RITIRO ON LINE                                                                                                   
agosto 2019

                                                                                                                                                                                                                                                

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

Dimmi cosa c’è
di più bello al mondo
che stare con Te?
Tu sei 
l’amico invisibile
con cui si parlava da bambini 
e a cui si affidavano 
sorrisi, lacrime e segreti.

Sei l’incanto
e il mio cuore ormai stregato
vuole farne parte. 
Non è un incontro qualsiasi, 
non è un incontro normale. 
È un incontro speciale. 
È l’appuntamento della mia vita.

 (Lalla Desiderato)

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

 (San Secondo da Cortazzone – Stefano Capusso)

 

 

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FATE ATTENZIONE A COME ASCOLTATE

 

Iniziamo una piccola serie di lectio, in qualche modo collegate tra di loro, liberamente tratte da alcune riflessioni/meditazioni di padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese.

Buona meditazione e buona preghiera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti. (Luca 10,25-37)

 

25Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !  Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

«CHE COSA DEVO FARE PER AVERE LA VITA?»

 

 

Il contesto più ampio

Questi versetti del capitolo 10 di Luca potrebbero costituire una sorta di unità letteraria che comincia con l'interrogativo del dottore della Legge e si conclude con la risposta di Gesù all'obiezione di Marta. Al centro di essa c'è la bellissima «parabola del buon samaritano», ma probabilmente l'episodio di Marta e Maria dovrebbe essere letto come una integrazione della «parabola del buon samaritano». Perché mi sento autorizzato a formulare una simile ipotesi?

Per due riferimenti, uno posto all'inizio di questa pagina e uno al termine della stessa pagina. All'inizio il dottore della Legge che interroga Gesù utilizza un'espressione comune anche agli altri sinottici, per far domandare al dottore della Legge:

«Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (v. 25 ).

 Il dottore della Legge parla di «eredità». Come mai si pone un simile interrogativo? Da dove nasce la sua preoccupazione di conseguire una eredità?

Al termine di ciò che abbiamo ipotizzato essere una unità letteraria, troviamo poi che il contesto di un'eredità da conseguire, e di fatto conseguita, è richiamato dalla risposta di Gesù a Marta con riferimento a Maria:

«Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta » (v. 42).

 L'espressione greca potrebbe tradursi con “porzione buona” o “buona eredità”, anziché “parte migliore” . Ma in ogni caso saremmo all'interno di un contesto legato all'eredità. Questo ci permette di illuminare la  pagina del vangelo di Luca con un testo particolare dell’Antico Testamento.

 

L’eredità

La questione dell'eredità attraversa tutta la storia dei patriarchi fino all'ingresso del popolo di Dio, formato da Mosè nel deserto, nella eredità promessa appunto ad Abramo.

Nella distribuzione delle terre assegnate da Giosuè alle singole tribù (cfr. Gs 13-21) l'Antico Testamento vede la realizzazione, finalmente, della promessa di Dio fatta ad Abramo. Ma nella distribuzione delle terre c'è anche una scelta che corrisponde alle note peculiari possedute da ciascuna tribù. Così le tribù più dedicate alla pastorizia scelgono, o sono loro assegnati, terreni appropriati all'allevamento del bestiame, mentre altre tribù scelgono territori più appropriati alla rispettiva capacità lavorativa o al servizio che viene loro richiesto per il bene di tutti. Così Levi riceve come eredità semplicemente  il Signore  e  non ha né pascoli né terreni coltivabili, perché sua eredità è semplicemente il Signore (cfr. Gs 13,14.33; Nm 18,20 e Dt 18,1-2). E naturalmente sarà il Signore che si preoccuperà di garantire per la tribù di Levi lo stesso tipo di sostentamento ade­ guato che alle altre tribù veniva garantito dall'eredità di territori concreti o di beni stabili (cfr. Nm 18,21.25-32; Dt 14,22-27).

 Se poniamo adesso la pagina di Luca all'interno di questo tipo di contestualizzazione ci accorgiamo della presenza di una logica molto profonda che collega tutti e tre i riferimenti dell'unità letteraria. E cioè l'interrogativo del dottore della Legge, la proposta della «parabola del buon samaritano» e l'episodio «parabolico» di Marta e Maria. Il filo che collega tutte e tre queste «forme» è l'interrogativo sulla eredità.

 

L'interrogativo di un dottore della Legge

Proviamo adesso a rileggere il testo tenendo conto di ciò che abbiamo appena premesso. Cominciamo subito con la prima parte che, di fatto, è semplicemente l'interrogativo e la risposta, molto accondiscendente, data da Gesù:

«Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». »   (vv. 25-28).

