Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Dimmi cosa c’è |
Sei l’incanto
|
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
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FATE ATTENZIONE A COME ASCOLTATE
Iniziamo una piccola serie di lectio, in qualche modo collegate tra di loro,
liberamente tratte da alcune riflessioni/meditazioni di padre Innocenzo Gargano,
monaco camaldolese.
Buona meditazione e buona preghiera.
LECTIO Apro
la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti. (Luca
10,25-37)
25
Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».29
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
MEDITATIO
Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della
Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga
del nostro Ritiro On Line:
il grande
silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il
modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi
come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia
Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di
amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in
un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso
"cuore".
«CHE
COSA DEVO FARE PER AVERE LA VITA?»
Il contesto più ampio
Questi versetti del capitolo 10 di Luca potrebbero costituire una sorta di unità
letteraria che comincia con l'interrogativo del dottore della Legge e si
conclude con la risposta di Gesù all'obiezione di Marta. Al centro di essa c'è
la bellissima «parabola del buon samaritano», ma probabilmente l'episodio di
Marta e Maria dovrebbe essere letto come una integrazione della «parabola del
buon samaritano». Perché mi sento autorizzato a formulare una simile ipotesi?
Per due riferimenti, uno posto all'inizio di questa pagina e uno al termine
della stessa pagina. All'inizio il dottore della Legge che interroga Gesù
utilizza un'espressione comune anche agli altri sinottici, per far domandare al
dottore della Legge:
«Maestro, che
cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (v. 25 ).
Al termine di ciò che abbiamo ipotizzato essere una unità letteraria, troviamo
poi che il contesto di un'eredità da conseguire, e di fatto conseguita, è
richiamato dalla risposta di Gesù a Marta con riferimento a Maria:
«Maria ha
scelto la parte migliore, che non le sarà tolta » (v. 42).
L’eredità
La questione dell'eredità attraversa tutta la storia dei patriarchi fino
all'ingresso del popolo di Dio, formato da Mosè nel deserto, nella eredità
promessa appunto ad Abramo.
Nella distribuzione delle terre assegnate da Giosuè alle singole tribù (cfr. Gs
13-21) l'Antico Testamento vede la realizzazione, finalmente, della promessa di
Dio fatta ad Abramo. Ma nella distribuzione delle terre c'è anche una scelta che
corrisponde alle note peculiari possedute da ciascuna tribù. Così le tribù più
dedicate alla pastorizia scelgono, o sono loro assegnati, terreni appropriati
all'allevamento del bestiame, mentre altre tribù scelgono territori più
appropriati alla rispettiva capacità lavorativa o al servizio che viene loro
richiesto per il bene di tutti. Così Levi riceve come eredità semplicemente
il Signore e
non ha né pascoli né terreni coltivabili, perché sua eredità è
semplicemente il Signore (cfr. Gs 13,14.33; Nm 18,20 e Dt 18,1-2). E
naturalmente sarà il Signore che si preoccuperà di garantire per la tribù di
Levi lo stesso tipo di sostentamento ade guato che alle altre tribù veniva
garantito dall'eredità di territori concreti o di beni stabili (cfr. Nm
18,21.25-32; Dt 14,22-27).
L'interrogativo di un dottore della Legge
Proviamo adesso a rileggere il testo tenendo conto di ciò che abbiamo appena
premesso. Cominciamo subito con la prima parte che, di fatto, è semplicemente
l'interrogativo e la risposta, molto accondiscendente, data da Gesù:
«Ed
ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro,
che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta
scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio
con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con
tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto
bene; fa’ questo e vivrai».
»
(vv. 25-28).
Il dottore della Legge interroga Gesù sull’eredità, e l'eredità di cui parla il
dottore della Legge è la «vita
eterna» (v. 25). Se noi ci ricordiamo di ciò che abbiamo appena
detto a proposito di Levi, e cioè che per Levi l'eredità è il Signore, la
domanda del dottore della Legge è riferita proprio a questo bonum, a questo
«bene» al di là e al di sopra di tutti gli altri beni, cioè a quella «eredità»
che si identifica con il Signore stesso. È lui, infatti, la vita eterna.
