato potrà ritornare in futuro e potrà
spingere l'uomo a volersi liberare da questa tristezza derivante dall'avere
egoistico, per aprirsi finalmente alla gioia del dono.
L'insegnamento di Gesù rivolto ai discepoli
Distogliendo lo sguardo dall'uomo che si allontana, Gesù si guarda intorno, dove
erano i suoi discepoli che probabilmente avevano assistito alla scena, forse
anche al dialogo. Egli comunque ne trae spunto per metterli in guardia dal
pericolo rappresentato dalla ricchezza (Mc10,23-27):
“Gesù,
volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per
quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano
sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è
difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la
cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti,
dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia,
disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio»”.
E perché rimanga loro ben impresso questo insegnamento, fa il famoso paragone
del cammello. Essi rimangono stupiti, sbigottiti di fronte a questa
dichiarazione, tanto che si mettono a dire tra loro: «E allora chi può
salvarsi?» . Come si può vivere spogliandosi di tutto?
Come quei discepoli di allora, anche l'uomo di oggi possiede averi e si deve
fare queste domande. Chi può arrivare ad accettare esigenze tanto radicali? Gesù
risponde citando ciò che Dio dice ad Abramo di fronte alla sterilità di Sara e
alla vecchiaia di entram bi: «Nulla
è impossibile a Dio» (Gn18,14). La salvezza non è nella
disponibilità degli uomini, frutto di loro prestazioni, ma
la si riceve come un dono da parte di Dio. Ricompensa per chi lascia i
beni per seguire Gesù.
E noi?
Pietro a questo punto pensa alla propria condizione e a quella dei compagni, la
mette a confronto con il rifiuto da parte di quell'uomo. Così prende la parola
per sottolineare che essi invece hanno risposto positivamente a quell'invito
così esigente: «Ecco,
noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mc10,28).
Davvero essi avevano lasciato famiglia, lavoro, affari, sicurezze materiali -
tutte cose buone e benedette -, certamente non senza fatica e rinunce, e questo
Gesù è pronto a riconoscerlo (lo ha fatto lui prima di loro!) , promettendo a
tutti quelli che lo fanno per lui e per il Vangelo il centuplo in ricchezza di
rapporti umani e in esperienza di provvidenza già su questa terra,
insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel mondo futuro.
La moltiplicazione (il centuplo) va intesa non in senso aritmetico ma in senso
simbolico, che non vuol dire soltanto ideale: il discepolo che
lascia tutto per il Vangelo
conoscerà una fraternità molto più ampia di quella della parentela, e
sperimenterà un'ospitalità molto più grande di quella della sua casa materiale.
Le persecuzioni, le difficoltà e le prove non mancheranno, ma saranno sempre
accompagnate da quella pace che viene dallo stare con il Signore.
Nel seguito del vangelo si capirà che tale distacco dai beni e dagli affetti
terreni, non è la sola rinuncia, né la più grande, che il discepolo dovrà fare;
il cammino accanto al maestro lo porterà infatti a compiere una spoliazione più
esigente, quella dalla ricerca di se stesso, dal potere e dal desiderare la
riuscita umana.
Ogni vocazione richiede le sue specifiche rinunce
Occorre dire che i vangeli ci testimoniano che tale distacco dai beni terreni
non è richiesto a tutti allo stesso modo: si può infatti essere discepoli di
Gesù anche rimanendo in famiglia e senza seguirlo nella sua itineranza (si
vedano la famiglia di Betania, Zaccheo ecc.). Tutti i discepoli sono certamente
chiamati al distacco dalle cose terrene, ma poi ciascuno deve chiedersi come
concretamente nel suo stato di vita è chiamato a vivere la povertà evangelica.
Ma tutti sono chiamati al distacco più radicale, che è quello della fede, in
modo particolare di fronte al dolore e alla morte.
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ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Ho osservato dalla giovinezza i tuoi
comandi. Anche io.
Tanti bei risultati, una vita quasi da
manuale. Anche
io.
Ma forse non ti ho mai incontrato davvero!
Perché tu
porti gioia,
pienezza e vita in abbondanza
mentre io mi
sento inquieto.
Sempre a misurare il mio comportamento.
Non sento di meritare la vita eterna
e non sento neanche, qui e
ora,
gioia per la mia vita virtuosa.
Per questo ora corro
e mi butto
ai tuoi piedi
e ti pongo la domanda che
da tempo mi tormenta.
Che mi manca?
Mi aspettavo una risposta rassicurante,
una regola precisa!
E invece tu mi proponi
una logica di abbandono totale,
un amore per te che mi faccia
commettere una follia:
vivere solo di te e per te.
Aiutami a non andare via
con le mie tristezze,
a non stringere alleanza con loro
ma
con te.
A non poggiarmi su realtà fragili
che mi
lasceranno,
ma a sentirmi così amato da te
da non poter
far altro
che vivere solo di questo
tuo inaudito Amore.
(Stefania Perna - "50 preghiere per i
cercatori di speranza")
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi impegno
a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò
che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da una lectio di don Giuseppe Pulcinelli, della
Chiesa di Roma)
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