Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
In te, Signore, mi sono rifugiato,
sarò deluso.
Per la tua giustizia,
liberami e difendimi,
tendi a me il tuo orecchio
e salvami.
Sii tu la mia roccia,
una dimora sempre accessibile;
hai deciso di darmi salvezza:
davvero mia rupe e mia
fortezza tu sei!
Sei
tu, mio Signore,
la mia speranza,
la mia fiducia.
Della tua lode è piena
la mia bocca:
tutto il giorno canto
il tuo splendore.
Ti renderò grazie
al suono dell'arpa,
a te canterò sulla cetra,
o Santo di Israele.
(dal Salmo 71)
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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Le ore del giorno scorrono rapide. Impossibile fermarle.
Il credente però le può «redimere».
La lectio di questo mese è liberamente tratta da una riflessione di don Davide Caldirola, sacerdote della
Chiesa di Milano.
Buona meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.
(Marco 16,1-8)
imbalsamare Gesù. 2Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. 3Esse
dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?». 4Ma, guardando, videro che il masso
era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. 5Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla
destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. 6Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù
Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. 7Ora andate, dite ai suoi
discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». 8Ed esse, uscite, fuggirono via
dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non
dissero niente a nessuno, perché avevano paura.
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della
Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga
del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
(Marco 16, 1-8)
Passato il sabato
Non è stato un sabato qualsiasi per le donne che si recano al sepolcro. Probabilmente si è trattato del sabato più triste della loro vita. È stato di certo un giorno di silenzio e di lutto, un giorno in cui erano talmente distrutte da non avere nemmeno la forza di curarsi le ferite. La morte di Gesù, il fallimento di ogni attesa, la fine definitiva di tutte le speranze, l'amarezza di una Pasqua triste, di una festa rovinata per sempre perché per sempre accostata alla morte di una persona che si amava. Se è già difficile iniziare la settimana quando le cose vanno bene, immaginiamoci quando non c'è più nessun buon motivo per ricominciare da capo.
Marco ribadisce due volte in poche righe che è «passato il sabato», che siamo nel «primo giorno dopo il sabato». Come a dire: basta, è tutto finito, si volta pagina. Le donne ripartono dopo un lutto, dopo una tragedia. Ed escono di casa di buon mattino; tutti gli evangelisti concordano su questo particolare, Marco dice «al levar del sole». È un gesto - questo - che strappa da subito la nostra ammirazione. Nel momento della tristezza e dell'angoscia non si ha voglia di uscire di casa, men che meno al mattino presto. Si cerca di protrarre all'infinito lo stato di torpore che accompagna le luci dell'alba, si prova a non aprire gli occhi per non dover prendere contatto con una realtà difficile da affrontare, si tenta di dormire almeno un poco per recuperare una notte insonne costellata di lacrime. Nessuno va incontro volentieri a un giorno di lutto, nessuno gioisce nel dover riaprire una ferita ancora fresca.
Ma le donne che
vanno al sepolcro si muovono con la concretezza di chi sa di non poter fermare
il corso delle cose, di chi prova a dar senso alle proprie giornate oscure con
le armi della vita quotidiana e con la forza dolorosa di un gesto di pietà. Non
è ancora l'ora della speranza, ma il loro camminare verso il sepolcro la
anticipa e la prepara.
Il
masso e la paura
C'è un dato curioso nel brano di Vangelo che stiamo meditando. Un dato che di
per sé non parrebbe così centrale nell'economia della narrazione, ma che Marco
riporta due volte: l'attenzione al masso che blocca l'ingresso del sepolcro.
Parlando tra loro, le donne, mentre si avviano al sepolcro, si domandano: «Chi
ci rotolerà via il masso?». Con questa domanda riconoscono in
qualche modo la loro debolezza fisica, ma anche la loro impotenza. «Adesso che
non c'è più lui», sembrano dire, «chi ci porta via i pesi della vita, chi
opererà prodigi per noi, chi darà leggerezza e slancio ai nostri passi, alle
nostre scelte?». È quindi il riconoscimento non solo di una debolezza, ma di
un'impotenza, di un'impossibilità a vivere senza di lui. Nonostante questo le
donne si avviano verso il sepolcro. Il gesto appare quantomeno sconclusionato,
inutile: cosa ci vanno a fare, con aromi e profumi, se poi non vi possono
entrare? Con quali speranze?