 Fermiamoci su questa prima parte.

Il dottore della Legge interroga Gesù sull’eredità, e l'eredità di cui parla il dottore della Legge è la «vita eterna» (v. 25). Se noi ci ricordiamo di ciò che abbiamo appena detto a proposito di Levi, e cioè che per Levi l'eredità è il Signore, la domanda del dottore della Legge è riferita proprio a questo bonum, a questo «bene» al di là e al di sopra di tutti gli altri beni, cioè a quella «eredità» che si identifica con il Signore stesso. È lui, infatti, la vita eterna.

Dunque, ciò che il dottore della Legge vuole cercare di garantirsi è proprio il Signore, nessun altro che il Signore. Da qui la sollecitazione di Gesù: Tu vuoi ereditare il Signore? Vuoi che il Signore sia la tua eredità, il tuo bene? Questo è proprio ciò che ti indica la Legge! Vai a leggerla: che cosa ti dice la Legge?

C'è già in tutto questo un invito per noi che leggiam, di non ridurre l'interesse a un'eredità circoscritta ai beni di questa terra, di questa vita, ma di aprirsi a quel bene che, unico, è desiderabile come eredità, ma che è anche l'unico bene che la Legge vuole garantirci. Il dottore della Legge è assai cosciente di tutto questo. Né è questo che chiede a Gesù, ma piuttosto chiede come fare a ereditare l'unico bene esplicitando nel concreto l'adesione alla Legge che lui del resto conosce molto bene:

 « Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente»   (v. 27).

 Rispetto al testo comune è aggiunto «con tutta la tua mente» ma, in ogni caso, i termini che ricorrono costantemente denotano soprattutto la totalità. Per ereditare il Signore occorre rinunciare a ogni altro tipo di eredità. Non c'è nessun'altra possibilità, perché qualunque altra eredità impedirebbe al tuo cuore di ereditare unicamente lui. Tutto questo è sottolineato dal modo di  parlare  semitico  che  si  riferisce  a «cuore», «anima»,« forza»,«mente» (potremmo aggiungere «sostanze» - «con tutte le tue  sostanze»), per indicare appunto la totalità. Dunque, si può ereditare il Signore, e in lui ereditare la vita eterna, se ci si distacca da  tutto  ciò che  impedirebbe al Signore stesso di essere «il tutto» nel tuo cuore, «il tutto» nei tuoi pensieri, «il tutto» nei tuoi desideri. E, unita a questo, l'attenzione al prossimo.

 

Il prossimo

Perché è unita a questo l'attenzione al prossimo? Perché se tutto ciò che si eredita è il Signore, il Signore che si dà come eredità a te si dà allo stesso modo anche al prossimo che è prolungamento di te stesso. Il Signore infatti non fa distinzione, ma si commuove di fronte ai figli di Israele così come si commuove anche di fronte ai figli dei suoi vicini egiziani (cfr. Is 19,16-25; Rm 2,11).

Questo significa che il Signore non può essere ricevuto in modo egoistico, in modo chiuso. L'eredità ricevuta dal Signore è sempre una eredità «traboccante», è sempre un'eredità che si riversa nella tua «conchiglia», perché dalla tua conchiglia l'acqua del suo dono possa poi espandersi intorno per dissetare anche gli «altri». Non c'è mai la pretesa di una eredità circoscritta, chiusa all 'interno della propria tenda, della propria famiglia, della propria tribù. Infatti si tratta sempre di una eredità condivisa con il popolo, e con l'insieme della realtà umana.

 

L’insieme della realtà umana

Adesso possiamo capire meglio alcune sottolineature presenti in testi fondamentali come quello, ad esempio, della cosiddetta «istituzione dell'eucaristia»: «Questo è il mio sangue sparso per voi e per tutti (o per la moltitudine), in remissione dei peccati » (cfr. Mt 26,27-28). «Per voi e per la moltitudine ». Non si esclude, se vogliamo, una sorta di primato, di pre-elezione, forse di pre­cedenza temporale; non si esclude una certa taxis, un certo «ordine», perché esso fa parte del flusso naturale delle generazioni: i padri vengono prima dei figli e i figli vengono prima dei nipoti; e tuttavia la vita del padre passa attraverso il figlio e raggiunge i nipoti. Dunque, mai un'eredità esclusiva, mai un'eredità da tenere tutta per sé, ma sempre un'eredità aperta alla condivisione.

