Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.
Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Porgi l’orecchio, Signore, alle mie parole:
intendi il mio lamento.
Sii attento alla voce del mio grido,
o mio re e mio Dio,
perché a te, Signore, rivolgo la mia preghiera.
Al mattino ascolta la mia voce;
al mattino ti espongo la mia richiesta
e resto in attesa.
Per il tuo grande amore, entro nella tua casa;
mi prostro verso il tuo tempio santo.
Guidami, Signore, nella tua giustizia,
spiana davanti a me la tua strada.
Gioiscano quanti in te si rifugiano,
esultino senza fine.
Proteggili, perché in te si allietino
quanti amano il tuo nome.
(dal Salmo 5)
Veni, Sancte Spiritus
Veni, per Mariam.
LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano dal Vangelo di Luca (Lc 15, 20-24) - (seconda parte)
20Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Parola di Dio.
MEDITATIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra
e più lunga del nostro Ritiro On Line: “Il Grande Silenzio”! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a
volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.
Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarsi plasmare dal suo stesso "cuore".
Approfondimento del testo
“Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro” (v. 20)
La lontananza era la nuova dimora che il figlio prodigo aveva scelto seguendo il desiderio di affermare unilateralmente la propria volontà. Questo “lontano” dice tutto ciò che vogliamo esprimere quando parliamo del peccato. E’ quella lontananza che porta la vita umana al declino. E’ un esilio che tocca l'uomo nell'essere.
Ma il padre vede il figlio quando questi è ancora lontano, perché l'amore non conosce la lontananza. Lo sguardo dell'amore penetra le profondità della notte, vede in fondo al mare e nell'alto dei cieli. Non è uno sguardo severo, di giudice, neanche uno sguardo che spia: è lo sguardo delle viscere che fremono commosse d’amore. È uno sguardo che lava con issopo, che scalda con il bacio e che cura come olio, balsamo e vino buono.
Il Padre corre verso queste lontananze sin dal momento in cui scende nel giardino chiedendo "Adamo, dove sei?". Tutte le pagine della Bibbia raccontano la corsa del padre dietro ai figli. Si è abituati a pensare che sia l'uomo che cerca Dio. Questa parabola rovescia questo nostro cliché e ci rivela che invece è Dio Padre a cercare l'uomo e ad attirarlo a sé solo con l'amore. Non può usare la forza né argomenti convincenti, ma solo uno sguardo misericordioso, il gesto gratuito di un amore puro ed eterno. L’amore è quel respiro dato all'uomo per farlo vivere, ma a cui l'uomo si abitua così tanto da poter vivere senza rendersene conto. L'amore nella sua sostanza è una sconfinata libertà relazionale, è un costante dono, una tavola sempre imbandita, ma di nascosto, affinchè nessuno si senta obbligato.
Il figlio cammina verso casa, sulle orme dell'amore del padre che girovaga per tante notti intorno a lui. Il figlio torna seguendo le orme dell'amore del padre che tante volte ha percorso questa distanza nel tempo della sua assenza. E il figlio ancora non ha scoperto di essere tale. È ora per la prima volta che il suo passo si è sintonizzato su quello dell'amore del padre. E infatti il sole splende diversamente quando il figlio intravede la casa e il padre che gli corre incontro. Il vento soffia in un altro modo, l'aria è più pura, la terra diventa santa, il respiro è quello del soffio di vita, come se tutta la storia si aprisse e si dischiudesse in una nuova nascita.
“gli si gettò al collo e lo baciò” (v. 20)
È il padre che patisce la distanza, ed è lui infatti che fa il gesto del figlio. È il padre che, gettandosi al collo del figlio, rovescia i ruoli. Non siamo qui in presenza di un "bravo" figlio che torna a casa e si getta al collo del padre, ma è il padre che investe il figlio della sua paternità. Il figlio non riesce a pronunciare il discorso preparato nella solitudine, nell'esilio. Invaso dall'amore del padre, scopre se stesso in una luce assolutamente nuova. La sua mentalità viene cambiata radicalmente nel momento in cui il padre gli si gettò al collo, E’ l'amore che cambia una persona, che modifica la sua mente, i suoi sentimenti, il suo volere e la sua stessa identità.