Eppure vanno, e trovano il masso rotolato. È come se la loro ricerca avesse già
fatto il miracolo. È come se il loro «inutile» mettersi a cercare avesse già in
qualche modo operato prodigi. Mettersi a cercare è in qualche modo già un avere
trovato. I blocchi della vita, le situazioni che sembrano non trovare soluzione
hanno bisogno della fiducia del primo passo. Qualcosa accadrà, qualcosa, forse,
è già accaduto.
Ma collegato al masso c'è anche tutto il tema della paura. Tutto questo brano è
segnato dal tema del timore, della paura. Le donne, entrando nel sepolcro e
vedendo l'angelo, provano timore:
«Entrando
nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste
bianca, ed ebbero paura.
»; l'angelo prima ancora di
dare l'annuncio della risurrezione invita a non avere paura; «Ma
egli disse loro: «Non abbiate paura!
»; infine, nel versetto conclusivo di tutto il Vangelo, ritorna per tre volte
l'accenno alla paura: «Ed
esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di
spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura».
È forse proprio la paura quel blocco che impedisce alla vita di liberarsi. Le
donne hanno dovuto vincere una prima paura per andare al sepolcro: la paura di
fare i conti con la realtà della morte. Proprio perché l'hanno vinta, hanno
posto le condizioni per ascoltare l'annuncio di risurrezione; proprio perché
hanno sostato nel luogo del dolore e della morte, hanno potuto ricevere una
parola di vita e di speranza. Eppure dentro di loro il timore non si è sciolto.
Al terrore della morte si sostituisce il timore dell'ignoto. La visione
dell'angelo, che avrebbe dovuto consolarle e rassicurarle, in realtà aumenta il
loro il senso di disorientamento. Non se l'aspettavano, è stato qualcosa che ha
sconvolto i loro piani, che le ha costrette di colpo a ragionare in termini
diversi, a fare i conti con ciò che non capiscono e non comprendono. È forte la
paura di ciò che disorienta, che cambia, che toglie sicurezze. In tutta questa
vicenda dolorosa, le donne una certezza l'avevano: Gesù è morto, talmente morto
che bisogna imbalsamarlo. Hanno bisogno di smontare questa certezza per
scoprirlo risorto, ma per farlo devono affrontare la sorpresa, il cambiamento,
la novità inaspettata. E non sempre è facile.
La paura rimane, allora, e rimane in tutta la sua forza negativa. Perché gli
effetti che crea sono la fuga e il silenzio, cioè il contrario della ricerca e
della speranza, che suppongono invece una direzione e una domanda, un cammino
con una meta e non una disordinata ritirata, una parola da dare e da domandare e
non una bocca che si chiude.
La paura rimane lì, al termine del Vangelo, come masso che può intralciare il
passo del credente, come peso da rimuovere se si vuole incontrare Gesù. Trovare
il Signore risorto non è cosa per chi si è rassegnato a vivere nella paura, per
chi interpreta la sua vita come un continuo fuggire, per chi fugge da sé, dalla
novità, dal confronto con la morte, dal ritrarsi di Dio per lasciarsi cercare.
La paura è il contrario della fede, molto più che l'incredulità. Solo «l'amore
vince il timore», scrive Giovanni nelle sue lettere. La risurrezione di Gesù è
in grado di sciogliere e di vincere la paura.
Speriamo!
Proprio questa paura rappresenta l'ostacolo più serio a quel «vivere nella speranza» di cui le donne hanno bisogno, e che rappresenta - per loro e per noi credenti di oggi - una delle sfide più grandi che il Vangelo ci propone di vivere.
Colpisce molto il modo in cui si concludono alcuni colloqui che hanno a tema una
malattia, una fatica, l'incertezza per qualche avvenimento che deve accadere:
«Speriamo!». Lo diciamo quasi sempre - a pensarci bene - nella maniera più
disperata possibile.
«Speriamo!», come a dire «Rassegniamoci all'inevitabile, tanto si sa che finirà male», oppure «Non c'è niente da fare, non facciamoci troppe illusioni», o anche: «Inutile andare avanti a discutere, aspettiamoci il colpo di grazia... ». Il tono della voce con cui pronunciamo il nostro «Speriamo!» è decisamente dimesso, l'espressione del volto infallibilmente triste, le braccia allargate in un gesto che non dice consegna fiduciosa, ma rassegnazione a un destino avverso. Il fatto è che non è semplice vivere l'ora della speranza.
Perfino le generose donne del
sepolcro tornano a casa «piene
di timore e di spavento», con le labbra cucite dalla paura.