Dopo questo riferimento al gesto eucaristico di Gesù, che propone il vino come il proprio sangue «sparso per voi e per tutti», possiamo lasciare emergere all'orizzonte della nostra mente il famosissimo capitolo 2 della Lettera ai Filippesi:

«egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. » (cfr. Fil 2,6-7).  «Svuotò se stesso» per poter arricchire di questa stessa dignità filiale tutti coloro che sarebbero stati raggiunti dalla stessa elezione.

Oppure pensiamo al capitolo 1 della Lettera agli Efesini (cfr. Ef 1,3-4) dove il «rendimento di grazie», rivolto verso il Padre, di fatto si riferisce a una «figliolanza» che, grazie al sangue di Cristo, è effusa su tutta l'umanità. Un «traboccare» di eredità che raggiunge l'intero creato così che da tutto il creato - dirà poi Paolo - si potrebbe percepire il grido incontenibile della

«creazione che geme e grida: "Abbà, Padre!"» (cfr. Rm 8,15.22-23).

 L'eredità che ci viene promessa è dunque «l'eredità della figliolanza», una eredità  che,  se da una parte suppone il  completo  svuotamento del proprio cuore, della propria anima, della propria mente, di tutte le sostanze, dall'altra  suppone anche una totale disponibilità, perché l'acqua che riempie la nostra «conchiglia» possa continuamente traboccare per gli altri, per tutti gli altri, fino a raggiungere i confini del mondo e la consumazione della storia.

 Da qui la conclusione di Gesù: «Hai risposto bene; fa' questo e vivrai» (v. 28).

 «Hai risposto bene». Per poter ereditare il Signore occorre anzitutto la disponibilità  totale del proprio spazio al dono traboccante di Dio. E hai risposto bene, perché hai anche capito che poi tutto  questo,  tutta  questa  ricchezza,  tutta questa eredità non puoi tenerla per te, ma devi lasciarla traboccare per gli altri.

 

Chi è il mio prossimo?

La «parabola del buon samaritano» è una esemplificazione concreta che apparentemente sembra rispondere semplicemente all'obiezione del dottore della Legge, ma che di fatto capovolge i nostri criteri abituali di definire il prossimo. Perché li capovolge? Perché di fatto il prossimo di cui si parla non è il malcapitato della parabola stessa, ma è colui che è riuscito a entrare all'interno di questa logica della eredità e si è fatto prossimo per poter ricevere anche lui l'eredità che si è riversata completamente, sia pure in modo paradossale, sull'altro. Non si legge forse nei carmi di Isaia che sul suo « eletto» il Signore ha caricato i dolori e la sofferenza di tutti noi?

«Chi è il mio prossimo?». In una lettura immediata del testo si è talmente condizionati dalla situazione del povero malcapitato fra le mani dei briganti che in genere identifichiamo immediatamente il prossimo con il malcapitato . La domanda finale posta da Gesù capovolge questa prospettiva. Difatti Gesù al v. 36 dice:

«Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?»

 Allora, chi è che cosa dà? E chi è che riceve? È molto misterioso questo scambio. Cos'è che definisce il prossimo? Chi può definirsi prossimo? Con chi si identifica il malcapitato della pagina di Luca?

La parabola è molto misteriosa, e potremmo anche dire che è a doppio senso, perché possiamo riconoscere legittimamente nel malcapitato Colui che è stato cacciato fuori dalle mura (cfr. Lc 4,29); Colui che è stato estromesso dal consorzio degli uomini (cfr. Is 53,8); Colui che è stato crocifisso tra due malfattori (cfr. Lc 23,33). Infatti può essere lui il Reietto, il Tradito, l'Estromesso, l'Escluso, lo Straniero di cui parla Luca. Ma se si tratta di lui, di fronte al quale noi ci coprivamo il volto (cfr. Is 53,3), eppure è stato caricato dei nostri peccati perché fosse lui la nostra salvezza, allora ciò vuol dire che soltanto facendoci prossimi a lui, imparentandoci con lui, e dunque diventando figli nel Figlio, possiamo pensare di condividerne anche la sua misteriosa eredità. Lo consideravamo un Escluso, ma lui era l'Eletto. Così grazie alla nostra conformazione a lui, all'intimità stabilita con lui, abbiamo anche ricevuto a nostra volta la sua stessa dignità di figlio e di conseguenza anche la sua eredità. Lui, il Figlio, ci permette di sentirci figli (cfr. Gal 4,4-6; Rm 8,14-17), e dunque «eredi» di Dio, perché «coeredi» di Cristo.

