Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
Chi sei,
dolce luce che m'inondi
e rischiari la notte del mio cuore?
Tu mi guidi come la mano di una mamma.
Ma, se mi lasciassi,
non più di un passo solo avanzerei.
Tu sei lo spazio che circonda il mio essere
e nel quale si nasconde.
Se mi abbandoni,
cado nell'abisso del nulla.
Tu, a me vicino più di me stesso,
più intimo dell'intimo mio.
Spirito Santo, eterno Amore.
(Edith
Stein)
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
ASCOLTARE: si comincia dall'ascolto, per poi osservare e infine discernere. Ascoltare: un gesto complesso, così come si configura attraverso le pagine bibliche, che dona occhi nuovi per vedere la realtà, che offre nuove potenzialità e possibilità di azione. Ascoltare: una relazione tratteggiata, con tutto il suo carico di significato e le sue implicazioni, dai contorni delle figure che circondano Anna, donna sterile, poi resa feconda (1 Sam 1, 4-20).
LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.
Dalla solitudine al dono ricevuto: l'ascolto che trasfigura (1 Sam 1,4-20)
4Venne il giorno in cui Elkanà offrì il sacrificio. Ora egli soleva dare alla moglie Peninnà e a tutti i figli e le figlie di lei le loro parti. 5Ad Anna invece dava una parte speciale, poiché egli amava Anna, sebbene il Signore ne avesse reso sterile il grembo. 6La sua rivale per giunta l’affliggeva con durezza a causa della sua umiliazione, perché il Signore aveva reso sterile il suo grembo. 7Così avveniva ogni anno: mentre saliva alla casa del Signore, quella la mortificava; allora Anna si metteva a piangere e non voleva mangiare. 8Elkanà, suo marito, le diceva: «Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?».
9Anna si alzò, dopo aver mangiato e bevuto a Silo; in quel momento il sacerdote Eli stava seduto sul suo seggio davanti a uno stipite del tempio del Signore. 10Ella aveva l’animo amareggiato e si mise a pregare il Signore, piangendo dirottamente. 11Poi fece questo voto: «Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo».
12Mentre ella prolungava la preghiera davanti al Signore, Eli stava osservando la sua bocca. 13Anna pregava in cuor suo e si muovevano soltanto le labbra, ma la voce non si udiva; perciò Eli la ritenne ubriaca. 14Le disse Eli: «Fino a quando rimarrai ubriaca? Smaltisci il tuo vino!». 15Anna rispose: «No, mio signore; io sono una donna affranta e non ho bevuto né vino né altra bevanda inebriante, ma sto solo sfogando il mio cuore davanti al Signore. 16Non considerare la tua schiava una donna perversa, poiché finora mi ha fatto parlare l’eccesso del mio dolore e della mia angoscia». 17Allora Eli le rispose: «Va’ in pace e il Dio d’Israele ti conceda quello che gli hai chiesto». 18Ella replicò: «Possa la tua serva trovare grazia ai tuoi occhi». Poi la donna se ne andò per la sua via, mangiò e il suo volto non fu più come prima.
19Il mattino dopo si alzarono e dopo essersi prostrati davanti al Signore, tornarono a casa a Rama. Elkanà si unì a sua moglie e il Signore si ricordò di lei.
20Così al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto».
Parola di Dio
MEDITAZIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.
Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".
Solitudine, non ascolto e sterilità
Assieme a Peninnà, Anna è una delle due mogli di Elkanà, il quale certamente non manca di attenzione e amore nei suoi confronti; veniamo informati, fin dall'inizio, che egli le dette una parte speciale, poiché egli amava Anna.
L'espressione «una parte speciale» indicherebbe un'ulteriore parte aggiunta rispetto a quella che le spettava di diritto, quindi sovrabbondante e segno di speciale predilezione.
