RITIRO ON LINE - agosto 2024     










Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

  (Comunità di Bose)

 

Se tu mi guardi, Signore, non avrò paura di camminare su questa impossibile strada.

Se tu mi guardi, Signore, mi basterà questa poca luce.

Se tu mi guardi, Signore, non avrò bisogno d’altro.

Se tu mi guardi, Signore.

                                                                               (Patrizio Righero  - Un minuto con Dio)

 

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

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I SALMI INSEGNANO A PREGARE

Continua la piccola serie di Lectio suggerite dalla lettura di alcuni salmi. Per fare ciò prendiamo liberamente spunto da alcune riflessioni di padre Ubaldo Terrinoni, (OFM cappuccini), raccolte nel suo libro “I salmi insegnano a pregare”.

   

 

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.   

Salmo 103 (102)

 

vv. 1-2 introduzione

     1Benedici il Signore, anima mia,

quanto è in me benedica il suo santo nome.

2Benedici il Signore, anima mia,

non dimenticare tutti i suoi benefici. 

 

vv. 3-19 fragilità umana e grazia divina

3Egli perdona tutte le tue colpe,

guarisce tutte le tue infermità,

4salva dalla fossa la tua vita,

ti circonda di bontà e misericordia,

5sazia di beni la tua vecchiaia,

si rinnova come aquila la tua giovinezza.

6Il Signore compie cose giuste,

difende i diritti di tutti gli oppressi.

7Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,

le sue opere ai figli d’Israele.

8Misericordioso e pietoso è il Signore,

lento all’ira e grande nell’amore.

9Non è in lite per sempre,

non rimane adirato in eterno.

10Non ci tratta secondo i nostri peccati

e non ci ripaga secondo le nostre colpe.

11Perché quanto il cielo è alto sulla terra,

così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;

12quanto dista l’oriente dall’occidente,

così egli allontana da noi le nostre colpe.

13Come è tenero un padre verso i figli,

così il Signore è tenero verso quelli che lo temono,

14perché egli sa bene di che siamo plasmati,

ricorda che noi siamo polvere.

15L’uomo: come l’erba sono i suoi giorni!

Come un fiore di campo, così egli fiorisce.

16Se un vento lo investe, non è più,

né più lo riconosce la sua dimora.

17Ma l’amore del Signore è da sempre,

per sempre su quelli che lo temono,

e la sua giustizia per i figli dei figli,

18per quelli che custodiscono la sua alleanza

e ricordano i suoi precetti per osservarli.

19Il Signore ha posto il suo trono nei cieli

e il suo regno domina l’universo. 

 

vv. 20-22 conclusione

20Benedite il Signore, angeli suoi,

potenti esecutori dei suoi comandi,

attenti alla voce della sua parola.

21Benedite il Signore, voi tutte sue schiere,

suoi ministri, che eseguite la sua volontà.

22Benedite il Signore, voi tutte opere sue,

in tutti i luoghi del suo dominio.

   Benedici il Signore, anima mia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"

 

Salmo 103 Benedici il Signore, anima mia

 

Premessa e struttura letteraria

Questo salmo «è il protovangelo della misericordia, è il cantico dei cantici della bontà e dell’amore del Signore», afferma G. Ravasi;  

 -  il gesuita padre Daood dichiara che qui siamo alle prese con il  «Te Deum dell’Antico Testamento»;

- il card. Mercier scrive che «con cinque secoli di anticipo abbiamo la più bella parafrasi del celebre motto di Giovanni: “Dio è amore”».   

- J. Calès ritiene che il presente salmo «è uno dei più bei poemi del salterio, sia per l’elevatezza delle idee e la delicatezza dei sentimenti, sia  per  la nobiltà e l’eleganza delle espressioni». È una specie di Magnificat «ante litteram».

 

La  liturgia  ebraica  si serve di questo salmo nel giorno del Kippùr (celebrazione che cade verso fine settembre-inizio ottobre): giorno delI’espiazione e della confessione dei peccati, nel quale ognuno si raccoglie in profondo silenzio e pratica un austero digiuno. Il pio ebreo prega Dio di concedergli il perdono dei peccati commessi contro di lui e contro il prossimo.