Dunque, ciò che il dottore della Legge vuole cercare di garantirsi è proprio il
Signore, nessun altro che il Signore. Da qui la sollecitazione di Gesù: Tu vuoi
ereditare il Signore? Vuoi che il Signore sia la tua eredità, il tuo bene?
Questo è proprio ciò che ti indica la Legge! Vai a leggerla: che cosa ti dice la
Legge?
C'è già in tutto questo un invito per noi che leggiam, di non ridurre
l'interesse a un'eredità circoscritta ai beni di questa terra, di questa vita,
ma di aprirsi a quel bene che, unico, è desiderabile come eredità, ma che è
anche l'unico bene che la Legge vuole garantirci. Il dottore della Legge è assai
cosciente di tutto questo. Né è questo che chiede a Gesù, ma piuttosto chiede
come fare a ereditare l'unico bene esplicitando nel concreto l'adesione alla
Legge che lui del resto conosce molto bene:
Il prossimo
Perché è unita a questo l'attenzione al prossimo? Perché se tutto ciò che si
eredita è il Signore, il Signore che si dà come eredità a te si dà allo stesso
modo anche al prossimo che è prolungamento di te stesso. Il Signore infatti non
fa distinzione, ma si commuove di fronte ai figli di Israele così come si
commuove anche di fronte ai figli dei suoi vicini egiziani (cfr. Is 19,16-25; Rm
2,11).
Questo significa che il Signore non può essere ricevuto in modo egoistico, in
modo chiuso. L'eredità ricevuta dal Signore è sempre una eredità «traboccante»,
è sempre un'eredità che si riversa nella tua «conchiglia», perché dalla tua
conchiglia l'acqua del suo dono possa poi espandersi intorno per dissetare anche
gli «altri». Non c'è mai la pretesa di una eredità circoscritta, chiusa all
'interno della propria tenda, della propria famiglia, della propria tribù.
Infatti si tratta sempre di una eredità condivisa con il popolo, e con l'insieme
della realtà umana.
L’insieme della realtà umana
Adesso possiamo capire meglio alcune sottolineature presenti in testi
fondamentali come quello, ad esempio, della cosiddetta «istituzione
dell'eucaristia»: «Questo
è il mio sangue sparso per voi e per tutti (o per la moltitudine), in remissione
dei peccati » (cfr. Mt 26,27-28).
«Per
voi e per la moltitudine ». Non
si esclude, se vogliamo, una sorta di primato, di pre-elezione, forse di
precedenza temporale; non si esclude una certa taxis, un certo «ordine», perché
esso fa parte del flusso naturale delle generazioni: i padri vengono prima dei
figli e i figli vengono prima dei nipoti; e tuttavia la vita del padre passa
attraverso il figlio e raggiunge i nipoti. Dunque, mai un'eredità esclusiva, mai
un'eredità da tenere tutta per sé, ma sempre un'eredità aperta alla
condivisione.
Dopo questo riferimento al gesto eucaristico di Gesù, che propone il vino come
il proprio sangue «sparso
per voi e per tutti», possiamo lasciare emergere all'orizzonte
della nostra mente il famosissimo capitolo 2 della Lettera ai Filippesi:
«egli,
pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come
Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile
agli uomini.
» (cfr. Fil 2,6-7). «Svuotò
se stesso» per poter arricchire di questa stessa dignità filiale
tutti coloro che sarebbero stati raggiunti dalla stessa elezione.
Oppure pensiamo al capitolo 1 della Lettera agli Efesini (cfr. Ef 1,3-4) dove il
«rendimento di grazie», rivolto verso il Padre, di fatto si riferisce a una
«figliolanza» che, grazie al sangue di Cristo, è effusa su tutta l'umanità. Un
«traboccare» di eredità che raggiunge l'intero creato così che da tutto il
creato - dirà poi Paolo - si potrebbe percepire il grido incontenibile della
«creazione
che geme e grida: "Abbà, Padre!"»
(cfr. Rm 8,15.22-23).
Chi è il mio prossimo?