Eppure non è sempre così. Ci sono modi semplici, feriali, di vivere l'ora della
speranza, di abitare il mattino della vita, aperti ad una promessa di bene, ad
un futuro di felicità che si dischiude in mezzo a segni di morte e di paura:
l'apprensione per ciò che deve accadere, la pochezza delle proprie risorse,
l'impatto duro con una realtà che appare infallibilmente segnata dal dolore e
dalla tragedia.
Chissà quanti, di questi atteggiamenti di vera speranza, si sono manifestati qua
e là nelle nostre comunità… Cerchiamo di ricordarci di questi, magari minimi,
fatti veri di vita vissuta che abbiamo conosciuto e che hanno ridato speranza
anche a noi...
La ricerca di Gesù
Torniamo al testo del Vangelo, all'incontro sorprendente tra le donne e l'angelo
del sepolcro. Nella logica di Marco, questo testo conclude in maniera
sorprendente, con un finale «aperto», il tema della ricerca di Gesù che ha avuto
inizio fin dalla prima pagina.
Se c'è una cosa chiara nel Vangelo di Marco è che Gesù sfugge. Gesù è
imprendibile: non arrivi mai a capirlo del tutto, perché la ricerca di lui è una
ricerca mai finita. Pensavi di averlo trovato, di sapere chi è. E invece no, non
l'hai capito ancora, non l'hai trovato ancora. Ma forse è proprio questo
fallimento del cammino di ricerca che ti permette di ricominciare da capo, che
crea le condizioni per partire davvero. Non siamo ancora arrivati al punto di
partenza nemmeno dopo tutta una vita passata a cercare. In questo senso,
comprendiamo bene le parole dell'angelo: «Vi
precede in Galilea». In Galilea era iniziato tutto; in Galilea
bisogna tornare. Bisogna rifare al contrario tutta la strada percorsa,
rivisitare i luoghi in cui ci si è fermati e quelli che si sono attraversati,
riscoprire la bellezza e il miracolo della pagina delle origini. Se volete
trovarlo, rifate la strada.
I luoghi della sua assenza
A guardar bene, quello delle donne non è l'incontro col Risorto, ma con un
angelo che parla di lui. Il Risorto non c'è, non è qui, non si vede. La ricerca
di lui passa attraverso i luoghi della sua assenza. Colui che cerca Dio, che
cerca Gesù, dovrà fare i conti con la sua assenza, col suo nascondersi, col suo
ritrarsi per essere cercato più a lungo, più a fondo, più lontano. Deve essere
disposto ad accogliere il Vangelo, cioè un annuncio, una notizia che parla di
lui, che conduce a lui. Deve imparare a desiderarne la presenza, a inseguirlo
senza sosta.
Gesù sfugge. Le donne sono andate al sepolcro «per
imbalsamarlo», cioè per tenerlo in qualche modo fermo, fissato. È
come se volessero bloccarne l'immagine in un fotogramma; ma lui non c'è già più,
è sempre via, è sempre in movimento. E le donne scoprono che il luogo «dove
l'avevano deposto» non è il luogo dove lo possono trovare. Il
luogo dove avevano pensato di poterlo fermare è stato l'ennesimo luogo da cui
lui è fuggito. Le donne non l'hanno saputo trattenere: nemmeno loro che sono
state le ultime ad abbandonarlo e le prime ad andare a cercarlo dopo la morte,
nemmeno loro che, forse più degli apostoli, ne hanno compreso il linguaggio.
Gesù sfugge, e le persone che lo amano si mettono sulle sue tracce. Inizia la
ricerca, o meglio: continua la ricerca
(mai finita del tutto) della sua presenza e del suo volto. Quali sono i criteri
di questa ricerca? Come si muovono gli uomini e le donne che lo vogliono
trovare?
Ma allora dov'è Gesù? Dove lo possiamo trovare? Forse la risposta sta nelle
parole dell'angelo: «Voi
cercate Gesù il Nazareno, il crocifisso. Non è qui, è risorto».
Come viene qualificato Gesù dalle parole dell'angelo? Come il Nazareno e come il
crocifisso. Gesù abita nei luoghi in cui sembra scomparire, nei luoghi dove
nessuno pensa di trovarlo. Abita nel nascondimento, nell'abbassamento di
Nazaret, abita nel fallimento della croce. La forza del Risorto si rivela nei
luoghi dove la sua immagine appare perdente, sconfitta, umiliata, priva di
successo agli occhi del mondo. Dove parrebbe impensabile scoprirlo, dove nessuno
si aspetterebbe di cercarlo, dove nessuno lo vorrebbe trovare.