Il salmo si apre (vv. 1-2) e si chiude (vv. 20-22) con un appassionato invito, che il  salmista rivolge a se stesso,  al  «suo intimo» secondo il  testo originale, e poi, nel finale, a tutte le creature celesti e terrestri per benedire il Signore. È una preghiera di ringraziamento per il perdono ottenuto; procede in un’ordinata  antitesi  tra  grazia divina da una parte,  e fragilità e povertà umana dall’altra, come si evidenzia nel seguente schema:

vv. 3-4a:     fragilità umana (colpe, malattie);

vv. 4b-5:     grazia divina (perdono, guarigione);

vv. 6-8:       grazia divina per tutti (giustizia, bontà, pietà, amore);          

vv. 9-10:     fragilità umana di tutti (ira, contestazione, colpe);

v. 11:          grazia divina (misericordia, timor di Dio);

v. 12:          fragilità umana (colpe);

v. 13:          grazia divina (paternità, pietà);

vv. 14-16:   fragilità umana (come erba, come fiore è la nostra vita);

vv. 17-19:    soluzione: trionfo della grazia divina.

                                                                            (G. Ravasi)

 

La benedizione iniziale e, soprattutto, quella finale, nell’intenzione del salmista, vuole essere il canto poderoso di un immenso coro che coinvolge tutti: gli esseri celesti e quelli terrestri, quasi a far capire che la vita dell’uomo sulla terra acquista pieno significato se è riferita a Dio in espressione di lode e di benedizione.

Due volte ricorre il verbo in apertura benedici») e quattro volte in chiusura benedite»). È un pressante invito che risulta, a un tempo, lode e preghiera, canto e ringraziamento, inno e formula di gratitudine.

Inoltre, in questa composizione si può notare il passaggio dall”‘io al noi", dalla prima persona singolare alla prima persona plurale.

L’orante diventa l’immagine dell’intera comunità. Ciò che Dio ha fatto a lui, lo fa a tutti. La sua esperienza assume proporzioni corali: tutti coinvolti nel peccato e tutti perdonati da Dio e, dunque, tutti uniti nel ringraziamento.

E’ un salmo penitenziale fortemente originale in cui non si chiede il perdono: si ringrazia invece per il perdono ottenuto.

Commento  -  vv. 1-2 introduzione

A differenza di altri salmi, nei quali l’orante si rivolge ai fedeli presenti nel tempio per invitarli a unirsi a lui nella preghiera, qui egli si rivolge alla sua anima. C ome fa Maria nel Magnifìcat, intende riferirsi a tutto il suo essere, all’intera persona con tutte le sue risorse e tutte le sue esplicitazioni. Vuole partire dall’intimo, dal mondo interiore per estendersi poi a tutto l’uomo.

L’invito è a «non dimenticare» e quindi «a ricordare» tutti i benefici ricevuti da Dio. Il «ricordare», in chiave biblica, implica sempre una risposta concreta ai divini benefici, una dimostrazione pratica. L’orante vuole rendere gloria all’amore e alla misericordia di Dio: amore e misericordia che non si sono mai attenuati per lui lungo il cammino fin qui percorso, non sono mai venuti meno, perché amore e misericordia sono «più forti della morte».

 

vv. 3-19 fragilità umana e grazia di Dio  («Ti corona di grazia e misericordia»)

Nei vv. 3-5 ci si imbatte in una sequenza di verbi nella forma classica del participio: (il Signore) perdona le colpe, guarisce tutte le malattie, salva dalla fossa, corona di grazia e di misericordia, sazia di beni e rinnova la giovinezza. Il salmista, nella successione di questi participi, mira a esplicitare il modo costante di agire di Dio, il suo abituale... «stile» che lo contraddistingue; vuole sottolineare che i suoi divini e premurosi interventi non si limitano allo spirituale, ma si estendono e coinvolgono tutta la persona dell’uomo: corpo e anima, spirito e fisico, mondo interiore e mondo esteriore.

Inoltre, nella configurazione stilizzata della composizione, resta da rilevare nei vv. 9-10 la quadruplice proposizione formulata in chiave negativa col fine di evidenziare una precisa importante verità: Dio, lasciandosi guidare dall’amore, supera di gran lunga la semplice linea retributiva e si attesta con generosità e gioia su quella della misericordia:

«Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno.

Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe».