La «parabola del buon samaritano» è una esemplificazione concreta che
apparentemente sembra rispondere semplicemente all'obiezione del dottore della
Legge, ma che di fatto capovolge i nostri criteri abituali di definire il
prossimo. Perché li capovolge? Perché di fatto il prossimo di cui si parla non è
il malcapitato della parabola stessa, ma è colui che è riuscito a entrare
all'interno di questa logica della eredità e si è fatto prossimo per poter
ricevere anche lui l'eredità che si è riversata completamente, sia pure in modo
paradossale, sull'altro. Non si legge forse nei carmi di Isaia che sul suo «
eletto» il Signore ha caricato i dolori e la sofferenza di tutti noi?
«Chi è il mio
prossimo?». In una lettura immediata del testo si è talmente
condizionati dalla situazione del povero malcapitato fra le mani dei briganti
che in genere identifichiamo immediatamente il prossimo con il malcapitato . La
domanda finale posta da Gesù capovolge questa prospettiva. Difatti Gesù al v. 36
dice:
«Chi
di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei
briganti?»
La parabola è molto misteriosa, e potremmo anche dire che è a doppio senso,
perché possiamo riconoscere legittimamente nel malcapitato Colui che è stato
cacciato fuori dalle mura (cfr. Lc 4,29); Colui che è stato estromesso dal
consorzio degli uomini (cfr. Is 53,8); Colui che è stato crocifisso tra due
malfattori (cfr. Lc 23,33). Infatti può essere lui il Reietto, il Tradito,
l'Estromesso, l'Escluso, lo Straniero di cui parla Luca. Ma se si tratta di lui,
di fronte al quale noi ci coprivamo il volto (cfr. Is 53,3), eppure è stato
caricato dei nostri peccati perché fosse lui la nostra salvezza, allora ciò vuol
dire che soltanto facendoci prossimi a lui, imparentandoci con lui, e dunque
diventando figli nel Figlio, possiamo pensare di condividerne anche la sua
misteriosa eredità. Lo consideravamo un Escluso, ma lui era l'Eletto. Così
grazie alla nostra conformazione a lui, all'intimità stabilita con lui, abbiamo
anche ricevuto a nostra volta la sua stessa dignità di figlio e di conseguenza
anche la sua eredità. Lui, il Figlio, ci permette di sentirci figli (cfr. Gal
4,4-6; Rm 8,14-17), e dunque «eredi» di Dio, perché «coeredi» di Cristo.
In questa prima interpretazione del malcapitato abbiamo potuto capire così
qualcosa a proposito dell'interrogativo: «Chi
di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei
briganti?
». E abbiamo potuto dedurre che colui che è incappato nei briganti possedeva una
dignità, una eredità, che poteva essere comunicata soltanto a chi si fosse fatto
prossimo a lui.
Dunque, chiunque si trovi in una condizione simile alla sua, «si sintonizza» con
lui e, grazie a questa sintonizzazione, riceve la partecipazione alla sua stessa
eredità . A differenza degli altri, proprio perché non riescono a sintonizzarsi
con il cuore di lui, non riescono a riconoscersi suoi consanguinei e purtroppo
sono tagliati fuori.
Un mondo religioso asettico
Adesso possiamo riprendere la parabola e constatare come mai siano così
distratti, il sacerdote e il levita. Forse possiamo semplicemente osservare che
sono talmente presi dai propri interrogativi, dalle proprie problematiche più o
meno specialistiche, filosofiche o religiose o leguleie (legate cioè all'
approfondimento della legge) che non si accorgono della realtà.
Vivono fra le nuvole, nonostante tutto. Sono speculativi al massimo, ma appunto
perché sono immersi in questa speculazione altissima, finiscono poi col perdere
l'occasione propizia, l'occasione opportuna. Giudicano tutto secondo gli schemi
legali, secondo gli schemi speculativi, e non riescono a calare tutto questo
nella realtà concreta. Di fronte al malcapitato si chiedono soltanto se la Legge
avrebbe o no permesso di avvicinarsi al malcapitato. E ricevono una risposta
analoga al proprio interrogativo: siccome la realtà più importante per loro è la
purità, trovandosi di fronte a un uomo di cui non si sa se è vivo o morto,
scelgono la strada più sicura. Nel dubbio, infatti, si sceglie sempre una
posizione che comunque permetta di rimanere con le mani pulite. Se avessero
toccato quell'uomo, e per caso quell'uomo fosse stato già cadavere, avrebbero
contratto l'impurità e l'impurità li avrebbe tagliati fuori da tutta una serie
di altre manifestazioni della vita che non si potevano più permettere, fino a
che non si fossero purificati (cfr. Lv 21,1-4.11). Quindi sia il sacerdote sia
il levita sono soprattutto persone preoccupate di mantenere il proprio candore.