La parola per la mia vita
L'alba di un nuovo giorno, tra minaccia e speranza.
Passato il sabato, all'alba, le donne corrono ed escono di casa. Vanno a vedere
il sepolcro, e proprio questo rende così difficile l'alzarsi presto: perché
uscire dal sonno per visitare il signore che è già morto, chiuso in una tomba
sepolcrale? Perché riprendere la fatica della vita, se abbiamo già visto che il
suo finale sembra una sconfitta inesorabile? Questo loro gesto suppone un atto
di amore e di indomita speranza. Queste donne amavano così tanto Gesù che non
potevano dormire senza aver onorato fino in fondo anche solo il corpo di colui
che aveva cambiato la loro vita. L'amore, la passione per chi ci sta a cuore,
sono capaci di grandi risvegli. Ogni giorno posso alzarmi presto solo se forte è
l'aspettativa verso chi mi viene incontro, anche se ancora sconosciuto. Alzarsi
è il primo modo per sperare. La corsa delle donne al sepolcro ci interroga sulla
nostra speranza e sul nostro amore.
Non è qui: i luoghi della rivelazione
Quando ti metti a cercare il Signore, scopri che non è qui. Noi siamo stati
abituati a frequentare luoghi dove pensiamo di trovare il Signore, magari di
trovarlo senza sforzo. Di fatto, spesso, le nostre chiese, le nostre parrocchie,
i nostri ambienti, le nostre scuole, corrono il rischio di allontanare dal
Signore piuttosto che di avvicinare
a lui. Fortunatamente non
sempre è così; ciascuno di noi ha di sicuro mille ragioni per ringraziare
il Signore della formazione e dell'istruzio ne ricevuta, degli ambienti che gli
hanno permesso di conoscere il Signore da vicino e di imparare a volergli bene.
Ma parallelamente assistiamo a molte parabole di vita che hanno trovato la via
della fuga rispetto ai
luoghi
«classici» della ricerca di Dio. Hanno cercato altrove, o hanno smesso di
cercare.
Oppure
capita di assistere a ricerche senza nerbo, senza spina dorsale: ci si illude di
aver cercato e di aver trovato, si confonde l'entusiasmo di un momento, il
guizzo poetico di un istante, la commozione di uno spettacolo contemplato con la
ricerca dell'assoluto, con la scoperta del tesoro della vita. La ricerca di Dio
è passione; quindi è sofferenza, è dramma, è storia. Non va confusa con un vago
senso religioso percepito davanti allo spettacolo della natura o a un
avvenimento emozionalmente forte.
Dov'è allora il Signore? Il Vangelo che abbiamo ascoltato, come si diceva, ci
suggerisce almeno due luoghi dove cercarlo.
Il primo luogo: l’altrove
Il primo luogo è «altrove». L'altrove è il luogo sconosciuto, è il luogo
distante, è il luogo dell'altro. È un luogo mai fissato e mai definito, sempre
da inseguire e mai definitivamente raggiunto. È il luogo della differenza,
dell'alterità. È il luogo della sorpresa e dell'inaspettato, che ti impedisce di
trasformare la fede in un rassicurante schemino razionale dove tutto quadra,
tutto è a posto, tutto è bene ordinato. Andarsene altrove significa inseguire un
Signore che cammina.
«Non è qui, è
risorto», dice l'angelo alle donne. Non è tra i morti perché è il
risorto, il vivente. Forse non lo troviamo perché ci ostiniamo a cercare un
morto, un'immagine, un'idea, e non un vivente, una persona da inseguire e da
incontrare.
Il secondo luogo: il fallimento e il nascondimento
Il secondo luogo è quello del fallimento e del nascondimento: Nazaret e la
croce, in altre parole. Facciamo fatica ad accettare la parte dei perdenti, a
scegliere l'ultimo posto. Eppure è quello che insistentemente, da Nazaret alla
croce, ha fatto Gesù per noi. La ricerca del Signore è fatta da poveri, coi
poveri, coi mezzi poveri. Gesù si è fatto niente, dalla nascita alla croce. Vuol
dire che non possiamo interpretare la nostra vita di fede come crescita di
forza, di potere, di successo. Se c'è un luogo dove possiamo trovarlo, un
«altrove» dove incontrarlo è là dove non vorremmo, dove siamo costretti a
nasconderci, a scendere, ad abbracciare la croce.