Anna, dal momento che il Signore ne avesse reso sterile il grembo, si trovava in una delle condizioni indicata, nei Proverbi, come “insaziabili” («Tre cose non si saziano mai, e quattro non dicono mai "basta": lo Sheol, la chiusura del grembo, la terra mai sazia d'acqua e il fuoco che non dice mai "basta"»). La parte speciale offertagli dallo sposo non riusciva a colmare il vuoto che ella portava in sé, quello di una solitudine profonda, insaziabile. Solitudine che viene rappresentata dall'immagine del grembo chiuso: la vita non può né entrare in lei, né da lei uscire.
In realtà proprio il grembo chiuso, spazio di desolazione e frustrazione, è destinato a diventare, per il miracolo dell'ascolto, il luogo della rivelazione di Dio, della vita donata.
Nella Genesi vi sono due esempi di sterilità/fecondità legati al non-ascolto/ascolto. Isacco supplica il Signore per sua moglie Rebecca, sterile: egli lo ascolta e la moglie diventa feconda. Similmente accade a Rachele, la sposa di Giacobbe: il Signore «la ascoltò e la rese feconda».
Se, dunque, la fecondità indica l'ascolto da parte di Dio, al contrario la sterilità, il grembo chiuso lasciano intendere che Dio non ha ascoltato: non a caso, la causa della sterilità di Anna è ricondotta al Signore che «aveva chiuso» il grembo di lei.
Ora, come per Rebecca e Rachele, l'ascolto di Dio è "mediato" dagli uomini, similmente la vicenda della moglie di Elkanà lascia intravedere come anche il non ascolto passi attraverso gli uomini; non a caso, Anna è tratteggiata come la «donna non ascoltata» da chi le sta vicino.
Figure di non ascolto
Innanzi tutto, ci imbattiamo in Peninnà, l'altra moglie di Elkanà, descritta come la donna feconda, che aveva figli e figlie; ella è dunque la donna ascoltata da Dio, che, tuttavia, non è capace di entrare in relazione con Anna, la sterile. Sembra che Peninnà trasformi la benedizione ricevuta in oppressione per l'altra; infatti l’affliggeva con durezza... ogni anno, mentre saliva alla casa del Signore…la mortificava. La sterilità, in Peninnà, non diventa principio di relazione, di preghiera a Dio e di ascolto bensì principio di prevaricazione.
Tutto ciò si verifica con drammatica precisione nella casa di Dio, puntualmente «ogni anno, mentre saliva alla casa del Signore», la quale invece di essere il luogo dell'ascolto diventa tristemente il luogo dell'oppressione. Proprio nella sacra dimora l'umiliazione si trasforma in ammonimento per Anna: ella è sterile poiché Dio le ha chiuso il grembo; ma siccome la sterilità è ritenuta conseguenza del peccato e della maledizione di Dio, di fatto umiliare Anna proprio davanti al Signore, nel suo tempio, ribadisce - quasi in modo perverso - la sua supposta inadempienza al cospetto dell'Altissimo.
Peninnà rivela il lato più violento del non ascolto, quando il non ascolto diventa umiliazione, scherno, oppressione.
La reazione di Anna è il pianto: si metteva a piangere e non voleva mangiare. Di fatto il pianto è voce e - come tale - chiede di essere ascoltato («II Signore ascolta la voce del mio pianto», Sal 6, 9; «Non essere sordo alle mie lacrime», Sal 39, 13). Le lacrime non domandano tanto di essere asciugate; piuttosto esse sono raccolte da Dio stesso, conservate nel suo "otre" («Tu raccogli le mie lacrime nel tuo otre», Sal 56, 9), diventando così da voce flebile che passa, una perenne attestazione scritta («non sono forse nel tuo libro?», Sal 56, 9) che chiede giustizia.
Anna non soltanto piange, ma smette anche di mangiare, comportamento che indica con chiarezza il rifiuto della vita donata. In particolare, dato il contesto dell'offerta di un sacrifìcio, si può supporre che il cibo ricusato non sia un cibo qualunque, ma proprio la parte ricevuta dal marito. Rifiutando il nutrimento dato in dono, segno di unione, di condivisione della stessa vita, Anna si sottrae a questa comunione, facendo percepire con chiarezza il suo stato di solitudine. Come le lacrime, anche la rinuncia al cibo è un gesto che chiede di essere ascoltato.