 

Nei vv. 11-13 con tre artistiche immagini (simbologie), l’autore tenta di offrire una qualche idea delI’infinita grandezza e misericordia  di Dio.

Prima di tutto, si serve delle due fondamentali dimensioni del cosmo visibile: deIl’altezza del cielo rispetto alla terra (v. 11) e della larghezza dell’oriente rispetto all’occidente (v. 12). Ebbene, l’amore misericordioso di Dio è ben più grande.

Con la terza immagine, poi, attinta dalla simbologia della pietà paterna, vuole illustrare l’assenza di ogni limite all’esperienza che l’orante può fare della bontà e della misericordia divina.

 Ancora due immagini richiamano  la  nostra attenzione. La prima è quella dell’aquila (v. 5): su questo superbo volatile, simbolo di potenza e di longevità, la tradizione orientale aveva imbastito una curiosa leggenda: si riteneva che, col mutar del piumaggio, l’aquila  tornasse  a rinnovare  il suo vigore e la sua giovinezza. Così è di colui che ripone la sua speranza in Dio, aggiunge il salmista.

 La seconda  immagine è quella dell’umile filo d’erba, di cui il salmista sottolinea l’esistenza effimera. Appena spuntato fresco e tenero dal suolo, viene subito bruciato dal soffio infuocato e impietoso del deserto. Proprio così breve e fragile è la vita dell’uomo sulla terra: non ha la robustezza del cedro e tanto meno beneficia della longevità del leccio; al contrario, ha la caducità dell’esile filo verde apparso come un miracolo al mattino.

 Il tormentato Giobbe è in perfetta sintonia con questo testo, quando fa un amaro sfogo col suo Signore per la vita troppo breve e troppo travagliata:

«I miei giorni scorrono più veloci d’una spola,  svaniscono senza un filo di speranza. Ricordati che un soffio è la mia vita» (Gb 7,6-7);

«L’uomo, nato da donna, ha vita breve e piena d’inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma» (Gb 14,1-2).

 

« Non ci tratta secondo i nostri peccati »

Questa originale composizione poetica si riferisce con ogni probabilità  a  una  liturgia  di ringraziamento. Ecco quale dovrebbe essere stata la successione degli eventi:

Un pio ebreo si ritrova pienamente coinvolto in un’amara esperienza di peccato, che ha  sconvolto  il  suo spirito e il suo fisico. Su questa penosa situazione interviene misericordiosamente il Signore: il peccatore apre gli occhi sulla propria condizione di miseria e si libera dal peso gravoso.

Si rende ben conto dello scampato pericolo e desidera vivamente salire al tempio per esprimere la sua commossa gratitudine al Signore con un «sacrificio di azione di grazie». Però, in questo momento  spirituale così importante non vuole essere solo, invita perciò familiari,  parenti,  amici e vicini a unirsi a lui. Vestito a festa,  accompagnato  da una discreta folla, sostenendo tra le braccia un inerme agnello, sale al tempio per offrire con gioia il sacrificio. Qui, alla presenza di Dio e dei suoi intimi, narra la terribile vicenda personale e sottolinea i benefici ricevuti da Dio.

 

In un clima di generale commozione, elenca i favori celesti di cui ha beneficiato (il Signore perdona, guarisce, salva, sazia, agisce. ..) e descrive anche con tre precisi termini la sua situazione peccaminosa da cui è stato liberato:

-       v. 3 «iniquità»,

-       v. 10 «sbaglio, errore»,

-       v. 12 «infedeltà, rottura dell’aIleanza».

 

Il primo, iniquità, richiama l’immagine del «curvarsi, piegarsi, torcersi» sotto il gravoso peso dei peccati.

Il termine inoltre designa lo stato colpevole del peccatore, cioè la  condizione  morale  nella quale egli passa a vivere a motivo dei peccati. La sua situazione, disordinata e complicata, è il risultato di atti peccaminosi. Quindi, l’iniquità è vista come conseguenza, come effetto di una serie di peccati. Al di dell’atto che finisce e passa, c’è una situazione  di inquinamento  morale che rimane e si espande a macchia  d’olio su tutto e su tutti in modo inarrestabile,  finché non interviene Dio.

Così, il nostro salmista celebra con gioia il perdono, che gli è stato accordato,  e dichiara pubblicamente la sua riconoscenza a Dio per essere stato liberato da questa triste condizione:  «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità» (v. 3).

 L’altro termine che il salmista richiama è sbaglio-errore, che suggerisce l’idea fondamentale di «mancare, di fallire il colpo al  bersaglio»,  si riferisce  a un movimento verso un  fine o a una direzione non raggiunta o a uno scopo non conseguito; il bersaglio fallito è... Dìo! L’autore del salmo  ci ricorda che si può vivere una vita sbagliata, senza quindi puntare al  fine supremo.  Si  badi che non si  tratta  qui solo di un errore di valutazione o di giudizio, ma di un’esperienza vitale fallimentare, di una meta non raggiunta.

 Egli fa ricorso anche al terzo termine: infedeltà; è il più antico della cultura religiosa ebraica e anche il più espressivo. Il suo significato fondamentale è di «ribellione, rivolta, trasgressione, rottura di rapporto»; esprime l’atteggiamento di chi tenta di tutto per sottrarsi all’autorità di un altro. Per questo, assume anche il significato di «disertare, tradire, rompere i legami con qualcuno». Dal punto di vista giuridico, esprime il tradimento di un vassallo ai danni di un re o di un padrone col quale si era legato con solenne giuramento.

Si noti anche qui che il senso originale della radice verbale va bene al di là di una contestazione o di una momentanea ribellione, perché esprime una diserzione e una defezione definitiva, senza ripensamenti e senza alcuna speranza.

Resta soltanto lo spazio di un intervento dall’alto che, gioiosamente, c’è stato nel caso  del  nostro  autore. Anzi, basandosi  sulla propria esperienza,  eleva  a principio il modo di agire di Dio:

 Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. . .

Non ci tratta secondo i nostri peccati,

e non ci ripaga secondo le nostre colpe…,

quanto dista l’oriente dall’occidente,

così egli allontana da noi le nostre colpe.

Come è tenero un padre verso i figli,

così il Signore è tenero verso quelli che lo temono (vv. 8.10.12-13).

 

Dio è un padre «misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore» (v. 8). Pertanto, la misura del castigo non è costituita dalla sua giustizia, bensì dalla sua misericordia; questa supera di gran lunga quella. D’altre parte, se lui si comportasse con noi come in realtà meriteremmo, chi mai potrebbe salvarsi?

Il salmista, nel magnificare la misericordia di Dio che supera di gran lunga «lo schema della pura giustizia retributiva, introduce un”‘irrazionalità” nella bontà di Dio. Egli nel suo amore preferisce sospendere la sua ira e perdonare alla sola condizione che “la colpa sia riconosciuta” (Ger 3,13). Non esige fiscalmente una riparazione o un pagamento proporzionato ma solo la conversione nel riconoscimento del peccato. Dio non domanda che il peccato sia pagato, ma solo confessato.

 

A leggere il salmo con una certa attenzione, si rimane benevolmente colpiti dal fatto che l’autore esalta in esclusiva la misericordia e il perdono di Dio e non riserva alcun riferimento ai castighi e alle punizioni. Mentre si nota che in altri testi biblici, insieme al tema della misericordia, si riscontra immancabilmente anche l’accenno agli interventi punitivi.

 Dio non minaccia, non rinfaccia i peccati e non riapre piaghe penose. Volentieri depenna le nostre colpe dai suoi conti; volentieri dimentica il nostro passato; non ha memoria per il nostro «ieri». Già i profeti Isaia e Michea avevano placato gli  angosciosi timori del singolo e del popolo:

«Egli si è gettato dietro le spalle tutti i nostri peccati» (Is 38,17). Michea aggiunge che «i peccati li ha gettati in fondo al mare» (Mi 7,19), per cui sono sepolti per sempre.

«Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana» (Is 1,18).

 

 

« Come l’erba sono i giorni dell’uomo »

L’autore del salmo, dopo aver cantato la grandezza immensa della misericordia di Dio (nella dimensione della «lunghezza» e della «larghezza»), posa la sua attenzione sulla piccolezza, la povertà e la caducità dell’uomo. Ricorre alle immagini di creature effimere che spuntano all’alba e, prima che arrivi sera, non sono più: è il filo d’erba, il  fiore del campo, la colonna di fumo che «investita dal vento, più non esiste» (v. 16). Sì, l’uomo è un soffio, un’ombra, un filo d’erba che secca rapidamente ed è calpestato e ridotto in polvere.