In mezzo alla nostre paure
E’ la paura a prendersi molto della nostra vita, a portarcene via il bene. È la
paura ad impedirci di alzare lo sguardo, di gustare la bellezza della vita, di
consegnarci con fiducia al giorno che si apre. Il masso che chiude il sepolcro è
l'immagine delle nostre paure, di tutto ciò che pesa sulla vita e la rende
insostenibile, insopportabile. Soltanto come domanda, come provocazione,
possiamo identificare tre forme di questa paura.
I blocchi, anzitutto; prima paura
Che cosa rende la mia vita trattenuta, non libera? Quali sono i pesi, i massi
che gravano
sulla
mia esistenza, le situazioni che non ho ancora avuto la forza e il coraggio di
sciogliere, di affrontare, i pesi da cui non sono ancora riuscito a sgravarmi? E
quali invece i pesi che dovrei ma non sono capace di portare, i carichi che la
vita mi domanda di sostenere? Come non sentirsi schiacciato dai doveri che
incom bono, dalle responsabilità che aumentano? Come non lasciarsi sopraffare
dall'ansia, dalla fretta, dalla depres sione?
Seconda paura: la fuga
...che non è un buon modo per affrontare i problemi della vita, o almeno
non lo è sempre. La Bibbia e la vita sono piene di uomini e donne in fuga:
alcuni ne sono consapevoli, e allora possono ancora ritrovare vita, altri non
osano confessarlo neppure a se stessi, e vivono nell'inautenticità, nella
falsità, nella tristezza, nella menzogna.
C'è qualcosa da cui sto scappando? C'è in atto una fuga nella mia vita? Cosa non
voglio vedere, cosa mi rifiuto di pensare? Cosa mi fa più paura?
Terza paura:
il silenzio. Il Vangelo di Marco si chiude con un silenzio imbarazzante. Non è
un silenzio di meditazione, che custodisce il mistero, e neanche un silenzio di
stupore adorante, o un silenzio di chi conserva tutto nel cuore per trovare
maturazione e compimento nella pazienza dei giorni. È un silenzio di chi tace
perché ha paura di dire, perché non ha ancora imparato a credere, un silenzio
reticente, che non osa la speranza, che teme la derisione, la disillusione. Un
silenzio di chi non ha ancora imparato ad amare.
Quali i silenzi della mia vita? Quali le parole che non trovo il coraggio di
dire? Forse ce ne sono alcune che non ho il coraggio di confessare nemmeno a me
stesso. E quali invece le parole da custodire e far germogliare nel cuore?
L'infinita ricerca e il finale aperto
Il finale aperto del Vangelo di Marco lascia spazio all'infinita ricerca. Che è
ricerca del Signore, che è ricerca della felicità. Che è la felicità stessa,
cioè «una dolce lotta più gioiosa di ogni pace». A noi che siamo tentati di
interpretare la beatitudine e la felicità della vita soltanto con l'aver trovato
qualcosa, fa bene rinnovare il ricordo di una felicità che è ricerca, che
consiste nel correre verso !'altrove che ci attende.
La radice ebraica “ashr” indica, da una parte, i passi dell'uomo, il suo
avanzare e slanciarsi verso qualcosa. Dall'altra, è la stessa del sostantivo che
indica la felicità e la augura alle persone che si incontrano nella vita. È un
bel modo per finire, quello di salutarsi così: augurandoci una beatitudine, una
felicità che consiste nel desiderio di cercare ancora, di mettersi di nuovo alla
scuola della Parola, di desiderare la conoscenza di quella «prima pagina» a cui
non siamo ancora arrivati.
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ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Ciò che conta davvero non si trova in
A te, che ascolti la preghiera,
viene ogni mortale.
Beato chi hai scelto perché
ti stia vicino.
Ci sazieremo dei beni
della tua casa,
delle cose sacre del tuo tempio.
Con i prodigi della tua giustizia,
tu ci rispondi, o Dio,
nostra salvezza,
fiducia degli estremi confini
della terra
e dei mari più lontani.
Tu visiti la terra e la disseti, la ricolmi di ricchezze. |
Il fiume di Dio è gonfio di acque; tu prepari il frumento per gli uomini. Così prepari la terra: ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli. I prati si coprono di greggi, le valli si ammantano di messi:
gridano e cantano di gioia!
(dal Salmo 65)
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CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei
secoli. Amen
ACTIO
Mi impegno a vivere un versetto di
questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò
che si è meditato diventa ora vita!
Prego
con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da una lectio di don Davide Caldirola, della Chiesa
di Milano)
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