Elkanà ci offre un secondo esempio di non ascolto; quest'uomo non era come Peninna, egli «amava Anna» anche nella sua sterilità, tuttavia il suo amore non basta di per sé all'ascolto.
Perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Elkanà interroga la sposa, ma non lascia spazio per la risposta tra una domanda e l'altra. Anna chiede di essere ascoltata, chiede che il suo pianto e il suo rifiuto di nutrirsi siano percepiti come una voce. Le domande incalzanti del marito non lasciano spazio a questa voce: egli sollecita con insistenza, ma non cessando di parlare non crea la le condizioni per una possibile risposta.
Non solo: egli conclude il suo intervento con un'amara quanto ironica domanda retorica: Non sono io per te meglio di dieci figli? Si scopre adesso cosa il suo cuore nascondeva: egli è al centro del discorso. Significativamente si passa da «perché tu piangi?» a «non sono io per te...?»; il centro dell'attenzione non è più la moglie afflitta.
C'è di più: egli ha la presunzione di colmare con la sua presenza l'assenza di «dieci figli», numero simbolico, che indica la perfezione, la totalità: Elkanà ritiene di poter riempire il vuoto di ogni figlio, di tutti i figli.
Anna, la donna non ascoltata, è sola, ella si alzò, dopo aver mangiato e bevuto a Silo. Pur essendo insieme agli altri , pur condividendo la stessa vita degli altri, è da sola («Anna si alzò»). È l'isolamento drammatico di chi non è ascoltato, di chi non trova accoglienza nel cuore dell'altro.
La preghiera di Anna
Anna, la donna sola, non ascoltata dagli uomini si rivolge a Dio con l’animo amareggiato. Le lacrime non ascoltate, quasi interrotte dalle domande di Elkanà, scorrono ora senza freno davanti al Signore, il quale può percepire la voce del pianto: ella, infatti, pregava il Signore. L'invocazione si fa richiesta di ascolto: «Ascolta, Signore» è una richiesta costante dell'orante nel salterio. La sua preghiera si articola in una serie di richieste che ci suggeriscono alcune considerazioni sul significato dell'ascolto.
Se vorrai considerare la miseria della tua schiava: ascoltare è prima di tutto considerare, guardare, osservare con attenzione. L'ascolto passa anche dall'occhio: ci sono gesti che possono essere ascoltati solo se visti; è l'occhio che consente di vedere la "voce" delle lacrime.
Se vorrai ricordarti di me… se non dimenticherai la tua schiava: ascoltare è ricordare. Non siamo di fronte a un'azione che si consuma nello spazio di un istante: si tratta piuttosto di una custodia accurata (il testo ci mostra questa cura particolare quando ribadisce «ti ricorderai» attraverso il suo contrario «non dimenticherai»).
Se vorrai ricordarti di me… se non dimenticherai la tua schiava: ascoltare è ricordare. Non siamo di fronte a un'azione che si consuma nello spazio di un istante: si tratta piuttosto di una custodia accurata (il testo ci mostra questa cura particolare quando ribadisce «ti ricorderai» attraverso il suo contrario «non dimenticherai»). Nella Scrittura, l'organo del ricordo è il cuore: "ricordare" è detto anche mettere/porre sul cuore. Quindi «se ti ricorderai di me» può essere espresso allo stesso modo con: «se mi porrai sul tuo cuore»; questo è ascoltare, un'azione che a partire dal cuore coinvolge tutte le potenze (dove l'ascolto del Signore si manifesta concretamente come amore per lui con tutto il cuore, tutta l'anima, tutte le forze).