Si ha spesso paura di sottolineare troppo la bontà e la misericordia di Dio. Ci si affretta subito a richiamare anche la sua giustizia, la sua severità, come se avessimo paura che, se si metterà troppo l'accento sull'amore di Dio, l'uomo non sentirà la premura di una vita diversa, nuova. Il vangelo insegna invece che l'uomo cambia la sua vita, la sua mentalità, si converte al bene non perché viene sgridato, rimproverato, punito ma perché si scopre amato nonostante sia un peccatore. È un momento di intenso amore quando la persona vede ad un tratto tutto il suo peccato, percepisce se stesso come peccatore ma all'interno dell'entusiasmante abbraccio di qualcuno che lo ama. Nasce allora quel pianto, quel singhiozzo che sgorga nell'intimo del cuore quando, invasi da un amore gratuito, ci si scopre come peccatori che direttamente ignoravamo questo amore, lo interpretavamo male, lo giudicavamo addirittura come qualcosa di opprimente. La conversione della persona, anche nel campo del suo agire, ha inizio nella commozione d'amore.
Noi cristiani di oggi dovremmo sentire più che mai pressante l'invito dell'amore del Padre di gettarci al collo dell'uomo contemporaneo e di abbracciarlo con quella carica d'amore con la quale Cristo in noi ama il mondo. Con Lui e in Lui la nostra vita sussurrerà al mondo “chi vede me vede il Padre”. Allora il nostro correre incontro all'uomo contemporaneo, il nostro gettarci al collo di quest'uomo che torna dai tanti pascoli dell'umiliazione, sarà il gesto caloroso del padre verso il figlio.
È chiaro che questo è un atteggiamento che ci costa molto. Ma è sicuro che con questo gesto siamo sulla strada giusta e lo stile dell'evangelizzazione è conforme a Colui che viene annunciato. Essere pervasi da un'ansia d'amore per l'uomo contemporaneo significa essere raggiunti da un amore veramente divino.
“Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa” (vv. 22-23)
II figlio torna quindi a casa così come è partito. Ma il padre, correndogli incontro, chiama i servi per vestire il suo "servo" da figlio. Il vestito più bello portato per rivestirlo è certo il vestito nuziale, quello che legittima la presenza al banchetto.
Il padre vuole dare al figlio un vestito lavato nell'amore misericordioso con cui da sempre lo ha atteso. Vorrebbe che il figlio si trovasse indosso il vestito che contraddistingue coloro che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell'Agnello. Il vestito che il padre fa indossare al figlio lo introduce tra quelli segnati con il segno della salvezza. È lo stato creaturale dell'uomo che sospira per essere rivestito di Cristo. Quanto più ci lasciamo penetrare dall'immagine del Figlio, tanto più pensiamo da figli, sentiamo da figli, vogliamo da figli e siamo capaci di gesti da figli. E proprio i nostri gesti, la nostra mentalità, il nostro modo di sentire sempre più conformi a Cristo sono il vestito di cui ci andiamo rivestendo. Tutta la salvezza consiste infatti nel rivestire l'uomo da figlio. Questo rivestimento si compie in Cristo, il vero Figlio di Dio.
L'anello che il padre mette al dito del figlio finalmente tornato a casa gli trasferisce tutti i poteri, è il vero anello della filiazione. Questo anello, che spesso nell'antichità portava incastonato il sigillo del potere, è segno di quell'amore che lascia come l'impronta di un sigillo sul cuore per esprimere una unione indissolubile.
I calzari ai piedi sono segno sia della nobiltà che della familiarità che permette di tenerli indossati, garanzia che niente potrà mai più separare il figlio dal padre. Il Padre e il Figlio sono una sola cosa.
Il vitello grasso e la festa che si prepara sono un'esplicita immagine del banchetto che segnerà il tempo messianico, il tempo in cui abbonderanno la misericordia, l'amore e la grazia del Signore. Dove una volta era l'assenza, il vuoto, la morte del peccato, ora abbonda la festa.
C'era sempre il posto vuoto del figlio minore alla mensa di casa. Oggi, proprio in quel posto, abbonda la festa con grasse vivande, vini eccellenti, cibi succulenti e il figlio vestito da figlio, in festa con il padre.
“perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (v. 24)
L'amore del padre riesce a risuscitare l'amato. Chiunque, anche da smarrito, si lascia raggiungere dall'amore del padre, viene riportato alla vita come una pecora sulle spalle del pastore. Chiunque viene amato dal Padre e si lascia condurre sulle orme di questo amore, torna dagli abissi della morte e della dimenticanza, alla vita e alla memoria perenne dell'amore infallibile e indistruttibile di Dio. Il figlio minore torna a casa risuscitato dal suo peccato, non grazie alla sua bravura, ma all'amore viscerale del padre. Gli uomini aspettano con ansia di trovarsi al banchetto nella casa del Padre.