In questa prima interpretazione del malcapitato abbiamo potuto capire così qualcosa a proposito dell'interrogativo: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti? ». E abbiamo potuto dedurre che colui che è incappato nei briganti possedeva una dignità, una eredità, che poteva essere comunicata soltanto a chi si fosse fatto prossimo a lui.

 Il malcapitato è lui. Occorre allora cominciare a rileggere la parabola a partire proprio da questa intuizione centrale: può passare il dottore della Legge, può passare il sacerdote, può passare il levita, può passare il comune appartenente al popolo eletto, e non accorgersi di nulla, perdendo così l'occasione di ricevere dalla vicinanza con lui l'eredità che è propria di lui. Le autorità di Israele, sembra suggerire Luca, messe di fronte a questo uomo incappato nella violenza dei briganti, non riescono a scoprire che proprio dietro quel malcapitato si nascondeva il Figlio mandato da Dio per prendere su di sé il peccato del mondo, perché l'eredità fosse appannaggio di tutti.

 Lo straniero, l'eretico, l'escluso dalla società, partendo dalla propria situazione, hanno invece la possibilità di sintonizzarsi in profondità con lui, di riconoscersi in lui e perciò conseguono in eredità la vita eterna. Le prostitute, i pubblicani, i peccatori, in particolare le donne estromesse dalla società, a partire dall'esperienza della propria situazione umiliata, scoprono nell'umiliato il proprio «consanguineo», il proprio «prossimo» e, paradossalmente, diventano proprio loro eredi, o coeredi, al posto di chi era stato scelto per primo. È molto duro concludere in questo modo, ma l'evangelista Luca non può non aver pensato in questo modo: il Crocifisso è infatti per lui « segno di contraddizione, perché mette a nudo i segreti di molti cuori» (cfr. Lc 2,34-35).

Dunque, chiunque si trovi in una condizione simile alla sua, «si sintonizza» con lui e, grazie a questa sintonizzazione, riceve la partecipazione alla sua stessa eredità . A differenza degli altri, proprio perché non riescono a sintonizzarsi con il cuore di lui, non riescono a riconoscersi suoi consanguinei e purtroppo sono tagliati fuori.

 Il mistero si fa ancora più fitto se pensiamo che, di fatto, la consanguineità più ovvia, e dunque il richiamo del sangue più ovvio, sarebbe dovuto essere proprio quello del sacerdote e del levita . È questo lo stupore di Luca. Questo è anche lo stupore di Gesù: chi secondo carne e sangue era più vicino, si è ritrovato lontano; chi avrebbe dovuto sentire il grido della carne, il grido del sangue, della parentela, si è fatto sordo; e chi invece era un lontano, appartenente a un'altra razza, a un'altra comunità religiosa, a un'altra estrazione sociale, a un'altra situazione morale, ha potuto riconoscere nel Crocifisso il proprio consanguineo, ricevendone la partecipazione alla eredità. Il messaggio pertanto è molto preciso: la parentela che garantisce la partecipazione alla eredità non è la parentela fondata sulla carne e sul sangue, ma è la parentela fondata sulla «sintonizzazione del cuore».

 

Un mondo religioso asettico

Adesso possiamo riprendere la parabola e constatare come mai siano così distratti, il sacerdote e il levita. Forse possiamo semplicemente osservare che sono talmente presi dai propri interrogativi, dalle proprie problematiche più o meno specialistiche, filosofiche o religiose o leguleie (legate cioè all' approfondimento della legge) che non si accorgono della realtà.

Vivono fra le nuvole, nonostante tutto. Sono speculativi al massimo, ma appunto perché sono immersi in questa speculazione altissima, finiscono poi col perdere l'occasione propizia, l'occasione opportuna. Giudicano tutto secondo gli schemi legali, secondo gli schemi speculativi, e non riescono a calare tutto questo nella realtà concreta. Di fronte al malcapitato si chiedono soltanto se la Legge avrebbe o no permesso di avvicinarsi al malcapitato. E ricevono una risposta analoga al proprio interrogativo: siccome la realtà più importante per loro è la purità, trovandosi di fronte a un uomo di cui non si sa se è vivo o morto, scelgono la strada più sicura. Nel dubbio, infatti, si sceglie sempre una posizione che comunque permetta di rimanere con le mani pulite. Se avessero toccato quell'uomo, e per caso quell'uomo fosse stato già cadavere, avrebbero contratto l'impurità e l'impurità li avrebbe tagliati fuori da tutta una serie di altre manifestazioni della vita che non si potevano più permettere, fino a che non si fossero purificati (cfr. Lv 21,1-4.11). Quindi sia il sacerdote sia il levita sono soprattutto persone preoccupate di mantenere il proprio candore. È l'unica realtà che interessa loro: tenere a lucido tutto (no, mi sporcano casa se entrano dentro!); l'unica preoccupazione!  E così vengono tagliati fuori dalla possibilità di ereditare la vita eterna.