E darai alla tua schiava un figlio maschio: ascoltare è dare, è donare; il ricordare, di cui abbiamo appena visto il legame con l'ascolto, nella Scrittura è un movimento del cuore che si traduce in una prassi concreta. Quando il Signore si ricorda, interviene con un'azione specifica. L'ascolto si concretizza nel dono, in particolare nel dono di un figlio. In altre parole, l'ascolto porta la grazia della vita dentro il luogo della morte, dentro il grembo chiuso. Questo si realizzerà nell'esperienza di Anna.
Vedere, ma senza ascoltare
Bisogna però considerare che ogni singola azione messa in gioco dall'ascolto (guardare, ricordare, donare) da sola non è sufficiente: Eli, il sacerdote, offre un esempio di questo.
Eli stava osservando la sua bocca: Eli è seduto e osserva la bocca della donna, che si muove (si muovevano soltanto le labbra). Osservare è il primo passo dell'ascolto, ma da solo non basta, dal momento che Anna stava parlando in cuore suo. Per ascoltare è indispensabile entrare dentro il cuore di questa donna, laddove si pronunciano le parole. Il coinvolgimento del cuore è fondamentale per l'ascolto, proprio perché c'è necessità di affacciarsi sull'interiorità dell'altro, in quella segreta solitudine dove le parole risuonano.
Né con l'orecchio e neanche con lo sguardo è possibile ascoltare la voce di Anna (la voce non si udiva); al di fuori solo silenzio: l'ascolto è chiamato ad avventurarsi nelle silenziosità, al di là di labbra che appena sussurrano, per interpretare i linguaggi del cuore.
Al contrario, Eli si limita a ciò che vede e a ciò che non sente; in base a questo valuta la donna e la giudica (Eli la ritenne ubriaca). Il giudizio in virtù di ciò che vede diventa un muro che impedisce l'ascolto.Il pensiero interno di Eli, che evidentemente occupa tutta la sua attenzione, si traduce in una domanda retorica seguita da un'esclamazione che lascia ben poco spazio all'immaginazione (fino a quando rimarrai ubriaca? Smaltisci il tuo vino!). Ancora una volta chi dovrebbe ascoltare, quindi stare in silenzio, parla: l'ascolto è ostacolato dalla parola di Eli e dalla sua valutazione; al sacerdote non interessa conoscere perché la donna è in quello stato: egli lo sa già. Anna è sicuramente ubriaca.
Anna, la donna ascoltata
Alla fine Anna, che fino ad ora ha parlato "senza parole", si esprime, rivela che il suo dolore aveva voce e che questa voce chiedeva di essere ascoltata: mi ha fatto parlare l'eccesso del mio dolore e la mia angoscia. L'amarezza e l'afflizione si riversano dentro, parlano e fanno parlare, anche se nel silenzio. L'ascolto richiede di saper cogliere anche questa parola disperata sussurrata nel cuore.
Eli le rispose: «Va' in pace». Ascoltare culmina nel dono della pace: «II Signore ti benedica e ti custodisca; faccia risplendere il suo volto su di te e ti faccia grazia; il Signore volga il suo volto su di te e ti doni la sua pace» (Nm 6, 24-26). Eli ridona la pace ad Anna, alla donna sola, oppressa a causa della sua sterilità.
Come avevamo accennato all'inizio, l'ascolto da parte di Dio passa attraverso l'ascolto dell'uomo; Eli afferma: Il Dio di Israele ti conceda quello che gli hai chiesto; Dio ascolta perché c'è un uomo che ha ascoltato, facendosi mediatore della pace di Dio e della sua grazia. Questa funzione di mediazione è percepita con chiarezza da Anna, come ci rivelano le sue parole: Possa la tua serva trovare grazia ai tuoi occhi; espressioni simili vengono solitamente rivolte alla persona cui si rivolge un'implorazione, cui si chiede un favore. Anna intuisce che essere ascoltata dall'uomo di Dio equivale, di fatto, a essere ascoltata da Dio stesso, verso cui aveva levato la preghiera.