È l'unica realtà che interessa loro: tenere a lucido tutto (no, mi sporcano casa
se entrano dentro!); l'unica preoccupazione!
E così vengono tagliati fuori dalla possibilità di ereditare la vita
eterna.
Non ereditano nulla. Ereditano invece la glacialità della propria «neve
immacolata», senza vita. Non l'eredità dei figli.
Invitati a contestualizzare
È una situazione universale. Io la posso contestualizzare nel mio mondo di
monaco (di camaldolese, di benedettino, di tutto quello che voi potete
riconoscere in noi), ma poi voi siete invitati a contestualizzare tutto questo
nel vostro ambito, nella vostra scelta familiare, nella vostra scelta
sociopolitica, economica, concreta. Pensiamo alla preoccupazione che abbiamo
tutti noi dell'emisfero Nord a non essere contaminati, a non essere disturbati
nel nostro ordine, nella nostra pulizia, nella nostra asetticità, dagli «altri»
malcapitati dell'emisfero Sud e allora abbiamo di che farci colpire dalla spada
della parola di Luca. Siamo tutti di fatto sotto la parola tagliente di Gesù.
Lui, che si è nascosto in questo povero malcapitato. Ricordiamo Matteo 25: «Avevo
fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, fui
pellegrino e mi avete ospitato; nudo e mi avete vestito; delinquente,
condannato, in carcere e non vi siete vergognati di me, ma siete venuti a
trovarmi» (cfr. Mt 25,31-46). Anche questo fa parte della
preoccupazione di non sporcarsi le mani: sono dei delinquenti, che paghino! che
soffrano! In contesti diversi dal nostro, come quello indiano, ad esempio, si
direbbe: è il suo karma, deve soffrire!
No. Il vangelo diventa «spada a doppio taglio» che ci spacca in due e apre la
realtà che è presente nel cuore (cfr. Eb 4,12-13). Il buon samaritano, proprio
perché fa esperienza quotidiana di un'esclusione dovuta alla chiusura delle
porte di fronte alle sue richieste e al disprezzo, si sintonizza più facilmente
con il malcapitato e, scoprendolo
come proprio fratello e consanguineo, di fatto ne eredita il nome ritornando a
essere di nuovo, paradossalmente e grazie a lui, pienamente« figlio».
Le « viscere» di uno straniero
Questo samaritano si sintonizza nel cuore e con il cuore del malcapitato perché
lui stesso ne ha fatto esperienza. Trovandosi nella condizione di un eretico e
di un perseguitato, il samaritano sapeva bene che cosa significasse soffrire. Il
testo greco ci fa capire che il samaritano, al vedere quel povero malcapitato,
si sentì «aprire le viscere», «scoprire il cuore» proprio come quando una mamma
sperimenta «visceralmente» la propria consanguineità profonda con il figlio. È
bastato averlo visto. E’ come una freccia appuntita: lo vide, si avvicinò e ne
ebbe, come conseguenza,
l 'apertura del cuore.
Qualcosa di simile succede al samaritano. Infatti, da questo momento in poi
tutti i gesti che compie il samaritano sono i gesti tipici di chi ha a che fare
con un congiunto, con un membro della propria stessa famiglia. Lo riempie di
attenzione, di affetto, di carezze. Fa tutto ciò che si fa quando non c'è più
nessuna barriera tra i due, ma tutto è vissuto all'interno di una profonda,
misteriosissima intimità, nella piena libertà dettata unicamente dall'amore.
È qualcosa che si può capire soltanto quando si tiene presente che cos'è la
libertà che si possono concedere due persone che si amano senza nessuna barriera
fra di loro. È questo ciò che si verifica nell'incontro del samaritano con il
malcapitato della strada che da Gerusalemme scende a
Gerico.
Soltanto un linguaggio di estrema intimità sponsale, materna, familiare, riesce
a farci intuire che cosa si nasconda nei gesti semplici, eppure profondissimi,
del samaritano che scende verso Gerico.