Non ereditano nulla. Ereditano invece la glacialità della propria «neve immacolata», senza vita. Non l'eredità dei figli.

 

Invitati a contestualizzare

È una situazione universale. Io la posso contestualizzare nel mio mondo di monaco (di camaldolese, di benedettino, di tutto quello che voi potete riconoscere in noi), ma poi voi siete invitati a contestualizzare tutto questo nel vostro ambito, nella vostra scelta familiare, nella vostra scelta sociopolitica, economica, concreta. Pensiamo alla preoccupazione che abbiamo tutti noi dell'emisfero Nord a non essere contaminati, a non essere disturbati nel nostro ordine, nella nostra pulizia, nella nostra asetticità, dagli «altri» malcapitati dell'emisfero Sud e allora abbiamo di che farci colpire dalla spada della parola di Luca. Siamo tutti di fatto sotto la parola tagliente di Gesù. Lui, che si è nascosto in questo povero malcapitato. Ricordiamo Matteo 25: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, fui pellegrino e mi avete ospitato; nudo e mi avete vestito; delinquente, condannato, in carcere e non vi siete vergognati di me, ma siete venuti a trovarmi» (cfr. Mt 25,31-46). Anche questo fa parte della preoccupazione di non sporcarsi le mani: sono dei delinquenti, che paghino! che soffrano! In contesti diversi dal nostro, come quello indiano, ad esempio, si direbbe: è il suo karma, deve soffrire!

No. Il vangelo diventa «spada a doppio taglio» che ci spacca in due e apre la realtà che è presente nel cuore (cfr. Eb 4,12-13). Il buon samaritano, proprio perché fa esperienza quotidiana di un'esclusione dovuta alla chiusura delle porte di fronte alle sue richieste e al disprezzo, si sintonizza più facilmente con il malcapitato e, scoprendolo  come proprio fratello e consanguineo, di fatto ne eredita il nome ritornando a essere di nuovo, paradossalmente e grazie a lui, pienamente« figlio».

 

Le « viscere» di uno straniero

Questo samaritano si sintonizza nel cuore e con il cuore del malcapitato perché lui stesso ne ha fatto esperienza. Trovandosi nella condizione di un eretico e di un perseguitato, il samaritano sapeva bene che cosa significasse soffrire. Il testo greco ci fa capire che il samaritano, al vedere quel povero malcapitato, si sentì «aprire le viscere», «scoprire il cuore» proprio come quando una mamma sperimenta «visceralmente» la propria consanguineità profonda con il figlio. È bastato averlo visto. E’ come una freccia appuntita: lo vide, si avvicinò e ne ebbe, come conseguenza, l 'apertura del cuore.

Qualcosa di simile succede al samaritano. Infatti, da questo momento in poi tutti i gesti che compie il samaritano sono i gesti tipici di chi ha a che fare con un congiunto, con un membro della propria stessa famiglia. Lo riempie di attenzione, di affetto, di carezze. Fa tutto ciò che si fa quando non c'è più nessuna barriera tra i due, ma tutto è vissuto all'interno di una profonda, misteriosissima intimità, nella piena libertà dettata unicamente dall'amore.

È qualcosa che si può capire soltanto quando si tiene presente che cos'è la libertà che si possono concedere due persone che si amano senza nessuna barriera fra di loro. È questo ciò che si verifica nell'incontro del samaritano con il malcapitato della strada che da Gerusalemme scende a Gerico. Soltanto un linguaggio di estrema intimità sponsale, materna, familiare, riesce a farci intuire che cosa si nasconda nei gesti semplici, eppure profondissimi, del samaritano che scende verso Gerico.

«Gli si fece vicino» (v. 34). - Il testo greco compone un verbo di movimento che accentua la vicinanza. Potremmo tradurre: «Gli si accostò, pelle a pelle» e «gli fasciò le ferite» (v. 34) .