Ed ecco la trasformazione: la donna mangiò e il suo volto non fu più come prima. Innanzi tutto l'ascolto coincide, come abbiamo già notato, con il dono della vita: la donna che non mangiava più, adesso prende cibo.
Inoltre, l'ascolto trasfigura: il volto nella Scrittura non è solo l'aspetto esteriore; il volto è la persona stessa, nel suo essere.
L'espressione trasfigurata di Anna, donna che si è rivolta a Dio, rimanda a quella di Mosè, l'uomo che il Signore conosceva «faccia a faccia». Esodo offre la descrizione del viso raggiante del più grande dei profeti: il Signore aveva parlato con lui ed egli lo aveva ascoltato;Mosè è l'uomo trasfigurato perché ascolta Dio. Ma il volto di Mosè è luminoso non solo perché egli ascolta Dio, ma anche perché è ascoltato da lui.
Così per la "trasfigurazione" di Anna, che avviene non tanto dopo l'esaudimento della preghiera da parte del Signore (infatti solo al v. 20 il testo ci informa che il Signore ha ascoltato la preghiera della donna), quanto dopo che è stata ascoltata da Eli: non è l'esaudimento che trasfigura, bensì l'esperienza dell'ascolto ricevuto.
Anna, la donna feconda
La donna ascoltata è dunque trasfigurata e diventa, da sterile, feconda: il Signore si ricordò di lei; il Signore ascolta Anna, la mette sul cuore, ed ella al finir dell’anno Anna e partorì un figlio. L'ascolto da parte di Dio produce il suo effetto proprio nel luogo simbolico del non ascolto (il grembo sterile): lo spazio della morte è trasformato in vita, la maledizione in benedizione.
Anna, la donna ascoltata e feconda, partorisce Samuele, l'uomo dell'ascolto e dell'obbedienza («Parla che il tuo servo ti ascolta»). Solo chi ha fatto l'esperienza di essere ascoltato può portare dentro di sé il principio dell'ascolto e della conseguente obbedienza. Nessuno può trovare in sé la fonte dell'obbedienza se non è stato ascoltato, se non ha avuto la grazia di incontrare un fratello il quale lo ha «posto sul suo cuore».
La madre non trasmette soltanto la vita al figlio, ma anche la capacità di ascoltare, quella stessa attenzione di cui ella è stata oggetto. È la donna ascoltata a trasmettere così al figlio la sua identità di "uomo dell'ascolto".
Conclusione
Ascolto: non una relazione facile e sbrigativa, quanto piuttosto una relazione totalmente coinvolgente che richiede tempo e pazienza.
Ascolto, gesto complesso che coinvolge in un unico movimento occhi, cuore e mano che dona. La relazione di ascolto deve essere fatta ogni volta "su misura" per il fratello che mi sta davanti.
Ascolto, che si rivela, infine, vera e propria “tessitura di identità” lacerate dall'incomprensione, dallo scherno, dalla fretta delle troppe parole e domande, dalla solitudine; una relazione fatta di fili, sottili, impercettibili, ma che messi insieme, intrecciati con arte e passione, ridonano la vita nel luogo stesso della morte.
Per la riflessione
La solitudine "incolmabile": mi pongo davanti al dramma di una solitudine impossibile da riempire; niente, neppure le attenzioni d'amore riescono a colmarla. Quante volte sono bloccato nella relazione: vedo l'impossibilità che da una persona esca la vita e magari mi fermo di fronte a quello che definisco come il classico caso disperato. I miei gesti, le mie azioni non producono frutto. In casi come questo, può sopraggiungere la facile tentazione di abbandonare la relazione!
Non ascolto come oppressione: la diversità, la mia pretesa giustizia o superiorità può diventare principio di oppressione, scherno, umiliazione.
Non ascolto nella casa di Dio: quello che dovrebbe essere il luogo dell'ascolto può diventare il luogo dell'ira, della prevaricazione; quanto i luoghi preferenziali dell'ascolto (comunità, confessione, relazione di accompagnamento e sostegno ecc.) possono essere trasformati in luoghi di umiliazione per l'altro?