 

Caducità, povertà e fragilità dell’uomo potrebbero dare adito a tristezza, angoscia e smarrimento interiore. E invece non si coglie neppure l’ombra di questi sentimenti nell’intera composizione. «Il salmista non ha una visione angosciata della caducità. Nessun lamento in proposito. Nessuna domanda; anzi, la debolezza dell’uomo è considerata una ragione — per il salmista forse la ragione — per cui Dio lo ama: “Egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere” (v. 14). Intuizione che sorprende e commuove» (B. Maggioni).

 

La fragilità e la brevità della vita dell’uomo sono evidenziate non tanto per attenuare la colpa quanto per muovere Dio a compassione e per confermare l’uomo nell’adesione  alla divina misericordia.  Dio, in qualità di inarrivabile «artista», ha sì plasmato e modellato l’uomo dal fango, però l’esperienza insegna che questo «fango» viene facilmente sgretolato dal sole cocente della tentazione e dallo spirare violento del vento della prova. Perciò, nessuno conosce come lui la radicale fragilità dell’uomo, ed è per questo che egli moltiplica generosamente i gesti di misericordia. E  quest’ultima non è il  segno della sua debolezza, ma lo spazio nel quale egli manifesta il suo amore.

 

«Lo investe il vento...»! Quale vento? Certo, già la vita umana è sottoposta all’inesorabile legge della caducità: esperimenta l’arco parabolico di un inizio promettente, di uno sviluppo pieno e maturo e di un inevitabile declino, che la conduce in braccio alla morte; «né più lo riconosce la sua dimora» (v. 16). Oltre a ciò, la vita, dall’alba al tramonto, subisce minacce, aggressioni, violenze...; è esposta a forze oscure impreviste e imprevedibili che recano sofferenza e, talvolta, ne affrettano la morte.

E tuttavia Dio esprime immenso amore per l’uomo e lo segue con predilezione, senza perderlo mai di vista: dall’inizio alla fine, «da sempre e per sempre» (v. l7).

 

L’autore inoltre precisa anche con Giobbe che all’uomo, pur «breve di giorni e sazio di inquietudine» (Gb 14,1), rimane sempre lo «spazio»  umano nel quale Dio celebra il suo amore misericordioso e compassionevole:

«L’amore del Signore è da sempre, per sempre su quelli che lo temono,

e la sua giustizia per i figli dei figli, per quelli che custodiscono la sua alleanza e ricordano i suoi precetti per osservarli» (vv. 17-18).

 

 

vv. 20-22 conclusione

Giunto al termine della sua articolata  preghiera,  l’orante chiede aiuto agli angeli per formulare una degna conclusione. Essi svolgono normalmente servizi nella corte celeste, ora però,  per quest’unica  volta,  si uniscano a  lui per ringraziare e benedire il Signore. Al poderoso coro angelico, si uniscano tutte le creature che Dio ha creato e collocato in  ogni parte dell’universo. L’orante,  infine, ripete l’invito anche a se stesso, alla sua anima.

 

Attualizzazione:  pregare il salmo oggi  -  l’apoteosi della misericordia

In tempi posteriori al salmista, col sopraggiungere della nuova economia, una fanciulla di Nazaret riprenderà questa tematica e la canterà nel Magnifìcat: «La sua misericordia si estende di generazione in generazione su quelli che lo temono»  (Lc 1,50).

In ambedue le composizioni (Salmo e Magnificat), si assiste all’apoteosi della misericordia. Anzi, nel salmo si nota che «misericordia e giustizia» costituiscono uno stretto binomio, in quanto ambedue esaltano unicamente l’aspetto misericordioso. La «giustizia» perde la connotazione forense per esprimersi in chiave di misericordia.

In definitiva, qui ci si trova alle prese con un Dio che desidera “travolgere” l’uomo con la  sua misericordia, senza lasciarsi frenare o bloccare dalle varie modalità di risposta dell’uomo. A lui basta un cenno di  ravvedimento,  un  solo gesto, una sola parola per inondarlo di perdono.  La  sua gioia è nel donare il perdono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

   (Un minuto con Dio)

 

 

CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente, 

nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti

i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.   Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!  Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!                                                                   

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