Chiunque ha avuto un bambino da accudire sa che cosa comporti il gesto del fasciare o dell'avvolgere in fasce. Mi ricordo che quando ero bambino mia sorella prima di fasciarmi una ferita soffiava forte sulla parte malata come per accarezzarmi nel modo più tenero possibile, creando in me la convinzione che, grazie al suo soffio, sarei istantaneamente guarito .

Questo vuol dirci il gesto del samaritano che fascia le ferite. Non è certamente il gesto di un'infermiera sbrigativa. È molto importante capirlo, perché solo così saremo in grado di stupirci di fronte alla ricchezza e alla profondità di certe espressioni di Luca apparentemente semplici se non addirittura banali.

«Gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino» (v. 34), aggiunge il testo.

 Luca parla di “eleon”. Che cos'è l'eleon? È certo l'«olio», ma eleon è anche sinonimo di « misericordia», o «tenerezza». Si tratta dell'olio, con tutto ciò che l'olio può evocare quando viene elevato a livello di simbolo. Si parla di «olio» come sinonimo di carezza e di intimità. La stessa cosa vale per il «vino» che, come sappiamo, è sinonimo di allegrezza del cuore, di energia e di libertà.

Sono i due aspetti dell'amore: da una parte la tenerezza ineffabile di una carezza intimissima, dall'altra questa infusione di forza, di vigore nella libertà, che nasce spontanea in chi si sente amato fino in fondo.

 

I due denari e l'eredità

«lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui.» (v. 34)

Allora non esistevano gli ospedali, e il termine greco può, infatti, significare albergo. Si tratta comunque di un luogo dove qualcuno si prende cura di altri.

«Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”» (v. 35).

 Mise le mani anche al portafoglio. Il samaritano si coinvolge in toto con il malcapitato. Così succede sempre quando si va incontro all'altro riconosciuto  come  parte  di  sé. 

Il comandamento: «Ama il prossimo come te stesso» impone di concludere che sono due in una carne sola. Il mistero vissuto nell'unione nuziale diventa proposta di vita che comporta l'accettazione dell'ultimo, del malcapitato, con lo stesso criterio con cui il credente  si rapporta  con il coniuge.  Dovresti rappor tarti con il delinquente o con il malcapitato nelle mani dei briganti, utilizzando la stessa misura che utilizzi con il coniuge.

È una indicazione di vita molto, molto alta. E dobbiamo stare attenti a non svigorire la forza di questa parola. Semmai accusiamo il nostro peccato, la nostra insensibilità, il nostro limite, ma non giustifichiamoci. Non ci conviene, di fronte a una parola così chiara.

Se la coscienza è stata toccata, è stata ferita, lasciamola piangere! Forse, chissà, il lavacro che deriva da queste lacrime ci renderà più attenti, più capaci di seguire la strada indicata dal Signore per raggiungere finalmente anche l'obiettivo di ottenere l'eredità dei figli.

« tirò fuori due denari» (v. 35).

Per i Padri della Chiesa i due denari non sono soltanto soldi, ma sono l'osservanza dei due primi comandamenti. Il senso sarebbe che il samaritano non smise di amare il malcapitato, tanto è vero che mantiene il ricordo di lui promettendo un ritorno.

Il samaritano mette insomma a disposizione il capitale di tutta la propria vita:

« li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”» (v. 35).

I due comandamenti permettono al samaritano di mantenere nel tempo la propria parentela con il malcapitato quasi fossero la caparra che gli garantisce il diritto di acquisire in futuro l'eredità promessa.

 

Chi di questi tre?

«Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» (v. 36).

 Allora chi è che ha dato? Chi è che ha concesso l'eredità? Chi è che l'ha ricevuta?

«Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui» (v. 37) (“compassione” = “aprire il cuore verso di lui"» (v. 37).

 Ecco chi riceve l'eredità. La riceve paradossalmente chi sembrava fosse stato escluso dall’eredità. E la riceve per essersi fatto prossimo di un altro escluso. E così sarà anche erede della vita eterna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

 

Se ti cerco, ti nascondi.
Se mi volto, stai avanti.

  Nel silenzio taci. 
  Nelle parole,

sei indecifrabile suono.

Nei libri

sei pagina bianca.

Scompari quando

voglio averti accanto.

Diventi presenza, 

allo svoltare del giorno, 

alla carezza della solitudine

sulla pelle di uno sconosciuto.

Solo quando mi inchino

a servire il fratello

ti lasci toccare.

Se ti cerco… 

                                                                                    (Patrizio Righero)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.  È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,  

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!  

 

(spunti liberamente tratti da una lectio di padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese)