Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Oggi no, Signore. Oggi non ce la faccio a fingere felicità, a simulare allegria, a far finta di niente. Oggi non ce la faccio, Signore, ad ignorare le provocazioni, a lasciar correre, a buttare giù tutto con un falso sorriso. Oggi non ce la faccio a tollerare. Quindi, Signore, dammi la forza di andare oltre, |
la forza folle di amare chi mi ignora, chi mi tratta male, chi mi bersaglia con parole e sguardi di disprezzo. Vieni in mio aiuto, Signore, perché questa sera possa offrirti qualcosa di buono. Perché questa sera, possa dirti grazie. (E. Warm) |
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
LE VIE PER LA FELICITA’
Nelle beatitudini Gesù indica il cammino verso la vera felicità, che non è un sentimento bensì un’attitudine; non si basa su ciò che si possiede, ma su una gioia interiore, ben più profonda, che possiamo incontrare nell’intimo di noi stessi.
LA SECONDA VIA: IL PIANTO
LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
«Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati (Mt 5,4).
«Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non
sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro…
Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti
l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno
portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse
Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove
l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» (Gv 20, 1-3 11-16)
«Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero. Io infatti sto già per
essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho
conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma
anche a coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione» (2 Tm 4,5-8)
MEDITATIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".
Seconda via: il pianto
“Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati” (Mt 5,4)
Non è sempre la sofferenza a produrre il pianto: anche la gioia, i momenti di estasi fanno scendere le lacrime. Ma la seconda parte di questa beatitudine chiarisce che Gesù sta parlando del pianto che viene da una spina nella carne: “…saranno consolati”.
Parlando di questa via, intendiamo focalizzare l'attenzione sul pianto che proviene dal dolore.
Come può chi piange per una malattia, un tradimento, una morte essere felice? La risposta è che la felicità non sta in un momento, in un istante della vita, ma abita in noi.
Quando Gesù dice beati quelli che piangono, sa bene che non c'è sofferenza che duri sempre... in alcuni casi la tristezza ci potrà accompagnare per giorni, anni... ma è una scuola il nostro vivere in essa. Il dolore è inevitabile, fa parte della vita; vivere nella sofferenza, tuttavia, è un'opzione. Molte volte ci assuefacciamo al dolore, ci sentiamo profondamente delle vittime; questo atteggiamento manifesta le nostre carenze, la nostra necessità di attenzione, di essere continuamente coccolati.
Abbiamo il dono del superamento e, anche di fronte al più forte dolore, che lascerà il segno e cicatrici profonde per sempre, possiamo ricominciare.
Le sorprese negative della vita
Quando parla di dolore o di pianto, Gesù non rivolge la sua beatitudine solamente a chi vive in forma cronica le sue pene, ma lancia uno sguardo complice, di intesa di fronte alle sorprese negative della vita e ci dice: «Andiamo, su, la vita continua...». La felicità sta proprio in questa complicità di Dio.
È la speranza che genera una fede autentica, che ci fa respirare profondamente e sentire la pace, anche se siamo nel lutto. Gesù non parla di questa beatitudine poggiando sul vuoto, ma parte dalla sua personale esperienza. Ben conoscendo ciò che avrebbe dovuto soffrire, dimostra sicurezza poiché sa che i disegni del Padre sono maggiori di qualsiasi progetto umano.
Il Maestro arriva a dire: «Chiunque mette mano all'aratro e si volta indietro, non è adatto al Regno dei Cieli» (Lc 9, 62). Comunque sia, la vita è un lanciarsi avanti, non importa quali ostacoli incontriamo. Se non fosse così, Gesù sarebbe stato negligente nella sua missione per non soffrire la morte di croce, ma lui sa che la vera felicità è di coloro che non distolgono gli occhi dalla meta, dalla missione che ci è stata affidata.
Vivere fino alle estreme conseguenze, questa è la missione. Verso la fine della vita, prima di subire il martirio, san Paolo scrive a Timoteo queste parole:
"Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero. Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione” (2 Tm 4,5-8).
Quando pensiamo alla sofferenza vissuta con un senso più grande, possiamo ricordare uno scritto di sant'Antonio Maria Claret nel quale definisce le principali caratteristiche che devono accompagnare i missionari della sua congregazione. Scrive il Santo:
“Un missionario è un uomo che arde di carità e porta il fuoco dove passa. Desidera efficacemente e procura con tutti i mezzi infiammare il mondo con il fuoco dell'amore divino. Niente lo ferma. Si rallegra nelle privazioni. Affronta le difficoltà. Abbraccia i sacrifici. Accetta le calunnie. È lieto nei tormenti e nei dolori che soffre e si gloria della croce di Gesù Cristo. Non pensa ad altro che a come possa seguire e imitare Cristo nella preghiera, nel lavoro e nella sofferenza, preoccupato sempre e solo della maggior gloria di Dio e della salvezza degli uomini”.
I grandi santi della Chiesa, in generale, hanno sofferto molto, ma chi ha vissuto con loro ha testimoniato che erano persone felici, una felicità che possiamo interpretare nella prospettiva dei discepoli di Emmaus: nonostante tutte le tribolazioni, le delusioni e i dolori, quando siamo vicini a Gesù possiamo dire: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24, 32).
È questo ardere del cuore che orienta la nostra vita, è questo che ci fa passare attraverso la sofferenza senza rimanere in essa.
La felicità nel pianto
Tre giorni nell'oscurità del sepolcro: regna il silenzio, non esiste respiro, la morte crede di poter festeggiare la sua vittoria.
Il sogno era stato sepolto. I discepoli si tenevano nascosti, per timore che la morte vincesse pure loro, senza contare la vergogna che provavano; l'avventura era arrivata alla fine.
Alcuni erano talmente delusi e scoraggiati che abbandonarono la comunità e fuggirono lontano dove nessuno li riconoscesse come reduci da tale fallimento.
Dalla croce al sepolcro, una striscia di sangue che non si poteva cancellare, mentre le autorità religiose e pubbliche festeggiavano la fine di una minaccia. «Quello che predicava la vita, ora è morto!».
La pietra aveva separato la madre dal figlio; i discepoli dal loro maestro; la speranza dai poveri che vagavano in una vita di profondo dolore nel costatare che tutto era passato.
La madre ricordava tutto nel suo cuore, e sentiva ancora pulsare di dolore la sua anima per quest'ultima e più crudele sofferenza. Ella aveva saputo consolare gli amici di suo figlio in preda allo sconforto.
Maria Maddalena bagnava di lacrime il giardino che stava attorno al sepolcro. Piangeva la triste perdita dell'Amore che non ha condannato, e nemmeno giudicato.
Era l'alba del primo giorno della settimana. Quel mattino sorse un nuovo giorno. «Egli non è qui - disse l'angelo - È risorto, come aveva detto».
Niente può spegnare la speranza
Questa è la bella storia che conosciamo e raccontiamo; sappiamo grazie alla fede che Cristo ha vinto la morte, che la vittoria ci è stata assicurata, che niente può spegnere in noi la speranza, che niente ci può vincere.
Noi professiamo la nostra fede. Ma perché siamo così fragili davanti alle notti oscure della vita? Perché sotterriamo il sogno quando è ora di avere un sogno ancora più forte?
Perché ci arrendiamo quando è ora di lottare? Perché cerchiamo di nasconderci quando è il momento di uscire allo scoperto? Perché fuggiamo quando è ora di rimanere?
Perché piangiamo quando è il momento di guardare avanti? Perché ci prostriamo quando è ora di stare in piedi?
La risposta è chiara: a volte abbracciamo il dolore, la morte, i problemi, le delusioni, le croci, e ci dimentichiamo della fede che professiamo. Non siamo capaci di percepire che dentro di noi abita lo Spirito di Dio che chiede di comprenderci nella sua vittoria. Di solito siamo noi che alimentiamo la mancanza di speranza di fronte alle oscurità della vita, siamo noi che ci scaviamo la fossa quando diciamo: «Non c'è più soluzione; ormai sono vinto; non ho più speranza».
Il frutto: la consolazione
L'origine della parola "consolare-consolazione" è nell'ebraico, dalla radice nhm, che significa "respirare profondamente"; quindi, per noi, può dire: "far respirare, far sì che l'altro possa tirare il fiato in un momento di sofferenza". In altre parole, consolare è la stessa cosa che restituire a chi soffre il respiro della vita, è essere una presenza di pace, che porta il sofferente a calmarsi.
Quando Gesù dice che quelli che piangono saranno consolati, intende dire che non c'è motivo di disperare, poiché la sua presenza in noi è questo alito di vita.
Quando i bambini si soffocano con qualcosa, in alcune culture (nota: padre Erlin è brasiliano) la reazione naturale di molte mamme è di soffiare sulla loro fronte. Questo soffio è esattamente ciò che fa Dio di fronte alle nostre pene, tutte le volte che le sofferenze "ci soffocano". Egli ci dice: «Reagisci, torna alla vita... respira».
La respirazione è la caratteristica di chi è vivo, smettiamo di respirare quando moriamo. La parola "consolazione" sta ad indicare che, in molti casi, coloro che soffrono o piangono finiscono per perdere la vita nel senso più ampio, e camminano per il mondo come dei "morti viventi".
Alla nascita, al neonato si da subito una pacca perché si svegli e cominci a respirare da solo. Dio ci sorprende continuamente con alcune "pacche", non per castigarci ma per insegnarci a vivere. Questo è consolazione.
Dio ci ha creato perché viviamo. Lasciare che qualche cosa o qualche persona soffochi in noi il desiderio di vivere è lo stesso che dire a Dio: «io ancora non ti conosco».
ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Amo il Signore, perché ascolta il grido della mia preghiera. Verso di me ha teso l’orecchio nel giorno in cui lo invocavo. Mi stringevano funi di morte, ero preso nei lacci degli inferi, ero preso da tristezza e angoscia. Allora ho invocato il nome del Signore: «Ti prego, liberami, Signore». Pietoso e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso. |
Il Signore protegge i piccoli: ero misero ed egli mi ha salvato. Ritorna, anima mia, al tuo riposo, perché il Signore ti ha beneficato. Sì, hai liberato la mia vita dalla morte, i miei occhi dalle lacrime, i miei piedi dalla caduta. Io camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.
(dal Salmo 116)
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CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo
a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da una riflessione di padre Erlin, missionario claretiano)