«Gli si fece
vicino» (v. 34). - Il testo greco compone un verbo di movimento
che accentua la vicinanza. Potremmo tradurre: «Gli si accostò,
pelle a pelle» e «gli
fasciò le ferite» (v. 34) .
Chiunque ha avuto un bambino da accudire sa che cosa comporti il gesto del
fasciare o dell'avvolgere in fasce. Mi ricordo che quando ero bambino mia
sorella prima di fasciarmi una ferita soffiava forte sulla parte malata come per
accarezzarmi nel modo più tenero possibile, creando in me la convinzione che,
grazie al suo soffio, sarei istantaneamente guarito .
Questo vuol dirci il gesto del samaritano che fascia le ferite. Non è certamente
il gesto di un'infermiera sbrigativa. È molto importante capirlo, perché solo
così saremo in grado di stupirci di fronte alla ricchezza e alla profondità di
certe espressioni di Luca apparentemente semplici se non addirittura banali.
«Gli fasciò
le ferite, versandovi olio e vino» (v. 34), aggiunge il testo.
Sono i due aspetti dell'amore: da una parte la tenerezza ineffabile di una
carezza intimissima, dall'altra questa infusione di forza, di vigore nella
libertà, che nasce spontanea in chi si sente amato fino in fondo.
I due denari e l'eredità
«lo caricò
sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui.»
(v. 34)
Allora non esistevano gli ospedali, e il termine greco può, infatti, significare
albergo. Si tratta comunque di un luogo dove qualcuno si prende cura di altri.
«Il giorno
seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura
di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”»
(v. 35).
Il comandamento: «Ama
il prossimo come te stesso» impone di concludere che sono due in
una carne sola. Il mistero vissuto nell'unione nuziale diventa proposta di vita
che comporta l'accettazione dell'ultimo, del malcapitato, con lo stesso criterio
con cui il credente si rapporta
con il coniuge. Dovresti
rappor
tarti
con il delinquente o con il malcapitato nelle mani dei briganti, utilizzando la
stessa misura che utilizzi con il coniuge.
È una indicazione di vita molto, molto alta. E dobbiamo stare attenti a non
svigorire la forza di questa parola. Semmai accusiamo il nostro peccato, la
nostra insensibilità, il nostro limite, ma non giustifichiamoci. Non ci
conviene, di fronte a una parola così chiara.
Se la coscienza è stata toccata, è stata ferita, lasciamola piangere! Forse,
chissà, il lavacro che deriva da queste lacrime ci renderà più attenti, più
capaci di seguire la strada indicata dal Signore per raggiungere finalmente
anche l'obiettivo di ottenere l'eredità dei figli.
« tirò fuori
due denari» (v. 35).
Per i Padri della Chiesa i due denari non sono soltanto soldi, ma sono
l'osservanza dei due primi comandamenti. Il senso sarebbe che il samaritano non
smise di amare il malcapitato, tanto è vero che mantiene il ricordo di lui
promettendo un ritorno.
Il samaritano mette insomma a disposizione il capitale di tutta la propria vita:
« li diede
all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo
pagherò al mio ritorno”» (v. 35).
I due comandamenti permettono al samaritano di mantenere nel tempo la propria
parentela con il malcapitato quasi fossero la caparra che gli garantisce il
diritto di acquisire in futuro l'eredità promessa.
Chi di questi tre?
«Chi di
questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei
briganti?» (v. 36).
«Quello
rispose: «Chi ha avuto compassione di lui»
(v. 37) (“compassione” = “aprire il cuore verso di lui"» (v. 37).
ORATIO
Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla
meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa
preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti
gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano
ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Se ti cerco,
ti nascondi.
Nel silenzio taci. sei indecifrabile suono. Nei libri sei pagina bianca. Scompari quando
voglio averti accanto. |
Diventi presenza, allo svoltare del giorno, alla carezza della solitudine sulla pelle di uno sconosciuto. Solo quando mi inchino a servire il fratello ti lasci toccare.
Se ti cerco… (Patrizio Righero) |
CONTEMPLATIO
Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo
mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione
del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È
Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in
silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO
Mi impegno a vivere un versetto di
questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò
che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da
Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da una lectio di padre Innocenzo Gargano, monaco
camaldolese)