La casa si riempie di festa, della gioia traboccante del padre, e il figlio vi entra con i calzari ai piedi. Mosè doveva stare scalzo davanti al roveto ardente. Il figlio entra in una casa avvolta dalla presenza dell'amore del padre e non deve più togliere i sandali perché è figlio.
“E cominciarono a far festa” (v. 24)
La casa, gli scorci dello spazio conosciuto sin dall'infanzia, i volti, il vino, il vitello grasso preparato nel modo inconfondibile della cucina familiare, l'anello al dito, i vestiti della festa, i canti, i saluti, i campi che si vedono in lontananza, il sole, tutto è un racconto, tutto narra l'amore del padre. Le cose non sono mute, ma è come se si sciogliessero in una luce nuova che le fa vedere tutte unite all'amore del padre, in maniera da creare un unico tessuto. Come se tutte le cose fossero legate dal filo nascosto della gioia del padre, come se la sua esultanza facesse muovere il creato.
Questa è la spiritualità autentica: vedere in tutto il gesto del padre, vedere le cose non isolate, non mute, ma sentire la narrazione dell'amore che esse, nella potenza dello Spirito, sanno così ben sussurrare. Le cose, il creato, gli oggetti, nello Spirito Santo svegliano nel figlio la memoria del padre. Spesso, tra noi uomini, non è facile che le cose ci ricordino Dio, ma — attraverso l'amore che Lui ci dona — riusciamo a donarci le cose gli uni gli altri e in questo dono le cose rientrano nel ricordo del Padre. Ricordando l'altro, parlando dell'altro, noi e il creato entriamo nell'orbita di quella relazione che sta all'origine e che il figlio riesce a scoprire solo alla fine. Quando le cose vengono percepite e gustate nella loro relazione col Padre, con il Creatore, allora il mondo si presenta come una festa. L'amore del Padre si comunica a tutti gli oggetti, a tutte le cose della casa, e così viene comunicato al figlio. Quando gli oggetti, il creato e anche l'opera dell'uomo sono assorbiti nell'amore tra due persone, allora il mondo vive la sua verità, la sua trasfigurazione e il creato diventa un luogo in cui il Padre si trova bene perché fa festa al figlio. La verità del creato si realizza nell'amore tra le persone.
Strano che quando il figlio ha deciso di partire da casa abbia raccolto quelle stesse cose che oggi partecipano alla sua festa. Ora gli ricordano il padre, quella volta gli suscitavano il desiderio di affermare la propria volontà nella lontananza da casa, come se le cose fossero coperte da un mantello luccicante, seducente. Come se allora, in loro, il gesto della bontà del padre fosse impossibile da vedere. È significativo che la festa che il figlio voleva fare disponendo delle sue cose da solo si concluda tra i porci, al servizio di un padrone straniero. Come se le cose, esiliate, avessero determinato a loro volta il suo esilio. Il creato entra nella festa non perché posseduto e soggetto alla volontà propria dell'uomo dominatore. Le cose fanno festa quando sono al servizio dell'amore tra le persone. Non è l'avere che procura la festa, ma sono le relazioni, gli incontri tra le persone che la fanno possibile.
ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore.
La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini.
La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Padre, sono qui davanti a te,
non ho il coraggio di alzare gli occhi
per guardarti e sorriderti
come al tempo della mia innocenza.
Ma tu sei felice di rivedermi
anche se sono così malridotto.
Hai conservato per me il tuo affetto.
Rispettoso della mia libertà,
con la morte nel cuore,
non mi hai fermato
quando mi sono allontanato da te,
però non hai mai cessato di amarmi
e mi hai atteso pazientemente,
scutando con ansia, ogni giorno, l’orizzonte.
A te non interessa il patrimonio che ho dissipato;
nessun rimprovero, non mi sbatti in faccia nessun “te l’avevo detto!”;
hai solo gioia e commozione,
perché hai potuto riabbracciare me,
che, nonostante tutto, resto un tuo figlio.
(d. Canio Calitri)
CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Signore, tutti gli uomini sono figli tuoi
e hanno un posto nel tuo cuore,
quindi devono avere un posto
anche nel cuore mio.
(Ignazio di Loyola)
Per Cristo, con Cristo e in Cristo
a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria
per tutti i secoli dei secoli.
AMEN
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questo brano, quello che mi ha colpito di più nella meditatio, che ho ripetuto nell’oratio, che ho vissuto come adorazione e preghiera silenziosa nella contemplatio e adesso vivo nell’actio.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti da un ritiro quaresimale proposto alla comunità parrocchiale)