La voce delle lacrime: ascoltare significa non semplicemente asciugare le lacrime. La loro voce ha bisogno di disponibilità per essere ascoltata. Talvolta, potrei trovare più comodo asciugare frettolosamente le lacrime, perché spariscano, anziché raccoglierle.
Non ascolto come mettersi al centro:
penso al mio
ascolto: può essere falsato alla radice perché non faccio
silenzio, parlo e non lascio parlare; oppure perché come
Elkanà penso già di avere la soluzione: la mia presenza,
io stesso divento la soluzione (emblematica la frase:
«Non preoccuparti, ci sono qua io» che tante volte soffoca le parole di chi ci
sta di fronte…).! Infine, perché mi
metto al centro nella relazione («Non sono forse io...»).
L'ascolto esige, invece, che l'altro sia messo al centro.
La solitudine, frutto del non ascolto: mi guardo intorno. Può accadere che condividiamo la stessa vita, mangiamo e beviamo insieme, ma qualcuno si alza da solo. C'è chi non è ascoltato, chi non si sente ascoltato, ed è solo. Mi accorgo di chi pur essendo in mia compagnia, pur vivendo al mio fianco è solo?
L'ascolto che passa dall'occhio: ho bisogno di un occhio attento per poter ascoltare.
L'ascolto che passa dal cuore: ho bisogno di porre sul cuore il fratello che chiede di essere ascoltato.
L'ascolto e il dono della vita: l'ascolto ha il suo culmine nella concretezza del dono della vita.
I pregiudizi impediscono l'ascolto perché di fatto sono un ascolto del mio pensiero. Il pregiudizio può venire dall'occhio e trasformarsi in un pensiero interno: se lo seguo l'ascolto diventa impossibile.
Le parole affrettate: mi fermo a considerare come le parole affrettate, che riflettono esclusivamente la mia percezione del problema, possano impedire l'ascolto. Esso domanda piuttosto tempo, disponibilità, capacità di attesa...
Ascolto ed esaudimento: la trasfigurazione avviene prima dell'esaudimento. Ascoltare non significa semplicemente esaudire le richieste dell'altro, anche perché talvolta non ho né i mezzi né le possibilità per farlo. Al contrario, possiedo sempre i "mezzi" per l'ascolto. Mi fermo a considerare come la pretesa o la fretta di esaudire, mi possano impedire di ascoltare.
Ascolto e fecondità: ascoltare porta a far sì che il luogo della morte dell'altro diventi il luogo della vita.
ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Ricordati, Signore,
delle mie impronte.
Tieni a memoria
ognuno dei miei passi,
tutte le Tshirt che ho indossato,
i miei bizzarri tagli di capelli,
le prepotenze che ho subito
e i pianti nel cortile della scuola.
Ricordati degli esperimenti di bene
miseramente falliti in equivoci
e in contriti “mi spiace davvero”.
Tieni a memoria, Signore,
tutta la speranza che ho tentato
di far attecchire in terreni pietrosi;
tutta la fede che ho cercato di accendere
sotto la pioggia delle disillusioni
e tutta la carità che mi è rimasta
appiccicata addosso.
Ricordati Signore,
di quelle volte in cui ce l’ho messa tutta,
e mi sono scorticato la pelle
spostando a mani nude
i ruvidi mattoni del tuo Regno.
Dimentica tutto il resto, mio Dio.
Nel vento impetuoso della tua misericordia
disperdi le crisi di gelosia,
le ingratitudini, le ridicole pretese;
e poi ancora quell’affetto stropicciato
per troppo orgoglio,
e quelle occhiate indifferenti
sbattute sulla faccia dei poveri.
Ricorda e dimentica.
Tieni a memoria e disperdi.
Come sai fare tu.
(da “Hai un momento, Dio?”)
CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria
per tutti i secoli dei secoli. AMEN
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti da un percorso formativo della Caritas Italiana)